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Autore: thewindscreamsmary    26/05/2021    1 recensioni
Il desiderio lontano e non compreso di una violenza gratuita, in questo caso inflitta dalla persona che ami, ma che potrebbe essere inflitta da chiunque. Il semplice e antico desiderio di vedermi sfinita a terra, incapace a muovermi o a vivere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero affiancata alla finestra di quella grande e antica dimora che ci apparteneva. Il cielo riscopriva l’atmosfera di un azzurro spento e soffuso. La luna piena dominava quello spettro azzurrino che avvolge la terra e le sagome nere dei gabbiani sembravano andarci contro, volando confusamente in cerchio quasi volessero scappare da loro stessi. Non vedevo da mesi la donna bianca della notte, tanto più che ero oramai convinta volesse scappare dalla modesta finestrella della mia stanza. Da quella finestrella entrava ogni mia fonte di luce, una luce per l’appunto sempre soffusa e chiara. La stanza, di un turchese spento, era decorata con vecchi immobili vintage bianchi, in realtà l’intera casa sembrava il modellino di una casa delle bambole ottocentesca. Questi arredi bianchi dominavano l’abitazione, con qualche fiore colorato qua e là, ma la mia stanza in particolare trasmetteva comunque una sensazione di vuoto e di abbandono, quasi inquietudine e di ignoto. Sentii dei passi per le scale e mi voltai verso la porta di legno alle mie spalle, vedendolo entrare lo guardai negli occhi e mi voltai di nuovo verso il cielo. Sospirai, lo sentii avanzare verso di me.
-Chiudi la porta- gli chiesi, con non curanza. 

Mi poggiò la mano sulla spalla, la toccai. 

-Mi sei mancata-
-Anche tu-

Mi girai e mi posi di fronte a lui, lo guardai di nuovo negli occhi. Affondai nel sue petto e lo strinsi, sentii le sue mani cingermi la testa. -Sei caldo- gli dissi e lui sorrise.

 

Mi risveglio dal sogno in quella stanza turchese vuota e sconosciuta, il suo corpo è in piedi accanto al semplice letto di legno bianco, mi siedo sul letto intorpidita. Lo guardo. -Perfavore, picchiami-. Mi tira un ceffone. Guardo per terra, dal basso della mia posizione subordinata alla quale mi ponevo da sola. -Perfavore, continua-. Continua a prendermi a schiaffi, via via sempre più forti. Mi cola il sangue dal naso. Ora sono seduta sul pavimento di parquet. Mi appesi alle sue gambe e ci appoggiai la fronte. Dalla finestra l’atmosfera nebbiosa e soffusa del sogno, guardo la luna piena. Una sensazione isterica mi pervade, cerco il dolore, cerco l’eliminazione del mio io. Cerco disperatamente il dolore, lo voglio afferrare, lo voglio stritolare, me lo voglio spargere addosso, lo merito, lo necessito. Da qualcuno, da me, ma dall’esterno è migliore, è più forte, è più avvolgente. Sento il bisogno di piangere, di urlare. Chiedo di essere picchiata ancora. Ormai giaccio a terra esanime, sanguinante. Il rosso del mio sangue è consolante in quell’ambiente così grigio e vuoto. La figura dominante così calda e confortante esce chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi sul freddo pavimento ormai tinto di rosso.
Sento i passi per le scale scendere. Riguardo la luna, gli uccelli calmi, a differenza del sogno, e tiro un sospiro di libertà. Finalmente avevo distrutto ciò che tratteneva il mio Io, lo avevo frantumato, nel modo migliore che potessi scegliere. Il mio Io prese e raggiunse quella finestra, quel cielo. Lasciò il mio corpo sgretolato e frantumato sul pavimento, intento a guardare verso la finestre. Si elevò sopra la pineta che circondava quella vecchia baracca e mi sopraggiunse.

Riapro gli occhi: davanti a me una poltrona, una scrivania e una foto di Che Guevara, una radio e una foto con mia sorella. Ripenso a quella baracca, alla mia tanta desiderata liberazione, mi guardo le mani e guardo verso la finestra: la giornata era pressochè soleggiata e l’orologio segnava le quattro. Mi alzo ed esco dalla stanza.

 
   
 
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