Piove. Strano, perché il caldo in questi giorni è talmente forte da bruciare la pelle, da consumare le ossa.
Non pioveva da tempo. Ora, le strade stanno allargando le braccia come per dire "bagnaci, ti aspettiamo".
[Dio, se ci sei, io ti aspetto.]
[Dio, se ci sei, io ti aspetto.]
Ed è così irritante sentire il rumore delle gocce che sbattono sul vetro delle finestre, che quasi mi verrebbe da spalancarle e urlare a Marte di smetterla di fare tutto quel baccano, che qui c'è gente che vuole dormire.
Piove, e questo suono fastidioso mi si insidia nell'orecchie, e il buio diventa accecante, assillante.
E' agosto, eppure io dormo coperta da un lenzuolo bianco, perché ho paura che il mio corpo venga visto e rapito nella notte. Ho paura di mostrarmi all'aria così come sono, difesa solamente da una camicia da notte leggera, quasi trasparente. Ho paura che l'ossigeno possa corrodermi la pelle. Ho paura che le mani di un fantasma possano sfiorarmi le braccia e infilarsi nel mio letto.
E oggi piove, e ho paura di tutto questo. Ancora di più, molto di più.
Mi chiamo Annie. Non proprio Annie, in realtà. Il mio nome vero è Annabella, ma lo odio talmente tanto che mi suona quasi come quello di un'estranea. Annabella. Non potevano darmi nome peggiore.
Quand'ero piccola i miei compagni mi paragonavano alla mucca. Si dimenticavano che il suo nome è Clarabella, ma fa lo stesso. Io rimanevo in silenzio, senza guardarli, le loro voci mi arrivavano appiattite, sussurri di vento che mi sfioravano il viso.
Odiavo molto di più il rumore della pioggia, e quello delle porte che sbattono quando c'è vento.
Odiavo molto di più il rumore della pioggia, e quello delle porte che sbattono quando c'è vento.
[E quello delle porte che sbattevano in casa.]
Ogni tanto vedevo mia madre rinchiudersi nella sua stanza e mi lasciava da sole per ore. Credo che, in quei momenti, si dimenticasse di avere una figlia. Lasciava che la mia immagine si confondesse con quella del dolore, si rinchiudeva in una lastra di metallo nella quale i ricordi non potevano entrare. C’era solo speranza, lì dentro, e un po’ di disperazione.
E mi sembrava di sentire le sue lacrime cadere pesanti sulle lamine che la racchiudevano, ed era un suono così fastidioso, così lugubre, ansimavano pietà e chiedevano di essere liberate, per favore, lasciaci andare, perché non ne potevano più di rannicchiarsi strette dietro gli occhi. Ed era un rumore che mi ricordava quello della pioggia.
E mi sembrava di sentire le sue lacrime cadere pesanti sulle lamine che la racchiudevano, ed era un suono così fastidioso, così lugubre, ansimavano pietà e chiedevano di essere liberate, per favore, lasciaci andare, perché non ne potevano più di rannicchiarsi strette dietro gli occhi. Ed era un rumore che mi ricordava quello della pioggia.
Ho diciannove anni. Nessun imbroglio dietro la mia età, chiara e pura come le gocce di pioggia. Intatte mentre sono in volo, distrutte quando si posano sul mondo. Si sfaldano sul cemento grigio, spezzando la loro vita acerba.
No, nessun imbroglio, dietro la mia età.
No, nessun imbroglio, dietro la mia età.
Eppure, se scavaste dentro le mie viscere fino ad arrivare al cuore, me ne dareste cento, di anni.
Carne putrefatta dalle mani del mio re.
Carne putrefatta dalle mani del mio re.
[Quante volte ti ho pregato, Dio. Ascoltami, per favore.]
Il mio vecchio mi portava al parco, qualche volta, quand’ero ancora troppo piccola. Gli piaceva spingermi sull’altalena, farmi vibrare nell’aria, darmi un accenno di libertà.
Ridevamo. Le sue labbra si allargavano in un sorriso dispettoso.
Mamma non c’era. Non so dove fosse, non so con chi era. Non era con me.
L’ultima volta che ho baciato un ragazzo è stato mesi fa.
L’unico che mi ha preso la mano e non mi ha chiamata principessa, ma Annie.
L’unico che mi ha preso la mano e non mi ha chiamata principessa, ma Annie.
Non sono riuscita a dargli quello che voleva, non sono riuscita a renderlo felice. Non sono riuscita a farlo sentire un uomo, perché io di donna, non ho più niente. Mi hanno spogliato dal pudore e costretta a dimenticarmi il suo significato. Mi hanno buttato a braccia aperte nella vergogna che ancora adesso infanga il mio umore. Mi hanno costretta a non sentire pronunciare il mio nome, perché era la prova della crudeltà del suo amore.
Queste gocce maledette continuano a fischiare, a fischiarmi nelle orecchie i ricordi – che ricordi? Non ho ricordi. Non ho un’infanzia,
ed è per colpa sua, per colpa di Dio.
[Che se ci sei, ti prego, ascoltami. Sono pronta, ancora adesso, non importa.]
[Che se ci sei, ti prego, ascoltami. Sono pronta, ancora adesso, non importa.]
Mi chiamo Annie. Ho diciannove anni. Ed ero la principessa, la principessa di papà.
Giocavamo a rincorrerci per la casa, io lo comandavo, anche se lui era il mio re.
Poi arrivava la notte, e mia madre mi dava un bacio, buonanotte, Annabella, dormi bene.
Poi arrivava la notte, e mia madre mi dava un bacio, buonanotte, Annabella, dormi bene.
A lui piaceva infilarsi sotto le coperte con me, per farmi addormentare.
La favola era sempre la stessa, parole sconnesse sussurrate nelle mie orecchie da bambina. Ingenue.
La sua mano mi accarezzava la schiena nuda sotto la camicia da notte, bianca.
Le parole continuavano a disperdersi nell’aria. Era una fiaba così bella.
Forse leggeva un libro, mentre aspettava, mia madre. Mi sono sempre chiesta che genere di libro potesse leggere, se la sua mente fosse davvero concentrata, in quel momento, se davvero quella lastra di metallo fosse così spessa, così potente, da riuscire a bloccare il passaggio di tutto ciò che c’era intorno. Tutto ciò di marcio che riempiva la sua, la nostra, vita.
E tutto era bello, era bello sentire il calore di papà, la sua pelle sudata sotto le coperte pesanti, il profumo del dopobarba, era bello sentire le sue parole frusciare vicino alle mie orecchie.
Passava e ripassava la sua grossa mano sulle mie spalle esili, bianche.
- E’ una storia bellissima, papà -
E chiudevo gli occhi perché è ora di dormire, adesso.
E chiudevo gli occhi perché è ora di dormire, adesso.
Amavo mia madre. La amo ancora. Nonostante le sue lastre di metallo, nonostante gli occhi chiusi e le orecchie coperte con le mani.
- Buonanotte tesoro, papà rimane ancora un po’ con te, ti va? –
Mi dava un bacio, poi la sua mano scivolava un po’ più in giù,
e mi chiamava principessa.
[Ho implorato mille volte che un Dio, un Dio qualsiasi, mi ascoltasse. Che venisse a prendermi per portarmi via.]
La risposta è stata solo, ti porto con me, principessa mia .
Ringrazio infinitamente per il primo posto. Non me lo aspettavo, sul serio.
Un pensiero a chi, purtroppo, vive questa realtà ogni giorno. Li stritolerei con le mie mani ad uno ad uno.
Perché è giusto pensarci, è giusto saperlo, e non chiudere gli occhi.