Questa
è per la Inu-baka, miss. Noemi (Red
S i n
n e r), che l’ha suggerita, ispirata, e
praticamente scritta al cinquanta
percento XD...
Near è una foglia di fico! [Cit.]
Buona lettura ^^.
Primus
inter pares.
— Was
it a dream?
(41 ~ Forme.
590 parole)
Il sipario è calato sullo spettacolo delle marionette e
dell’orgoglioso
direttore scenico.
È notte, è tempo di riposare alla volta del
prossimo inizio.
Eppure, il buio delle palpebre chiuse e della lampada spenta non sono
sufficienti. Ha bisogno dell’oscurità totale,
si ripete, ed è a causa di un semplice dispetto che non si
abbandona
completamente.
«Spegni quel monitor», vorrebbe chiedere. Ordinare.
Urlare.
Ma non può farlo. L sta lavorando, così
sembrerebbe Kira che ostacola le
indagini.
Per questo se ne starà buono, nella propria metà
di letto, accontentandosi di
un sonno superficiale e privo di sogni.
~
Le sente, mani che si arrampicano sul suo corpo, inerme statua di cera
fra le
mani degli avidi compagni, rigida struttura di metallo che rifiuta di
cedere
sotto le prepotenti spinte.
Le piccole dita da bambina disegnano sul suo viso un dolce sorriso; un
sorriso
d’amore, un sorriso da «viviamo
insieme»,
un sorriso da «lascia perdere,
è
pericoloso».
E ride, lei. Una lacrima si perde fra i pizzi della manica.
«Misa non può crederci, Light-kun che sorride
sembra uno psicopatico!» esclama,
la risata isterica che si perde.
Le mani accurate di un uomo sul suo volto cercano di chiudere le
palpebre senza
intaccare i lineamenti perfetti; una perfezione falsa, quasi divina.
Ma la cera non copre i bulbi oculari, immobili nel nulla.
«Fatemi essere i vostri occhi, Kami-sama» implora,
inchinandosi e svanendo nel
buio ai piedi della statua.
~
Lo squillo di un cellulare lo costringe a tornare nel mondo.
La vista è offuscata, e lo resta anche quando Yagami cerca
di fregarsi gli
occhi. È come se ci fosse qualcosa che gli impedisce di
vedere bene, come se—
«Oh, scusa Raito-kun. Torna a dormire».
Mugugna qualcosa in risposta, la stanchezza che riprende possesso del
suo corpo.
M a l v a g i a t
i r a n n a.
«Ma io non sono stanco, ti posso aiutare...».
~
Le dita affusolate di una donna sul suo viso, poi sul suo corpo,
disegnano gli
abiti eleganti su di lui, donano un nuovo contegno.
Il sorriso scompare in favore di un’espressione fredda, lo
sguardo assume una
nuova purezza. I capelli sistemati accuratamente con un pettine
d’avorio che
cattura i pochi, pochissimi riflessi di luce bluastra, poi le mani
della devota
collaboratrice fanno sì che la camicia elegante aderisca al
petto ampio, e
lucidano le scarpe con un fazzoletto che si è tolta dal
collo, e ripuliscono da
invisibili granelli di polvere le spalle.
«Perfetto, Yagami-san. Potete andare in scena».
Lei accende un cerino, illuminando il proprio viso e quello del suo
maestro.
Alle spalle della donna riesce a scorgere delle ombre indistinte,
appena
colorate dalla fiamma; non ha il tempo di individuare altri
particolari, perché
un’ombra prepotente si pone fra lui e quei silenziosi
osservatori.
Allontana Kiyomi Takada, allontana
i
lamenti delusi di Teru Mikami,
allontana la risata mista a singhiozzi di Misa
Amane, allontana il fastidioso sgranocchiare di una delle
figure poco
distanti,
Un tintinnare di catene a pochi centimetri dal viso, l’alito
caldo di L sulla
cera fusa.
«Sei mio».
~
Light sgrana gli
occhi, trovandosi di fronte un detective piuttosto
impegnato.
Si sta allungando dalla propria postazione verso il comodino
dell’altro, a
pochi centimetri da un sacchetto di caramelle gelèe alla
frutta.
«Raito-kun,
un incubo?» chiede senza guardarlo,
tornando poi a sedere sul
materasso con il suo trofeo.
«...».
Ryuzaki si volta
a guardarlo, chinando la testa di lato.
«Hai
bisogno di un abbraccio?» chiede, incolore.
«Non
credo» si tira a sedere Yagami, recuperando
una bottiglietta d’acqua da
sotto il letto. «Normale amministrazione».