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Autore: Eneri_Mess    29/05/2021    4 recensioni
«Stia al passo, ispettore Yamato! Non perdiamo tempo!»
La situazione era surreale e l’ispettore Yamamura Misao non fece nulla per rendere l’atmosfera meno tragicomica di come già apparisse.
Genere: Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Kansuke Yamato, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve premessa: 
Questa storia voleva partecipare al contest “Assassinio alla Golden Week” indetto sul DCFamilySubs Forum ( https://dcfamilysubs.forumfree.it/?t=78445608 ) ma - ahimé - ho sforato di parecchio il numero di parole richiesto. 
Alla fine mi stavo divertendo a scriverla e l’ho conclusa. Spero vi strappi un sorriso. 
I dettagli della traccia li trovate nel link =)
Non ci sono spoiler (una vaghisssimissimo accenno a una cosa, ma proprio vago). 
Buona lettura!



 

A Shiroi,
che si entusiasma
per ogni plot che sforno ;w;




 

Di quella volta che…



 

«Stia al passo, ispettore Yamato! Non perdiamo tempo!» 

La situazione era surreale e l’ispettore Yamamura Misao non fece nulla per rendere l’atmosfera meno tragicomica di come già apparisse. 

Mani in tasca, Conan si chiese, scettico ma curioso, se la stampella di Yamato Kansuke sarebbe riuscita a superare il letto del fiume e colpire in testa Yamamura come l’intenzione sul suo volto contratto lasciava presagire. Calcolando la traiettoria ed esercitando una discreta quantità di forza - o forse una rincorsa? Da escludere, tuttavia - l’ispettore Yamato sarebbe riuscito a mettere K.O. la sua controparte di Gunma e sarebbero potuti andati avanti con quel bislacco, quanto macabro caso. 

«Gli agenti possono risalire il fiume! Non si lascia la scena di un crimine incustodita senza prova certa di trovare qualcosa!» abbaiò Yamato, così pericolosamente vicino alla fine della sponda che Kogoro, dietro di lui, cercò di mitigare la sua collera. 

Yamamura bloccò il passo a mezz’aria, incespicando nei propri piedi. 

«Certamente! Lo sapevo! Intendevo, i miei uomini risaliranno il fiume in cerca di indizi, che saranno sicuramente da questo lato, qui a Gunma! Lei mi ha frainteso! Stia al passo con la mia leadership! Non mi sente da laggiù?» 

La sua risposta strillata e venata di un imbarazzo mascherato da sicurezza fece afflosciare le spalle a Conan. 

Ohi ohi, non ne usciremo con questo qui. 

Dal suo angolo in disparte, il bambino fece una panoramica poco incoraggiante della situazione, riassumendo tra sé quel che era emerso fino a quel momento. 


Era il fine settimana della Golden Week e il cielo era sgombro di nuvole, con un sole primaverile piacevole e un mite venticello tra le fronde. Conan, Ran e Kogoro si stavano godendo una breve vacanza presso il Monte Asama, tra la prefettura di Gunma e quella di Nagano. Un cliente del Detective Dormiente li aveva invitati a soggiornare presso la sua villa come ringraziamento aggiuntivo per la risoluzione di un omicidio per cui era stato ingiustamente accusato. 

Non era però nei programmi di Conan e Ran prima perdersi Kogoro nel bosco vicino alla tenuta e poi incappare in un omicidio. La piega più assurda rimaneva però la dinamica in cui si erano ritrovati. 

Andando con ordine, la vittima era stata identificata come Uiharu Kuro, quarantadue anni, residente a Tokyo e proprietario di un bar a Beika. Il suo cadavere era affiorato dalle acque del fiume che tagliava la foresta e che si trovava a confine tra le due prefetture. 

Che fosse intenzione o meno dell’omicida creare confusione nella giurisdizione del caso, si erano ritrovati in quel siparietto paradossale per cui gli amici della vittima, accampati sulla sponda del fiume dal lato di Gunma, avevano contattato la polizia locale, mentre, allo stesso tempo, un anziano escursionista sull’altra sponda aveva chiamato il dipartimento di Nagano. 

Conan e Ran, alla ricerca del famoso detective, trovandosi dal lato di Gunma, erano accorsi alle urla degli amici della vittima, mentre Kogoro, disperso dall’altra parte, era incappato nell’arrivo dell’ispettore Yamato. 

Una volta faccia a faccia, tra l'ispettore Yamamura e l’ispettore Yamato erano intercorsi venti minuti di diatriba, urlati da ambo le sponde, su chi avesse il diritto a dover recuperare il cadavere e assumersi la responsabilità del caso. 

Yamamura aveva avuto l’ultima parola con la sua voce starnazzante, insistendo che il cadavere si trovasse nella metà del fiume di Gunma; Yamato aveva ceduto, nonostante una vena irritata a pulsargli sulla fronte, forse più per non sentire di nuovo certi acuti imbarazzanti - Conan gliene fu grato - o visto che l’importante era venire a capo di quel mistero. 


«Se vuole, sarà nostro ospite durante le indagini! Porti anche il detective Kogoro, il suo aiuto sarà indispensabile!» stava cianciando Yamamura, venendo quasi del tutto ignorato, mentre le cose iniziavano a farsi interessanti: gli agenti avevano cominciato le operazioni di recupero del cadavere, incastrato tra alcune rocce e rami nel fiume, ed ebbero subito il primo particolare del caso. 

«Ispettore, c’è un problema!» urlò uno degli uomini, attirando l’attenzione di tutti. 

Pochi minuti dopo, il colorito di Yamamura era verdognolo e sembrò volersi rimangiare tutta l’insistenza usata per avere la gestione dell’omicidio. 

«R-ripensandoci forse il cadavere del signor Uiharu era più verso Nagano...»

Conan lo guardò davvero poco sorpreso.  

«È terribile» sussurrò Ran, stringendo le mani sulle spalle del giovane detective. «Una caduta nel fiume può fare questo!?»

Dall’altra sponda, uno schieramento di mezza dozzina di poliziotti, più Yamato e Kogoro, aspettavano un responso. 

«Ehi! Allora!?» latrò di nuovo Kansuke, non riuscendo a vedere bene con tutte le persone che attorniavano il cadavere. 

«Ran! Marmocchio! Qual è il problema!?» vociò anche Kogoro. 

Quando nessuno di Gunma risposte, Conan interruppe l’analisi preliminare che stava facendo per rivolgere la propria attenzione all’altra sponda del fiume. 

«C’è solo la parte superiore della vittima! È stato tagliato in due!» 

Un lampo di shock attraversò gli occhi di quanti si trovavano sul lato di Nagano. Il primo a riprendersi, e a reagire, fu sempre Yamato. 

«Forza! Cosa aspettate!? Iniziate a perlustrare la sponda in cerca dell’altra metà! Finché non la troveremo non potremo muoverci da qui!» ordinò ai suoi, per poi tornare a rivolgersi alla sua controparte di Gunma. «Lei esamini il cadavere e ci dia qualcosa su cui lavorare!» 

Yamamura non rispose, ancora cereo e con la faccia di uno che avrebbe potuto rimettere la colazione del giorno prima. Kansuke imprecò, rivolgendo l’attenzione verso Conan. I loro occhi si incrocciarono.

«Ehi ragazzino, hai notato qualcosa di utile?» 

Conan si chiuse nelle proprie spalle come se fosse stato beccato in flagrante. Era lusingato dal fatto che l’ispettore Yamato lo tenesse in considerazione, ma doveva stare attento che dalla semplice stima l’uomo non iniziasse a pensare altro, a immaginare altro. Era già fatto troppo una nomea per essere la mente dietro il Detective Dormiente.  

Il bambino alzò lo sguardo su Ran, notando come non riuscisse a staccare gli occhi dal cadavere, in una sorta di orrore ipnotico. Le strinse una mano con la propria e la costrinse a muoversi e seguirlo verso la sponda del fiume, più vicino a Yamato e Kogoro, così da non dover urlare troppo. 

«Non penso sia morto affogato» disse cauto, pensando alle parole da scegliere. «Ha diverse ferite sul petto, all’altezza del cuore» continuò, indicando alcuni punti sulla propria maglietta, per poi alzare lo sguardo. «Non è vero Ran-neechan? L’hai notato anche tu?»

Ora lontana dal corpo, Ran sembrò riprendere un po’ di colorito, annuendo prima a Conan e poi rivolgendosi al padre e all’altro ispettore. 

«Ha molte ferite... come se qualcuno si fosse, credo, accanito» rabbrividì ma poi la sua espressione si fece pensierosa. «Però hanno qualcosa di particolare...» continuò più tra sé. Conan fu contento di vederla riflettere su quell’intuizione, ma non ebbe il tempo di esprimersi. Yamato stava imprecando, fissando torvo il proprio cellulare. 

«Maledizione, qui i cellulari non prendono! Ci servono delle foto...»

«Possiamo mandarle tramite bluetooth!» iniziò il ragazzino, per poi sentirsi gli sguardi addosso. «M-Me l’ha insegnato Shinichi-niichan ah ah...» 

Ci fu un momento di riflessione silenziosa a cui seguì uno sbuffo frustrato sempre di Kansuke. Guardò prima Conan, come a volergli chiedere altro, poi la sua attenzione cadde anche su Ran e infine si allungò verso l’ispettore Yamamura, piegato a metà nei pressi di un albero mentre un collega gli batteva sulla spalla. Infine i suoi occhi raggiunsero le ultime tre persone rimaste a margine, gli amici della vittima. 

«Lasciate perdere le foto e fatemi il favore di… essere di supporto all’ispettore di Gunma» borbottò davvero poco felice di quella situazione. Guardò specialmente Conan con la sicurezza di qualcuno che parla a un proprio pari. «È necessario che interroghi i testimoni...» continuò, lasciando vago il soggetto e ponendo l’accento sull’ultima parola, venandola di uno scetticismo che il piccolo detective colse senza problemi, lanciando a propria volta un’occhiata di striscio ai tre campeggiatori. 

«È tutto chiaro?» riprese Yamato per chiudere quella richiesta insolita. «Assicuratevi che l’ispettore Yamamura stia al passo» ribadì un’ultima volta, ancora scottato dalla battuta stupida, ma rigirandola a proprio vantaggio. Si voltò poi a lanciare un’occhiata penetrante e - a sguardo attento - ben poco contenta a Kogoro. «Intanto io e il Detective Mouri supervisioneremo le ricerche della metà inferiore del corpo. Sono certo che si sia già fatto un’idea, non è vero?»

Kogoro fu preso in contropiede. «Be’, io veramente-»

«Ottimo, mi dirà strada facendo.»

Con questo, l’ispettore di Nagano diede le spalle al fiume e zoppicò verso un gruppo di agenti, trascinando Mouri con sé.

Kansuke aveva appena lasciato tutto nelle mani di Conan. Il ragazzino si guardò in giro, a cominciare da una Ran dubbiosa su quella richiesta, a finire su Yamamura, che continuava ad arretrare, allontanandosi dal cadavere nonostante gli agenti della scientifica tentassero di comunicargli i primi risultati delle analisi. 

Sospirò tra sé.

Non sarà mai complicato come quella volta che ho perso la voce… spero. 


«Ah le le ~ non lo trova strano, ispettore?» 

L’attenzione dei presenti sul lato di Gunma fu attirata dalla vocetta di Conan. Non si era potuto avvicinare più di tanto al cadavere perché Ran lo teneva di nuovo per le spalle, ma aveva già dato un’occhiata preliminare per determinare alcuni particolari. 

Yamamura si voltò verso il ragazzino a piccoli scatti della testa, ancora nauseato. 

«C-C-Cosa C-Conan-kun?» 

«Il modo in cui la vittima è stata tagl-»

Yamamura emise un verso inumato, come un uccello prima braccato e a cui poi veniva tirato il collo. Assordò tutti e allo stesso tempo indietreggiò, inciampando e cadendo gambe all’aria. Mentre i suoi colleghi lo aiutavano a rialzarsi, Conan si massaggiò il setto nasale a occhi chiusi, archiviando l’idea di parlare del cadavere. 

Contenendo l’irritazione, si sforzò di incarnare di nuovo un tono allegro. 

«Fa davvero paura, eh? Chissà gli amici della vittima cosa ne pensano» buttò lì, indicando i tre. 

La distrazione funzionò.

«Oh» esordì Yamamura, mentre il suo cervello tornava a ingranare. «Oh!» ripeté più convinto, puntando i poveri tre. «I testimoni!» urlò, marciando verso di loro di gran carriera e con la sua rinnovata baldanza. Conan lo seguì a breve distanza, mani in tasca e tutti i pensieri sull’inettitudine dell’ispettore di Gunma che gli si leggevano in faccia. Ran era dietro a pochi passi, contenta anche lei di allontanarsi dalla vittima. 

«Signori!» esordì l’ispettore con uno dei suoi sguardi plateali alla so che nascondete qualcosa e sono qui per scoprirlo. «E signora» aggiunse, puntando un’occhiata non meno teatrale all’unica donna del gruppo. «Dovreste darmi le vostre generalità e raccontarmi cosa è successo, senza omettere nessun particolare! Confido nella vostra sincerità, data la tragica perdita subita» concluse tirando fuori penna e taccuino. 

I tre campeggiatori si guardarono tra loro scettici. Conan non stentò a immaginare il disagio che dovevano provare di fronte a una sagoma come quella di Yamamura, ma mise da parte il pensiero e si concentrò per sentire cosa avessero da dire. 

«Mi chiamo Gojo Shiki, ho quarantuno anni e sono un avvocato» cominciò uno dei due uomini. «Ho conosciuto Uiharu al primo anno di liceo, insieme a loro.» 

«Sono Rukawa Saki, ho quarantadue anni e gestisco una catena di alberghi.» 

«Den Junya, piacere, e anche io ho quarantadue anni. Sono un istruttore circense. Con Uiharu ci eravamo accordati per venire qui in campeggio in memoria dei vecchi tempi, come facevamo quando studiavamo…» 

«Perché non ci siete più venuti? Avevate litigato?» si intromise subito Conan. Ran fu sul punto di tirarlo indietro, ma poi si bloccò ripensando alla bislacca richiesta dell’ispettore Yamato. 

«Ehi marmocchio, non stare in mezzo!» lo rimbeccò Yamamura. 

«Stavo solo facendo le domande che avrebbe fatto Kogoro-ojiisan se fosse qui» disse Conan tra i denti in un sorriso forzato. Yamamura valutò la risposta, tornando poi ai tre testimoni con sguardo da avvoltoio - un avvoltoio molto poco minaccioso.

«Ok signori, c’erano degli screzi con il signor Uiharu?» 

«Ma no» tentò l’avvocato, gesticolando con le braccia e lanciando un’occhiata incerta agli altri due compagni. «Sa com’è, quando si cresce e si inizia a lavorare, i rapporti si dilatano e… e ci si allontana e a volte nascono delle incomprensioni...» 

«Incomprensioni di che tipo!?» Yamamura batté il ferro caldo facendosi avanti, senza preoccuparsi di entrare nello spazio vitale del signor Gojo, costringendolo a flettersi indietro. Almeno, con quell’atteggiamento invasivo, l’ispettore risultava utile. 

«M-ma n-nulla… cose da amici… non vorrà sospettare di me...» 

«Fino a prova contraria potrebbe essere stato ognuno di voi!» ribatté Yamamura solenne, per poi strizzare l’occhio a Conan e aggiungere in un bisbiglio: «Come direbbe il detective Mouri!» 

Il ragazzino si costrinse ad annuire, chiedendosi cosa avesse fatto di male per quella pantomima. 

«Come può pensare che sia stato uno di noi!?» interloquì la signora Rukawa, scattando con la propria voce stridula. «Eravamo tutti qui quando il corpo è affiorato dal fiume!» 

«Elementare, mia cara!» ribatté Yamamura, agitando un dito indice. «La vittima potrebbe essere stata uccisa prima e-» 

«Quello che intendevo» strillò più forte la donna, stavolta facendo indietreggiare lei l’ispettore con il solo uso della voce. «Come può essere stato uno di noi a buttare nel fiume Uiharu se eravamo tutti insieme! Ci stavamo organizzando per il pranzo!» 

«E cosa stavate facendo?» 

La voce di Conan si levò dal basso, curiosa e calma, spezzando la tensione. Si voltò verso la sponda del fiume, indicando l’accampamento. 

«Stavate pescando?.» 

«Sì. O meglio, Rukawa e Gojo stavano pescando» spiegò il signor Den. «Di solito, quando venivamo qui in passato, erano sempre loro a procurare il pesce e io mi occupavo poi di grigliarlo.» 

«Mmmh» commentò Conan senza un’idea precisa, osservando le canne abbandonate e le due sedioline insieme a tutto il necessario. 

Yamamura si schiarì la voce. 

«Torniamo a noi. Raccontatemi dall’inizio tutto. Di chi è stata l’idea di venire qui?» 

I tre si scambiarono uno sguardo. 

«È stata un’idea comune» iniziò il signor Den. «È vero che c’è stato qualche attrito negli ultimi tempi e volevamo rappacificarci tutti e quattro. Questo è sempre stato un luogo di pace, lontano dalle nostre vite caotiche e ci ha sempre permesso di parlare francamente. Tuttavia...» 

Yamamura lo incalzò a continuare mentre prendeva freneticamente appunti. Il signor Den si grattò la nuca, guardando i compagni con incertezza. 

«Stamattina Uiharu non si è presentato all’appuntamento per partire. Ieri abbiamo noleggiato una jeep per portare tutte le cose e Uiharu ha insistito a voler tenere lui le chiavi, parcheggiando davanti al proprio bar. Quando siamo arrivati oggi alle cinque di lui non c’era traccia, ma aveva già caricato le sue cose nel portabagagli. Ha lasciato un biglietto sul cruscotto con scritto che aveva degli impegni da sbrigare e ci avrebbe raggiunti in treno.»

Yamamura lo guardò grattandosi la testa col retro della penna, mettendo insieme i fatti. Conan assottigliò lo sguardo, passandolo sui tre, attento a non farsi sfuggire ogni minimo cambiamento o stranezza nella loro mimica facciale. 

«E come siete arrivati qui se era il signor Uiharu ad avere le chiavi?» domandò perplesso l’ispettore, riguardando gli appunti. 

«Be’, ecco… conoscevamo Uiharu. Aveva già fatto così una volta in passato, quindi ieri ci siamo accordati per farci dare una seconda chiave dall’autonoleggio» spiegò la signora Rukawa, tentando di mitigare il proprio tono. 

«All’insaputa del signor Uiharu?» pressò Yamamura. 

«Sì» sbuffò Gojo, incrociando le braccia, con l’aria irritata e non più incerta. «Con Uiharu c’era sempre qualche magagna, gli piaceva fare scherzi e noi siamo gente seria, stanca dal lavoro! Questa doveva essere una vacanza!» 

«Capisco, capisco...» annuì Yamamura, ascoltandolo però a metà. «E ditemi, chi di voi era responsabile della copia della chiave?» 

Gli occhi caddero su Den Junya, che alzò una mano a indicarsi. 

«Fino a questa mattina le avevo io-»

«Aha! Allora è stato lei!»

L’accusa di Yamamura fu tanto precipitosa e forte che alcuni uccellini si levarono in volo dagli alberi vicini e tutti i presenti si voltarono verso il gruppetto. 

Il signor Den lo fissò a occhi sgranati. 

«Cosa?! Ma-»

«Lei aveva il doppione delle chiavi!» 

«E quindi!? Cosa dimostra!?» 

Yamamura sembrò riattivare il cervello. 

«Ehm, ecco… perché lei...» 

«Prima ha detto “Fino a questa mattina”» si intromise Conan, tentando di superare e rimediare alla gaffe dell’ispettore. «Cosa intendeva?»

«Vedi piccolo» iniziò la signora Rukawa, abbassandosi verso di lui. «Abbiamo l’abitudine di mettere la chiave di scorta in una taschina segreta di una delle tende quando arriviamo al campeggio. Così è a disposizione di tutti in caso di emergenza, ma nel caso qualche estraneo venisse a frugare non la troverebbe facilmente.» 

«Capisco… e siete certi che sia ancora lì?» continuò Conan. 

«Possiamo controllare subito» sbuffò il signor Gojo, marciando verso una delle tende. Aprì la zip, si sporse dentro e ne riemerse con la suddetta chiave. «Eccola qui!» 

«Dovremmo controllare la jeep allora» affermò Yamamura, riacquistando la propria baldanza, certo che un indizio sarebbe saltato fuori. 

«Questo è impossibile» spiegò il signor Den, attirando l’attenzione su di sé. «Dato che non abbiamo avuto notizie di Uiharu per tutta la mattina e si stava facendo tardi, prima siamo scesi nella zona del parcheggio per telefonare, dato che qui i cellulari non prendono. L’auto a noleggio è sparita.»

«Cosa!?» trasecolò Yamamura. «E non avete denunciato il furto!?»

«Pensavamo fosse stato Uiharu a prenderla… non ci siamo stupiti, ma rassegnati.» 

«Non avete tutta questa gran opinione del vostro amico appena morto...» commentò l’ispettore, più un pensiero a voce alta che qualcosa di realmente pertinente. L’effetto fu solo quello di far inalberare i tre testimoni. 

«Senta, se lo avesse conosciuto anche lei avrebbe capito che non era una persona facile, ma ne aveva passate tante!» strillò la signora Rukawa, sturando di nuovo le orecchie a Yamamura. 

«Uiharu non brillava forse, però-» tentò Den, ma l’amico lo interruppe.

«È inutile difenderlo, forse ha avuto quel che si meritava e ora ci sta facendo passare l’ennesima grana.» 

Sia Yamamura sia Conan sbatterono le palpebre a quell’improvvisa uscita. 

«Come, prego?» e l’ispettore si riarmò di penna e taccuino. 

I tre si scambiarono l’ennesimo sguardo che avrebbe voluto parlare e dire molto di più. Il primo a tagliare corto con quelle esitazioni fu di nuovo l’avvocato. 

«Tanto prima o poi lo scopriranno indagando su di lui!» blaterò, guardando gli altri due con rimprovero, come se stesse facendo solo una cosa sensata e giusta. «Uiharu non era così innocente. Da diversi anni nel suo bar intratteneva delle bische clandestine notturne!» 

Sembrò che dirlo a voce alta lo avesse finalmente liberato di un peso. I compagni non diedero l’idea di poter ribattere in qualche modo a quella affermazione e il signor Gojo continuò. 

«Aveva passato dei guai economici e per risanare la cassa ha iniziato questo circolo… gli ci è voluto poco per mettere su un giro di scommesse davvero redditizio, ma questo l’ha cambiato.»

«Diceva di fare dei favori, ma in realtà aveva solo sviluppato una dipendenza dai soldi e aveva iniziato a ricattare le persone intorno a lui» continuò il signor Den, scuotendo la testa con rammarico. 

«Non era più l’Uiharu che avevamo conosciuto al liceo» proseguì la signora Rukawa, torturandosi le dita tra loro. «Non ha mai concluso gli studi per ereditare il bar di famiglia, ma quel posto è diventato la sua maledizione, non viveva per altro! E quando ha iniziato ad avere debiti perché gli affari non andavano, il gioco d’azzardo e l’avarizia hanno risucchiato tutto quello che di buono c’era in lui!» 

«E a voi quanto ha chiesto?»

La domanda di Conan, piena della sua innocenza infantile mal riposta, ebbe l’effetto di pietrificare i tre sul posto. Fu per un attimo, ma sia a Yamamura sia a Ran non passò di sfuggita la colpevolezza nelle loro espressioni. Il ragazzino stirò le labbra in una piega sicura di chi sa di aver fatto centro. 

«N-Noi eravamo suoi amici» tentò la signora Rukawa, agitata, tanto che la sua voce stridula fu una prova evidente del cercare di sviare il sospetto. 

«Mi stava ricattando con dei video compromettenti su alcune scommesse.» 

Il primo a vuotare il sacco fu il signor Den, stringendo i pugni e poi guardando apertamente in faccia l’ispettore, Ran e Conan. 

«È inutile tirarla per le lunghe. Ero venuto in città per rilassarmi e per assistere allo spettacolo di un famoso gruppo circense, ma Uiharu mi ha mostrato queste riprese e se non volevo che le facesse circolare su internet avrei dovuto comprarle per una certa somma, come mi spiegò.» 

«E lo ha fatto?» si interessò Yamamura, quasi più assorbito dalla piega che aveva preso il racconto che nell’appuntarsi quella confessione come un movente.   

«Non ancora. Probabilmente lo avrei fatto dopo questa gita, a seconda di come le cose si sarebbero messe. Speravo che tornare qui lo facesse pentire un po’ e ritrovassi in lui l’amico di un tempo.» 

Seguì un silenzio profondo in cui la signora Rukawa gli poggiò una mano sul braccio, stringendolo per dargli conforto. Poi prese un respiro profondo e fu il suo turno. 

«Ho di recente aperto un nuovo albergo a Beika, ma le cose non sono andate come volevo per colpa di Uiharu. Dovevo rilevare e ristrutturare una struttura sulla via principale del quartiere. Era un posto ottimo a buon prezzo e avevo già pronto il progetto, mi avrebbe fruttato parecchio… se Uiharu non si fosse messo di mezzo. Uno dei suoi scommettitori abituali è il proprietario di quell’immobile e Uiharu ha fatto di tutto per alzare il prezzo e avere il proprio profitto… alla fine ho dovuto cedere o non sarei riuscita ad aprire in tempo per la prossima stagione… ma se qualcosa andrà storto ci perderò molto, avendoci investito quasi tutti i miei risparmi.» 

«Quel figlio di-» borbottò il signor Gojo con rabbia, attirando l’attenzione. Incrociò le braccia sulla difensiva quando lo sguardo in attesa di tutti lo incalzarono a dire la sua. Tuttavia, la sua ritrosia parve avere la meglio. «Non ho niente da dichiarare. Sono un avvocato, se volete qualcosa da me ne discuteremo in tribunale.»

Yamamura prese la palla al balzo. 

«Sulla buona fede dei suoi amici, se lei insiste a tacere la riterrò il sospettato numero uno!» 

Conan avrebbe voluto dire Non funziona proprio così… ma lasciò correre. Aveva bisogno di sapere anche quell’ultimo movente per iniziare a fare chiarezza. 

«Forse uno dei suoi amici lo sa» buttò lì, fissando gli altri due che, prevedibilmente, reagirono lasciando intendere che sì, ne erano al corrente. 

«Signor Den e Signora Rukawa» esordì di nuovo Yamamura, atteggiandosi come fosse sul palco di uno sceneggiato poliziesco. «Non arresterò soltanto il signor Gojo per intralcio alle indagini se non mi direte cosa sapete a riguardo, e questo non è un ricatto… è giustizia!» 

Conan nascose il viso in una mano. Quella era stata una vecchia battuta di sua madre tratta dalla seria “La pericolosa donna poliziotto” di cui era stata la protagonista. A ripensarci, Yamamura stesso la prima volta aveva detto di essere diventato poliziotto ispirandosi al suo personaggio.  

Perché sono finito da questo lato del fiume… 

«Come si permette!» ululò l’avvocato, agitando i pugni in aria e facendosi abbastanza vicino da far scattare Ran davanti a Conan e Yamamura in posizione di difesa. 

«Q-Questa è minaccia a p-pubblico ufficiale!» blaterò l’ispettore nascosto dietro la ragazza. 

«Gojo! Calmati!» tentò l’amico, fermando uno dei suoi pugni alti con la propria mano. «Non peggiorare la situazione.»

«Uiharu è morto, non può più ricattarti» bisbigliò la signora Rukawa, tentando anche lei di placarlo. 

A Conan quel commento detto a mezze labbra non passò inascoltato. 

«Quindi era ricattato anche lei da parte della vittima?» neanche a Yamamura sfuggì. 

«Quel...» ma il signor Gojo si trattenne dal continuare con un altro epiteto spiacevole. «Lo credevo mio amico, ne abbiamo passate tante insieme! E invece cosa fa? Minaccia di compromettere il mio caso più importante! Ho difeso un uomo per legittima difesa e lui viene a cianciare che uno dei suoi clienti ha le prove che rimetterebbero tutto in discussione! Avrei dovuto pagarlo per avere queste prove...»

«E lo ha fatto?» 

Il signor Gojo imprecò, passandosi una mano tra i capelli in ordine. 

«Come Den, speravo di farlo ragionare durante questo campeggio. Doveva essere un’occasione per ritrovare l’amico che era una volta… e non questo demone avaro in cui si era trasformato!» 

«Ricapitolando» borbottò Yamamura, sfogliando il proprio taccuino. «Ognuno di voi aveva un movente per uccidere la vittima.» 

Seguì qualche minuto di tafferugli verbali contro Yamamura che Ran cercò di mitigare restando tra loro e l’ispettore e invitandoli alla calma e alla collaborazione. 

«Se ricattava noi, chissà con quanti altri lo faceva! Le sue bische erano frequentate da disperati e da criminali! Può essere stato chiunque!» gridarono praticamente in tre, parlandosi sopra. 

«Si ma avete detto che i bagagli della vittima erano già stati caricati in macchina questa mattina, no? Era una sua abitudine?» fece presente Conan, le mani dietro la testa, fissandoli con curiosità. 

I testimoni lo guardarono senza capire. 

«Be’, no… nel senso, di solito ci si vedeva al punto dell’appuntamento e sistemavamo tutto sul momento. Però questa volta ha tenuto lui l’auto a noleggio, quindi forse ha voluto fare prima?» rifletté a voce alta il signor Den. 

«Avete aperto i suoi bagagli?» 

«No» rispose la signora Rukawa. «Ci aveva messo dei lucchetti a combinazione.»

«Non mi sono stupito di quel taccagno, come se stesse trasportando dell’oro, tzé» brontolò il signor Gojo. 

«Perché dell’oro?» si interessò di nuovo Conan, iniziando a vedere il bandolo della matassa. 

«Perché erano ingombranti e pesavano molto» spiegò il signor Junya. «Abbiamo faticato a caricare le nostre cose, tanto che Rukawa ha dovuto mettere parte delle proprie cose sul sedile posteriore.»

«Oooh… capisco! Quindi non li avete scaricati» e stavolta non fu una domanda, anche se i tre si guardarono tra loro. 

«No… ci abbiamo rinunciato» spiegò di nuovo il signor Den, prima che l’amico gli parlasse sopra. 

«Non si meritava che lo aiutassimo anche coi bagagli! Si sarebbe dovuto arrangiare una volta arrivato!»

«Sa signor Gojo» lo fissò Yamamura con una scintilla pericolosa negli occhi. «Lei ha davvero un temperamento focoso. Mi dica, soffre spesso di scatti di rabbia?»

«Cosa vorrebbe insinuare!?» 

A sedare di netto la nascente discussione - e questa volta anche una probabile scazzottata - fu un richiamo dall’altra sponda del fiume. 

«Ohi! Abbiamo trovato la parte inferiore del cadavere!»


I sottoposti di Yamamura dovettero trascinarlo di peso fino al bordo della sponda di Gunma per renderlo partecipe dell’indagine. Nonostante fossero uno di fronte all’altro, anche se separati da una considerevole distanza dovuta al letto del fiume, l’ispettore Yamato non gli risparmiò un’occhiata di biasimo, ma la sua controparte era troppo scioccata per prendersela. 

«Dove l’avete trovato?» chiese Conan, ignorando tutto il resto e cercando di analizzare quel che rimaneva del cadavere. Né la distanza né la sua esigua altezza gli stavano venendo incontro. 

«I miei hanno risalito il fiume battendo la sponda. Lo abbiamo recuperato prima che la corrente lo trascinasse fino a qui come la parte superiore» spiegò Kansuke. 

Frustrato dal non riuscire a vedere bene, Conan si voltò verso Ran. 

«Mi prendi in braccio?» 

«Cosa?» replicò di rimando la ragazza, distogliendo finalmente l’attenzione dal corpo mutilato. 

Conan allungò le braccia verso di lei, petulante. 

«In braccio, in braccio!» 

Ran lo assecondò con un sospiro. 

«Cosa succede, all’improvviso fa paura anche a te?» tentò di scherzare, mitigando la propria angoscia nel tenerlo stretto a sé. 

Conan annuì distrattamente. Poggiò le manine sulle spalle di lei per stabilizzarsi e poi sbirciò meglio la situazione dall’altra parte del fiume. Da un’altezza adulta riusciva decisamente a vedere di più. 

«Che strane!» vociò abbastanza forte da farsi sentire. «Non trovate che la vittima abbia delle scarpe strane?» 

L’attenzione di Yamato fu subito indirizzata verso il particolare indicato. 

«Eccolo che ricomincia, pure così lontano» brontolò Kogoro, ma buttando un’occhio a propria volta. 

«C-Conan-kun, non dovresti guardare q-q-quel-» tentò di dire Yamamura, senza finire la frase, ma prendendo il pretesto della sgridata per dare le spalle alla macabra visione. «Non sono cose da bambini!» 

Disse l’ispettore che non riesce neanche ad analizzare i resti… 

Sicuro che Ran lo avrebbe sorretto, Conan allargò le braccia con fare infantile. 

«Però… se uno viene qua in campeggio dovrebbe avere delle scarpe adeguate o rischierà di scivolare, non è vero?» spiegò, accennando ai propri stessi scarponcini e a quelli di Ran. «Mentre la vittima aveva delle comuni scarpe da tutti i giorni, quelle con la suola liscia come le porta Kogoro-ojiisan!»

«Il moccioso ha ragione» assentì proprio il Detective Dormiente, prendendosi il mento pensieroso. «Che si fosse dimenticato di portarsele?»

«Non è possibile!» rispose Conan dall’altra parte. «Gli amici della vittima hanno detto che venivano spesso in campeggio qui! Per lui era un’abitudine!»

«E oltre alle scarpe, anche il suo abbigliamento non è quello tipico da campeggiatore esperto» riassunse Yamato, per poi occhieggiare i tre testimoni e mettendo loro non poca soggezione. 

«Impigliato nei pantaloni della vittima abbiamo trovato questo» e l’ispettore di Nagano sollevò le dita guantate che tenevano un piccolo oggetto in metallo. 

«Non capisco cosa sia» brontolò Yamamura, assottigliando gli occhi e mettendo la mano di taglio sulla fronte per ripararsi dal sole. 

Conan attivò la funzione di ingrandimento dei propri occhiali e mise a fuoco l’oggetto. Un altro tassello andò al proprio posto. 

«È un amo da pesca» spiegò Kansuke, mostrando anche del filo da pesca spezzato che pendeva. 

«Un amo non molto utile, visto come è piegato» fece notare Kogoro col tono di chi avrebbe dato dello stupido a qualcuno. «Come si può pensare che un pesce abbocchi e rimanga incastrato se la punta è così torta a formare un cappio.»

«Oooh! Non vi da l’impressione che ci fosse agganciato qualcosa?» disse Conan con la sua vocina squillante. 

Non si voltò in tempo per vederlo, ma il suo sesto senso percepì chiaramente l’agitazione dell’assassino in mezzo ai tre testimoni. 

«E sentiamo, cosa ci agganceresti a un amo del genere!?» brontolò Kogoro, mani in tasca, sporgendosi dalla sponda. «Ran, fai tacere il marmocchio! Da solo fastidio alle indagini!» 

Ran sospirò, risistemandosi Conan in braccio, restia a lasciarlo scendere, trovando confortevole la sua presenza davanti a quel cadavere tagliato a metà. 

«Cerca di stare buono o papà si irriterà.» 

«Vaaa bene» assentì lui, arrossendo un po’ nel trovarsi faccia a faccia con lei e realizzando in quel momento la loro vicinanza. Si schiarì la voce, cercando di concentrarsi sul caso e non distrarsi nel sentire il tepore piacevole che Ran emanava. «Però non trovi anche tu che sia particolare come quell’amo sia piegato? Sembra tipo… un moschettone.»

«Io trovo strano che tu sia riuscito a vederlo da così distante» puntualizzò lei, fissandolo con sguardo poco convinto. 

«Ah, eh eh...» ridacchiò lui, consapevole che non potesse fisicamente sfuggire. «Ecco, il dottor Agasa ha fatto qualche esperimento sui miei occhiali e ora hanno una funzione tipo lo zoom delle fotocamere…!» 

La bocca di Ran formò una o perfetta e adorabile per cui Conan arrossì ancora un po’. Erano davvero tanto, tanto vicini. 

Come durante la gita… e deglutì al ricordo.  

«Fa provare» disse lei prendendolo alla sprovvista e togliendogli gli occhiali prima che lui potesse fermarla. Se li sistemò sul naso e sbatté un attimo gli occhi, per poi aggrottare le sopracciglia. «Non ti mancano gradi.»

Conan sentì un brivido di avvertimento risalirgli la schiena. 

«Ah ah, mi manca poco ma mi si stancano facilmente gli occhi» tentò. Si sentiva troppo esposto, nudo, senza i propri occhiali. 

«Come funziona lo zoom?»

«P-Premi il pulsante all’angolo dell’asticella...»

La lente reagì subito alla pressione. Un Oooh ammirato lasciò le labbra di Ran. 

«Wow! Il professor Agasa dovrebbe brevettarli!»

«G-già...» 

Il balbettio fu causato da un fremito e dal calore che Conan avvertì sulle guance nel constatare quanto i suoi occhiali stessero bene a Ran. O forse era il pensiero di lei con indosso qualcosa di lui a fargli battere il cuore. 

«Hanno altre funzioni? Ora capisco perché non te li vuoi mai togliere, sono davvero utili» continuò con entusiasmo Ran, zoomando su oggetti diversi, per poi crucciare l’espressione e voltarsi di nuovo verso di lui. Conan abbassò la testa, sentendosi colpevole a prescindere. Senza occhiali era troppo Shinichi e non era il momento di risollevare certi dubbi. Tuttavia, Ran lo sgridò per altro. 

«Non è che usi questi occhiali per copiare a scuola, vero?» 

Per un attimo Conan perse l’equilibrio. 

«Certo che no!» ribatté, piccato per quell’accusa. Era sempre andato bene a scuola, la prima volta come ora che era regredito a sei anni. «È uno dei gadget dei Giovani Detective.» 

«Mmmh...» ma il dubbio di Ran presto si dissipò e gli credette sulla fiducia. 

«Posso riavere gli occhiali?» borbottò Conan, continuando a inclinare il viso rosso nel tentativo di non mostrare per intero la faccia. 

«Voglio provarli anche io!» sbottò all’improvviso l’ispettore Yamamura, che aveva seguito a metà la conversazione. Senza chiedere il permesso, ma con l’entusiasmo di un ragazzino, sottrasse dalle dita di Ran le lenti. 

«Quindi clicco qui e… Oh! Adesso vedo anche io l’amo!» urlò entusiasta, le braccia per aria, riattirando l’attenzione di Yamato e Mouri dall’altra parte, intenti a discutere ipotesi sulla prova. 

«Che diavolo sta facendo con gli occhiali del moccioso?» borbottò Kogoro. Di fianco a lui, ancora una volta, l’intenzione dell’ispettore Yamato di picchiare Yamamura in testa con la stampella e rimetterlo in riga era sempre più un presagio prossimo a consolidarsi. 

«A meno che non abbia capito qualcosa, veda di smetterla di fare il ragazzino! Mi dica cosa ha scoperto su quei tre!» 

«Va bene! Va bene! Per fortuna è dall’altra parte del fiume, sembra un cane rabbioso...» bisbigliò Yamamura sbuffando. 

Per sfortuna è dall’altra parte del fiume… lo corresse mentalmente il bambino. 

Conan tornò in possesso dei propri occhiali - dopo un «Di’ al professore che ne ordino un paio!» - e Yamamura si schiarì la voce, aprendo i propri appunti. 

«Allora, vediamo… Indiziato numero uno: Gojo Shiki, avvocato, veniva ricattato dalla vittima con alcune prove che avrebbero compromesso un caso vinto recentemente. Numero due, Rukawa Saki, imprenditrice alberghiera, la vittima ha richiesto una tangente sull’ultimo hotel acquistato dalla signora, mettendo la sua situazione economica a rischio. Terzo sospettato, Den Junya, istruttore circense, era ricattato dalla vittima per dei video compromettenti circa delle scommesse illegali.» 

«Questo signor Uiharu si dava da fare per stare antipatico» commentò Kogoro, lanciando un’occhiata alle due metà del corpo. «Non mi stupisco che sia finito così.»

«Stando a quanto raccontano i suoi amici la vittima gestiva un bar e delle bische clandestine notturne!» strillò Yamamura per riprendere il filo. 

Kogoro fischiò alla notizia. Poi si prese il mento in una mano con fare meditabondo. 

«Ora che ci penso, Uiharu Kuro non mi è nuovo come nome...» borbottò tra sé. 

«Conosceva la vittima?!» scattò Yamato al suo fianco, facendolo trasalire. 

«No ecco… devo aver sentito… di acluni giri di scommesse...  ma io gioco solo legalmente!» si affrettò ad aggiungere sulla difensiva. 

Dall’altro lato del fiume, Ran scosse la testa. 

«Papà sei incorreggibile...»

Ci manca solo che il suo vizietto lo colleghi al caso, pensò Conan sulla stessa lunghezza d’onda. 

«A ogni modo» si schiarì la voce il grande Detective Dormiente, riacquistando una posa sicura. «Questo crimine efferato mi porta a pensare che la vittima si sia fatta dei nemici senza scrupoli. Potrebbe essersi trattato di un regolamento di conti per via di scommesse andate male. La vittima è stata seguita fino a qui e poi freddata davanti ai suoi amici come monito. Potrebbe essersi trattato di un assassinio commissionato dalla Yakuza!» 

Per quanto Yamato avesse tentato di ascoltare con impegno, la sua espressione stava tradendo la poca fiducia per quella deduzione. Yamamura invece pendeva completamente dalle labbra di Kogoro, annuendo vigorosamente dall’altro lato del fiume. 

«Perché la Yakuza si sarebbe dovuta spingere fino a qui per liberarsi del cadavere?» si intromise Conan, cercando di smontare quella tesi che non stava assolutamente in piedi. «Siamo a tre ore da Tokyo! Sperduti in mezzo alle montagne!» 

«In effetti» ci pensò su Misao. Kansuke sembrò grato per quell’osservazione. 

«Cosa vuoi saperne, marmocchio!? La Yakuza è spietata e avrà seguito la vittima fino a qui perché non è riuscita a farlo fuori prima.» 

«Ma nessuno ha più visto la vittima da ieri» puntualizzò Conan, guardando Yamamura in cerca di conferma. Lui sfogliò al volo il proprio taccuino disordinato. 

«Conan-kun ha ragione! Stamattina il signor Uiharu non si è presentato all’appuntamento per venire al campeggio. I tre testimoni hanno detto di aver noleggiato insieme a lui la jeep e la vittima l’ha parcheggiata sotto casa, ma poi questa mattina non era presente alla partenza. Ha caricato i suoi bagagli e ha lasciato un biglietto con scritto che doveva risolvere un problema e che li avrebbe raggiunti in treno. Ma poi nessuno dice di averlo visto, anche se la jeep e i bagagli sono spariti circa… due ore fa?» 

Un’intuizione passò per gli occhi dell’ispettore Yamato e Conan se ne compiacque. Anche lui stava rimettendo insieme i pezzi, prendendo la sua stessa direzione di pensiero. 

«Quindi la vittima è stata uccisa presumibilmente tra ieri, dopo il noleggio dell’autoveicolo, e stanotte, prima della partenza» ragionò l’uomo a voce alta, fissando la parte di cadavere inferiore che la scientifica stava esaminando. 

«Non è mai arrivato qui sul monte Asama. Non vivo, almeno» semplificò Conan, lanciando un’occhiata di striscio ai tre che da testimoni erano appena diventati a tutti gli effetti i sospettati. 

«Ma il colpevole come ha fatto a portarlo qui…?» chiese Ran dubbiosa.

«Semplice! I bagagli della vittima già caricati in macchina» chiarì il ragazzino senza regolare l’entusiasmo ma calcando sull’ovvietà. 

«Vuoi dire che… l’assassino… h-ha tagliato il corpo a m-metà per...» 

«Per infilarlo nei bagagli, esatto!» 

A Conan mancò il fiato quando Ran lo strinse di riflesso a quella risposta. 

«È orribile!» 

«S-Sì, ma m-mi stai soffocando-» 

«Però potrebbe essere stato comunque chiunque e aver usato le chiavi della vittima per caricare il corpo» sbuffò Kogoro, incrociando le braccia e dando a intendere che la sua teoria sulla Yakuza fosse ancora valida. 

«No.» 

L’ispettore Yamato lo bocciò con sicurezza, puntando l’occhio sano verso i tre amici della vittima sulla sponda di Gunma. «Le possibilità che un assassino possa voler incastrare uno dei testimoni portando il cadavere fino a qui sono minime. Poteva far ricadere la colpa su uno di loro senza bisogno di trasportare il corpo fino a qui e rischiare che qualcosa andasse storto durante il viaggio» spiegò Yamato, camminando lungo la riva, ogni passo cadenzato dal rumore della stampella, fino a trovarsi davanti ai tre sospetti, accorciando figurativamente la distanza come se fosse fisicamente sull’altra sponda. «No, uno di voi è l’assassino del signor Uiharu. Qualcuno che fosse presente e potesse tenere costantemente d’occhio la situazione e gestirla a proprio favore.» 

Come prevedibile, si sollevarono le proteste e vaghi tafferugli dal signor Gojo, dal signor Den e dalla signora Rukawa e Yamamura dovette sedarli insieme ai propri agenti. 

«La prossima volta che vuole avanzare delle accuse fuori dalla propria giurisdizione veda di non far alterare i sospetti! Non è lei a doverli calmare poi!» starnazzò l’ispettore di Gunma, risistemandosi la giacca spiegazzata. 

Kansuke neanche ci provò a sentirsi in colpa, ma rimase a fissare i tre. 

«Voglio sentire cosa avete fatto da quando siete arrivati qui a quando avete trovato il corpo del signor Uiharu. E parlate a voce alta e comprensibile!» 

«Questo è ridicolo!» si impuntò la signora Rukawa, le braccia conserte sulla difensiva. 

«Be’ signora, il suo tono di voce va già bene così» scherzò Yamamura e mancò poco che gli arrivasse un ceffone offeso. 

Ma è mai possibile che non riesca a tenere la lingua a freno, pensò Conan senza speranze. 

Ran si era avvicinata e di conseguenza anche lui poté assistere meglio alla seconda parte della deposizione. La ragazza non sembrava intenzionata a lasciarlo scendere dalle proprie braccia e lui non aveva nulla di cui lamentarsi. 

«Stamattina sono arrivata per prima davanti al bar di Uiharu, ma Gojo e Den mi hanno raggiunta nei cinque minuti successivi!» iniziò la donna, poco incline a collaborare. «Abbiamo aspettato un po’, forse venti minuti, poi abbiamo deciso di citofonare a Uiharu, ma non ci ha risposto. Abbiamo provato a telefonargli ma il cellulare ha suonato a vuoto. È stato allora che Gojo ha perso la pazienza e si è fatto dare le chiavi da Den per poggiare le cose in macchina, così ci siamo accorti che nel portabagagli… be’ c’erano i borsoni di… c’era...» la donna impallidì portandosi la mano alla bocca, dando l’idea di realizzare solo in quel momento il reale contenuto dei bagagli.

Pallido alla stessa maniera, il signor Den le appoggiò le mani sulle spalle, tentando di trasmetterle un po’ di conforto, proseguendo col racconto. 

«Gojo ha aperto il portabagagli, ma io mi sono accorto del biglietto sul posto di guida. Non abbiamo preso bene la notizia di essere stati piantati in asso così, ma ce ne siamo fatti una ragione. Forse, inconsciamente, ce lo aspettavamo. Abbiamo provato a richiamarlo, ma non ci ha mai risposto. Nel mentre siamo partiti grazie alla chiave di scorta. Ho guidato io per le prime due ore, poi Rukawa mi ha dato il cambio per l’ultimo tratto; lo conosce meglio di me perché è tornata da queste parti altre volte negli anni e uno dei suoi hotel è qui nella prefettura di Gunma. Quando siamo arrivati abbiamo parcheggiato nel solito posto e abbiamo iniziato a smontare le cose dall’auto… in un primo momento volevamo portare i bagagli di Uiharu… ma col fatto che… ecco, fossero così pesanti… e di lui non ci fossero arrivate notizie… insomma, eravamo ancora arrabbiati, così abbiamo preso la nostra roba e siamo venuti qui al campo.»

«Campaggiate sempre nello stesso punto?» domandò Yamamura, che aveva ricominciato frettolosamente a prendere appunti. 

«Sì, questo è uno dei posti migliori» attaccò il signor Gojo, il cui atteggiamento iracondo non si era ancora smorzato, anche se come gli altri due sembrava scosso dalle ultime constatazioni. «E come al solito abbiamo prima delimitato la zona, ci siamo assicurati che non ci fossero buche, che il terreno fosse asciutto, abbiamo cercato dei sassi per il falò e abbiamo montato le tende, sistemando subito la chiave di scorta nella taschina segreta.»

«E dopo?» incalzò Yamato dall’altro lato del fiume quando l’avvocato si prese una pausa più lunga del previsto.

Il signor Gojo si chiuse nelle spalle, lanciando un’occhiata tesa agli altri due. 

«Dopo… ci siamo divisi.»

«Cosa?!» strepitò Yamamura, esaltato come fosse stato il plot twist in un film di azione, finendo con l’urtare Conan in testa con un braccio. 

«Si dia un contegno e faccia attenzione, Yamamura!» lo riprese Kogoro, mentre Ran faceva due passi più in là per evitare altre collisioni accidentali.  

Yamamura si schiarì la voce, puntando di nuovo all’avvocato. «Prego, continui. Senza tralasciare dettagli!» 

«Be’, era ancora presto per il pranzo e... niente, che vuole sapere, ci siamo divisi… Den si è occupato di cercare della legna, Rukawa ha ancora la passione per alcune piante selvatiche ed è andata a cercarle nel bosco e io sono andato a farmi quattro passi per sgranchire le gambe e avere un po’ di pace.»

«Quindi ognuno di voi si è allontanato dal campo per un certo tempo» concluse Kogoro, meditabondo. 

«Quanto siete stati via?» tagliò corto e brusco Yamato, di nuovo pericolosamente vicino al bordo come se non tenesse conto del fiume che scorreva in mezzo. 

«Non più di quaranta minuti, al massimo un’ora...» incespicò il signor Gojo, guardando gli altri due in cerca di sostegno. 

«Quando io sono tornata, Gojo e Den erano già al campo» spiegò l’albergatrice. 

«Io sono tornato per primo e circa dieci minuti dopo è tornato Gojo.»

«Un tempo sufficiente!» trillò Yamamura con la sicurezza di chi è davanti alla porta col premio più ambito. 

«Per cosa!? La smetta di accusarci senza prove» si esasperò il signor Den. 

«Per liberarsi del cadavere» puntualizzò l’ispettore Yamato, sempre più certo e più incisivo nelle affermazioni. «Dov’è l’auto con cui siete arrivati?»

«Dicono che sia sparita!» rispose celere Misao, battendo l’indice sui propri appunti. «Che coincidenza!»

«Già» concordò Kansuke, annuendo nella sua direzione. 

Ohi ohi, iniziano ad andare d’accordo?

«Ricapitolando» si schiarì la voce Kogoro, dubbioso mentre ricostruiva gli elementi. «In quaranta minuti, quasi un’ora, uno dei sospetti sarebbe sceso al parcheggio della macchina, l’avrebbe spostata fino a un punto più alto del fiume, si sarebbe liberato del cadavere e poi l’avrebbe nascosta, tornando a piedi fino al campo?»

«Esattamente» concordarono i due ispettori. 

Nonostante Conan avvertisse il familiare brivido di una soluzione vicina e chiara, non gli sfuggì neanche la sensazione dell’assassino sempre più con le spalle al muro. Studiò i tre sospetti, ma nessuno parve tradire una qualche emozione palese. Dovevano ricostruire l’ultimo atto. 

«Se era tutto studiato, come ha fatto il colpevole a far affiorare il corpo della vittima nel momento preciso in cui erano tutti al campo?» continuò Kogoro pensando a voce alta. 

«Questo dovrebbe dircelo lei, non ha nessuna idea, detective?» buttò lì Yamato senza troppi scrupoli, calcando leggermente la voce sul finale. 

«Non lo metta sotto pressione!» scattò Yamamura in difesa, infervorandosi. «Vedrà che quando il detective Mouri arriverà alla soluzione cadrà in trance!»

Al massimo questa volta cadrà nel fiume, pensò Conan sconfortato. 

Era un problema relativo, ma neanche da poco. Sentiva lo sguardo di Yamato addosso e questo non era positivo. L’ultima cosa che voleva era sollevare ulteriori sospetti sull’inefficienza di Kogoro e come i casi sembrassero risolversi magicamente. Dall’altro lato, non poteva neanche addormentare Yamamura: uno, aveva con sé solo il papillon e nessun amplificatore, era troppo complicato comunicare così a distanza; due - anche se questo era un punto risolvibile - Ran non dava idea di volerlo lasciar scendere dalle proprie braccia. 

Intanto, l’unica cosa che poteva fare, era indirizzarli sulla strada giusta, nonostante non fosse ancora sicuro di chi fosse il colpevole, ma avesse un’idea del trucco usato. 

«Ne, ne. Lì ci sono delle canne da pesca! Perché non peschiamo mentre ragionate su come ha fatto il colpevole?»

«Conan-kun stai buono» lo redarguì Ran, trattenendolo quando lui si allungò per indicare i due posti in riva al fiume dove ancora c’erano gli sgabelli e le attrezzature. 

«Per quanto sia un’attività rilassante, ora non mi sembra il caso di distrarsi» lo riprese anche Yamamura con una faccia che esprimeva un chiaro sei proprio un ragazzino

«Ah, pensavo non potessimo visto che l’ispettore Yamato ha trovato quell’amo. La lenza sarà spezzata! Forse si è agganciata al cadavere ed è così che è venuto a galla!» 

Da come Ran lo strizzò, Conan si accorse di non averle regalato un’immagine mentale felice. 

Resisti! Ancora poco e potremo tornare alla nostra vacanza…!

«Smettila di dire cose insensate!» sbraitò Kogoro, alzando un pugno che, per una volta, rimase solo una minaccia nell’aria e non si concretizzò nell’ennesimo bernoccolo. «Come ti viene in mente che potremmo metterci a pescare ora?! E le possibilità di agganciare volutamente qualcosa pescando sono poche e complicate!» continuò, lanciandosi anche nell’imitazione non richiesta di un pescatore con un’immaginaria canna tra le mani. «E con un fiume come questo neanche calcolando la traiettoria, la forza e meno che mai con un amo in quelle condizioni!»

«Quindi» si intromise Kansuke, fissando la prova che teneva in mano. «Se escludiamo quello che è impossibile, ciò che resta, per quanto sia improbabile...»

Non può che essere la verità!, concluse mentalmente Conan, stirando un sorriso convinto. 

«Che cosa sta blaterando, ispettore Yamato!?»

Yamamura fu ignorato. 

«Ipotizziamo che questo amo sia stato manomesso di proposito per essere agganciato a qualcosa.»

Yamato iniziò a ragionare a voce alta, camminando sul posto in brevi passi, nonostante la gamba compromessa, ma con il bisogno di riflettere i propri pensieri in movimenti concreti e senza mai smettere di fissare la prova. 

«Il colpevole lo ha legato alla vittima stessa per poi tirare!» concluse Kogoro. 

Quasi, ojisan, sforzati di più...

«No, non sarebbe stato sufficiente» lo bloccò Yamato irritato, scuotendo la testa. «Era agganciato a qualcos’altro… qualche meccanismo che bloccava i due pezzi del cadavere dall’essere liberi di fluire nella corrente.»

Fuochino! 

«Ran, tu non hai freddo?» se ne uscì Conan, stringendosi nelle spalle. «Si è abbassata un po’ la temperatura credo.»

«Dici? Meglio se ti chiudi la giacca o rischierai il raffreddore.»

«Haaai» e nel dirlo, forte, Conan attirò abbastanza l’attenzione su di sé mentre chiudeva la cerniera lampo della giacca. 

L’epifania, in un lampo, passò in simultanea negli occhi di Kansuke e Kogoro. 

«Il cursore della zip!» 

Yamamura guardò i due spaesato. «Avete freddo anche voi? A me sembra che il clima sia piacevole. È un bel periodo per venire in vacanza a Gun-»

«L’amo era agganciato a una cerniera lampo» iniziò Kogoro, battendosi il pugno sul palmo della mano. 

«Alla cerniera di un borsone» spiegò meglio Yamato, tenendo la prova bene in vista per tutti. «Il cursore deve essersi rotto ed è scivolato fuori dal cappio formato dall’amo per colpa della corrente del fiume e dallo strattone dato dall’assassino.» 

«Aspetti, aspetti, aspetti!» lo bloccò Misao, correndogli dietro nel ragionamento. «L’assassino non ha mai tirato fuori il cadavere dai borsoni per gettarlo nel fiume!?»

«Esatto. Ha buttato i borsoni in acqua ancora chiusi, ma con un amo come questo attaccato ai cursori.»

«E con il filo da pesca agganciato agli ami ha poi potuto tirare e zac!, le chiusure lampo si sono aperte. Il fiume ha fatto il resto. Era solo questione di tempo» concluse Kogoro, annuendo vigorosamente. 

Yamamura si stava grattando la testa, guardando in alto cercando di figurarsi il tutto. 

«Però così… non avremmo dovuto trovare anche i borsoni trascinati dalla corrente?»

Questo dubbio li lasciò per qualche secondo in stallo. 

Conan si schiarì la voce. Poteva concedersi di aggiungere personalmente un dettaglio tutto sommato innocuo.

«E se l’assassino avesse riempito le borse di sassi prima di buttarle?» 

«Una zavorra per tenere le borse sul fondo del fiume...» annuì Kogoro. 

«Avranno finito col pesare davvero troppo!» fece notare Yamamura. «Dovrebbero esserci segni di trascinamento nel punto in cui l’assassino ha gettato le borse.»

«Buona intuizione» gli concesse l’ispettore Yamato, assentendo con vigore. Poi si voltò, rivolgendosi ai propri agenti. «Concentratevi a trovare un punto della riva dove l’erba è più appiattita o ci siano segni di ruote! Non è da escludere che l’assassino abbia usato un carrellino o qualcosa di simile!»

«Avete sentito l’ispettore di Nagano? Forza! Non siate da meno!» strillò Yamamura, battendo le mani in direzioni dei sottoposti. 

Nella breve confusione dovuta agli agenti in movimento, il Detective Dormiente si schiarì un’altra volta la voce, facendo scivolare le mani in tasca. 

Conan sapeva fin troppo bene cosa stava per succedere e sospirò arrendevole. 

«Quindi ora i sospetti… si riducono a chi stava pescando!» 

Eccolo che inizia… 

«Lo so! Lo so!» gli andò dietro l’ispettore Yamamura, balzando sul posto mentre sfogliava il taccuino. «A pescare erano il signor Gojo e la signora Rukawa!» 

Qualcuno li fermi…

«La signora non aveva probabilmente la forza per spostare i borsoni col cadavere… se ne deduce quindi che l’assassino è lei, signor Gojo!» 

Il dito indice di Kogoro fu puntato senza alcuna esitazione verso l’avvocato, che sbiancò sul posto, restando senza parole. Yamamura aveva già le manette in mano. 

«Sapevo fin dall’inizio che era stato lei» disse l’ispettore di Gunma con quel suo tono da battuta cinematografica. «Confessi e si alleggerisca la coscienza!»

«Voi siete matti!» sbraitò l’uomo, gesticolando agitato e indietreggiando quando altri due agenti affiancarono Yamamura. «Non sono stato io! Non ho ammazzato Uiharu e non avrei mai potuto pensare a un trucco del genere!»

«Aah, come siete prevedibili voi colpevoli!» sospirò teatrale Misao, facendo roteare le manette sul dito indice, rischiando di darsele in faccia. «Tentate sempre la carta del Non sono stato io! Non avrei mai potuto! Eppure lei aveva un movente ed era in gioco la sua carriera! In più era un pescatore esperto, per lei sarà stato uno scherzo!»

«Controlli la mia canna! La lenza è intatta! Pensavo che un pesce avesse abboccato, ma quando ho tirato su mi era sfuggito! E l’amo è ancora al suo posto! Controllate! Rukawa diglielo anche tu! Den hai visto anche te!»

La donna era pietrificata sul posto, una mano davanti alla bocca, mentre l’amico lo guardò combattuto. 

«Non ho visto mentre riavvolgevi la lenza perché stavo preparando la griglia… però ti ho sentito imprecare...»

«… e poco dopo è apparso Uiharu» continuò l’albergatrice, scuotendo la testa per togliersi l’immagine di mente. 

Lo sguardo di Conan, in disparte, si assottigliò, mentre si prendeva il mento con le dita per pensare. Ran lo osservò in silenzio per qualche secondo. 

«Non sei convinto?» gli chiese piano, in modo gentile e incoraggiante. 

Il bambino si distrasse, per poi arrossire ricordandosi di quanto fosse vicino al viso di lei. Gli occhi gli caddero per un secondo sulle sue labbra, ma scosse subito la testa. 

«Ecco… mi sembra che manchi qualcosa» buttò lì, mentre Yamamura e il signor Gojo continuavano a discutere animatamente e quest’ultimo arretrava sempre di più, evitando le manette. 

Ran assunse un’espressione meditabonda che Conan trovò adorabile. 

«Hanno stabilito quando è stato ucciso… e come è stato portato qui… forse... manca l’arma del delitto? Aveva diverse ferite, grandi e piccole… e così...» 

«Allineate» concluse il bambino, ma non sembrò convinto da quel particolare. Indicò un punto del campeggio dove c’era una cassetta degli attrezzi aperta e da cui spuntavano vari utensili. 

«Penso sia stato ucciso con delle forbici» spiegò, mentre Ran si avvicinava al punto indicato. «Il modo più naturale di colpire qualcuno con delle forbici è impugnarle come fossero un coltello, ma c’è il rischio che scivolino ed è una presa che può risultare scomoda. Vedendo quante ferite ha la vittima, l’assassino deve aver infilato indice e pollice nell’impugnatura per avere una presa maggiore e nella foga del momento non si è accorto di averle allargate, provocando tutte quelle ferite accoppiate. Quelle più grandi sono state provocate dalla lama superiore, e quelle piccole da quella inferiore. Vedi come sono diverse?»

Ran era impressionata e Conan deglutì capendo di essere stato troppo specifico ed essersi spinto troppo oltre come suo solito. 

«L-L’ho sentito in un poliziesco a casa del dottor Agasa!» 

«Non dovresti vedere certe cose… per quanto utili in questo senso» e tornò a guardare le forbici in vista nella cassetta degli attrezzi. «Pensi che siano proprio queste l’arma del delitto? Dovremmo dirlo all’ispettore Yamamura?»

«Sì, ma anche se il luminol rendesse visibile la presenza di sangue umano, e molto probabilmente della vittima, penso ci troveremmo le impronte di tutti e tre. Le avranno usate mentre allestivano il campo.»

Ran annuì, dubbiosa e un po’ scoraggiata. 

«Perché non sei convinto che sia stato il signor Gojo?» 

«Una sensazione» sbuffò Conan precipitosamente, sentendosi irritato con se stesso, per poi stirare un sorriso e cambiare leggermente tono di voce. «A-Anche Kogoro-ojisan sotto sotto non sarà convinto.»

Ran guardò in direzione del padre, corrugando la fronte. Era ancora tronfio sulla riva, mani in tasca e nessun dubbio apparente nella vita. 

«… dici?» 

Per niente. Accidenti, imprecò tra sé il bambino. Aveva un’idea di chi fosse il vero colpevole, ma mancava ancora una prova. 

Non era un omicidio perfetto. Era stato fatto con rabbia, a giudicare dalle ferite multiple, e solo parzialmente meditato, ne era certo. Questo doveva aver portato l’assassino a commettere una leggerezza riconducibile a lui soltanto. Nonostante tutti gli indizi fossero emersi velocemente, il problema era che quelle prove potevano essere attribuite in egual misura a ognuno dei tre. 

Mancava la chiave principale della jeep a noleggio, ma l’assassino se ne poteva essere liberato nel fiume e difficilmente avrebbero trovato delle impronte. Anche capire dove fosse l’autovettura sarebbe stato un tassello inutile. L’arma del delitto non era fondamentale, non con tutte quelle impronte, e se anche avessero recuperato i borsoni dove erano state trasportate le due metà della vittima dubitava avrebbero trovato tracce non inquinate. 

Lanciando un’occhiata dall’altra parte del fiume, Conan si accorse che anche Yamato si stava arrovellando come lui, in silenzio, continuando a fissare i tre sospetti. Tuttavia, l’ispettore, a differenza di lui, scelse di seguire un’intuizione. 

«Yamamura!» chiamò forte e chiaro, costringendo l’altro a ignorare la ritrosia del sospetto e prestargli attenzione. «C’è qualcosa che ancora non mi torna. Perquisisca gli effetti personali dei sospetti.»

«Eeeh?» trasecolò il diretto interessato. «E cosa dovrei cercare?» 

Kogoro si dimostrò sbigottito quanto lui, ma Kansuke ignorò qualsiasi sua domanda.

«La chiave principale della macchina» fu la replica poco convinta. Yamato stesso buttò fuori nervosamente l’aria dalla bocca, consapevole di non avere nulla di certo in mano. Non ancora. «O l’arma del delitto. L’assassino potrebbe essersi tradito così. Ci servono conferme.»

«Aspettate! Riguardo l’arma-» iniziò Ran, ma Conan, di istinto, preso da quello scambio, le posò un dito sulle labbra. Lei lo guardò sbalordita e lui le fece cenno di tacere con un occhiolino complice.  

Ran scosse la testa un attimo dopo, cercando di scrollarsi di mente il pensiero di Shinichi. 

Yamamura sbuffò esasperato. 

«Va bene, va bene! Per completezza, perché la polizia di Gunma è sempre zelante e non si fa sfuggire niente, controlleremo i bagagli dei sospetti!» borbottò stizzito, tirando fuori di tasca dei guanti e dirigendosi verso le tende. 

Conan fece cenno a Ran di seguirlo e i due si appostarono alle spalle dell’ispettore quando questi si accovacciò a terra mentre gli agenti sistemavano su un telo tutte le cose del signor Gojo, del signor Den e della signora Rukawa. 

«Allora, vediamo… Calzini, pantaloni, magliette, intimo, prodotti per il bagno - spero siano naturali o vi arresterò per inquinamento ambientale! - asciugamani, spray anti-zanzare… mah, qui non mi sembra ci sia niente di rilevante» brontolò Yamamura annoiato. 

«Oh!» 

«Cosa hai notato, Ran-neechan?»

La ragazza non rispose subito. Il suo sguardo continuò a spostarsi su tutte le cose sparse sul telo, ragionandoci sopra. 

«Manca un cambio!» affermò sicura. Indicò una delle pile di vestiti e poi le altre due. «In quei mucchi ci sono vestiti per tre giorni, mentre lì solo per due» si fermò, arrossendo imbarazzanta. «Forse è solo una cosa stupida, ma anche quando ho fatto i bagagli per noi ho considerato i vestiti per i tre giorni che saremmo stati fuori, esclusi quelli con cui siamo partiti. Il tempo è variabile, ma stiamo andando incontro al caldo e, insomma, rimettere i vestiti sudati non è piacevole.»

Conan rianalizzò tutto da capo e l’ultimo pezzo andò al proprio posto. Guardò a chi appartenessero i vestiti in questione e quell’intuizione si rivelò veritiera. 

«Hai ragione, Ran-neechan» disse serio, per poi sorriderle con quella maniera ingenua che aveva imparato a padroneggiare, per poi affilarla in una certa delle proprie deduzioni. «Se uno ha i vestiti sporchi è meglio che si cambi o la gente lo guarderà male!» 

«Non so che concezioni abbia la gente, ma andare in giro sporchi è un segno di maleducazione. Mia nonna me lo ha insegnato bene» borbottò Yamamura, che si era rimesso in piedi a braccia conserte, ancora stranito da quella deviazione voluta da Yamato. 

«Be’, a volte ci si sporca per sbaglio, no? Come stamattina, ricordi, Ran-neechan? Mentre Kogoro-ojisan faceva colazione gli è cascato il cucchiaino nel caffè e si è schizzato la camicia.»

«Non mi ci far pensare. Infatti ora ha solo-» 

La ragazza realizzò, fissando il bambino che mise su la sua migliore espressione incuriosita per celare quella piena di soddisfazione. 

«Gli sono rimasti solo due cambi!» concluse lei, riguardando i vestiti sul telo. Strinse Conan, ma questa volta con risolutezza. «Questo vuol dire che il colpevole si è cambiato quando ha-»

«Cosa stai blaterando, Ran-san?» domandò scettico Yamamura. 

Lei prese un respiro profondo. 

«Il colpevole è la persona a cui manca un cambio di vestiti!» affermò senza incertezze, tanto che tutti i presenti la fissarono. 

«Ran?» Kogoro parve spaesato, mentre Yamato si fece attento mentre la figlia del detective si spiegava. 

«Avete detto che il signor Uiharu è stato ucciso ieri in un orario compreso tra il noleggio dell’auto e la partenza… io, ecco, penso che l’assassino sia andato lì già con tutte le cose del campeggio e...» 

Conan le strinse le mani sulle spalle per infonderle sicurezza, mentre lei riaggiustava la presa con cui lo teneva. Riordinò mentalmente quello che aveva intenzione di dire e si fece seria. 

«L’assassino si è dovuto cambiare, dopo aver ucciso il signor Uiharu. I suoi vestiti si sono macchiati di sangue e ha preso il cambio direttamente dal proprio bagaglio per il campeggio, che però ero stato preparato per soli tre giorni.»

Espirò profondamente chiudendo per un attimo gli occhi, come Conan l’aveva vista fare molte volte dopo gli incontri di karate. Quando li riaprì, la serietà aveva lasciato il posto a qualcosa di più complicato e malinconico. 

«Abbiamo ascoltato i motivi per cui i tre amici della vittima avrebbero potuto ucciderlo… e io penso che nessuno di loro volesse davvero farlo» la sua voce si macchiò di tristezza mentre si voltava a guardare apertamente i sospetti, rimasti ammutoliti. «Penso che l’assassino lo abbia fatto con un profondo senso di delusione verso quello che riteneva un amico… ma anche per disperazione per la propria vita… anche se questo non giustifica un gesto così estremo...»

Ran…

«Ma se quello che dici fosse vero…» 

Yamamura guardò il borsone e poi la persona a cui apparteneva. 

«Allora l’assassino è…!» 



 

Le fronde degli alberi furono scosse da un venticello più fresco, ma nessuno dei presenti ci prestò attenzione o rabbrividì. Per qualche secondo, ognuno rimase quieto e teso di fronte all’ultima rivelazione che aveva messo nell’angolo il colpevole, sotto lo sguardo di tutti. 

Conan restò in attesa come gli altri, la tensione palpabile, aspettando le parole che avrebbero sancito la fine di quella gita macchiata di sangue. 

«Non l’ho fatto per me.» 

L’assassino non tentò di negare o portare ancora avanti quella farsa. La confessione uscì flebile, ma il silenzio era tale per cui anche oltre il fiume fu ascoltata con chiarezza, nonostante lo scorrere dell’acqua. 

«Uiharu non stava minacciando me, ma stava distruggendo la vita e la carriera a uno dei miei allievi più talentuosi.»

Il signor Den Junya si portò le mani al volto, lasciando andare un respiro rotto, con una sfumatura fredda di sollievo. 

«Non volevo arrivare a tanto, ma continuerei a mentire se dicessi che non avevo in mente di farlo fuori da diverso tempo.»

Lo shock sul volto dei suoi amici fu genuino. 

«Perché, Den? Come hai potuto?» singhiozzò Rukawa, scuotendo la testa con le lacrime agli occhi. 

«Cosa hai fatto...» continuò Gojo, stringendo i pugni sentendosi impotente e svuotato di tutto il risentimento provato fino a quel momento. «Non gliel’avrei fatta passare liscia a Uiharu! Stavo raccogliendo le prove per fargli chiudere quell’inferno di bar che lo aveva cambiato tanto! Ma volevo salvarlo! Tu invece lo hai-»

«Non mi ha lasciato scelta!» urlò il signor Den, zittendo gli altri due e scuotendo la testa per scrollarsi di dosso quella pesantezza. «Gli ho pagato quello che voleva, ma non è bastato! Mi aveva promesso di escludere dal giro di scommesse il mio allievo, ma poi, quando eravamo lì al noleggio e voi non eravate ancora arrivati, si è messo a ridere dicendo che era un ragazzo senza speranze, che continuava a tornare al bar per giocare d’azzardo e che gli affari erano affari… Non ci ho più visto. A Uiharu non importava di distruggere la vita degli altri… e io non mi sono sentito in colpa nel prendere la sua. Non esisteva più l’amico che avevo conosciuto al liceo, era solo un uomo senza scrupoli!»

Il silenzio che quella confessione creò fu pesante, come lo furono le lacrime che scesero dal viso del signor Den, nonostante l’ammissione di non provare più compassione o colpa. 

«Così ieri notte è andato da lui per ucciderlo» iniziò a ricostruire Yamato con fermezza e senza inflessioni nel tono. 

«Sì… sono andato da lui quando sapevo che avrebbe chiuso la bisca… erano le tre di notte e stava contando gli incassi del giorno. Mi ha chiesto se ero andato lì prima per farmi una partitina a Mahjong per ingannare l’attesa della partenza… disse che avremmo potuto scommettere un po’ di soldi… Ero cieco di rabbia. Per lui contavano solo i soldi. Ho afferrato le forbici della cassetta del campeggio e l’ho accoltellato. Nessuno nel palazzo o fuori in strada ha sentito niente perché aveva fatto insonorizzare le pareti...» 

Per quanto il signor Den apparisse il fantasma di se stesso nel riepilogare i fatti, alzò lo stesso il viso verso Ran, mettendole i brividi. Inconsciamente, senza mai togliere gli occhi dal colpevole, Conan le strinse la spalla tra le dita, facendole avvertire la propria presenza. 

«Dopo è andata come ha detto la ragazza… quando ho finito di sistemare Uiharu, mi sono cambiato prendendo i vestiti dal mio bagaglio senza pensare che mi sarebbe mancato un cambio… penso che non mi importasse. Avevo pensato a come liberarmi del cadavere ed è andata come avete ricostruito fino a ora… l’ho tagliato a metà per farlo entrare nei borsoni e li ho caricati in macchina… avevo preparato il biglietto da lasciare sul cruscotto e poi ho chiuso l’auto, mi sono nascosto in un vicolo e ho aspettato l’orario dell’appuntamento. Gojo e Rukawa non hanno sospettato di nulla e… sono riuscito a dissuaderli dal ficcanasare nei bagagli. Alla fine sapevo che erano già arrabbiati anche loro con Uiharu abbastanza da lasciar perdere qualsiasi iniziativa.»

Prese un respiro profondo, asciugandosi le lacrime dalla faccia prima di continuare.

«Mentre montavamo il campo ho fatto in modo che le forbici servissero a tutti… le avevo pulite per bene e se ci fossero state le impronte di tutti e tre forse… be’, una parte di me pensava di cavarsela. Poi sapevo che a una certa ora, aspettando il pranzo, ognuno avrebbe voluto starsene un po’ per conto proprio. Era una nostra vecchia abitudine, così quando Rukawa e Gojo sono stati abbastanza lontani, sono sceso fino al parcheggio e ho usato la chiave principale che avevo sottratto a Uiharu per spostare l’auto e sono andato spedito verso una zona in cui sapevo non girava mai nessuno, risalendo il corso del fiume. Trascinare i borsoni è stata una fatica… ma è andata come avete detto. Li ho riempiti di sassi, ho attaccato due ami rubati a Gojo alle cerniere… e poi sono tornato al campo srotolando non so quanti metri e metri di filo… non pensavo avrebbe funzionato davvero. Forse, da un lato, sarebbe stato meglio così. Il corpo sarebbe potuto rimanere sul fondo del fiume… e forse davvero qualcuno avrebbe potuto concludere che fosse stato un regolamento di conti tra Uiharu e qualcuno dei criminali che frequentavano il suo bar. Ma la verità è che volevo che tutto venisse a galla, letteralmente...»

Una risata amara e priva di allegria lo scosse, facendo rabbrividire alcuni dei presenti. 

«Per il resto, mentre Gojo e Rukawa erano intenti a pescare, io ho cominciato a riavvolgere il filo da pesca senza che se ne accorgessero e ho dato lo strattone fingendo di sistemare alcune cose per il pranzo. La fortuna mi è venuta incontro nel momento in cui Gojo ha pensato che qualcosa avesse abboccato, perché questo ha distratto entrambi. Erano così presi che ho potuto riavvolgere tutto il filo in eccesso e poi buttarlo in una delle cassette degli attrezzi della pesca… alla fine c’è voluto meno tempo del previsto perché il cadavere arrivasse da noi, ma il fiume ha fatto la sua parte.»

«Signor Den Junya» iniziò l’ispettore Yamamura, avvicinandosi, serio e senza più moti caricaturali o con l’intenzione di fare battute da film. 

«La dichiaro in arresto per l’omicidio del signor Uiharu Kuro.» 



 

«Insomma, buon sangue non mente!» esordì più tardi Yamamura, quando la zona era ormai quasi stata sgomberata del tutto; colpevole e testimoni erano in viaggio verso la centrale più vicina ed erano rimasti solo gli ispettori, qualche agente, Kogoro, Ran e Conan sulla scena.

«La figlia dell’inimitabile Detective Dormiente ha trovato l’ultimo tassello per risolvere il caso! Vedo già i titoli dei giornali locali!» continuò gesticolando tanto che Ran dovette di nuovo farsi da parte per evitare che Conan si prendesse una manata per sbaglio. «Oppure: Figlia batte padre: è ora di pensionare il Detective Mouri?»

«Ohi, Yamamura, ora non esageriamo!» lo riprese Kogoro dall’altro lato del fiume.

Sia Ran sia Conan risero di gusto e persino Yamato si concesse un sorrisetto divertito. L’atmosfera si era rasserenata e il tramonto stava colorando la natura di colori caldi e vibranti, di un rosso che per quanto intenso stava ristorando la pace spezzata di quel luogo. 

«Visto che siete da queste parti, ho chiesto a Uehara e Komei di raggiungerci, vi portiamo a mangiare della soba come non se ne trova a Tokyo» propose Kansuke a Kogoro, accennando con il capo all’entroterra di Nagano alle sue spalle. «Mando una pattuglia a recuperare sua figlia e il ragazzino e-»

«Oh, no, no, no! Non esiste!» si mise in mezzo Yamamura, facendo un passo in avanti così frettoloso che rischiò di scivolare nel fiume. Si ricompose alla velocità della luce per poi riprendere da dove si era auto-interrotto. «Dicevo! Il caso si è concluso sotto la mia giurisdizione, quindi è mio sacrosanto dovere e onore offrire per cena le migliori prelibatezze della prefettura di Gunma!»

Yamato Kansuke non se la prese, tutt’altro. Sul suo viso perennemente scontroso si aprì un sorriso furbo, di chi ha appena incastrato qualcuno. 

«Accetto la sua ospitalità volentieri. Inclusi i miei due colleghi, lei e la famiglia del detective siamo in sette. Prenoti e invii l’indirizzo al cellulare del signor Mouri. Ci rivediamo al ristorante.»

E senza aspettare repliche, Kansuke diede ordine ai pochi agenti rimasti di sbaraccare le ultime cose e si avviò a propria volta, intimando al Detective Dormiente di non rimanere indietro. 

Sull’altra sponda, intanto, Yamamura era ancora a bocca aperta con un indice alzato, immobile. La consapevolezza di essere appena stato fregato stava arrivando a tratti.  

Conan stava ridendo interiormente, per quanto dovette mascherare un risolino reale con un colpo di tosse. 

«Direi di avviarci anche noi, ispettore. Dove ci porta di bello? Che specialità ci sono da queste parti? Tu cosa vorresti, Ran-neechan? Dovresti scegliere tu visto che hai risolto il caso!» 

Ran tentò di riacquistare un po’ di contegno, mettendo finalmente giù il bambino per poi prenderlo per mano e avviarsi verso una delle auto della polizia.

«Ho sentito che da queste parti gli udon sono molto buoni, ma c’è la specialità del Ginhikari che fa parlare di sé.»

«Wow, voglio provarlo! Andiamo, ispettore Yamamura? Stia al passo o la lasciamo indietro!»




 

Fine ~



 

Chi mi conosce (sul fronte Conan) sa che ho sviluppato un amore imbarazzante per il personaggio di Kansuke. Lui e quella sua stampella mi hanno totalmente conquistata. Accoppiarlo a indagare con Yamamura è stato un riprendere l’idea del film 13 (?) e, diciamo, ampliarla e vederli davvero sul campo entrambi. Il fiume in mezzo e il dover urlare da un lato all’altro sono quelle cose sceme che mi fanno ridere da sola. 

Era tantissimo tempo che non provavo a scrivere su una traccia tanto articolata, però il brainstorming è stata una delle parti più divertenti: non ho scelto un colpevole, ma ho scritto i moventi, i modus operandi, gli alibi, gli indizi e tutto per ogni personaggio e poi… ho lasciato scegliere a Shiroi XD E ha scelto il più complicato, giustamente! Ah ah 

Grazie di aver letto! 
Alla prossima ~ 

 

Nene 


 
   
 
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