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Autore: Tabheta    23/05/2021    1 recensioni
"Hinata non era una persona costante, i suoi sentimenti erano costanti, nel senso che se avesse rivisto una persona a distanza di trent’anni l’avrebbe comunque accolta con un sorriso ed un calore insoliti – per chiunque, ma non per lui. Eppure, non era mai sazio. Sentiva di non potersi mai riposare, di non essere mai al posto giusto. Sembrava più facile accartocciare la parte sbagliata di sé conservata tra i ricordi degli altri e cercarne una nuova, in nuove braccia, in nuovi sorrisi. Hinata era così, amava tutti, ma non c’era nessuno che gli facesse dire sono a casa. Quando non gli piaceva più la sua sistemazione si voltava, senza rimpianti."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Osamu Miya, Shouyou Hinata
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Personaggi: Shouyou Hinata, Atsumu Miya, Osamu Miya;
Coppia: Atsu/Hina/Osa;
Genere: Introspettivo, sentimentale.
Note: salve a tutti! Innanzitutto specifico che le informazioni che vi ho appena dato riguardano esclusivamente il primo capitolo. In secundis, con mestizia vi annuncio che si tratta di una mini-long. Ve lo dico affranta, perché non so ancora bene come strutturarla, anche se ogni capitolo possiamo definirlo a sé stante. Questa idea vegetava da un po' nel mio computer ed avevo necessità di farla uscire dal mio cervello e dall'archivio prima che come un morbo infestasse tutto. Nel mio progetto il filo conduttore è un Hinata a dir poco disfunzionale nella gestione del proprio essere e delle sue relazioni (sì, sono particolarmente masochista nell'ultimo periodo). Dal punto di vista temporale il prologo è ambientato un po' di tempo prima degli eventi del primo capitolo (tenetelo bene a mente: è uno strumentopolo misterioso che ci servirà più tardi!) e bhé, in caso non l'aveste capito c'è del multishipping all'orizzonte lol. Alla vostra destra le bibite energetiche e le bustine di magnesio-potassio per ristabilire le funzioni vitali, in omaggio dalla direzione <3



 




Prologo
 


“Ti sei iscritto all’università?”

La voce di Oikawa gli arrivava come ovattata dietro la nuca. Hinata si stava lasciando alle spalle molte cose, tra queste una serie di relazioni con le quali non voleva avere più nulla a che fare. Non che non volesse bene al suo senpai, lo amava, ma era arrivata per lui l’ora di volare altrove.
Hinata non era una persona costante, i suoi sentimenti erano costanti, nel senso che se avesse rivisto una persona a distanza di trent’anni l’avrebbe comunque accolta con un sorriso ed un calore insoliti – per chiunque, ma non per lui. Eppure, non era mai sazio. Sentiva di non potersi mai riposare, di non essere mai al posto giusto. Sembrava più facile accartocciare la parte sbagliata di sé conservata tra i ricordi degli altri e cercarne una nuova, in nuove braccia, in nuovi sorrisi. Hinata era così, amava tutti, ma non c’era nessuno che gli facesse dire sono a casa. Quando non gli piaceva più la sua sistemazione si voltava, senza rimpianti.
Oikawa stava alzando la voce, forse stava anche piangendo, ma lui non lo sentiva davvero. Non lo faceva per cattiveria, era veramente serio quando diceva di amarlo, gli avrebbe fatto infinitamente più male se fosse rimasto con lui – sottopelle. Era il momento di parassitare qualcun altro.
Partì quella sera stessa. Con sé portò vestiti, ma nessun dispiacere. Era sempre convinto che dire addio fosse il miglior atto di affetto che poteva concedere, prima di far marcire tutto.
 
 
 
***
 


“Sei di nuovo in ritardo.”

“Questa è l’ultima volta che ti tengo il posto.”

Hinata avrebbe voluto dirgli che era già la terza volta che gli sentiva pronunciare quella frase, ma aveva la netta sensazione che se glielo avesse fatto notare Atsumu si sarebbe indispettito ancora di più. Si limitò a mormorargli uno scusa soffocato, soffiandogli di proposito nell’orecchio. Il compagno di corso arrossì.
Hinata prendeva nutrimento, da quelle piccole cose. Gli piaceva sapere di avere una certa influenza sull’altro. Si sentiva inscalfibile, perché era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, sempre. Con Miya, in particolare, sentiva di poter affondare i denti. Hinata era come un cucciolo, gli piaceva giocare, mordere, ma senza andare fino in fondo, solo per vedere se avrebbe trovato un compagno di giochi. Dei cuccioli aveva anche la volubilità, perché quando veniva assecondato era il primo a cercare un nuovo gioco.
Il gioco dell’anno si chiamava Miya Atsumu. Si erano conosciuti a lezione – per Miya, ma Hinata lo osservava già da un paio di settimane. Aveva attirato la sua attenzione perché aveva un fratello gemello. Lo vedeva pranzare insieme a lui tutti i giorni. Li studiava nel tentativo di memorizzarne le differenze e coglierne al microscopio ogni singola sfumatura di colore. Era morbosamente attratto da quell’incredibile miracolo ed allo stesso tempo estremamente invidioso dell’intimità che condividevano.
Hinata era un puzzle incompleto, loro due tessere perfette, gli sembrava il modo più semplice per riempirsi.

“Miya-chan, puoi aiutarmi per l’esame di lunedì?” piagnucolò.

“Guarda che sono arrabbiato con te, in caso non l’avessi capito.”

“Ah, non stavi fingendo?”


Miya si mise le mani nei capelli, Hinata ridacchiò. Non poteva vincere contro di lui.
 
*
 
“Aspetta qui – Miya lo fece fermare all’ingresso  avviso mia madre che ci sono ospiti” calcò volutamente l’ultima parola, come a voler ribadire che, fosse stato per lui, non avrebbe mai messo piede in casa sua.

Hinata annuì e si sedette sul gradino. La casa di Atsumu sembrava uscita dalla copertina di una rivista. Il prato era perfettamente tagliato, le piante disposte regolari tra i due lati del vialetto – dentro di sé elaborò svariate battute sulla simmetria che pareva regolare la vita della famiglia Miya.
Gli venne da sospirare. Rivolgere le proprie attenzioni verso qualcuno gli dava assuefazione, ma al tempo stesso si sentiva come disidratato.

“Hinata Shouyo?”

Si voltò di scatto quasi fosse scottato, perché quella non era la voce di Atsumu.

“Osamu Miya.”

Il ragazzo gli sorrise, porgendogli la mano. Il volto era quello di Atsumu, ma di Atsumu non aveva nulla.
Un brivido gli attraversò la schiena quando strinse la sua mano. Era incredibile come aspetto e percezione fossero in contrasto: la sensazione del contatto col suo corpo era totalmente differente rispetto a quella a cui era abituato col gemello.
Hinata sorrise a sua volta.

“Tu e tuo fratello non vi assomigliate per niente.”
 
*
 
La loro casa era calda ed accogliente, così come la signora Miya. Diede ad Hinata uno scorcio sull’infanzia dei gemelli. Poteva vederli trotterellare da una parte all’altra del salotto, in un quadretto di perfetta armonia familiare. Hinata si rabbuiò per un secondo, secondo che non manco di sfuggire agli occhi di Atsumu. Forse non era stato l’unico a studiare le sfumature dell’altro nel corso degli ultimi mesi.

“Andiamo a studiare” disse prendendolo per mano, e Miya non lo aveva mai preso per mano.

“Tutto ok?” gli chiese, una volta fattolo accomodare in camera sua – loro. Atsumu condivideva ancora la camera con il fratello, lo desunse dai due letti simmetrici al lato della stanza e dal fatto che ogni cosa pareva doppia in quella stanza.

“Io e mio fratello non dormiamo più in questa camera” insieme. Atsumu non lo disse esplicitamente, ma dissipò il suo dubbio silenzioso.

“Però è difficile quando ci hai fatto l’abitudine” riprese.

Hinata non poteva essere più lontano dalle affermazioni del compagno. Per lui l’abitudine era assuefazione, una tela di ragno da cui si sarebbe dibattuto fino allo sfinimento. Si limitò ad annuire, non era una conversazione che avrebbe avuto senso affrontare con lui adesso.

“Possiamo studiare qui?”

Non era affatto convinto. Gli sembrava di star violando un mausoleo, un covo segreto in cui non aveva il diritto di mettere piede. Si sentiva fuori posto e la cosa, per la prima volta, lo turbava. Solitamente, Hinata, quando era attratto da qualcosa, non faceva mai marcia indietro. Andava sempre avanti. Era un treno a vapore che correva dritto sulle rotaie e non si schiantava mai, era sempre lui ad investire gli altri.
Sinceramente, il pensiero di essere ferito o di finire fuori strada non lo preoccupava. Forse sperava di raggiungere quel livello del sentire che gli avrebbe permesso di capire e vedere cose che gli erano ancora aliene. Voleva imparare attraverso il dolore, ma ogni volta era lui il carnefice.
Sbatté gli occhi per una frazione di tempo che sembrò durare ore, mentre vedeva Atsumu trafficare per la stanza e far loro spazio sulla scrivania – ampia e con due sedie già predisposte.
Non ci penso due volte a spingercelo sopra ed a baciarlo. Le sedie furono bruscamente allontanate.
 
*
 
Da quel giorno Hinata capitava spesso a casa Miya. Una volta doveva prendere in prestito degli appunti da Atsumu, una volta era stato proprio Miya a sottrarne di suoi, un'altra si annoiava, in ogni caso ogni scusa era buona per tornare. Era un sentimento strano per lui, che non si sentiva mai radicato a qualcosa.
Però quella casa così armoniosa lo attraeva come una calamita. Amava chiacchierare del più e del meno con la madre di Atsumu, che aveva imparato a conoscerlo, amava la pacatezza con cui Osamu gli chiedeva come stava – bene, stava sempre bene. Quando invece era il suo turno di domandare Osamu era sempre evasivo – anche a lui, andava tutto bene.
Se Atsumu era chiaro e diretto – però con lui era sempre mite, Osamu era indecifrabile. Sorrideva, ma non sorrideva mai veramente. Hinata avrebbe voluto scuoterlo fino a fargli cadere quella maschera di cerone che pareva metter su ogni volta che si parlavano. A volte ne era così innervosito da lasciare a metà la conversazione, come a dirgli puoi farla a loro, ma non a me. Un bugiardo non può mentire ad un altro bugiardo, ma ciò non gli vieta di mentire ad altri in sua presenza – Hinata doveva ancora capire se fosse lecito o meno chiedere ad Atsumu perché suo fratello avesse la faccia di bronzo.
Così Hinata tornava. Non sapeva ancora per cosa, se per i baci di Atsumu, o per sentirsi meno solo. Non era tipo da mentire a sé stesso, era molto – spaventosamente – onesto. I suoi bisogni gli erano chiari come sole, così come i suoi vizi. Se fosse stato altrettanto diretto nella vita reale dubitava qualcuno avrebbe potuto reggere.
Ma era solo, portare il fardello di sé stesso era un compito pesante.

“Atsumu è in casa?” chiese mollemente mentre suonava al citofono.

Gli aprì Osamu ancora in pigiama. Erano le nove del mattino, e sembrava leggermente perplesso.

“È andato ad allenarsi.”

“Ah già.”

Lo sapeva perfettamente.

“Che volevi?”

Non c’era bisogno di simulare ulteriormente, ma ad Hinata quel gioco piaceva.

“Mi aveva promesso una cosa.”

“Se vuoi puoi aspettarlo dentro, ma non credo finirà prima di pranzo.”

Hinata sorrise. Osamu gli aprì la porta con la solita espressione indecifrabile.
 
*
 
Hinata baciò Osamu mentre gli chiedeva come stava. Tutto bene, gli rispose praticamente nella sua bocca, e tu, aggiunse. Osamu lo prese per i fianchi e lo portò in camera – la loro camera, sdraiandolo sulla scrivania. Molto bene, rispose. Hinata rise tra le sue labbra.

“Finalmente una risposta sincera.”

Passarono la mattinata nel letto di Atsumu a parlare. Osamu gli raccontò di come lui, a differenza del fratello, non giocasse più a pallavolo.

“Non sono bravo come lui.”

“Non ci hai nemmeno provato” ed Hinata voleva veramente dirgli che stava sbagliando tutto, mentre sfregava il proprio corpo nudo su di lui come un cucciolo affamato di calore.
Osamu, per quanto cercasse di correre via dall’ombra del gemello, non faceva altro che caderci dentro sempre di più e quella lo portava a fondo come sabbie mobili. Hinata ne era l’esempio lampante.

“E tu, invece? Non ami mio fratello?”
“Certo che lo amo” e lo disse senza riserve, tanto da lasciarlo spiazzato.

Hinata li amava, li amava entrambi, senza distinzioni. Osamu parve rabbuiarsi, prima di prendergli la mano e portarla sul proprio sesso.
Atsumu tornò a casa alle dodici e trenta precise. Alle dodici Hinata ed Osamu si erano già fatti la doccia ed erano in cucina sul sofà a guardare svogliatamente la televisione.

“Cosa mi sono perso?”

“A quanto pare hanno inventato una nuova ricetta per cucinare il tofu” fece Osamu.

“E funziona?”

“Non mi è mai piaciuto, il tofu.”

 
*
 
Hinata piano piano, smise di cercare pretesti. A casa dei gemelli si vedeva sempre più di rado, e la signora Miya sembrava non riuscisse a farsene una ragione. Atsumu viveva ogni piccola cosa con la rabbia ed il risentimento di un animale in gabbia. Osamu non abbandonò il consueto distacco, ma ai fatti si sentiva sollevato. Fingere stava diventando faticoso anche per lui. Il fantasma di Hinata non li abbandonava però, ed ogni cosa che prima facevano in tre si caricava di pesante silenzio. La calma prima della tempesta.
Il rosso, infatti, tornò con tante scuse e nuove promesse, tenendo Atsumu per mano e guardando Osamu di sottecchi.

“Posso restare a dormire qui stasera?”

Ad Osamu vennero i brividi.

Hinata insistette per dormire tutti e tre nella stanza dei fratelli e la signora Miya gli stese volentieri un futon nella stanza.
Ma Osamu si alzò e tornò in camera sua durante la notte, mentre Hinata si alzava a sua volta e si infilava nel letto di Atsumu, perché era così che dovevano andare le cose.
 
*
 
Quando il campanello suonò di nuovo, stavolta, Hinata, aveva davvero qualcosa da dire ad Atsumu.

“Vuoi entrare?” gli chiese Osamu senza guardarlo negli occhi.

Il rosso parve esitare. Sapeva perfettamente cosa sarebbe successo se fosse entrato, ma in fondo era venuto proprio per quello, per lasciarsi dietro un altro cumulo di macerie.
Atsumu, infatti, li trovò sdraiati nel suo letto.

Quel giorno Hinata uscì per l’ultima volta da casa Miya, per non tornarvi mai più.




***








 
  
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