Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: A_Chinese_Doll    03/06/2021    0 recensioni
“Questa è una promessa, prometto che ti aiuterò a riscattarti dal terribile fallimento di oggi. Il tuo prossimo fallimento, sarà un mio fallimento, mi assumo personalmente questa responsabilità”
Genere: Angst, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Note di A_Chinese_Doll:

Ho pensato di realizzare una One Shot, una storia facile da leggere, perchè mi conosco troppo bene...se avessi scritto una storia a capitoli non sarebbe mai terminata perchè sono sempre oberata di lavoro!

Ci ho provato.

I miei picchi di creatività arrivano quando meno me lo aspetto...soprattutto mentre cammino per strada, con la musica nelle orecchie e all'improvviso mi balenano davanti agli occhi immagini e visioni che prendono forma...

Ecco...questa storia ha preso forma mentre dopo aver visto per la ventesima volta l'OAV su Levi, ascoltavo (per la 100esima volta suppongo) "So ist es immer" che quindi consiglierei di ascoltare durante la lettura, inoltre come i cari lettori vedranno è spalmata un pò per tutta la narrazione.

Il problema è che mentre ascoltavo "So ist es immer"...è all'improvviso partita "You see big girl"... e quindi mi è salita la ANGST...

Il risultato è quello che leggerete :)

Non sono a mio agio nello scrivere smut o cose esplicite per questo non sono presenti, ma c'è qualche accenno Lime. Non reputo comunque che la storia sia per un audience matura.
t/n= tuo nome
c/o = colore occhi

Fatta questa premessa vi lascio alla lettura.


“Questa è una promessa, prometto che ti aiuterò a riscattarti dal terribile fallimento di oggi. Il tuo prossimo fallimento, sarà un mio fallimento, mi assumo personalmente questa responsabilità”.

Die Stühle liegen sehr eng, Wir reden die ganze Nacht lang...

Quella volta sembrava fossero le parole più giuste da dire, eppure non poteva fare a meno di ripetere a se stesso che, invece di incoraggiarla a restare al suo fianco, avrebbe dovuto convincerla ad abbandonare l’Armata Ricognitiva, conducendo la vita tranquilla che le spettava in attesa che Lui, un giorno, le donasse la libertà alla quale tanto anelava… ma, poteva essere forse quello un altro modo per ottenere la tanto agognata libertà?

 …Dieser niedrige Raum ist nicht schlecht…

Levi Ackermann non avrebbe mai pensato di poter amare qualcuno, o addirittura di essere amato da qualcuno, lui che era cresciuto da solo nella Città Sotterranea, che aveva perso i suoi compagni, che aveva macchiato le proprie mani innumerevoli volte e che era oramai conosciuto come l’uomo più forte dell’umanità.

Il suo sguardo freddo, l’atteggiamento indifferente, la crudezza delle sue parole lo facevano spesso apparire come un individuo insensibile e distaccato. Aveva comunque un’immagine da tutelare, aveva dei soldati da guidare, un esempio da dare, e non poteva permettersi di rivelare anche solo un minimo difetto, una singola debolezza.

Un uomo temprato dalla sofferenza, incapace di esprimere i propri sentimenti, prosciugati, annichiliti da anni di battaglie e di delusioni.

…Wir können uns gut verstehen…

Tuttavia, ogni volta che incrociava il suo sguardo la solitudine che da sempre attanagliava il cuore del Capitano Levi svaniva. Gli occhi brillanti e grandi di t/n scandagliavano la sua anima, risanavano le sue ferite, e gli consentivano di essere ciò che era veramente: un essere umano.

Ogni volta che t/n gli teneva la mano, avvicinava le morbide labbra alle sue, gli rubava baci appassionati, lui sentiva di poter essere debole, di VOLER essere debole, e desiderava abbandonarsi completamente al suo abbraccio, alle sue carezze, a quelle sensazioni indescrivibili, ristoranti, che solo lei gli faceva provare, ritrovando quell’ umanità che oramai aveva dimenticato.

La ragazza lo aveva attratto sin dal primo momento, sin da quando incrociò il suo cammino di rientro dalla prima spedizione con il comandante Erwin Smith, dopo aver perso i cari compagni: Farlan e Isabel.

...So ist es immer, unser Licht ist nur das...

Quel giorno t/n aspettava suo fratello sull’uscio della porta dell’orfanotrofio in cui ella viveva, una famiglia, non la sua naturale, alla quale aveva cominciato a dedicare sé stessa anni prima, non avendo più genitori con i quali stare e bisognosa di divergere il proprio affetto sugli altri, poiché anche il fratello, Erwin Smith, essendo spesso impegnato in missioni, era di rado presente a casa.

...Trinken und singen wir, begrüßen morgen...

Uno sguardo dolce, ma deciso, alcuni bambini che le cingevano la vita o le stringevano il largo pantalone, un sorriso sincero e un abbraccio amorevole rivolto al fratello maggiore. Era questo il primo ricordo che Levi aveva di t/n. Non era incredibilmente bella, non aveva particolari movenze, talvolta mancava di buone maniere, era troppo diretta, probabilmente non molto rispettosa delle distanze interpersonali, ma era spontanea, reale, autentica, così come autentico era stato l’invito che le aveva rivolto per farlo rimanere a pranzo nella sua abitazione in compagnia dei piccoli e del comandante Smith, che era solito andarla a trovare e rifocillarsi in quell’ambiente così familiare di ritorno dalle missioni più gravose.

...So ist es immer, unter'm riesigen Himmel...

L’animo di t/n era sempre stato fin troppo puro, lei era pacifista, avendo devoluto parte della sua vita alla crescita e all’educazione dei bambini, eppure, in quanto sorella minore di Erwin, sentiva di avere un dovere morale nei confronti dell’umanità e aveva insistito per entrare a far parte dell’Armata Ricognitiva, determinata a lottare per il genere umano, per coloro che le erano cari - diceva - ma coloro che le erano così cari valevano davvero quel sacrificio?

Per lei si! Opponendosi al volere del fratello aveva insistito affinché Levi la raccomandasse nell’armata e la accettasse come elemento della sua squadra. Ricorda ancora quel giorno in cui lo prese in disparte dicendogli di volergli parlare, noncurante della posizione che egli occupasse, e fu convocata nel suo ufficio a tarda sera. Sbattendo le mani sulla sua scrivania, gli occhi ricolmi di lacrime, gli implorò di convincere Erwin di farla combattere al loro fianco, contro i giganti, per il genere umano.
E lui aveva accettato, del resto chi era per impedire a une essere umano di combattere per ciò che riteneva fosse una giusta causa?

...Leben wir zusammen, die Nacht ist lang...

Da allora t/n aveva cominciato a vivere e formarsi con gli altri cadetti. Non eccelleva, ma non era neanche particolarmente scarsa, era risoluta il giusto, rivelava le sue debolezze, tuttavia aveva una cosa che la distingueva dagli altri, la capacità di far sentire Levi a proprio agio, di ispirargli una fiducia tale da poter, anche solo per qualche istante, abbattere quei freddi muri che egli aveva da sempre interposto tra lui e il prossimo. Non era dunque raro che i due si ritrovassero soli a parlare, in segreto, per non dare nell’occhio, per non far girare voci inopportune di possibili intrecci amorosi, per altro inesistenti.

Erano anni ormai che i due si conoscevano e la loro fiducia era reciproca, nonostante la dura facciata del capitano, anche lei sapeva di poter credere in lui tanto da sentirsi libera di confidargli i suoi piccoli segreti, i suoi timori, senza che egli la sminuisse o le ridesse in faccia, per lei era proprio come parlare a un caro amico.  

...Da die Sterne nicht leuchten, Kann der Mond auf diese Stadt nicht scheinen...

Quella lunga serie di conversazioni notturne ebbe inizio una sera postuma all’atroce fallimento di una spedizione dalla quale t/n era uscita profondamente provata, non essendo riuscita a salvare un suo compagno. Durante la missione di spedizione questi era stato agguantato da un gigante e lei, impossibilitata nel muoversi a causa del terrore, non aveva potuto far niente se non restare lì a fissare, con le lacrime agli occhi, le gambe tremanti, mentre il suo commilitone veniva dilaniato da quel mostro colossale, fino a che lo stesso Levi era dovuto intervenire per salvarle la vita, rimproverandola - stupida lei - di aver rotto così tanto per poter combattere per l’umanità con l’unico risultato di rischiare di gettare al vento la propria esistenza tra le fauci schifose di un gigante, così le era stato detto.

Quella stessa sera t/n non si era presentata in mensa, era rimasta su un letto, in un’ancora inutilizzata ala del dormitorio, certa che nessuno sarebbe andata a cercarla là e che avrebbe potuto rimanere in disparte a piangere, a riflettere, senza disturbare e senza essere disturbata.

...Schauten wir das Licht selbst an, Singen wir unter dem Sternenmeer...

Alcune delle sue compagne di dormitorio sapevano che qualche volta, in momenti di dubbio o esitazione, lei si recasse lì. Quella sera si era fatto molto tardi e Levi, non avendola vista dal momento in cui erano rientrati, era andata a cercarla. Cosa importava al Capitano di una semplice cadetta, era forse importante per lui perché era la sorella minore del comandante Erwin? Contava forse perché la considerava un’amica, una valida compagna? Oramai erano mesi che Levi aveva cominciato a interrogarsi su cosa potesse essere lei per lui, sapeva di attribuirle un valore che andava ben al di là della semplice amicizia, che superava i confini del semplice legame tra commilitoni.

A notte fonde la candela che t/n si era portata con sé irradiava ancora una fievole luce e si era quasi spenta.

Lei riversava a pancia in giù, il volto schiacciato contro un duro e spoglio materasso, i capelli scompigliati, i singhiozzi che ancora la facevano sobbalzare a tratti.

“Ohi”, una voce la fece sussultare, una voce inconfondibile, quella del capitano Levi. 

Consapevole della patetica scena che aveva da offrire, t/n si rannicchiò sul lato sinistro, girandosi col volto verso il muro.

“Sono mortificata Capitano, la prego, se ne vada”.

“La prego? Se ne vada? Capitano? Cos’è tutta questa formalità adesso? Da quando mi chiami Capitano se siamo soli io e te...stupida?” ribatté duro Levi.

T/n arrossì lievemente “Levi, perdonami, non ho voglia di parlare”, disse soffocando un singhiozzo.

Levi sospirò, le faceva male vederla così, perfino perdere dei propri compagni non gli causava una simile sofferenza.

Avanzò nella stanza spoglia, nell’aria un penetrante aroma di legno umido, prese una sedia e vi si sedette, girandola al contrario e poggiando le braccia sullo schienale.  

…Chairs so close and room so small…

“Ohi, sei tu che hai scelto di voler entrare nell’ Armata Ricognitiva, nessuno ti ha pregata”.

Ci fu silenzio.

Il capitano aveva pienamente ragione, era stata lei ad insistere, ed era pienamente consapevole che avrebbe dovuto assistere alla morte di molte delle persone a lei vicine, ma non si aspettava che la morte avesse un odore così pungente di sangue, un suono così lancinante di grida, né che si presentasse con una scena così straziante come quella alla quale ella aveva dovuto assistere poc’anzi.

Fece partecipe Levi dei propri pensieri.

“La morte può presentarsi in tutte le forme che desidera, che sia una malattia o l’immagine di un corpo dilaniato e fatto a pezzi, nel momento in cui diveniamo soldati accettiamo la possibilità di poter incombere in una simile tragedia”.

T/n riprese a singhiozzare fievolmente: “Ma è stata colpa mia, non sono riuscita a fare niente, le mie gambe erano bloccate, le mie mani così sudate da non riuscire neanche a impugnare la spada, le mie dita così tremanti da non riuscire ad utilizzare il dispositivo di manovra, sono stata un fallimento!”

Scoppiò in un grido disperato.

“Lo sei stato”, disse Levi, incurante di mantenere un tono consolatorio. T/n si fermò, soffocando il pianto.

“Sei stata un fallimento oggi, avresti potuto salvare la vita di un tuo compagno, ma non ci sei riuscita e lui è morto. Sei stata un fallimento, un fallimento come soldato, ma lo sei stata essendo un essere umano. Gli esseri umani non sono invincibili, sono animati da emozioni, spesso succubi di esse e per questo sbagliano”.

“E allora perché tu lo sei?” t/n lo interruppe “Perché tu riesci ad essere invincibile? Pensavo che essendo tu il mio punto di riferimento avrei potuto esserlo anche io”.

“Io e te siamo diversi, né io ho mai vissuto con dei bambini o mi sono preso cura di loro…in realtà non mi sono mai preso cura di nessuno, così come mai nessuno si è preso cura di me”

Il cuore di t/n si strinse, pur mantenendo la calma nel tono di voce era evidente che il capitano Levi stesse dicendo quelle cose con dispiacere, un dispiacere impercettibile, ma che a lei arrivava chiaramente.

“Perdonami, non volevo che dicessi queste cose” si intromise t/n.

 ... You and I talk all the night long…

Levi schioccò la lingua “è un dato di fatto, non sto dicendo null’altro se non la verità…e comunque…non sono invincibile, ho avuto anche io momenti di esitazione, sono stato accecato dalla rabbia e sono stato incauto e per colpa mia sono morti dei compagni…come il giorno in cui ci siamo incontrati. Quel giorno avevo perso i miei compagni, anzi, che dico, le uniche due persone che avessi mai potuto considerare una famiglia, loro sono morti, per mia disattenzione”.

Tornò nuovamente il silenzio, t/n percepì che pur di farla stare bene Levi stesse rivangando momenti malinconici, abbattendo quel muro di silenzio e impassibilità che da sempre lo aveva caratterizzato.

Non ci fu risposta.

“lo scopo di entrare a far parte dell’esercito è quello di imparare ad essere un soldato. L’esercito ti insegna questo, a diventare padrone delle tue emozioni, ad agire a sangue freddo, brutto a dirsi, ma ti istruisce anche su come abbandonare parte della tua umanità, era per questo che Erwin non voleva che tu entrassi nell’ Armata. Lui sperava che tu preservassi la tua umanità, un’umanità alla quale ogni soldato è destinato a rinunciare. Per questo la scelta è tua, puoi uscirne quando vuoi, nessuno ti dirà nulla”.
 T/n si alzo sul letto in ginocchia continuando a rivolgere la schiena a Levi.

“Pensi che per me la scelta giusta sia abbandonare?” gli chiese.

“Non so cosa risponderti, è una scelta che devi prendere tu, ognuno è padrone delle proprie decisioni e sa valutare le ripercussioni che queste potrebbero avere in futuro, su sé stessi in primis”.

T/n strinse i pugni, la testa pulsante, il dubbio e l’insicurezza che le dicevano di ritirarsi quando ancora era in tempo, sacrificando però il proprio desiderio di salvare l’umanità, di essere vicino al fratello e ormai, poiché per lei contava più di chiunque altro, a Levi.

Il capitano si alzò, riposizionando la sedia dove era: “Posso solo dirti una cosa” continuò “che se la prossima volta manterrai il sangue freddo e agirai, anche solo con metà della precisione con la quale agisci durante l’addestramento, riuscirai non solo ad abbattere un gigante, ma anche a salvare la vita di innumerevoli compagni, se non cittadini, e quello sarà il tuo riscatto. Questa è una promessa, prometto che ti aiuterò a riscattarti dal terribile fallimento di oggi. Il tuo prossimo fallimento, sarà un mio fallimento, mi assumo personalmente questa responsabilità”.

T/n si voltò, ancora le lacrime negli occhi, stavolta erano lacrime di commozione.

“Piangi ancora?” le chiese Levi con un’espressione tra il preoccupato e il “non so cosa dirti ancora per farti stare meglio”.

“Grazie mille, Levi”, inaspettatamente t/n si alzò di scatto, allungando le braccia e cingendo la vita del suo capitano. La fiamma della candela si spense.

…Meagre this space but serves us so well…

“Accetto questa promessa, e ti prometto a mia volta che farò di tutto la prossima volta per trovare la forza di entrare in azione, per l’umanità, per i miei amici, per Hange, per Erwin, per TE”.

Levi sgranò gli occhi, ritrovandosi la fanciulla tra le braccia e non sapendo cosa fare. Gli affiorò alla mente la scena del giorno del loro incontro, quando t/n si era lanciata tra le braccia di Erwin, pensò quindi che quella del comandante Smith fosse la reazione più naturale da avere.

Deglutì, mosse lentamente le braccia, il respiro leggermente affannato, nell’oscuro della stanza il solo suono che si sentiva era quello incalzante del battito del suo cuore. Le poggiò la mano destra sulla nuca e con il braccio sinistro le cinse goffamente la vita.

Silenzio. I due rimasero così per qualche minuto. L’imbarazzo di Levi gradualmente sempre più evidente, ma quella sensazione così intima gli dava un piacere senza eguali, non era abituato a tali manifestazioni di affetto e se non fosse stato così impacciato, sarebbe restato volentieri lì per ore. Ma del resto era notte fonda e la loro presenza in un dormitorio isolato avrebbe potuto destare sospetti, inoltre, l’indomani li aspettava la sveglia all’alba per l’addestramento.

“Stupida…staccati e andiamo…” il tono di voce uscì fuori più freddo di quanto Levi non intendesse, e lui se ne rese conto.

T/n trasalì, imbarazzo evidente sulle sue guance “Mi scusi capitano, ehm, cioè, Levi, perdonami, era solo una manifestazione di gratitudine, null’altro” la ragazza si ricompose di scatto.

Anche Levi arrossì lievemente, ma la stanza era abbastanza buia da non trasparire, non era sua intenzione risultare così rude. Le mise quindi una mano sulla testa scompigliandole i capelli “Intendo dire che abbiamo entrambi bisogno di recuperare da questa giornata…stupida”. Distolse lo sguardo e uscì dalla stanza, t/n a seguito.

…We comrades have stories to tell…

Da quel momento in poi le chiacchierate notturne diventarono un’abitudine. Senza che i due se ne accorgessero il legame che li teneva uniti aveva cominciato ad evolvere. I due trascorrevano ore, seduti faccia a faccia, nel dormitorio isolato, ove t/n era solita rifugiarsi, o nella stanza del capitano, bevendo il te, discutendo di tutto, delle proprie vite, dei successi e degli insuccessi in battaglia rivelando la propria umanità, i propri punti di forza, le proprie debolezze, e quella semplicità quotidiana li faceva sentire così bene, gli consentiva di mettere a nudo le proprie anime, di condividere emozioni che rimanendo imprigionate non facevano null’altro se non portare afflizione e sofferenza, ma che, se condivise, trovavano sfogo nella reciproca comprensione, in quello che era ormai diventata la loro realtà, il loro mondo, una dimensione, lontana dalla morte e dal terrore, che apparteneva solo a loro.

Un’abitudine alla quale entrambi non avrebbero mai potuto rinunciare, al diavolo le voci e i commenti, finché Lui aveva Lei e Lei aveva Lui, nulla importava, né gli sguardi indiscreti, né la paura, né la salvezza dell’umanità, erano loro la propria unica e reciproca salvezza.

Una notte particolarmente stellata t/n aveva premuto affinché si incontrassero sui muri esterni, per poter evadere con l’immaginazione e fantasticare su cosa potesse esserci in lontananza, dopo i boschi, al di là dei giganti. La luna era straordinariamente brillante e le stelle tempestavano la volta blu come splendenti diamanti.

…And it’ always like in the evening time, we drink and we sing, when our fighting is done...

Non una nuvola in cielo, la volta celeste si rifletteva nei grandi occhi c/o di t/n.

Anche quella sera, i due cominciarono a parlare di temi disparati, seduti sulle alte e bianche mura che riflettevano la candida luce, spaziando di argomento in argomento, soprattutto t/n che parlava del mare, di ciò che il mondo avrebbe potuto riservare un giorno, delle bellezze che si celavano al di là dei confini ancora inesplorati, e Levi la ascoltava, assimilando ogni singola parola, facendone tesoro, finché ci fu silenzio.

I due rimasero a godere della notte muta, guardando in distanza, fissando la linea nera dell’orizzonte che irradiata dalla luce lunare si stagliava come un netto spartiacque tra la lucente distesa di stelle e la terra silente e ormai assopita.

T/n fece un sospiro che ruppe la silenziosa atmosfera e pose una domanda, una domanda così semplice ma così inaspettata che lasciò il Capitano spiazzato.

“Levi, sei mai stato innamorato? Intendo, davvero innamorato, innamorato al punto tale da voler immolare te stesso per qualcuno?”.

Levi non rispose. Perché quella domanda? Che razza di domanda era, in un momento in cui stavano parlando di tutt’altro. Era una domanda che lo terrorizzava? Che lo rendeva felice? Che lo confondeva, piuttosto. Lui era mai stato innamorato? Aveva provato mai amore per qualcuno? Forse per la madre? Ma era passato così tanto tempo che neanche si ricordava cosa significasse amare.

“Io…non lo so” disse Lui con tono seccato, portando le braccia dietro la schiena e sostenendosi su di esse, fissando lo sguardo in lontananza.

“Scusa se ti faccio questa domanda, conoscendoti so che potrebbe darti fastidio”.

Levi annuì, ancora silenzioso, poi chiese: “Perché questa domanda? Ti sei forse innamorata?”

Perché nel chiedere quella cosa il suo cuore sussultò? Aveva forse paura che t/n potesse provare qualcosa per qualcuno? Che questo sentimento la portasse via da lui? Che spezzasse quel magico incanto, seppur transitorio e illusorio, che erano riusciti a creare?

“Penso di si” t/n rispose abbassando lo sguardo, le gote rosee.

Levi inarcò il sopracciglio, “tzk” fu l’unico suono che uscì dalle sue labbra nell’osservare il volto di t/n evidentemente scomposto. “Bhè… non penso di poterti aiutare in queste cose” ribatté irritato, divergendo lo sguardo nella direzione opposta a quella di t/n.

“Io…” il suo viso si stava gradualmente tingendo di un delicato color cremisi, mentre lei evidentemente imbarazzatissima cercava di proseguire “io penso che…”

Qualcosa ribolliva nell’animo di Levi, perché diamine era così incazzato? Perché vedere t/n così nervosa lo adirava così tanto?

“Io penso di essere innamorata…” sputò fuori lei, serrando i pugni in grembo e stringendo forte il lembo della maglietta.

Quella frase fece scattare qualcosa nel capitano, una miccia di rabbia e gelosia, decise quindi di porre fine a quella conversazione così inusuale e sgradevole.

“Come detto…in questo non posso esserti d'aiuto, non è un campo che mi compete…” esclamò profondamente seccato “se non ti dispiace è ora, e domani abbiamo un addestramento da portare avanti, conviene rientrare”, tagliò corto e accennò ad alzarsi facendo leva sul ginocchio.

“….del capitano….” Gridò t/n sperando che si fermasse, e riuscì ad adempiere al proprio intento.

Levi si fermò di scatto “eh?”, rivolse nuovamente lo sguardo alla ragazza che aveva serrato gli occhi e il cui volto aveva assunto un colorito rosso intenso.

“Penso di essere innamorata del capitano…del capitano Levi…” confessò t/n. Si coprì il volto con entrambe le mani.

…And is always so, we leave under the burnt clouds…

Il cuore di Levi si arrestò per un attimo, incredulità negli occhi, una sorta di smarrimento, lo sguardo fisso su t/n, poi rivolto al cielo stellato, quel cielo era stato così luminoso fino a quel momento?

Il capitano non sapeva cosa rispondere; “Ti amo”? “Ti ho sempre amata anche io fino ad adesso ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo?” “Sono uno stupido perché non sono in grado di mostrarti cosa provo?”. Erano tutte possibili soluzioni che gli venivano in mente, ma lui non era tipo da essere così romantico, così sdolcinato.

Silenzio di nuovo.

…ease our burden, long is the night…

Levi sospirò, l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento uscì fuori di scatto, sonoramente.

T/n distaccò le mani dal volto e cominciò a fissare il vuoto, sguardo rivolto in basso, zigzagando random su per le fondamenta delle mura, in attesa di una risposta, di un gesto, un rifiuto, non si aspettava sicuramente che l’uomo più forte dell’umanità ricambiasse il suo amore, ma voleva essere onesta con i suoi sentimenti.

...Just as no stars can be seen, we are stars and we'll beam on our town...

Sopraggiunse una risposta brusca: “Dillo di nuovo”, furono le uniche parole che Levi riuscì a profferire, un tono secco, diretto, quasi un comando.

“Scusa?” chiese t/n leggermente spiazzata, alzando il volto verso di lui.

Levi si inginocchiò alla sua altezza e la fissò negli occhi, i suoi di ghiaccio si rifletterono in quelli c/o di t/n.

La contemplò in silenzio, squadrandola, sagomando con lo sguardo i lineamenti del suo viso per poi soffermarsi nuovamente sulla profondità e la parziale incredulità dei suoi occhi, poi ripeté “Dillo di nuovo…” si fermò e deglutì “dì che mi ami…” si interruppe ancora una volta “…ma fallo guardandomi”.

“Io…” t/n arrossì. Il capitano continuò a fissarla, in silenzio, i suoi occhi penetranti su di lei, assorti.

“Io…sono innamorata di te… Levi” sussurrò t/n. Poi lo vide, quanto di più bello avesse mai visto, quanto di più raro la vita le avrebbe potuto riservare, un sorriso, un sorriso spontaneo sul bellissimo volto di Levi, illuminato dalla luce della luna.

Uno sguardo ricolmo di affetto, un gesto che egli non aveva mai rivolto a nessuno.

La reazione di Levi fu spontanea, tuttavia i suoi gesti non riuscivano a manifestare il tumulto di emozioni che, come una tempesta, imperversavano dentro di lui, e gli fu chiaro che l’unico modo per dimostrare a t/n che i suoi sentimenti erano ricambiati era agire con i fatti.

Non appena t/n ultimò la frase il capitano le accarezzò la guancia, avvicinò il volto a quello della ragazza, il suo respiro leggermente affannato ed emozionato le sfiorò le labbra, emise un altro sospiro, sembrava che l’aria non gli bastasse mai, avrebbe giurato di star addirittura tremando, poggiò il braccio sinistro sulle fredde mura per darsi sostegno, la guardò ancora una volta: era bellissima, così imbarazzata, evidentemente eccitata per ciò che stava per accadere. Quando appurò che anche t/n era tesa si calmò, respirò un’ultima volta, accennò un sorriso e si lanciò, serrando finalmente le proprie labbra con le sue. Il cuore di t/n batteva all’impazzata, lei accolse il bacio del suo amato e non esitò a poggiargli la mano sinistra sulla schiena, stringendogli la blusa. Avendo acquisito confidenza con quell’accenno di bacio, Levi portò la mano destra dietro la nuca della ragazza, piegò leggermente la testa, rendendo il loro contatto più passionale. Aprì leggermente gli occhi per constatare se a t/n andasse bene procedere e quando la vide completamente abbandonata all’atto cominciò a sfiorarle le labbra con la lingua, chiedendo implicitamente il permesso di entrare.

Fu un momento di incredibile intensità, non era senz’altro quello il primo bacio della loro vita, essendo entrambi adulti maturi, tuttavia il coinvolgimento passionale fu tale da condurli ad una totale sospensione del pensiero mentre le loro lingue danzavano sensualmente. In quel momento fu come se il tempo si fosse fermato, come se non vi fossero più le mura a sostenerli, come se il mondo circostante non avesse più una dimensione materiale, erano loro due, soli, assetati d’amore, speranzosi che quel momento non terminasse mai.

Levi si fermò, distaccando le proprie labbra da quelle di t/n che per qualche istante lo seguì col volto come se rimpiangesse la perdita del contatto. I due non parlarono, si guardarono nuovamente negli occhi, t/n sorrise e abbassò lo sguardo. Lui sorrise a sua volta e deglutì, non sapendo cosa dire le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, alzò la mano destra portandogliela al mento, rivolgendo il volto verso di lui e la baciò nuovamente con un lieve bacio a stampo “Allora?” le chiese. T/n scoppiò in una risatina e nascose il volto sul petto di Levi “Allora? Allora dovrei chiederlo io!”.

“Tzk…” disse il capitano nel più totale imbarazzo, del resto l’aveva baciata proprio perché sapeva di non essere bravo a parole “Penso non ci sia proprio nulla da dire”. La abbracciò per qualche minuto, la brezza serale ne accarezzava i corpi, non una voce. Levi la allontanò con delicatezza dandole un delicato bacio sulla fronte e poi si alzò, tenendole la mano e aiutandola ad alzarsi a sua volta “Rientriamo…stupida”.

…We must all gather as one, sing with hope and the fear will be gone…

Indubbiamente, per Levi, la loro prima volta fu un’esperienza indimenticabile. Era una serata perfetta, aria tiepida, non faceva né caldo né freddo e dopo tanto tempo anche la tensione nell’esercito si era allentata.  T/n, approfittando dei compagni che ebri per l’alcool erano piombati in un sonno profondo prima del solito, era sgattaiolata di nascosto nella sua stanza, bussando di soppiatto alla sua porta.

Non appena Levi sentì bussare, sapeva già chi fosse, e si era già anticipato mettendo a bollire l’acqua per il tè, conscio che t/n avrebbe voluto trascorrere del tempo con lui, a parlare, a celebrare quella giornata particolarmente fruttuosa, quel suo successo.

Quando spalancò la porta, si trovò dinanzi t/n in biancheria notturna, decisamente più scollata del solito per lei che non era solita indossare abiti succinti, lo sguardo della ragazza incommensurabilmente felice, un sorriso smagliante.

…Die Stühle liegen sehr eng, you and I talk all the night long…

Ridacchiando lei entrò di corsa e si lanciò sul letto del Capitano, tutta esaltata.

In occasioni normali lui avrebbe dato di matto, ma con lei era diverso, vederla tutta felice rotolarsi sul suo letto aveva un valore inestimabile. Inoltre, la biancheria che indossava era piuttosto provocante, e sebbene lui la trovasse attraente in qualsiasi abito o in qualunque situazione, gli fu difficile nascondere e sopprimere un certo eccitamento.

“Così su di giri per un semplice successo in battaglia?” le chiese, ancora una volta inscenando il ruolo del personaggio duro e distaccato, ma ormai non funzionava più, quelle sue scenette non avevano alcuna valenza, perché t/n sapeva che egli condivideva a pieno quella sensazione di gioia. 

“Non è un successo, è il MIO successo, Levi” disse lei tutta tronfia, come se avesse ucciso un centinaio di giganti “Anzi, il NOSTRO successo” terminò la frase, afferrando la tazza che il capitano le porse e soffiando su di essa a pieni polmoni. Levi si sedette accanto a lei, poggiando la schiena contro la testata del letto e avvicinandola a se.

In realtà, quel giorno a differenza di tanti mesi prima, t/n era riuscita a tenere fede alla propria promessa. Durante la spedizione, l’Armata Ricognitiva era stata messa a dura prova e lei, rifacendosi agli insegnamenti che le erano stati impartiti, era riuscita a comportarsi in modo cauto, senza agitazione, traendo così in salvo due dei suoi compagni che, senza il suo intervento, avrebbero perso la vita.

…Dieser niedrige Raum ist nicht schlecht, we comrades have stories to tell…

Quello stesso pomeriggio, all’ingresso della città, il suo cavallo camminava spalla a spalla con quello del comandante Erwin e del capitano Levi. La spedizione non aveva contato alcuna perdita, tutti erano salvi e lei era stata lodata per l’attitudine eroica.

Non appena varcate le soglie delle mura era stata accolta a braccia aperte dai bambini dei quali si era presa cura fino a qualche tempo prima mentre le grida della folla facevano da sottofondo all’armata che sfilava fiera per le strade.

…So ist es immer, denn immer im Ertrag, we drink and we sing when our fighting is done…

Nella mensa tutti i compagni l’avevano acclamata, bevendo, ridendo, e cantando. Si respirava un’atmosfera che non veniva percepita da tempo, per un momento sembrava che tutta l’afflizione che i combattenti avevano accumulato in cuor loro fosse svanita. In una serata così era impossibile trattenere sorrisi e risate, e il sorriso più bello era quello di t/n, che tra un bicchiere e l’altro, una nota stonata e una riuscita più o meno bene, lanciava a Levi sguardi di felicità, ricolmi di gratitudine per la promessa che entrambi erano riusciti a mantenere, il riscatto che lei era riuscita ad ottenere, e Levi non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Com’era bella, come avrebbe voluto che quel sorriso le restasse per sempre impresso sul volto, come avrebbe voluto donarle la pace, la tranquillità, in una terra armoniosa, tra le braccia del suo capitano, con una famiglia, idealmente. Quante volte gli era affiorato alla mente quel pensiero, a lui, che con gli esseri umani proprio non ci sapeva fare, un’idea quasi utopica di poter avere dei bambini, e di poterli crescere con t/n, ma occorreva attendere l’arrivo della pace, quella pace alla quale tutti anelavano e che, sebbene ancora lontana, quella sera sembrava si stesse illusoriamente avvicinando a poco a poco.

E fu così che i due si erano ritrovati assieme, di notte, ancora una volta. Sebbene quelli di Levi non potessero considerarsi dei veri sorrisi, il capitano si era gradualmente abituato a regalare a t/n sguardi di affetto, occhiate furtive, accompagnate da un fievole inarcamento di labbra.

Il tempo era trascorso in fretta, chiacchierando, scambiandosi baci, abbracciandosi, era giunta l’ora della dipartita.

…So ist es immer, we live under the burnt clouds, ease our burden, long is the night…

“Posso restare qui con te?” sussurrò con una voce quasi impercettibile Lei, mentre ancora teneva la testa poggiata sulla spalla di lui, che la aveva accolta tra le sue braccia, consentendole di adagiarsi sul suo petto.

Levi si sentì morire per un momento, le guance rosse di t/n risaltavano i suoi occhi color c/o, era così piccola e indifesa nel suo abbraccio, quella voce sommessa e piena di imbarazzo, la biancheria notturna che si fermava all’altezza della coscia, cadendole come un velo sulle delicate curve.

In realtà Il capitano sperava in cuor suo che t/n glielo chiedesse, non avrebbe mai voluto farla rientrare, almeno quella notte avrebbe voluto trascorrerla in compagnia, in compagnia delle sue risate, della sua voce angelica, delle sue effusioni.

“Hnnn….” Asserì lui. Una risposta impassibile, quasi priva di espressività, ma dalla stretta delle braccia attorno al corpo di t/n fu evidente che Levi fosse emozionato quasi quanto lei all’idea di poter passare l’interna nottata assieme.

T/n si voltò, prese il volto di Levi tra le mani e lo baciò con più passione di quanto non avesse mai fatto. Quando se ne distaccò lo guardò in volto con occhi lucidi, vogliosi. Quel bacio era un chiaro segno del suo desiderio di darsi completamente al capitano e questi non esitò a contraccambiarlo, perchè avrebbe dovuto negare a entrambi un tale piacere?

Levi desiderava tanto quanto lei consumare quella notte nel modo migliore possibile, concedendosi totalmente alla passione e all’amore che li aveva legati e li legava in ogni momento della giornata, anche nei piccoli gesti. Desiderava farla sua, desiderava sentirne il calore, desiderava possederla e lei, dal canto suo, bramava di donare sé stessa al suo capitano, concedendogli quanto di più prezioso avesse da offrire all’uomo oggetto del suo amore: la propria verginità.

…Da die Sterne nicht leuchten, we are stars and we'll beam on our town…

Fu da quella volta che i due amanti, perché oramai erano tali, e la cosa era risaputa anche dagli altri dell’Armata, continuarono a vedersi ogni notte, in ogni possibile occasione. Non c’era tempo da sprecare, in quella loro frenetica vita,  sospesa tra la vita e la morte, il loro unico desiderio era quello di unirsi, fondersi l’un con l’altro, intrecciando i loro corpi, le loro anime, come se fossero una cosa sola, godendo del momento, non sapendo quando potesse essere l’ultima volta in cui avrebbero potuto condividere quell’amore tanto autentico, quel sentimento che li rendeva così umani, esplorando, l’uno e l’altro, aspetti reciproci di cui nessuno, oltre loro, era a conoscenza: la lussuria negli occhi di Lei, una fanciulla pura e casta, senza macchia, apparentemente incapace di lasciarsi andare a quegli atti così libidinosi, indecenti, la fermezza nei suoi occhi, vogliosa, bramosa di far godere il proprio compagno, i gemiti osceni che emanava quando veniva sfiorata in parti del corpo della cui sensibilità Levi era ben consapevole; la debolezza e la sottomissione nei gesti di lui, Levi Ackerman, l’uomo più forte dell’umanità, soggiogato al volere della donna che amava, impotente sotto le sue dita di velluto, proprio lui, colui che non vacillava un momento, che non perdeva uno scontro contro i temibili giganti, prostrato ai piedi di una donna, la sua donna, la sua musa, la sua salvezza, tremante e gemente, bisognoso del suo tocco. Ma non gli importava, non gli importava affatto di mostrarle quella debolezza, non gli importava di arrendersi a quel sentimento, anzi, lo adorava, oh se adorava abbandonarsi a quell’estasi, perdere il controllo, ansimare il nome di t/n per poi farle gridare il proprio.

…Schauten wir das Licht selbst an, sing with hope and the fear will be gone…

Erano una coppia perfetta, loro due, avevano il loro mondo, quella realtà onirica che gli consentiva di andare avanti, di trovare la forza, aggrappandosi alla speranza di un futuro insieme.

Purtroppo, però, un sogno è pur sempre un sogno, e tutte le illusioni sono destinate a scontrarsi con la cruda realtà.

Di quell’amore così magico, cosa rimaneva adesso?

Di tangibile ben poco, un arto, il braccio destro per la precisione, unico lascito del corpo dilaniato di t/n, un velo bianco che avvolgeva una bara in legno squisitamente rifinita in suo onore, il mantello verde dell’armata, lo stemma delle ali della libertà, una libertà, quella a cui aspiravano, fatta di strazio, di perdite e di rimpianti: del SUO strazio, della SUA perdita, del SUO rimpianto, quel giorno, così tetro e grigio, in cui l’uomo più forte dell’umanità dovette fare i conti, ancora una volta, con la propria maledizione e accettare che la vita non era stata e non sarebbe stata clemente con lui. A che pro essere l’uomo più forte se non avrebbe potuto trascorrere il resto della propria esistenza con le persone che per lui contavano, con quell’unica persona che gli aveva insegnato ad amare, illudendolo che la vita avrebbe potuto prendere una piega migliore. Era bastato un attimo, un battito di ciglia per distruggere ciò che erano riusciti a costruire e la mestizia e il dolore si fondevano al lacerante senso di colpa del capitano Levi che nonostante il disperato tentativo di trarre t/n in salvo, non era riuscito a fare niente.

“Il tuo fallimento sarà il mio fallimento, le aveva detto” ma non avrebbe mai pensato che quel fallimento avrebbe potuto tramutarsi in una catastrofe.   

Avrebbe voluto accasciarsi sulle proprie ginocchia, avrebbe voluto piangere fino a trovarsi col viso rigato dalle lacrime, gridare fino a sentire le corde vocali in fiamme, ma non era questo Levi Ackerman. Egli restava lì immobile a fissare il velo bianco battuto dalle gocce di acqua che imperversavano a cadere da quel cielo color cenere. Lo sguardo perso, la divisa bagnata, il corpo privo di forze, una rabbia che a poco a poco era sfumata in dolore e infine in arrendevolezza.

La solenne cerimonia che si era tenuta in onore di t/n cessò col suono di una pioggia che incessante continuava a cadere. Al ticchettio dell’acqua si unì il grido del comandante Erwin Smith: “In posizione…saluto”. Tutti i cadetti e i soldati dell’Armata di Ricognizione, del Corpo di Guarnigione e del Corpo di Gendarmeria parteciparono al saluto, un ultimo saluto per un soldato valoroso. Anche Levi alzò il braccio destro all’altezza del cuore.

La voce evidentemente tremante di Erwin si levò in cielo “SHINZO wo SASAGEYO! OFFRITE IL VOSTRO CUORE!”. Un colpo secco sul petto, per un istante non si sentì null’altro se non il rimbombo dei pugni che colpirono i toraci dei soldati all’unisono nel tentativo di esorcizzare quella pena che stringeva loro il torace e la gola, impedendogli di respirare regolarmente.

“Offrite il vostro cuore” ripetette a sé Levi, il cuore che lui aveva offerto, l’anima che lui aveva immolato alla donna della sua vita, quel cuore e quello spirito, i suoi, che appartenevano a t/n, a lei e a lei soltanto. L’umanità che con tanta fatica aveva ritrovato, la capacità di provare sentimenti autentici che aveva riscoperto, cosa ne sarebbe stato?

Coloro che erano stati incaricati di condurre il corteo funebre si avvicinarono alla bara e la sollevarono. Il capitano si avvicinò per volgere un ultimo sguardo a ciò che restava e ai doni che tutti coloro che amavano t/n le avevano portato.

Alcune bambole di pezza fatte a mano dai bambini dell’orfanotrofio, il libro che t/n leggeva sempre donatole da Erwin, alcuni vestiti tessuti esclusivamente per lei, tutte cose di poco valore materiale ma incredibile valenza affettiva per una persona che riteneva che gli unici veri valori fossero la famiglia, l’amore, l’amicizia. Levi non aveva nulla da lasciarle, i due non si erano mai scambiati regali, gli bastava semplicemente stare insieme, godere di quei semplici momenti, essere spontanei l’uno con l’altra.  

T/n era stata colei che gli aveva donato un’anima, la capacità di sorridere, gli unici pensieri positivi in un’esistenza fatta di disperazione e abbandono. Non era uomo di rimpianti, lui, e non c’era alcun amore eterno da decantare, la sua vita sarebbe continuata, come aveva sempre fatto, nell’oblio e nella solitudine ma da quel momento ancora più vuota, più vuota di quanto non lo fosse prima del suo arrivo.

Gli occhi di Levi scorsero ancora una volta velocemente i diversi doni per poi posarsi nel punto in cui il braccio di T/n era stato collocato. In quel preciso punto un piccolo orsacchiotto e un braccialetto in rame si erano accavallati l’uno sull’altro, alcune figurine di legno si erano affastellate, una sottile nube di fumo si stava levando da sotto il piccolo cumulo, dapprima impercettibile, poi sempre più evidente.

Il capitano sgranò gli occhi, alzò la mano destra e fece cenno di fermarsi ai compagni che si preparavano ad alzare la bara. Una particolare luce illuminò i suoi occhi di ghiaccio, sopracciglia inarcate, un accenno di sorriso, un respiro profondo: da qualche parte t/n era ancora viva, e ovunque lei fosse il suo capitano l'avrebbe trovata.

…Schauten wir das Licht selbst an, sing with hope and the fear will be gone…
 

NOTE FINALI:

Allora, il finale lascia sperare...credo...

In realtà penso ci sia un'imprecisione...non sapevo se le parti restanti distaccatesi dal corpo di chi si tramuta in gigante sfumacchiassero come quando il corpo stesso guarisce... ma dovevo dare un barlume di speranza al povero Heichou...quindi, imprecisione o no, spero che la storia sia stata gradita.

Se volete lasciate un commentino.

A-RI-GA-TO-U

   
 
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