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Autore: JulesB    08/07/2021    2 recensioni
Bakugo e Midoriya sono eroi professionisti e i loro sentimenti l'uno per l'altro sono ancora presenti, inespressi. Ma qualcosa deve cambiare, la situazione ha bisogno di cambiare. Non senza molte incomprensioni e stupidità. Ma loro sono Kacchan e Deku: andrà tutto bene.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Shouto Todoroki
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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“Stupido nerd,” sibilò Katsuki con un ghigno infastidito e furioso che gli metteva in mostra i denti.

Erano passati solo pochi mesi da quanto erano diventati pro-heroes, ma Deku non aveva smesso di cacciarsi nei guai. E Katsuki non aveva smesso di correre in suo aiuto. Non lavoravano per la stessa agenzia di eroi, Katsuki aveva deciso di dare mostra del suo incredibile talento da solo, ma non riusciva a capire perché era sempre coinvolto con gli affari di quel nerd. E Shoto.

“Kacchan, attento!”

L’urlo di Deku raggiunse le sue orecchie e Katsuki si risvegliò dalla sua temporanea disattenzione. Mosse velocemente il palmo della mano davanti a lui e rilasciò una serie di piccole esplosioni, che immediatamente mandarono al tappeto quel nemico dal quirk strano che stava combattendo.

Il villain, però, si rialzò immediatamente con un salto e si lanciò in avanti, rilasciando piccoli dischi affilati dalla punta delle sue dita, mirando direttamente al volto di Katsuki.

Katsuki si spostò prima a sinistra, poi a destra, e fu in grado di deviare quello strano attacco, anche se uno di quei piccoli dischi lo colpì di striscio al fianco, tagliandogli il costume e recandogli non più che un graffio. Un verso basso e gutturale uscì dalla gola di Katsuki: era stanco di quell’insetto che continuava ad attaccarlo, non capendo che non aveva nessuna chance contro di lui. Katsuki corse in avanti e urlò “muori!”, chiudendo i polsi l’uno contro l’altro. Rilasciò una forte esplosione che colpì il volto del nemico, facendolo collassare una volta per tutte. Senza perdere altro tempo prezioso, stanco e spossato, Katsuki atterrò senza grazia sul petto del villain, bloccandolo.
Poco più in là, anche Deku aveva sconfitto l’altra villan ed era riuscito a bloccarla. La polizia arrivò non molto tempo dopo, prendendo custodia della coppia e liberando i due eroi.

Katsuki si avvicinò a Deku, l’angolo destro della sua bocca si sollevò in un ghigno strano. Katsuki notò alcune gocce di sudore cadere lungo la tempia di Deku; percorsero lentamente la sua soffice guancia e la fecero brillare sotto i raggi del sole che colpivano il volto di Deku. Katsuki istintivamente sollevò una mano guantata per asciugargli le gocce, ma riuscì a fermarsi prima di compiere quell’insano gesto.

Chiuse la mano a pugno e lo lasciò fermo vicino al suo fianco, sperando che Deku non lo avesse notato. Inspirò a fondo per cercare di calmare la tempesta nel suo cuore, e poi allentò il pugno, placando la sua stessa mano e appoggiandola sul suo fianco, proprio dove un momento prima il villain gli aveva tagliato il costume. Se Deku avesse notato quell’insignificante dettaglio, che non preoccupava neanche lo stesso Katsuki, non lo avrebbe lasciato andare. E Katsuki non aveva bisogno delle sue premure e delle sue attenzioni.

“Sono stanco di salvarti il culo ogni volta,” sbuffò Katsuki, e spostò lo sguardo dal profilo di Deku per concentrarlo altrove, sulla folla di persone che si erano radunate e che la polizia stava cercando di contenere. Lui e Deku erano due giovani che erano appena diventati eroi professionisti, i civili erano affamati della loro fama, della loro nuova gloria.

“Oh, Kacchan,” rispose Deku scuotendo il capo, l’ombra di un sorriso corse velocemente sul suo volto sporco e stanco.

Katsuki sbuffò e incrociò le braccia al petto. Moriva dalla voglia di chiedergli cosa significasse, cosa significasse il suo nome pronunciato in quel modo. Per caso Deku era stanco di lui? Stanco di averlo attorno? O forse la fatica che aveva sentito nel suo basso tono di voce non aveva niente a che vedere con il fatto che Katsuki fosse lì, ma più con la stanchezza e i muscoli tesi e scossi da quella lunga, estenuante battaglia.

Katsuki si diede mentalmente dello stupido. Era chiaro che quello fosse il motivo, e nient’altro. Anche se Deku aveva tutte le ragioni del mondo per essere stanco di lui, perché persino Katsuki non si era aspettato di essere ancora legato a quel tuono verde dopo essersi diplomato alla UA.

A poco a poco, la folla di persone curiose e i giornalisti se ne andarono, lasciando soli i due eroi. La giornata si era conclusa, ma Katsuki non voleva ancora lasciare Deku. Era troppo presto per salutarsi, perché non sapeva quando lo avrebbe visto di nuovo.

“Ehi,” lo chiamò Deku. “Vuoi andare a bere qualcosa,” continuò l’eroe, ignaro del modo in cui stava facendo battere forte il cuore di Katsuki a quella richiesta, “con me e Shoto?”

Katsuki trattenne uno sbuffo infastidito, quasi strozzandosi. “Ho cose da fare, nerd,” rispose velocemente. Gli diede le spalle e iniziò ad allontanarsi da quell’area, distrutta e devastata dai recenti avvenimenti, dove una bellissima fontana stava nel centro di una piazza, immobile e demolita, spettatrice e vittima delle loro azioni, ma Deku lo tallonò e Katsuki poté sentire la sua presenza alle sue spalle. Il respiro di Deku sul suo collo lo fece fremere e i suoi capelli biondi alla base del collo si rizzarono, lasciandolo senza fiato per un fugace secondo.

“Neanche cinque minuti?” chiese di nuovo Deku, non mollando la presa. Il tono della sua voce si era addolcito, anche se non riusciva a nascondere la sua stanchezza.
“Ho cose da fare con Kirishima.”

Ovviamente, era una bugia. Katsuki non aveva nulla in programma per quella sera, ma era meglio che uscire con Deku e il suo fidanzato, anche se i due non avevano detto apertamente niente sulla loro relazione. Un paio di occhiate erano state abbastanza per Katsuki per capire che c’era qualcosa tra di loro, che stavano nascondendo qualcosa dietro alle loro battutine e ai loro stupidi sorrisi. Non era così stupido.

“Potete venire entrambi,” cercò di persuaderlo Deku, ma non ci riuscì. Katsuki si fermò bruscamente e Deku si ritrovò spiaccicato contro la schiena di Katsuki. Katsuki tremò per un secondo a quel contatto involontario e veloce.

“Ti ho visto anche troppo per oggi,” fu la risposta brusca di Katsuki. Si voltò e si incamminò di nuovo, ma questa volta velocizzò il passo.
Deku non lo seguì, però, e restò a guardare il suo amico andarsene. Katsuki sentì un nodo in gola, ma non riuscì ad ingoiarlo. La sua gelosia era sciocca e ingiustificata, non aveva alcun diritto. Non solo verso Shoto, con il quale era sempre stato amico, ma specialmente con Deku. Katsuki non era nessuno per sentirsi tradito e abbandonato, non quando lui aveva fatto la stessa cosa così tanti anni prima. Un peso che portava costantemente sulle sue spalle e che giorno dopo giorno sembrava affossarlo sempre di più. Sarebbe mai riuscito a fare ammenda per il sé del passato?

Katsuki si affrettò a tornare al suo appartamento. Quando arrivò, si tolse il suo costume sporco, non sprecando altro tempo prima di gettarsi sotto una doccia fredda.
Quell’incessante cascata riuscì a sciogliergli un po’ i muscoli e a ridargli vigore, ma non fu abbastanza. Katsuki continuava a vedere nella sua testa Deku e Shoto in giro per locali, vestiti di tutto punto, ridere e scherzare, completamente ignari di come si sentisse Katsuki, per niente perseguitati dal fatto che il trio si era diviso dopo la scuola, qualcosa per la quale Katsuki ogni tanto aveva gli incubi. Nei suoi sogni, vedeva quei due tenersi per mano e allontanarsi da lui; nei suoi sogni, tutto quello che Katsuki vedeva erano le loro schiene che si allontanavano sempre di più.

Frustrato dalla situazione, si avvolse disordinatamente un asciugamano in vita e non si preoccupò di asciugarsi i capelli, che si appiccicarono sul suo collo. Gocce caddero dalle sue ciocche bionde, scivolando lungo la sua schiena muscolosa e ben definita, e si fermarono alla base della schiena, catturate dall’asciugamano.
Afferrò il suo cellulare e chiamò Kirishima, che rispose dopo soli due squilli.

“Bakubro!” Katsuki lo sentì urlare dall’altro capo del telefono. Istintivamente spinse lontano da sé il cellulare e si accigliò, infastidito non solo dall’orribile nomignolo che Kirishima aveva urlato nel suo orecchio, ma anche dal rumore che sentì in sottofondo.

“Dove diavolo sei?” ringhiò Katsuki e si affrettò verso la sua camera da letto.

“Io e Kaminari siamo in questo pub fighiiiiissimo,” urlò di nuovo il suo amico e Katsuki riuscì chiaramente a sentirlo nonostante avesse lanciato il cellulare sul suo letto, senza nemmeno mettere il vivavoce. “Raggiungici!”

Katsuki considerò l’invito per qualche secondo e prese la decisione quasi d’impulso. “Ok! Ci vediamo al massimo tra mezz’ora. Non andatevene!” si raccomandò loro Katsuki, perché quei due avevano l’abitudine, la brutta abitudine, di cambiare piano in un istante.

Katsuki chiuse la chiamata e sospirò, passandosi una mano sul volto e scacciando quella sensazione di insoddisfazione che provava. Non sapeva in che tipo di pub Deku e Shoto solitamente frequentavano, ma era piuttosto sicuro che non avevano gli stessi gusti di quei due eroi pazzi che aveva come amici. Pensò che si meritava una notte fuori invece di piagnucolare sul divano, pensando alla sua miserabile vita e a Deku. Aveva bisogno di uscire, bere qualcosa, e soprattutto chiedere a Kirishima cosa avrebbe dovuto fare.

Katsuki glielo aveva già chiesto molte volte e in ogni occasione Kirishima era stato solidale, una spalla eccellente che lo assecondava a ogni piagnisteo, ma Katsuki si chiese per quanto tempo il so migliore amico potesse ancora reggere quella situazione. Sperò almeno ancora un po’, dopo tutto Katsuki aveva solo bisogno di un po’ di tempo per togliersi quel nerd dalla testa.

Più facile a dirsi che a farsi.
 
~
 
Izuku cercò di farsi strada tra la folla, scusandosi con tutte le persone con le quali si scontrava. Quando Shoto gli aveva chiesto di uscire quella sera, Izuku non pensava che Shoto lo avrebbe portato in quel locale. Solitamente frequentavano posti più tranquilli, dove potevano sentirsi parlare senza essere costretti a urlare e dove spesso incontravano anche i loro ex compagni di classe della UA. Izuku non riuscì a capire come mai proprio quella sera tra tutte Shoto aveva deciso di cambiare la loro destinazione. Kacchan sapeva dove lui e i suoi amici andavano ogni volta che ne avevano occasione, ma in quel modo se Katsuki avesse cambiato idea non sarebbe riuscito a raggiungerli. Come avrebbe saputo dove trovarli?

Izuku si scontrò contro la schiena di un ragazzo molto più alto di lui, schiacciando il suo naso proprio tra le scapole del ragazzo. Fece un passo indietro, dispiaciuto, e iniziò a balbettare scuse confuse, ma il ragazzo, che si era voltato e ora lo squadrava da cima a fondo, chiaramente non riusciva a sentirlo. Izuku si inchinò goffamente e poi si affrettò a raggiungere il tavolo che Shoto aveva già occupato, cercando di ignorare l’imbarazzo che aveva iniziato a tingergli le guance di rosso. Era la seconda volta quel giorno che andava a sbattere contro la schiena di qualcuno.

“Izuku,” disse con calma Shoto, spostando la sedia da sotto il tavolo per farlo sedere accanto a lui. “Stai bene? Ho visto che ti sei scontrato con Inasa.”
“Chi?” chiese Izuku, cercando con lo sguardo il ragazzo dalla testa rasata e con la schiena grande quanto un armadio.

“Mi odia,” disse Shoto, ignorando completamente la domanda di Deku, e posò gli occhi su quel ragazzo massiccio. Oh, pensò Deku, e prese distrattamente quello che Shoto aveva già ordinato per entrambi, ecco perché siamo qui. “Non so perché, ma mi odia,” continuò Shoto, “e lo so perché me lo ha detto lui.”

Izuku si strozzò con il suo drink e iniziò a darsi dei colpetti al petto con il palmo, una lacrima scappò dai suoi occhi mentre tossì. “Cosa vuol dire che te lo ha detto lui? Quando?”

Shoto scrollò le spalle, la sua solita espressione imperturbabile sul volto, anche se Izuku sapeva che sotto quella maschera una serie di pensieri intrusivi stavano vorticando dentro di lui. “Qualche giorno fa,” iniziò a spiegare Shoto, poi finalmente si voltò a guardare il suo amico. “Ero in un altro distretto e all’improvviso è spuntato questo villain. Inasa si è materializzato accanto a me e abbiamo iniziato a combattere insieme. Dopo che la polizia ha arrestato l’uomo, Inasa mi ha detto che non mi sopportava.”

Izuku osservò con attenzione il volto dell’amico, notando un velo di tristezza e confusione nel suo sguardo. Chiunque li avesse visti avrebbe pensato che Shoto fosse particolarmente tranquillo, come al solito, ma Izuku lo conosceva meglio di chiunque altro. “Ti ha detto che non ti sopporta.”

Non era una domanda, era un’affermazione e Izuku non dubitò per un istante della sincerità delle parole di Shoto. Era strano per il suo amico restare così scioccati per qualcosa come quello, addirittura raro riuscire a vederlo nella sua espressione. Izuku, tuttavia, non era preoccupato per lui, perché Shoto era il tipo di ragazzo che riusciva meglio di chiunque altro in ogni situazione, di fronte a qualsiasi sfida.

“E quando –“

“Gli chiederò perché e gli farò cambiare idea,” rispose Shoto, senza lasciare il tempo a Izuku di parlare.

Izuku sorrise e annuì, sapeva che niente avrebbe fermato la sua determinazione a risolvere anche quella piccola cosa, che per Shoto era diventata seccante.
Izuku gli stava per chiedere quale fosse il suo piano, se avesse potuto aiutarlo in qualche modo, ma la sua bocca rimase mezza aperta dallo shock: Kacchan stava camminando tra la folla, proprio come aveva fatto Izuku dieci minuti prima.

Era impossibile che Kacchan sapesse dove fossero, piuttosto era probabile che lui e Kirishima frequentassero quel posto, anche se Izuku non avrebbe mai sperato di vederlo lì. Quel pomeriggio Kacchan gli aveva detto che aveva cose da fare, e Izuku gli aveva creduto senza sbatter ciglio, ma non poteva negare che si era sentito triste. Se fosse stato per lui, avrebbe trascorso ogni minuto del suo tempo con il suo Kacchan, ma sapeva che il suo vecchio amico aveva bisogno di spazio e che spesso quello non lo includeva. Izuku non pensava di essere geloso, perché tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice era vedere Kacchan, anche se Kacchan era circondato da altra gente, ma… qualche volta voleva poter restare da solo con lui. E le uniche occasioni che aveva trovato dal diploma erano le battaglie occasionali.
Izuku spesso poteva cavarsela da solo, in alcune occasioni l’intervento e l’aiuto di Dynamight non era strettamente necessario, ma altre volte era solo il bisogno di vederlo, perché troppo tempo era passato dall’ultima volta. Come quel pomeriggio. Non aveva avuto davvero bisogno dell’aiuto di Kacchan, ma erano passati troppi giorni dall’ultima volta che si erano visti e quella era l’occasione perfetta per chiedergli di uscire quella sera: celebrare insieme la vittoria di quello scontro. Ma Kacchan aveva rifiutato e Izuku non aveva potuto farci niente. Ma il destino si era piegato al suo volere, a quanto pareva, perché Kacchan era lì. E Izuku ne era estremamente felice.
“Kacchan,” sospirò, interrompendo qualunque cosa Shoto stesse dicendo.

Il suo amico seguì il suo sguardo, finché non raggiunse il dettaglio che aveva catturato la sua attenzione. Kacchan stava sogghignando, con una mano appoggiata sulla spalla di Kirishima, e per Izuku non c’era niente di più bello al mondo.

Izuku non sapeva se chiamarlo, attirando la sua attenzione agitando un braccio, perché quel pomeriggio Kacchan si era rifiutato di uscire con loro. Izuku non voleva disturbare la serata di Kacchan con i suoi amici, non voleva costringerlo a fare qualcosa che chiaramente non voleva.
Ma a quanto pareva Shoto non la pensava come lui, perché prima che Izuku potesse registrare il movimento di Shoto, si era già alzato e aveva raggiungo il gruppetto formato da Kacchan, Kirishima e Kaminari.

Izuku sentì le guance bruciare e il suo cuore velocizzò i battiti, e la situazione peggiorò quando Kacchan intrecciò il suo sguardo con il suo. Kacchan sembrava essere annoiato dalla sua presenza, persino arrabbiato, e Izuku cercò di sciogliere il nodo che si era formato nella sua gola e che gli fece tremare il respiro.
Kirishima si voltò verso il loro tavolo e salutò con un gesto della mano Izuku, la sua faccia spigolosa era decorata dal suo solito gioioso, felice sorriso. Il gruppo presto lo raggiunse, con Shoto che tornò tranquillamente al suo posto al tavolo.

Izuku cercò di ignorare la presenza di Kacchan. Era in piedi mentre tutti gli altri si erano già seduti. Si guardarono negli occhi per un periodo di tempo che Izuku credette infinito e che ebbe la capacità di smorzare tutti i rumori che li circondavano.

Finalmente, Kacchan prese posto, proprio di fronte a lui, e Izuku fu grato del fatto che era riuscito a interrompere quell’incomprensibile scambio di sguardi, anche se le loro ginocchia si scontravano continuamente sotto il tavolo e che quasi lo facevano sussultare. Izuku non voleva trasalire ad ogni tocco accidentale, non voleva desiderare le labbra di Kacchan sulle proprie, non voleva sentire quelle dita callose su di lui. Se avesse potuto, Izuku avrebbe cambiato quella situazione, perché il modo infastidito con il quale Kacchan lo guardava, l’indifferenza con il quale lo trattava, erano una risposta piuttosto chiara verso i suoi sentimenti.

Durante la serata Izuku aveva prestato poca attenzione ai vari argomenti di discussione, le chiacchiere e le risatine. La sola presenza di Kacchan era un deterrente abbastanza solido che richiedeva la sua totale attenzione, nonostante il fatto che Kacchan non lo aveva guardato per niente in quelle ore.

Izuku si era concentrato troppo sui suoi drink, ordinandone più di quanti si era aspettato e bevendoli troppo velocemente. Era quasi mezzanotte e Shoto era sparito da qualche parte nel locale.

“Forse è andato a cercare Inasa,” disse Izuku, credendo di averlo solo pensato. Quando lo sguardo di tutti i presenti si posò su di lui, che era mezzo sdraiato su quel tavolo appiccicoso e bagnato, con un braccio disteso, realizzò di averlo detto ad alta voce.

“Chi è Inasa?” chiese Kaminari, una punta di divertimento nella sua voce.

Izuku cercò di raddrizzarsi, sollevando il busto, ma il suo braccio scivolò e perse l’equilibrio, rischiando di cadere. Fortunatamente per lui, Kacchan fu veloce e afferrò saldamente l’altro braccio, affondando le dita nel suo solido bicipite.

Izuku si voltò verso Kacchan e allungò la sua mano libera, raggiungendo la guancia di Kacchan. La accarezzò con estrema delicatezza, con la punta delle dita. “Ka-a-cchan,” singhiozzò Izuku, la prima sillaba del nome di Kacchan trascinata e farfugliata. I suoi occhi verdi e allegri erano due fessure; le sue labbra erano strette in una linea sottile, leggermente incurvate verso l’alto, che abbozzavano un ampio sorriso.

“Stupido,” sibilò Kacchan tra i denti, alzandosi arrabbiato dalla sedia e trascinando Izuku con sé. “Ha bevuto troppo,” disse ai suoi amici. “È meglio che lo porti a casa.”
Izuku non udì la risposta di Kirishima o di Kaminari, ma mosse la mano in un gesto strano che doveva essere una specie di saluto, e seguì inciampando Kacchan fuori dal pub.

Non si parlarono mentre se ne andavano, non si parlarono mentre Kacchan chiamò un taxi e vi infilò dentro Izuku, seguendolo un secondo dopo. Non si parlarono nemmeno durante il viaggio di ritorno all’appartamento di Izuku, perché Izuku sentiva la sua testa stranamente leggera e la sua bocca asciutta, la sua lingua un muscolo di troppo.

L’alcool lo alleggerì e lo rilassò, facendogli dimenticare qualsiasi problema. Izuku avrebbe voluto parlare, dire a Kacchan quanto era bello quella sera; dirgli che aveva notato quei pantaloni stretti che gli fasciavano quelle cosce estremamente vigorose e toniche, enfatizzandole. Ma era troppo stanco per farlo, era meglio appoggiare la testa sulla spalla di Kacchan; era meglio prendergli la mano e stringerla, con le loro ginocchia che si scontravano ad ogni movimento improvviso e storto del taxi.

“Oh, Kacchan,” pensò Izuku. O forse lo aveva detto. Forse aveva dato forma a quel sospiro, a quel pensiero senza capo né coda che si era formato nella sua testa. Ci avrebbe fatto i conti il giorno dopo, in quel momento preferiva inebriarsi col profumo esotico e caramellato di Kacchan al suo fianco.
 
~
 
Katsuki ringhiò mentre sbatteva la porta del taxi. Stava tenendo Deku per la vita, con il suo braccio avvolto attorno, ma Deku non collaborava. Deku continuava a blaterare e non riusciva a stare in piedi da solo; era un peso morto con il quale Katsuki stava avendo problemi. Deku sembrava magro, ma in realtà i suoi muscoli erano solidi e tonici, grandi quanto i suoi.

“Oh Dio, perché me,” mormorò Katsuki a bassa voce. “Ha un cazzo di ragazzo, dove diavolo è?”

Tutto quello che voleva fare era lasciare Deku e tornarsene a casa. Non aveva bisogno di tutto quello. Lui era un eroe, per la miseria, non un babysitter. Sarebbe stato così brutto abbandonare Deku davanti al portone del palazzo? Non sarebbe stato comodo dormire lì, ma… dannazione, non poteva farlo. Si sarebbe sentito in colpa.
“Deku, stupido ubriacone,” disse Katsuki. Scosse Deku per cercare di svegliarlo abbastanza da chiedergli dove fossero le chiavi di casa sua. “Dove hai le chiavi?”

Deku rise e cercò di liberarsi dalla presa ferrea di Katsuki. Katsuki glielo fece fare, ma era pronto ad afferrarlo in caso Deku avesse rischiato di cadere. Lo guardò attentamente mentre Deku infilò una mano in tasca e cercò a casaccio le sue chiavi. Ci stava mettendo così tanto che Katsuki esasperato ci rinunciò e si appoggiò al muro con la schiena, il suo sguardo sempre concentrato su quello che stava facendo Deku.

“Tu…” Deku puntò un dito verso Katsuki, muovendolo in cerchio.

Katsuki sollevò un sopracciglio e strinse le braccia al petto, quasi divertito. “Io?”

“…sei,” Deku si interruppe per colpa di un singhiozzo. E non continuò, si mise solo a ridere di nuovo.

Katsuki roteò gli occhi, ma non si mosse. Deku stava ancora cercando le sue chiavi, che Katsuki poteva sentire tintinnare nella sua tasca. Solo non quella nella quale Deku stava cercando.

“Hai bisogno di aiuto?” chiese Katsuki, stava per perdere la pazienza.

“Assolutamente no,” rispose Deku.

Fece un passo avanti, ma perse di nuovo l’equilibrio. Katsuki si spostò dal muro, pronto a prenderlo, ma Deku allungò un braccio in avanti e quello bastò per farlo restare in piedi.

“Io sono…” ma Deku non riusciva a parlare.

“Sì, sì,” disse Katsuki. Si avvicinò a Deku e infilò una mano nella sua tasca dei pantaloni, prendendogli le chiavi. “Io sono e tu sei. Bene.”

Katsuki abbandonò il fianco di Deku abbastanza da permettergli di aprire il portone, e poi afferrò l’avambraccio di Deku, spingendolo all’interno del palazzo e ignorando il fatto che Deku stesse inciampando. Non voleva trascorrere la notte fuori, guardare Deku perdere la sua sanità mentale e parlare a casaccio di Dio solo sapeva cosa.
“Io ero…” cercò di dire Deku, ma qualsiasi cosa era troppo difficile per lui. Beh, era ubriaco.

Katsuki lo trascinò per le scale, prestando attenzione ad ogni gradino. “Bene, Deku. Presente e passato. La verifica di domani andrà bene,” disse con sarcasmo Katsuki. Deku si fermò di colpo e Katsuki quasi cadde, inciampando su un gradino. “Sei fuori di testa?” disse Katsuki scioccato.

“C’è una verifica domani?” chiese Deku nel panico.

Katsuki aprì la bocca per rispondergli, ma non sarebbe servito a nulla discuterne con Deku in quelle condizioni. “Sì, ma hai studiato tutta la settimana. Quindi andrà bene, te lo prometto.”

“Grazie, Kacchan.”

La dolcezza nel suo tono di voce fece rabbrividire Katsuki. Rimasero su quel gradino per un istante, guardandosi negli occhi. Katsuki aveva una mano alla base della schiena di Deku, mentre Deku aveva il braccio avvolto attorno alle spalle di Kacchan. C’era una certa intimità in quel gesto insignificante che il cuore di Katsuki inciampò.
Katsuki tossì e continuò a camminare, cercando di ignorare tutti quei sentimenti che lo lasciavano senza respiro.

Finalmente raggiunsero l’appartamento di Deku. Katsuki riuscì ad aprire la porta nonostante stesse reggendo ancora Deku. Era già stato a casa di Deku, quindi sapeva dove andare e cosa fare. Sperò che tutto filasse liscio e senza incidenti, perché non aveva la forza di continuare quell’agonia.

Camminarono insieme fino alla camera da letto, dove Katsuki abbandonò Deku sul letto. Deku cadde sulla schiena, gambe e braccia distese. Katsuki si abbassò e gli sfilò le sue solite scarpe rosse, lasciandole ai piedi del letto.

“Hai bisogno di qualcosa?” chiese Katsuki, intenzionato ad andarsene il prima possibile. La situazione era diventata veramente difficile per lui.
“Solo il mio uomo,” mormorò Deku, ma i suoi occhi erano già chiusi e Katsuki sapeva che presto Deku si sarebbe addormentato.

“Beh,” disse Katsuki, un accenno di gelosia nel suo cuore. “Non è qui, quindi…”

Non capì cosa Deku avesse risposto, la sua voce era troppo bassa per essere udita. Katsuki sedette su una sedia e guardò Deku finché non si fu addormentato. Non voleva lasciarlo solo, era quasi preoccupato, ma aveva bisogno di riposare e aveva bisogno di tempo per schiarirsi la mente. Non poteva restare tutta la sera al fianco di Deku, era troppo doloroso. Deku non era suo amico, amante o altro. Deku era solo un collega. Un eroe. Un grande eroe, ovviamente, così grande che Kacchan non riusciva a capire come mai Deku continuasse a chiamarlo durante quegli scontri così semplici.

Ma perché continuava a tornare da Deku, quando era piuttosto chiaro che Deku non lo voleva o aveva bisogno di lui?

Prima di andarsene una volta per tutte, Katsuki andò in bagno. Accese la luce e si avvicinò allo specchio. Guardò con attenzione il suo riflesso, specificatamente la sua guancia, proprio dove le dita secche di Deku lo avevano toccato. Quando erano ancora al pub, Katsuki aveva pensato che Deku avesse lasciato delle bruciature sulla sua pelle, perché aveva sentito uno strano calore proprio dove Deku lo aveva toccato.

Katsuki toccò con la punta delle dita proprio il punto che Deku aveva accarezzato, e un brivido gli attraversò il corpo. Si era aspettato di trovare dei segni, qualche linea rossa, qualcosa che segnalasse la traccia di Deku.

I suoi occhi rossi lo fissarono; erano pieni di tristezza e rimpianto. Deku non sarebbe mai stato suo. Non aveva il coraggio di chiedere perdono a Deku. Si trattenne dal rilasciare un’esplosione dai suoi palmi, non voleva distruggere l’appartamento di Deku. Beh, non voleva distruggere nemmeno Deku, ma era troppo tardi per quello. Lo aveva già fatto, in molti modi diversi.

Katsuki uscì dal bagno, ma prima di andarsene tornò a controllare Deku un’ultima volta. Deku si era rotolato su un fianco, le sue ginocchia premute contro il petto, e stava russando. Carino, pensò Katsuki, con un sorriso dolce sul volto. Era insolito per lui; non aveva mai sorriso in quel modo prima. Prima dei suoi sentimenti per Deku, prima della sua ammirazione per il tipo di eroe che era Deku, Katsuki aveva sempre pensato di non poter essere un uomo migliore. Ma aveva ascoltato il suo amico d’infanzia, aveva ascoltato molto attentamente le sue parole. Katsuki sapeva di essere ben lontano dalla perfezione, ma ci stava provando così tanto che faceva male.

“Buona notte, Deku,” sussurrò Katsuki, poi lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

L’appartamento era pieno del profumo di Deku: menta e pino. Lo stava divorando. Lo stava facendo impazzire. Gli stava facendo girare la testa, tremare le gambe, sudare le mani. Lo stava facendo sentire colpevole per il suo desiderio e il suo bisogno.

“Devo andarmene da qui,” disse Katsuki, ma restò proprio dove era, incapace di muoversi o di pensare chiaramente. Era così disperatamente innamorato di Deku che si sentiva male.

Poi qualcosa catturò il suo sguardo. Era un piccolo oggetto, insignificante. Era la cintura di Shoto, la cintura del suo costume da eroe. La rabbia lo travolse, rompendo qualcosa all’interno della sua anima.

Katsuki si passò le mani tra i capelli, tirandoli, e soffocò un urlo. Voleva urlare, liberare la sua rabbia. Ma non era arrabbiato con Deku, Katsuki era arrabbiato con sé stesso, perché avrebbe dovuto saperlo. Deku e Shoto erano una coppia, quando lo avrebbe capito? Si sentiva così stupido.

Allentò la presa sui suoi capelli, poi si passò le mani sul volto, schiacciando le dita nella sua pelle dalla mascella fino alla base del collo.

Katsuki lasciò in fretta l’appartamento, correndo giù per le scale. Non appena raggiunse il marciapiede, si fermò a prendere fiato. Si sporse in avanti, i palmi appoggiati sulle sue ginocchia, la sua schiena arcuata. L’aria fresca della notte gli scompigliò i capelli e finalmente inalò a fondo. Quel senso di paura e rabbia e insicurezza non era solo legato a Deku, ma anche al suo passato. Aveva grossi rimpianti e colpe a cui continuava a pensare. Ma quando era con Deku, tutto quello sembrava scomparire.
Quando era con Deku, si sentiva un uomo migliore, invincibile.

Quella situazione imbarazzante doveva cambiare, altrimenti Katsuki avrebbe perso Deku, e Katsuki non voleva lasciare andare una delle poche cose giuste della sua vita.
 
 
 
 



note: Shoto e Deku non sono in una relazione, è solo Katsuki che lo crede. Verranno menzionati anche Inasa, Hawks ed Endeavor.

Sto scrivendo questa fic in inglese, questo primo capitolo è già stato pubblicato su ao3 circa due settimane fa. Pubblicherò ogni due settimane circa e ho previsto un totale di circa 4/5 capitoli, niente di che. Il secondo capitolo è quasi concluso, ma lo posterò su ao3 e dopo qualche giorno qui in italiano.
Se volete restare aggiornatx sugli andamenti della fic, potete trovarmi su twitter (bakuwang), dove ogni tanto aggiorno l'andamento della scrittura.
Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo molto! Questa è la mia prima fic bkdk, di solito scrivo endhawks (che potete trovare in inglese su ao3).
 
   
 
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