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Autore: settembre17    29/06/2021    5 recensioni
Perché non volano schiaffi e lembi di camicie così, di punto in bianco.
E aveva ragione quello che diceva che il cuore umano è un “guazzabuglio”.
Il capitolo 2 non è una prosecuzione dell’1 ma un suo arricchimento. Ciascuno dei due capitoli prende senso dall’altro.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi sono di Ryoko Ikeda e non mi appartengono.


Ringraziandovi per il vostro incoraggiamento, ci riprovo. Un saluto a tutti.
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1. Normalità?

Lei si aggirava nel parco di casa, sorpresa di non trovarlo dopo che proprio lui l’aveva invitata a fare una cavalcata insieme. Lo chiamava e non otteneva risposta: incominciava ad avvertire una crescente irritazione.
 
Lui l’aveva sentita, l’aveva sentita. Ma aveva bisogno di un istante solo, poi sarebbe stato ancora una volta al suo fianco. Era così difficile fingere la normalità ora che aveva visto il buio. Spietato e improvviso l’aveva colto a tradimento, ormai più di una volta, e lui aveva tremato al pensiero di una possibile permanente oscurità. Lei, era naturale, non sospettava nulla. Avrebbe potuto? Lui era molto bravo a dissimulare, e lei era troppo presa da altre cose, da altre persone.
Ancora pochi metri e l’avrebbe raggiunta; passo dopo passo sistemava i pezzi di sé per tornare al suo solito, rassicurante aspetto. Quando le arrivò davanti pareva l’uomo di sempre, gli riuscì persino di accennare un rapido sorriso, ma dentro una strana furia inquieta e sconosciuta si stava impossessando dei suoi pensieri. Nemmeno rivedere i tratti tanto amati placò quello stato di tensione, che anzi si accentuò e prese forma nel gesto secco con cui si pulì la coscia da una polvere immaginaria.
 
Lei aveva indossato la giacca dell’uniforme sopra gli abiti civili: lui lo registrò come un brutto segno. Aveva anche uno sguardo inquisitore e il tono della voce leggermente infastidito. Capitava spesso ultimamente.
 
- Ma dove eri finito? Dai, andiamo, ho voglia di cavalcare. Oggi è stata una giornata pesante alla reggia.
- Preparo i cavalli. Mi è sembrata una giornata come tutte le altre, comunque, a corte.
- Certo, per te, lo è stata. Io invece sono sempre circondata da damerini incapaci, soldati troppo obbedienti e ossequiosi e cortigiani pettegoli. E oggi erano tutti in fermento per non so quale spettacolo teatrale… Basta, non importa. – Tagliò corto nervosamente.
 
 
Lui le passò davanti senza guardarla ed entrò nella scuderia.
Mentre sellava i cavalli, lei gli rivolse la parola dalla porta d’ingresso. Aveva sempre nella voce quel tono impersonale e vagamente infastidito. E non lo guardava.
- Vai ancora a quegli incontri?
- No, non sono più andato.
- Non sei più preoccupato per la sorte degli aristocratici? Del resto, fai bene: tu non sei nobile. Puoi stare tranquillo e vivere felice e contento.
- Felice e contento - Bisbigliò lui mentre provava a compiere i soliti gesti ma ad occhi chiusi.
Lei proseguì, imperterrita.
- Voglio allenarmi di più. Ultimamente non faccio altro che andare a balli e pattugliare aiole e giardini della reggia. Domani ricominciamo ad allenarci; e preparati, perché ho intenzione di fare sul serio.
 
 
Prese le redini senza toccargli le mani, poi scandì:
- Seguimi, ho deciso dove andare.  
Aveva ancora quella voce, la voce che si è spogliata dei sentimenti.
 
Galopparono a lungo, ciascuno chiuso nel suo silenzio.
Arrivarono infine a un posto noto: una radura con un piccolo lago.
Nella voce di lei tremò per un attimo un calore diverso:
- Saranno vent’anni che non veniamo qui.
- Mi pare più piccolo di come lo ricordavo. – Anche a lui l’ultima sillaba tremò sulle labbra e si spense prima di essere pronunciata. Deglutì.
 
- Scendiamo e facciamo riposare i cavalli. Voglio stendermi e non pensare a niente.
Eccolo di nuovo, quel tono fintamente neutro ma in realtà infastidito.
Lei si sdraiò e chiuse gli occhi. Lui si sedette un po’ distante e poi cercò di mettere a fuoco una fila di formiche che si snodava vicino alla sua mano aperta sul prato.
Lei strappava nervosamente ma ritmicamente l’erba con le dita.
 
 
- Sei silenzioso. Più del solito.
- Mi pare che tu non voglia parlare.
- È vero, non voglio.
 
 
Lei si toccò con la mano lo stemma nobiliare che portava al petto. Lo accarezzò distrattamente, ne seguì il contorno con le dita e poi aprì gli occhi aggrottando le sopracciglia. Sollevò leggermente la schiena appoggiandosi sui gomiti.
 
 
Si accorse che lui si era alzato e che si era diretto verso il lago.
Lui le dava le spalle e guardava la superficie dell’acqua che rifletteva il suo sguardo a metà.
I capelli sull’occhio, doveva abituarsi ancora al suo aspetto. Quella mattina a corte una contessa gli aveva mostrato uno sfacciato apprezzamento per il suo nuovo volto. Si era sentito nauseato.
 
Portando le mani alla nuca allargò i gomiti e rimase in piedi a fissare un punto indefinito davanti a sé. Poi chiuse gli occhi contraendo dolorosamente le sopracciglia.
 
 
 
Si alzò di scatto, lei. Gettò a terra la margherita che fino a quel momento aveva torturato tra le dita senza nemmeno accorgersene.
-Torniamo a casa. È tardi.
Ora la voce le era uscita davvero infastidita, era chiaro.
- Come vuoi.
Si voltò verso di lei, trattenne una parola sulle labbra e poi si diresse verso i cavalli.
Lei, rimasta in piedi ferma, lo osservò con lo sguardo accigliato.
 
 
Le porse le briglie e montarono a cavallo. Poi lei andò avanti, come sempre, verso casa.
   
 
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