“Cappellaio, stringimi la
mano.”
Il palmo del suo braccio sinistro sgusciò fuori
dalla federa del cuscino e si
pose, aperto,
tra le pieghe del lenzuolo turchese.
Non temeva di offrire a Tarrant
le linee spezzate della sua vita, anche
se avrebbe dovuto. Forse.
Offriva quel poco che rimaneva di se stessa, una mano tremante, a delle
dite avvolte da cerotti
rossi e nastrini blu.
I suoi ricci biondi coprivano il sorriso di Tarrant e
riuscivano a rendere obliquo il
suo viso. Cascavano a solleticarle la clavicola scoperta e il seno
stretto in
un corsetto. Crollavano in mezzo a loro e si insinuavano nei loro
cuori, simili a granelli di polvere di stelle.
Lo osservò stupirsi e meravigliarsi. Con gli occhi verdi che
diventavano grandi e
grandi e grandi. I loro polsi si incontrarono in uno
scontro leggero e le
loro dita si intrecciarono - avvolgendo
ogni spazio svuotato dagli incubi e
dagli spaventosi timori che logoravano entrambi.
In silenzio, timorosi del buio soffuso delle candele mangiucchiate
dalla cera che
continuava a colare lungo i bordi dei dischetti dorati dei vecchi
candelabri.
“Stringimi la mano”, gli disse e poi
abbassò lo sguardo.
Palmo contro palmo erano una conca naturale di dite aggrovigliate e di
avambracci adagiati, una
vena sull’altra, e di ossa incastrate - quasi aggrappate
- ai tendini di un altro corpo. Il Cappellaio Matto biascicò
una domanda mentre
il suo sguardo assumeva le sembianze di un paesaggio tanto opaco e
tanto distante.
“Perché?”, le chiese, senza mai smettere
di stringerle la mano.
“Questo letto è troppo piccolo. Ho paura di
cadere.”
La sua risposta era una bugia. Sistemandosi a fatica sul fianco destro
si
chiese cosa sarebbe stato giusto dirgli.
Ti voglio vicino. Ti
voglio in ogni senso.
Qualcosa che si agitava tra i suoi pensieri colorati e che si addensava
nel suo
ventre. Prendimi.
Sarebbe stato bello trasformarsi e costringersi a scomparire. Si
scostava, con orrore, dai
suoi stessi desideri e da ogni suo sogno.
La mia pelle brucia e
brucia e brucia.
Nascose il viso tra le stoffe e maledisse la sua stupidità. Amami di più.
Piegò le cosce
verso il suo stomaco contratto in una morsa di guanti e di lustrini che
rovistavano dentro di lei e scombinavano gli organi e le zuccheriere
dispettose. Si mise a borbottare contro il cuscino e si credette una
teiera
bisognosa di attenzioni. Buffa
buffissima.
Schiuse le ciglia - incapaci
di salvarla dalle situazioni incresciose - e
scorse il Cappellaio piegato verso le sue labbra.
Baciami.
Tarrant stava osservando il modo in cui si era raggomitolata nel suo
stesso
corpo. Lui sollevava le sopracciglia in un gesto talmente tanto
familiare da
ucciderla con un colpo immerso nel suo torace. La sciolse in tante
dolci
zollette di zucchero condite con riflessi purpurei
e scaglie d’argento. Si
disgregò in mille giravolte e calpestò i lacci
delle sue scarpe al confine di
una botola oscura. Scelse di lasciarsi cadere in un abisso immenso e
adornato
da scheletri di ragazzine senza senno.
Stava cadendo ancora. Non
pensava di aver mai smesso di farlo.
“Non è brutto cadere. Io lo trovo
divertente.”
Parole sussurrate sulla sua guancia e gettate su un percorso di mattoni
dorati.
La spinsero a sollevare il capo dal cuscino e a ritrovare la via di
casa
aggrappandosi alle braccia del Cappellaio e alla sua immensa schiena.
Si protese
verso le cicatrici di Tarrant e comprese che altro non erano se non il
riflesso delle sue.
“Non per me. Io cado e mi ritrovo in un altro mondo. In
un’altra realtà.”
Lui osservava un orizzonte tenebroso oltre i vetri scuri delle
finestre, allontanandosi bruscamente dal suo abbraccio. Comprese che
Tarrant cercava il
senso delle sue parole.
In questo modo era esclusa dalle sue memorie e dai suoi ricordi
spezzati.
Si sporse a guardare il modo in cui i suoi occhi erano intrecciati al
vuoto
cosmico. Lo contemplava pensieroso - un abisso che era in grado di
separarli e
di provocarle un’intollerabile sensazione di abbandono.
Non tollerava l'infinità solitudine in cui la
relegava.
Tutto insanabile.
Voleva scuoterlo e chiamarlo a gran voce, dire il suo nome costeggiando
gli angoli dell’estremità del mondo. Rubare i
secondi di ogni singola apocalisse cosmica e crearsi una nuova
esistenza senza dolore e silenzio. Ma non ce ne fu bisogno. Il
Cappellaio avvicinò
il mento contro la sua guancia e si rivolse a lei con sillabe della
stessa
corposa consistenza del sale.
“Tu inciampi e stai ancora correndo. Le ginocchia cedono e tu
stai
ancora camminando. Consumi il terreno in un modo o
nell’altro. Perché non ti
piace? È divertente.”
Gli mostrò il modo in cui le dita si erano intrecciate tra
loro e il suo cuore
ebbe un sussulto.
“Potrei scomparire di nuovo.”
Non voglio perderti
ancora.
Vocali e consonanti uscirono dalla sua bocca come bottoncini rotti e
scuciti da
un cappotto impossibile da rammendare. Le scossero il petto che si era
piegato
all’indietro a causa di una morsa di pianto. Si
mangiò le labbra e inspirò dal
naso. Era estenuante bloccare un lamento che gorgogliava da un punto
imprecisato della sua gola e che nasceva dai recessi delle sue ossa
stanche. La
sua mente contrasse un urlo spaventoso che tentava di sgorgare dai suoi
occhi.
Un urlo che si sarebbe riversato su tutte le strade del Sottomondo e
che si
sarebbe insinuato in ogni specchio - in ogni ombra.
Qualcosa che lei non avrebbe permesso che accadesse. Non di nuovo.
La sua testa era stremata dallo sforzo di contenere il dolore e le sue
unghie
erano immerse nella mano fasciata di Tarrant. Lui si mosse, adagio.
Guancia
contro guancia.
Le dita intrecciate in mezzo ai loro petti.
“Cadi mentre cammini. Muori mentre ami. Sei lontana da me e
talmente tanto
vicina da sembrare reale.”
La malinconia si ingigantì tra le ossa del suo sterno e tra
le sue costole. Le
mescolava i silenziosi percorsi delle sue vene rossicce. In un istante
il cielo
della stanza da letto assunse l’aspetto di una notte senza
sogni e senza
desideri. Tra i riccioli rossi del Cappellaio riuscì a
intravedere porzioni di
galassie, le stelle mute e impassibili, dei sassi splendenti che
rotolavano
su una spiaggia dimenticata. Riportarono alla sua mente strane immagini
e
strane realtà: tingere
i chicchi di riso come perle nere mentre si strappano i
veli di una sposa infedele
e si buttano anelli dorati in un pozzo profondo. Lei
correva sul ciglio di un burrone alla ricerca del proprio riflesso e
nel
disperato inseguimento di una superficie riflettente in cui gettare il
suo
corpo e il suo cuore a pezzi. Diviso tragicamente a metà.
Ti amo,
aveva pensato.
Ti amo e voglio vivere
con te.
Ti amo, Tarrant. Ti amo
e non respiro lontana da te, non respiro più.
(Basta, basta. Dimentica.)
Immersa nel caldo cuscino delle sue riflessioni si accorse di riuscire
ad
allontanare la tristezza con un semplice gesto.
(Nascondi. Chiudi. Porta via.)
Lei sollevò le ciglia.
Un movimento infinitesimale, di lieve spostamento d’aria e
gocce di secondi,
che apriva la sua mente e liberava il suo cuore. Quel piccolo grumo di
pigmenti
rossi e battiti persi, di ali azzurre di falene e di altezzosi
colibrì. Un
formicolio nel suo petto sfarfallò e nelle sue orecchie si
propagò il suono di
un fischio. I muscoli cominciarono a pesare e le ossa ad assumere una
consistenza di favola della buonanotte e di storie belle raccontate
sulla
fronte calda dei bambini. Cercò conforto in Tarrant,
nascondendosi contro il
suo collo e sotto il suo mento, incastrandosi tra le sue braccia e le
sue
gambe.
“Quando mi crederai? Quando mi guarderai e saprai che sono
qui e che non sono
un sogno? Quando?”
La sua voce aveva un retrogusto di tormento e di assurda
infelicità. Inspirò il
buono odore della sua camicia pulita e immerse il naso tra le stoffe.
Espirò e sentì
sulle labbra il cuore del Cappellaio Matto. Non c’era magia
dentro di lei. Non
riusciva a rimarginare le sue delicate ferite e a colorare i suoi
lividi neri.
Ma come avrebbe potuto?
Non riusciva neppure a immaginare i suoi tormenti e non era in grado di
placare
l’immensa sofferenza che continuavano ad infliggersi.
Non erano mai riusciti a
notarlo?
La loro sincerità era cruda. La realtà da cui
fuggivano assumeva le sembianze
di cerchi concentrici. Da lì rimanevano assenti i bei sogni,
le facce pulite, i
ciechi orizzonti. Doveva
dirglielo.
“Tarrant...”
Doveva dirgli che il
loro sole splendeva anche nell’abisso più profondo.
“Alice. Sento vuoto. Mi volto verso di te e mi sembra di
cadere all’ultimo
gradino. Sei assenza. Tu non ci sei. Credo che siamo entrambi
morti.”
Quelle parole fermarono l’arrovellarsi impazzito dei suoi
pensieri ed ogni
verità che avrebbe voluto rivelargli. Il suo mondo era
spezzato come le
linee delle sue dita che continuavano ad avvolgersi tra i ramati
capelli di
Tarrant.
Un amore che scivolava dalle sue mani e che si forgiava intorno ai suoi
polsi.
Un accecante piacere che stringeva il tremito dei suoi nudi polpacci.
I ricordi non ebbero più pietà della sua dolce
anima che avrebbe tanto
desiderato affogare tra i raggi di sole.
(Almeno un’ultima volta. Prima di abbandonare se stessa nelle
correnti dei mari
e degli oceani mai esplorati da nessun essere umano dotato di
raziocinio)
Soltanto una folle ragazzina si era buttata in quelle acque. Caduta da
un alto
precipizio come una bambola con dei fili usurati. In superficie non era
mai più
tornata.
E perché nessuno l’aveva mai più vista?
Perché?
Morta e mangiata dai
pesci,
alcuni stoltamente raccontavano.
Giochi di specchi,
Alice sussurrava adesso all’orecchio sinistro del Cappellaio
Matto.
Di vetro o di acqua,
basta che sia uno specchio. No?
La sua bocca scivolò su quella di Tarrant. Lui continuava a
parlare tra i suoi
baci.
“Ma io credo che l’amore sia come la
morte.”
Guardava inerme il soffitto della stanza. Le sue vertebre sfrigolarono,
una dopo
l’altra, e una scossa elettrica attraversò le sue
scapole - ali spiegate
di
candidi cigni che desideravano volare e che erano stati puniti.
“Come puoi dire una cosa del genere?”, gli
domandò, e poi gli baciò il mento.
“La morte è un abbraccio simile
all’amore. Non bisogna aver timore.”
Pur non volendolo - non
avendolo mai desiderato - questa strana creatura
assomigliava alla loro storia.
E lei era stanca.
“Contiamo le stelle. Catturiamo ogni cometa. Cantiamo le note
dei ricordi
belli.”
Lo avrebbe distratto. Baciò Tarrant con un trasporto
disperato mentre i capelli di entrambi si
intrecciavano in onde elettriche. Tempo prima lui aveva mormorato alle
sue orecchie che non esistevano stelle
cadenti.
In realtà
è neve che si ostina a rincorrere le punte luminose degli
astri.
Poi aveva guardato i suoi capelli, immergendo le dita e le mani fino
alle linee
dei polsi, e aveva detto che sicuramente qualche stella doveva essere
rimasta
intrappolata tra i suoi nodi.
Ecco perché
sono tanto biondi, tanto luminosi, anche nelle notti più
buie. Le
stelle, Alice, le stelle!
L’istante in cui aveva trovato la sua nuca si era dimenticato
di tutte le
stelle e le costellazioni dei mondi paralleli.
Lui l'aveva baciata.
Percorrendo il profilo del suo collo si era fermato a contemplare le
sue
clavicole e aveva mormorato qualcosa sulle sue ossa. Ossa di diamanti e rubini,
care e preziose. Un tesoro inestimabile. Lo aveva scosso
nel profondo. Si era fermato - aveva
dovuto fermarsi - mentre Alice aveva continuato a
baciargli il viso e a cercare altra pelle.
Da toccare, bramare, accarezzare.
Tarrant aveva negato il suo sguardo e l’aria
aveva assunto le sembianze di spilloni bianchi in grado di puntellare
la sua
anima infinitamente triste.
Si era sentita
sbagliata e inadatta.
Aveva smesso di muoversi e di proferire parola fino al momento in cui
il
Cappellaio non le aveva mostrato una ciotola di grappoli di
uva rossa e di
ciliegie. Le aveva chiesto di mangiarle insieme e le aveva dipinto il
viso.
Lei aveva compreso.
.E non avrebbe più avuto paura.
"Cercare di avere il tuo cuore è come desiderare di
catturare una stella. Una pazzia."
Non sapeva chi aveva pronunciato le ultime parole. Le aveva percepite
in ogni punto dentro se stessa ed erano scivolate nella sua testa
tramite note e suoni.
"Alice, sei nostalgia. Sei rimpianto. Forse hai ragione,
forse siamo vivi."
Un giorno mi hai detto
di amarmi. Mi ami ancora?
Certo. Ti amo tanto.
Allora non mi importa
niente altro.
"L'importante è che sia con te."
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Mi piacerebbe tanto sapere le vostre opinioni su questa storia, le vostre interpretazioni. Pensavo di abbandonarla, ma alla fine eccola qui. Spero davvero vi sia piaciuta, io voglio lasciare libere le vostre idee su questo mio scritto che per me ha una motivazione particolare. Grazie, a presto :)