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Autore: Yrina    26/05/2021    1 recensioni
Probabilmente pensava fosse una magia, ma sapete come sono le donne, uno pensa di sapere esattamente cosa stia prendendo forma dietro una splendida fronte eppure la realtà è tutt’altra, e spinge l’illusione fuori dai margini costringendola a fracassarsi al suolo con un rumore di specchi andati in pezzi. Milioni di pezzi, impossibili da ricomporre, taglienti e aguzzi, che riflettono immagini distorte e frammentarie come solo le illusioni possono essere.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva indossato quei pantaloni color ghiaccio di un tessuto leggero e fresco, e a dire il vero non era nemmeno convinta che fossero la scelta più giusta per un appuntamento nel pomeriggio. La camicia era azzurra con piccoli pois, incredibile che fossero proprio della stessa tonalità del grigio polare dei pantaloni. Di certo non era comodissima dato il caldo della piena primavera e forse dimostrava qualche anno in più rispetto alla sua età così abbigliata, ma lo scopo era soprattutto questo.
Mentre si ammirava allo specchio, sistemandosi i capelli sulla nuca in un’acconciatura sbarazzina e studiata per sembrare naturalmente disordinata, si impose di non mentire più a sé stessa, almeno prima di giocarsi il tutto per tutto doveva scendere a patti con la sua mente.
Solo di questo era sicura, che i sentimenti centrassero ben poco, almeno all’epoca del travagliato inizio della storia: aveva inconsapevolmente varcato la soglia del locale e lo aveva visto così, senza un particolare di spicco al primo sguardo, con abiti comodi e dai colori anonimi, solo un sorriso di cortesia e quegli occhi glaciali che le avevano bruciato i suoi dietro le palpebre. Gli aveva parlato in modo non studiato facendo un commento sul nome che pensava potesse portare e scoprendo con soddisfazione di aver indovinato per metà, aveva registrato quella risata composta e quel suo buttare indietro la testa facendo tendere i muscoli del collo, aveva ascoltato quella voce bassa e sabbiata dire cose intelligenti e indirizzarle rimproveri che non avrebbe concesso ad altri. Aveva deciso consciamente che lo voleva e aveva tentato quasi ogni mezzo, ma non era mai scesa in basso poiché, per sua fortuna o per inaudita sventura, sapeva bene di non esserne all’altezza, ma credeva fermamente che lui non l’avrebbe comunque apprezzato.
L’aveva visto ogni volta che aveva potuto e si era arrivati a questo, un appuntamento al bar davanti al teatro. Lui era ben più grande di lei, e apparire meno ragazzina la faceva sentire più in controllo nonostante la gente che la fissava con tanto d’occhi mentre attraversava il corso affollato della città. Si sentiva quasi scivolare sulla strada lastricata di pietre e il sorriso continuava a nascere sulle sue labbra senza poter mai morire. Trovava deliziosi i colori rinati alla luce del sole e le sembrava a tratti di camminare troppo lentamente nonostante dovesse spesso rallentare e riprendere fiato, le voci suonavano incredibilmente alte e fuori posto, e dal fondo del suo cervello si diffondeva la melodia di una canzone che aveva sentito in radio mentre si preparava e che di tanto in tanto canticchiava a mezza voce insinuandosi tra la gente.
Probabilmente pensava fosse una magia, ma sapete come sono le donne, uno pensa di sapere esattamente cosa stia prendendo forma dietro una splendida fronte eppure la realtà è tutt’altra, e spinge l’illusione fuori dai margini costringendola a fracassarsi al suolo con un rumore di specchi andati in pezzi. Milioni di pezzi, impossibili da ricomporre, taglienti e aguzzi, che riflettono immagini distorte e frammentarie come solo le illusioni possono essere.
Scostò la sedia e si sedette con garbo riflettendo sul fatto di essere arrivata per prima. Così mentre si accendeva una sigaretta dal pacchetto nuovo appena scartato le cadde l’occhio sulla locandina del teatro dall’altro lato della strada. Ci sarebbe stato un concerto quella sera e subito si sentì in dovere di fantasticare sugli avvenimenti che era sicura di lì a poco si sarebbero verificati. Lui sarebbe arrivato e avrebbe ordinato un caffè mentre rollava una sigaretta da bolscevico, poi avrebbero parlato molto, lei gli avrebbe chiesto i suoi programmi per il futuro, avrebbe ironizzato sui suoi modi pacati e lui avrebbe riso prendendosi sempre più confidenza mentre il tempo sarebbe volato insieme al fumo delle loro numerose sigarette, allora lui avrebbe guardato l’orologio nero e avrebbe commentato con stupore che si era fatto tardi e che il concerto a teatro presto sarebbe cominciato e le avrebbe chiesto se avesse avuto piacere a unirsi a lui, era solo e il suo amico non sarebbe venuto, lei avrebbe accettato ostentando prima un poco di indecisione che non avrebbe certo remato contro le sue intenzioni e sarebbe stata una serata perfetta.
Stava sorridendo sola mentre spegneva la sua seconda sigaretta e il cameriere le chiedeva cosa poteva portarle.
Prese tempo e iniziò a domandarsi se fosse arrivata con largo anticipo o se lui fosse in un inaccettabile ritardo. Di sicuro aveva preso a sentirsi nervosa e alla quarta volta che aveva allontanato il cameriere, accendendosi la sesta sigaretta la sensazione di essere fuori posto e di avere sbagliato ora, giorno o luogo si stava per impossessare di lei facendosi largo a suon di sgomitate dalla bocca dello stomaco su fino alla corteccia frontale con ondate di vergogna bruciante e amara. Ormai si sentiva molti occhi addosso e ordinò un caffè tenendo gli occhi bassi, mentre la mani lisciavano le pieghe sul tessuto color ghiaccio con movimenti spasmodici.
Il caffè arrivò dopo quella che le era sembrata un’eternità, chiaramente era stanca di aspettare, nervosa, si sentiva stupida e iniziava a crescere la voglia di lanciare via le scarpe e correre verso casa dove si sarebbe strappata di dosso quegli stracci inopportuni e avrebbe scavato via il trucco dal viso con le unghie. Sorrise cordiale al cameriere e chiese che ora fosse e se per ventura qualcuno avesse chiamato lasciando un messaggio per lei. Ricevette come risposta dei numeri che, tramite un veloce calcolo la fecero cosciente del fatto che fossero passate oltre due ore. Quanto alla telefonata il giovane sorrise desolato: il telefono non aveva squillato dalla mattina.
Si disse che in fondo avrebbe potuto gustare il suo caffè anche senza compagnia e fumare qualche altra sigaretta sotto il sole caldo.
Scolò, invece, il liquido dalla sua tazzina e lasciò delle monete sul tavolo. Quando si alzò da quella maledetta sedia i muscoli delle cosce le dolevano, una gamba era intorpidita e sentiva una sorta di immaginaria luce molesta che la illuminava dall’alto segnalando a ogni forma di vita che terribile bamboccia illusa, delusa, stupida e senza dignità fosse.
Aveva davvero creduto che un uomo come lui potesse voler un appuntamento con lei? Dava davvero per scontato che, se anche l’avesse davvero detto, se ne sarebbe ricordato?
Camminava sconfitta come, immaginava, i ribelli settecenteschi si potevano avvicinare alla forca. Ebbe l’ardire di crederli largamente più fortunati, loro non avrebbero avuto un domani da affrontare e delle spiegazioni da dare a sé stessi. Sapeva che chiunque le avrebbe detto con una risata e una strizzatina d’occhio che chi più chi meno tutti passavano momenti come quelli, ma noi stessi siamo il giudice e la giuria più difficile da convincere poiché conosciamo la nostra verità e, quel che è peggio, percepiamo quella del prossimo proprio nello strato sotto l’epidermide e deliberatamente decidiamo di ignorarla o manipolarla guardando tutto in una scheggia di vetro riflettente e illusoria.
Le macchine la confondevano, le vetrine la irritavano, ma in lontananza distingueva il suo palazzo, un mausoleo che sembrava esercitare l’effetto di una calamita sulla sua persona, infondendole promesse di tranquillità, sicurezza e silenzio. Allungando il passo marciò letteralmente per un centinaio di metri fino a varcare il portone. Salì le scale frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi mentre lacrime grosse come chicchi di caffè e pressappoco della stessa sfumatura le rigavano la faccia sciogliendole il trucco. Sbattè la porta con furia lasciandosi scivolare a terra contro di essa e abbandonandosi al pianto disperato di chi ha volontariamente inciso e poi sventrato il proprio ego a beneficio di niente. La vita di una donna è dura, costa sangue dimostrare a sé stesse di non essere un cliché prevedibile, e ogni ferita auto inflitta a ciò che si è lottato per crescere e proteggere brucia come un marchio che rimarrà sempre impresso nella memoria. Una cicatrice pruriginosa che spande odore di putrefazione ben oltre la propria guarigione.
Riaprì gli occhi confusa, la gente la strattonava e le voci la distraevano
-Scusa come? Non riesco a sentirti con questo casino.
-Ho detto che hai indovinato solo per metà il mio nome, ne manca una parte…
-Ma dai? Non ci credo!
Fissò i suoi occhi scuri in quelli grigi di lui, e lo ascoltò con una consapevolezza quasi tangibile mentre il fumo della sua sigaretta rollata a mano sfumava i suoi contorni e quelle iridi, come fari, sembravano scavare fin da subito nei suoi pensieri con asettica precisione: quell’uomo, oh cielo, le dava la sensazione di essere uscito da un altro tempo e un altro spazio, un artista forse, o perché no? Magari un pirata. Fu quello il preciso momento in cui decise che gli avrebbe strappato un appuntamento.
Prima o poi. Forse.
   
 
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