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Autore: RLandH    04/08/2021    2 recensioni
[Spoiler|MissingMoment|CanonDivergence|What If - ambientato tra la fine di THOO e TOA]
“Tutto bene, giovane Leonidas?” aveva chiesto incuriosita lei, anche un po’ divertita, con quella risata fastidiosa da Cheerleader membro del Club-Cattolico, che voleva apparire gentile ma poi era un vipera. Leo ne aveva conosciute un po’.
“Chi sei? Dove mi trovo?” aveva indagato, un po’ guardingo, sentendo il calore sotto la carne accrescere, il subbuglio che provava si stava tramutando nel suo potere, come quando era bambino e non aveva controllo, si era concentrato perciò sul freddo marmo sotto i suoi palmi.
“Oh certo! Che sbadata! Io sono Ebe, dea della gioventù e sei sull’Olimpo!” aveva risposto quella, dandosi anche una pacca sulla fronte, come se avesse appena comunicato a Leo che per pranzo erano previsti i nuggets al posto delle polpette.
“Olimpo?” aveva chiesto.
“Oh certo, giovane Leonidas, i Pezzi Grossi vogliono parlare con te” aveva riferito prontamente quella, “Forse sono arrabbiati perché hai messo lo sgambetto alla morte” aveva ipotizzato Ebe, con il sorriso da capo-cheerleader sulle labbra.
Leo aveva sbuffato.
Risorgere per avere una punizione divina?Una cosa che poteva accadere solo a lui.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dei Minori, Leo Valdez, Leo/Calipso, Nuovo personaggio, Zeus
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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Ehilà stranieri, questa os non è esattamente un os, è più un “pilot” per un’altra storia che vorrei scrivere, che forse scriverò (Crepuscolo permettendo), in quel caso “riscriverò” il capitolo aggiungendo e togliendo cose, sostanzialmente non ho proceduto con la stesura della storia perché sono ancora indecisa se farla WhatIf/Canon-divergence o solo WhatIf/Missingmoment e riportarla nei giusti “binari”.
Comunque questo progetto è nato a causa di chiacchiere deliranti con Edoardo811 a proposito di una certa questione.
Detto questo, spero possiate apprezzarla,
Buona Lettura

PS – Calypso non appare fisicamente (nella storia sarebbe la co-protagonista) ma è sempre presente.

 

Leo Valdez and … WTF?!?

 

Leo ricordava di aver bruciato ed era tutto da dire per uno che non aveva mai sentito il calore del fuoco sulla pelle.
Poi aveva smesso di far male ed aveva aperto gli occhi e percepito di nuovo il suo corpo.
La pozione aveva funzionato!
Era sopravvissuto!
Anzi era rivissuto!

Festus doveva averla somministrata.
Si era tirato su, notando in quel momento di essere steso su un letto morbido, il più morbido, coperto da teli opalescenti bianchi, che calavano da un baldacchino.
Dove era?
“Ti sei svegliato, giovane Leonidas!” lo aveva accolto una voce, prima che dal drappo comparisse un volto.
Leo aveva giurato amore ad una sola donna, ma riconosceva che tempo a dietro, sarebbe impazzito.
Era una giovane ragazza dal viso ovale e capelli scurissimi che scendevano su un petto florido.
Leo era quasi saltato, cercando armi, qualcosa, ma non indossava altro che un chitone bianco, nel gesto però, era finito a ruzzolare giù da letto.
“Tutto bene, giovane Leonidas?” aveva chiesto incuriosita lei, anche un po’ divertita, con quella risata fastidiosa da Cheerleader membro del Club-Cattolico, che voleva apparire gentile ma poi era un vipera. Leo ne aveva conosciute un po’.
“Chi sei? Dove mi trovo?” aveva indagato, un po’ guardingo, sentendo il calore sotto la carne accrescere, il subbuglio che provava si stava tramutando nel suo potere, come quando era bambino e non aveva controllo, si era concentrato perciò sul freddo marmo sotto i suoi palmi.
“Oh certo! Che sbadata! Io sono Ebe, dea della gioventù e sei sull’Olimpo!” aveva risposto quella, dandosi anche una pacca sulla fronte, come se avesse appena comunicato a Leo che per pranzo erano previsti i nuggets al posto delle polpette.
“Olimpo?” aveva chiesto.
“Oh certo, giovane Leonidas, i Pezzi Grossi vogliono parlare con te” aveva riferito prontamente quella, “Forse sono arrabbiati perché hai messo lo sgambetto alla morte” aveva ipotizzato Ebe, con il sorriso da capo-cheerleader sulle labbra.
Leo aveva sbuffato.
Risorgere per avere una punizione divina?Una cosa che poteva accadere solo a lui.


“Vuoi qualcosa per distendere i nervi?” aveva chiesto lei con gentilezza, “Hai la faccia di uno che vorrebbe essere ubriaco” aveva aggiunto.
“Ho la faccia di uno che vorrebbe non essere risorto” aveva dichiarato Leo.
Poi aveva realizzato la cosa, l’aveva realizzata davvero.
“Gea? I miei amici?” aveva chiesto.
Ebe aveva annuito, allungando verso di lui una mano per farlo alzare, “Oh, la madre dei Giganti è scomparsa. Complimenti con il tuo sacrificio hai salvato tutti noi, anche i tuoi amici, che ora si stanno godendo una bella festa al campo, greci e romani tutti insieme. Con la tua morte, giovane Leonidas, hai messo pace tra Capuleti e Montecchi!” aveva aggiunto.
Peccato, allora, che sia sopravvissuto, aveva pensato.
“Comunque immagino tu abbia fame, sei fortunato, stiamo per mangiare e c’è un posto anche per te” aveva detto subito Ebe, “Dovremmo proprio andare, sai, ai Grandi Capi non piace aspettare” aveva aggiunto la dea, in questione, dandoli un buffetto tenero sulla spalla.
“Io … cosa …” aveva provato a boccheggiare Leo, “Però non puoi venire così. Chi ti ha messo addosso un Chitoniskos[1]? Deve essere colpa di Persefone, lei ha un gusto così volgare – intendo proprio da volgo” aveva dichiarato Ebe.
La dea della giovinezza aveva allungato una mano ammiccando ad un armadio a muro, “Vediamo di trovare qualcosa di più stiloso” aveva dichiarato, gli occhi le erano luccicati; per un secondo aveva ricordato a Leo la sorellastra non esattamente gentile di Piper – Drew.

L’armadio offerto da Ebe conteneva tutto quello che Leo avrebbe sempre desiderato in vita, così tanto da estraniarlo.
“Allora prendiamo questa maglietta, questa giacca di pelle – tanto qui sull’olimpo il clima è sempre perfetto per quello che indossi – e si, sicuramente questi jeans attillati. Si, si! Potrei farti mettere nel gel nei capelli, ma hai dei ricciolini così adorabili!” aveva dichiarato Ebe, frugando nell’armadio e lanciando capi sul letto a baldacchino.
“Questa sera comunque sii socievole, tranne con mio marito – tranquillo, te lo terrò lontano – sai non ha ancora superato lo scherzetto della tua amica con la cornucopia!” aveva scherzato quella, strizzandoli un occhio. Prima di ritrovarsi in faccia i vestiti che Ebe aveva scelto per lui.
“Senti, Divina Ebe, non vedo proprio l’ora di tirarmi a lucido e rispondere al giudizio divino di Zeus, ma prima devo andare da un’altra parte” aveva dichiarato Leo, facendo cadere i vestiti sul letto.
Ebe aveva sbuffato, aggiustandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, “Tranquillo avrai tempo! Dopo, ovviamente se sarai sopravvissuto. Chirone probabilmente si sta ancora mettendo i bigodini alla coda, arriverai in tempo per la festa …” poi si era interrotta, guardandolo di sottecchi.
“Ma tu non stai parlando del Campo” aveva valutato poi divertita.
Un altro Leo sarebbe avvampato, ma non lui, non dopo quello che era passato, “Ho fatto una promessa” aveva dichiarato alla fine, con sicurezza.
Ebe aveva ridacchiato, “Ah, le promesse di Stige! Stai tranquillo, giovane Leonidas Valdez, Ogigia non si è mai spostata negli ultimi tremila-e-passa anni, non credo lo farà per il momento” aveva aggiunto.
Leo si era morso un labbro, la dea gli aveva pizzicato una guancia, “Adesso infilati quei vestiti e sorridi, il mio patrigno[2] non apprezza aspettare” aveva dichiarato, “Se hai un attacco di panico, be, io sarò una di quelle con il vino” aveva smorzato la situazione Ebe.
Per un secondo non era più sembrata una cheerleader malefica, ma una ragazza gioviale, una di quelle per cui il vecchio Leo si sarebbe preso sicuramente una sbandata.

Ebe non lo aveva lasciato solo neanche quando si era cambiato, aveva concesso la grazia di girarsi, non senza aggiungere divertita che Leo avesse sicuramente meno di quanto avesse visto da quelle parti – “Fidati Apollo ha una certa propensione al nudismo e quando Dionisio non era sobrio le cose che ho dovuto vedere!
Lui aveva mandato giù, senza particolare fatica.
Era stupido, no, ma dopo essere morto e risorto non sembrava coltivare più quel senso di inadeguatezza, di ultima ruota del carro. In realtà non credeva neanche fosse la morte ad aver fatto la differenza, ma la vita e come aveva avuto il coraggio di sceglierla.
Aveva scommesso contro il suo fato ed aveva vinto.
Aveva promesso a Calypso che sarebbe tornato e l’avrebbe fatto.
Doveva anche ritrovare Festus!
Non aveva idea di dove fosse finito il suo drago, sarebbe dovuto essere con lui, non poteva credere che fosse … distrutto.
I vestiti che aveva scelto Ebe per lui erano perfetti, sembravano creati apposta per il suo corpo e nello specchio avevano restituito a Leo, la versione incredibilmente cool di se stesso.
“Manca la mia cintura per gli attrezzi” aveva valutato lui alla fine, perché poteva anche sembrare una versione da romanzo young adult di bello e dannato, con la giacca di pelle anche con quaranta gradi all’ombra, ma senza la cintura non era Leo.
Ebe aveva ridacchiato, “Guarda nell’armadio!” aveva sghignazzato ed era proprio lì, appesa ad un gruccia, nel suo vivace giallo limone.
“Non è una copia è la mia!” aveva esclamato sconvolto Leo, quando l’aveva raccolta, ritrovandone tutte le disavventure che erano finite ad incidersi sul cuoio, logorato.
“Questo è l’Olimpo!” aveva dichiarato Ebe voltandosi verso di lui, si era rivolto con lo stesso tono con cui avrebbe parlato ad un bambino non particolarmente sveglio, “Volendo, potresti farla tornare anche nuovissima!” si era prosta.
“Mi piace così” aveva dichiarato Leo, senza controllarsi, di getto, accompagnando la frase con un sorriso onesto.
Era stata consumata dalle sue vicende.
Ebe lo aveva guardato, studiato bene, somigliava incredibilmente ad Era, in quel momento, “Giuro sulla gloria dei miei zii, sei tale e quale a mio fratello!” aveva dichiarato poi, “Sempre così nostalgico!” aveva aggiunto con una punta di malizia.
“Hai un sacco di fratelli” aveva valutato Leo, “Oh certo, ho un sacco di mezzi-fratelli e fratellastri, ma di fratelli ne ho uno solo” aveva chiarito Ebe, “Che non vede proprio l’ora di vederti!” aveva aggiunto facendoli l’occhiolino.
Leo aveva sorriso.
“Avete anche un certo debole per farvi calpestare il cuore da donne glaciali o terribilmente affascinanti” aveva aggiunto Ebe, volgendo uno sguardo allo specchio, osservando giudicante il suo vestiario. Indossava un prendisole, dalla gonna a campana, bianco su cui svettava una fantasia a pallini, aveva scosso il capo ed i vestiti su di lei si erano modificati, in pantaloni neri ed una camicetta bianca smanicata, con un papillon argento scintillante al collo.
“Calypso non è algida e si è molto affascinante, nel senso che è gentile, brava e si, bellissima, ma non nella maniera negativa in cui lo intendi tu!” aveva difeso Leo l’onore della sua bella.
Ebe aveva riso con amarezza, “Vorrei che Eracle parlasse di me così, invece è tutto un: Ila era più divertente di te, mi manca Megara,  dovevo rimanere con Zoe, dovevo sposare Iole e cose così. Mica avevo voglia di sposarmi il mio fratellastro dongiovanni, ma così, il mio patrigno sperava di tenere calma la mamma!” aveva detto con una certa infelicità. Il principio di rabbia che era fiorito in Leo si era spento subito, a quella incredibile confessione.
“Andiamo, giovane Leonidas, come detto: il Grande Capo non ama attendere specie se gli invitati sono tutti sobri!” aveva dichiarato poi Ebe, ammiccando a se stessa.
“Puoi … chiamarmi Leo” aveva confessato alla fine lui.
Ebe aveva sorriso, “Oh, tu puoi chiamarmi Zia se ti va!” aveva rimarcato lei.
Faceva ridere perché parevano coetanei.

 

 

Leo non era mai stato nella sala dei Troni degli Dei, ne aveva sentito parlare da parte di Percy ed Annabeth, ricordava anche – distantantemente – che la sua amica, figlia di Atena, aveva raccontato di un paio di migliorie che gli dei le avevano permesso di fare sull’Olimpo, non solo in quella specifica stanza.
“Questa è la stanza dei Troni, anche se al momento non ci sono. Sarebbero stati un po’ ingombranti” si era giustificata Ebe.
Leo era rimasto ammutolito.
Sopra la sua testa non c’era un soffitto, ma un cielo stellato, simile a quello che aveva potuto vedere quando navigava sull’Argo II o quando era ad Ogigia, un cielo naturale, non inquinato da alcuna mano antropica.
Stelle luminose come diamante.
La stanza era circolare, con pavimento di marmo mosaicato … e oro!
Ovunque vi erano triclini, dove dei, vestiti a festa, erano a stesi a terra a festeggiare.
Qualcuno raccontava cose.
C’era anche della musica.
Le Muse in persona stavano allietando l’aria con la voce melodiosa, ad accompagnare c’era Apollo. E stava usando il suo Valdezatore.
Qualsiasi costa stesse facendo, stava producendo un suono niente male, peccato che il dio della musica sembrasse granitico in vita.
Forse le speranze di Leo sul prendere bene la morte di Octavian erano state vane e da lì a poco si sarebbe ritrovato arrostito.
“Ebe! Te la sei presa comoda!” aveva scalpitato qualcuno, era un ragazzo giovane, con il viso di bambola, per quanto l’espressione fosse già sconvolta. Indossava la camicia bianca, i pantaloni neri ed il nodo a farfalla brillantinato come Ebe.
In una mano teneva un vassoio pieno di flute ricolmi di liquido d’oro scintillante, che Leo scommetteva non essere champagne.
Ebe aveva assottigliato lo sguardo, “Dovevo sistemare mio nipote!” aveva dichiarato subito quella con superbia, l’altro aveva scosso il capo, “Oh, be, mentre tu sistemavi il ragazzo, io mi son dovuta prendere tutte le sgridate di Zeus e i malumori della divina Era!” si era lamentato quello, “Ed Eros mi sta evitando perché non vuole risarcirmi di averlo battuto ad Aliossi!” aveva aggiunto l’altro cameriere.
Ebe aveva sorriso più accomodante, “Passami il vassoio, perché non porti Leo a vedere cosa attira tanto l’attenzione!” lo aveva invitato lei, recuperando i flute.
Leo era stato scambiato l’attimo dopo come un sacco di patate.
Il ragazzo sembrava aver ripreso un po’ di colore e si era sventolato una mano sul viso per riprendere aria, “Potrebbero usare servi invisibili, ma inspiegabilmente gli dei si divertono tanto a farci lavorare!” si era lamentato quello,  prima di ricomporsi, aggiustando pieghe inesistenti sulla sua camicia.
“Io sono Ganimede!” aveva dichiarato, prendendo la mano di Leo, senza vergogna, “È un onore conoscere un vero eroe!” aveva aggiunto.
Oh, il coppiere di Zeus, se non ricordava male.
“Piacere mio” aveva risposto Leo.
Doveva capire come svignarsela da quella festa, anche se immaginava che non sarebbe stato molto possibile.

“Oh, Leo, ragazzo mio!” la voce che lo aveva accolto era stata quella di suo padre, con un inclinazione più affettuosa del solito, rispetto il tono burbero ed amareggiato di cui sembrava sempre farsi vece.
Differentemente da solito, a Leo era capitato sempre di vederlo in tutta da lavoro coperto di fuligeno ed odoroso di zolfo, in tale occassione suo padre sembrava vestito in maniera più mondana, amplificando in maniera quasi grottesca l’assimetria delle spalle ed il viso butteroso.
La barba folta era spettinata, dando l’aspetto di un orso in tuxedo; ma Leo era felicissimo di vederlo!
“Padre!” aveva risposto.
“Grazie alle migliorie apportate alla nave alla fine siete arrivati tutti vivi a destinazione, io avevo torto e tu ragione” aveva dichiarato, tirandoli delle sonore pacche divine sulla schiena, con mani grandi come padalle, che Leo aveva pensato lo avrebbero spedito sulla luna.
“Non lo strappazzare troppo, Efesto!” lo aveva imbeccato una bella donna, prima di rivolgersi a lui, “Tu devi essere il famoso Leo! Tuo padre parla sempre di te, non lo dice apertamente, eh, ma credo tu sia il suo figlio preferito, che tu abbia superato anche Archimede!” aveva dichiarato quella.
Era bella come una stella del cinema degli anni cinquanta, con i capelli raccolti in una banana e i guanti di velluto fino alle ascelle.
“Stavamo proprio commentando che ottimo lavoro hai fatto con Festus!” aveva dichiarato suo padre, ammiccando al dragone di bronzo celeste che occupava lo spazio centrale della stanza, che calamitava tutti gli occhi degli invitati – e pareva anche piuttosto contento di tutta quell’attenzione.
“Fantastico!” si era lasciato sfuggire Ganimede, con gli occhi luccicanti.
“Si, non credevo che qualcosa avrebbe potuto superare in bellezza le tue armature!” aveva valutato la bella dea, ammiccando ad Efesto.
Leo si sarebbe aspettato una serie di risposte, gli dei erano sensibili a quando il loro talente veniva messo in discussione – la mitologia ne era pieno.
Anche Ganimede doveva aver avuto il suo stesso pensiero, visto che si era fatto più rigido di una corda di violino.
Efesto però aveva risposto: “Ovviamente! Leo è figlio mio e non è il destino di ogni figlio superare il proprio padre? O almeno mi hanno detto così!” aveva chiesto retorico.
La bella donna aveva schiuso le labbra, poi aveva riso – doveva essere un gioco tra loro[3].
Leo aveva fatto un passo per raggiungere Festus, il piano quale poteva essere poi?
Salirci in groppa e … passare per la volta celeste?
Aveva anche bisogno di recuperare quello che aveva trovato a Bologna, o non era sicuro di potere, ma doveva assolutamente, raggiungere Ogigia.
La dea aveva messo una mano attorno alle sue spalle, “Su, giovane Leo, raccontami della tua avventura, mentre mangiamo qualcosa. Ganimede caro, portaci del vino. Hai l’età per bere, si? Oh ma si chi se ne importa, hai salvato il mondo!” e senza aspettare una sua affermazione lo aveva guidato verso uno dei divanetti, Efesto li aveva seguiti.
“Io sono Teti, che sbadata non mi ero presentata, la tua nonna adottiva, possiamo dire!” aveva dichiarato quella.
“La mamma di Achille!” si era lasciato sfuggire Leo.
Il sorriso materno di Teti si era incrinato e gli occhi acquamarina si erano sporcati di tristezza, poi quella aveva annuito, le iridi un po’ lucide, ma si era ripresa subito.
Leo era un ragazzo senza madre e Teti era una dea senza figlio.
“Si quando mia madre ha ritenuto che non mi sposassi bene nel suo quadretto da Perfetta Famiglia Eleusina[4], mi ha buttato giù da … qui, Teti mi ha trovato e si è presa cura di me” aveva raccontato Efesto, con una punta di dolcezza che Leo non credeva si addicesse molto a suo padre.

“Su dai racconta qualcosa a questa vecchia cariatide!” aveva dichiarato Teti.
“Devo andare ad Ogigia!” aveva detto coinciso Leo.
Efesto aveva tossicchiato, “Dopo. Tutto a suo tempo” aveva dichiarato suo padre, “Calypso può aspettare ancora un po’” aveva cercato di tamponare le cose Teti.
“Non può! Sono millenni che aspetta” aveva dichiarato Leo.
La dea Teti aveva parlato: “Uhm, non credo che le dia così fastidio stare ad Ogigia, sarebbe andata via, prima no?” aveva provato.
“È stata maledetta” aveva esclamato Leo, non poteva credere che gli dei fossero così ottusi certe volte, “Non può andarsene.”
E nessuno, alla fine, può restare.
O tornare.
“No, ma la maledizione è stata sciolta l’altr’anno dopo i fatti di Manhattan, o sbaglio Efesto?” aveva risposto la dea.
Efesto stava raccogliendo una coppia di vino da un vassoio volante.
“Oh sì, sì, era in quello che Atena ha chiamato la Normativa Jackson, dove il tuo amico, ancora non ci credo, ha rigettato la divinità per avanzare tutta una serie di richieste” – suo padre aveva fatto una pausa, sotto lo sguardo vigile di Teti – “Assolutamente legittime e giustissime” aveva terminato, impacciato.
“Calypso può lasciare Ogigia quando vuole?” aveva domandato Leo sconvolto.
Sarebbe potuta andare con lui, quando era andato via lui?
“Sì, in ogni momento dalla scorsa estate. Nonostante i tentativi di Apollo di far invalidare quella parte della richiesta!” aveva dichiarato Efesto.
“Sempre che non vi siate dimenticati di avvertirla! O sicuramente sono io una malpensante!” aveva ghignato una voce, una giovane donna era venuta verso di loro, capelli nerissimi raccolti a ciocche, intrecciate in treccine strettissime, che scendono fino alla vita. Ali nere come piume di corvo, strizzata in un vestito nocciolo di mela ed il sorriso più cattivo che Leo avesse mai visto su qualcuno – ed aveva parlato con Octavian, Khione e Gea.
Teti aveva guardato Efesto, “Tu adori andare ad Ogigia, glielo hai detto, si?” aveva indagato. Efesto aveva aggrottato le sopracciglia spesse, creando sul suo viso l’orribile effetto che potevano avere i visi degli uomini sui dipinti di Picasso, “Non andavo ad Ogigia da quando ho dovuto recuperare il figlio di Poseidone” aveva dichiarato in imbarazzo.
“Ma sono sicura che qualcuno ci sarà andato!” aveva scherzato, con cattiveria,  ancora la dea alata.
“Certo sicuramente Ermes sarà andato!” aveva provato Efesto, titubante, più per contraddire l’altra che per difendere davvero gli dei.
L’altra aveva riso, “Magari è andato Apollo!” aveva insinuato, prima di distanziarsi, con ancora sulle labbra un sorriso lezioso.
“C’è un motivo se al mio matrimonio non la ho voluta” aveva dichiarato Teti, gonfiando le guance; “Ricordati come è andata a finire, per questo abbiamo preso l’abitudine ad invitarla alle feste” aveva replicato Efesto.

Leo era rimasto in silenzio.
Non lo avevano detto.
Avevano dimenticato di dire a Calypso che era libera.
Percy l’aveva liberata.
Ebe era tornata allungandoli un bicchiere di coca-cola con una fetta di limone, “Non è ancora il momento per te di ubriacarti, aspetta il giudizio di Zeus prima” le aveva stabilito. Efesto aveva cercato di trattenere la sorella lì, ma quella era fuggita quando una agitata Persefone aveva preso a chiamarla a gran voce.
Be, Leo immaginava fosse Persefone, era una raggiante primavera, degna dei quadri d’epoca moderna, che era arpionata al braccio di un pallido uomo molto scontento di essere lì, che ricordava a Leo terribilmente Nico di Angelo nei suoi momenti più neri, per quanto conoscesse poco il figlio di Ade.
Aveva bevuto un po’ di cola ed era sgusciato via, approfittando di Teti e suo padre che dibattevano di qualcosa legato a chi avesse dovuto dire a Calypso che era libera.
Si era anche allontanato perché non era certo che sarebbe stato in grado di contenere la sua rabbia.


Festus era beato tra un mucchio di dei e dee, che non facevano altro che ammirarlo, riempirlo di complimenti e congratularsi per ogni cosa.
“Oh! Tu, ragazzo, vieni qui!” lo aveva chiamato a gran voce qualcuno. Leo si era voltato, vedendo una ragazza camminare verso di lui, indossava un abito celeste lungo, su cui spiccavano dei piccoli diamantini che formavano una figura e con uno spacco vertiginoso che lasciava scoperta una lunga gamba. Aveva un bell’incarnato ambra, gli occhi dalla forma a mandorla scuri e capelli color cannella, stretti in una treccia severa.
E … somigliava a Calypso.
“Ovvio!” aveva dichiarato quella, prendendolo per il mento, assottigliando lo sguardo per studiarlo bene, come se Leo fosse stato un cavallo.
“Tipico di Cal! Lei si schiera con i titani, non viene neanche punita veramente: Regina del suo personale regno, gli Dei le mandano bei bellocci con cui spassarsela e poi le trovano pure un fidanzatino super coraggioso da risorgere dalla morte” aveva dichiarato.
“Di rimando, noi altre figlie di Atlante facciamo la fame, praticamente in compiti indegni, tra Pleiadi, Esperidi e Iadi!” aveva dichiarato quella.  “Elettra non tormentare il ragazzo. Questa è la sua festa!” era intervenuta un’altra donna, anche lei, con lo stesso abito azzurro tempestato di gemme lucenti, solo che invece di avere lo spacco laterale che si scopriva sulla coscia, era dritto lungo le gambe, compensava con un vertiginoso scollo a V. Somigliava moltissimo sia ad Elettra sia a Calyspo, era solo più matura in viso, per quanto fosse possibile per una dea senza tempo esserlo. I capelli erano riccioli morbidi dello stesso colore della sabbia, che scendevano fino ai piedi.
“Certo Alcione!” aveva dichiarato Elettra, mollando la presa da Leo.
La nuova venuta lo aveva guardato poi, con un’espressione un po’ più dura e giudicatrice, degna di una titanessa, “Okay, sei passabile” aveva stabilito, “Probabilmente il più bruttino tra gli amanti di nostra sorella, ma immagino che su questo ci si potrà rimettere una pezza dopo” aveva dichiarato.
Leo si era sentito mortificato.
Elettra aveva riso, “Uhm” aveva dichiarato sguaiatamente quella, “Immagino voi siate le sorelle di Calypso” aveva dichiarato con una certa resa nella voce Leo.
“Le Pleiadi, alcune delle tue future cognate, sì sì[5]” aveva stabilito Alcione, incrociando le braccia sotto il seno, “Non ti minacceremo di trattare bene la nostra sorellina, lo sappiamo già che lo farai” aveva dichiarato.
“A me non frega, sia chiaro” aveva esclamato Elettra, “E poi se dovessi farla piangere anche solo una volta, entro la fine della stessa settimana diventeresti nutrimento per l’orto” aveva dichiarato cattivo la pleiade più giovane.
Okay, urgeva una ricerca per sapere quante future cognate lo aspettavano.
Elettra e Alcione erano state attirate dalla presenza di un’altra ragazza, come loro era vestita di un azzurro, solo molto più pallido, che cercava di apparire inosservata – le due sorelle avevano preso a chiamarla sguaiatamente per attirare l’attenzione su di lei.
Quella, Merope in base al nome che Leo aveva sentito, era diventata di un violento color melanzana[6] e Leo ne aveva approfittato per filarsela.
“Guardala che faccino sconvolto!” aveva sentito a malapena il commento di Elettra.

Sgattaiolare fuori dalla Stanza del Trono era stato relativamente più semplice di quanto si fosse aspettato inizialmente.
Per un po’.
Aveva bisogno di un piano, quello non era un potenziale problema, una cosa in cui Leo era bravo era fare piani; strampalati, suicidi – nel vero senso della parola – e improbabili, però, era bravo.
Non poteva contare troppo su Festus, il suo drago occupava il centro della sala e sembrava godere di un certo piacere dei vezzeggiamenti che stava ricevendo.
Tecnicamente, in base a quello che aveva detto Alcione, quella era la sua festa – ma Leo non si sentiva molto centro della festa.
In quel momento si sentiva abbastanza un Pesce fuor d’acqua, avrebbe davvero voluto essere altrove.
Al campo.
Ad Ogigia.
Sul ciglio di un vulcano.
“Fuggi dalla tua festa?” aveva chiesto una voce cogliendolo di sorpresa. Leo si era voltato, in un corridoio, appollaiato pe terra, in compagni di calici vuoti e con un’espressione insofferente stava Ganimede.
“Si, sai dove è la porta?” aveva chiesto.
Sapeva ci fosse un ascensore che lo avrebbe lasciato a Manhattan, così ricordava dalle spiegazioni dei ragazzi del campo.
Ganimede aveva riso, in maniera amara, “Non c’è una porta – ora” aveva dichiarato, “E comunque non rischiero di incappare nell’ira di Zeus aiutando il suo ospite d’onore a fuggire prima del tempo” aveva dichiarato quello, con un sorriso stanco in viso.
“Immagino che non sia facile essere il coppiere degli dei” aveva provato Leo, scoprendosi sincero nelle sue parole.
Ganimede doveva averlo notato, si era aggiustato il capello che scivolava sul viso ed aveva annuito, stanco, “Certo quando c’era Dioniso qui lavoravo il triplo – ma erano tutti più allegri. Tranne Atena, ma non credo che sappia essere allegra” aveva replicato quello; “Ti offrirei del vino, ma Ebe, ha detto che è meglio non farti arrivare ubriaco davanti a Zeus” aveva ripreso a parlare il coppiere.
Leo lo aveva guardato, “Se sono il festeggiato non sta programmando di friggermi come un nuggets, vero?” aveva proposto.
Ganimede aveva sollevato le spalle, “Io fossi in te, pregherei che non ti voglia ringraziare troppo!” aveva sottolineato.
Leo non aveva avuto modo di interpretare correttamente quelle parole, specialmente perché non voleva. “Non c’è verso di uscire da qui, vero?” aveva chiesto alla fine Leo, dedicendo di voler rimanere focalizzato, non era una cosa che veniva facilmente a lui, ma doveva sforzarsi. Non era ancora del tutto sconfitto, parecchio abbattuto, ma era Leo Valdez, morte e ritorno in una sola corsa.

Ganimede aveva sorriso, “Uh … be, tecnicamente sì, se sei un dio, ma no, quando il Grande Capo non vuole, ciò non toglie che effettivamente ho sentito di storie di certi passaggi … ma non fraintendere, mi sei simpatico, ti ammiro molto e ti trovo anche piuttosto carino, ma non ho voglia di essere il Punch-ball di Zeus al momento,  grazie alla gloria di Rhea al momento il Divino Apollo fa il ruolo benissimo” aveva raccontato Ganimede. Leo aveva scosso il capo.
“Consiglio spassionato, eroe, torna alla festa, bevi, fai qualche chiacchiera ed attendi il giudizio di Giove a capo chino” aveva dichiarato Ganimede, “Hai salvato il mondo non sarai folgorato” aveva aggiunto il coppiere, provando a tirarlo su di morale.
Leo lo aveva guardato appena, “Se mi fossi fermato ad ogni lascia perdere, non sarei qui” aveva dichiarato alla fine.
“Ed è onesto!” la voce che era venuta alle sue spalle era stata melliflua.
“Khione” aveva detto rigido Leo, voltandosi, riconoscendo la malefica dea della neve, “L’ultima volta che ti ho visto, Pipes ti aveva fatto esplodere come una spara coriandoli” aveva ricordato Leo.
La dea non aveva perso il suo sorriso di freddo, come il vetro, con lo sguardo duro e crudele, “Sono una dea, Leo Valdez, non posso morire … non troppo a lungo, almeno” aveva dichiarato, “Tu d’altronde …” aveva lasciato la frase cadere nel vuoto.
“Sono morto e risorto, Baby, qualcuno dica a Crillin che ha un rivale” aveva risposto Leo, decidendo di non farsi abbattere dalla malefica strega delle nevi.
“Fortune che ai mortali capitano una volta, se sono fortunati, nella vita. Non abuserei della mia dose di buona sorte” aveva rivelato Khione cruda.
“Be, entro la fine della giornata probabilmente Zeus mi folgorerà, visto che non apprezza molto chi inganna la morte” aveva risposto Leo.
Non avrebbe mai dato a Khione una soddisfazione, ne avrebbe abbandonato il suo senso dell’umorismo, altrimenti probabilmente ne sarebbe uscito matto.
O morto.
Era probabile entrambe le cose.
Khione aveva roteato gli occhi, “Ti prometto che per la tua morte calerà la più grande bufera di neve del creato, così smetteranno di ciarlare su quella sciocchezza del riscaldamento globale[7]” aveva enunciato con cattiveria la dea, incrociando le braccia sotto il seno.
“Per essere una appena graziata, chiacchieri molto sta sera” si era intromesso Ganimede, “Tu, invece, sai usare la bocca per altro oltre che l’Irru…” qualsiasi cattiveria Khione avesse voluto dire, era stata soffocata da un paio di urla piuttosto isteriche di Ganimede in un greco.
Leo capiva il greco antico e la sua mente era schifosamente veloce, ma il coppiere di Zeus aveva sbrigliato la lingua più rapidamente di quanto avesse mai fatto lui o sentito fare a qualcuno.
Alle sue orecchie era arrivata una cantilena incredibilmente svelta.
“Oh, tu, figlio di Troia[8]!” aveva gridato Khione, sollevando i palmi aperti verso il coppiere e colpendolo con una bufera di aria gelata e ghiaccio affilato come rasoio.
Ganimede era volato indietro, si era tirato su con il fiatone, contuso e qualche graffio. L’icore d’oro era scivolato da un labbro, “Come sei debole” aveva stuzzicato la ninfa mentre si tirava su, il viso tumefatto aveva ripreso immediatamente la grazia.
Il bel viso levigato di Khione e il suo vestito bianco panna avevano subito un profondo cambio di colore, quando Ganimede di rimando le aveva lanciato addosso una caraffa di vino speziato.
Leo aveva approfittato della baruffa tra due dei per allontanarsi.
“Oh! Qualcuno chiami Morfeo così si calmano!” aveva sentito strillare qualcuno, non ci aveva fatto molto caso, aveva bisogno di pensare lucidamente.
Festus.
L’Astrolabio … dove era l’Astrolabio?
Calypso.
Campo.
Preferibilmente evitando il giudizio divino di Zeus.


Sua zia Ebe lo aveva preso per un gomito, proprio quando era perso nei suoi pensieri.
“Mi ricordavo che i semidei avessero ADHD per essere sempre attivi e vigili” aveva dichiarato la dea. “Tendo a distrarmi un po’” aveva ammesso Leo.
Zia Ebe aveva scosso il capo facendo oscillare la lunga chioma riccia, “Vedevo un po’ di fumo uscire dal tuo cervello. Stai facendo girare gli ingranaggi? Tenti la grande fuga, Leo?” aveva chiesto quella con una puntina di divertimento.
 “Sì. Il grande Leo Valdez è un animale da festa, Zia Ebe, ma non questa festa!” aveva ammesso quello. Sua zia aveva riso, non sapeva se fosse con lui o di lui, ma aveva deciso per la sua autostima di scegliere alla prima ipotesi. Aveva salvato il mondo, per una volta se lo meritava di non essere lo zimbello della storia.
Zia Ebe aveva allungato verso di lui un bel bicchiere, di vetro, con un clave d’oro scintillante sul bordo.
“Altra coca-cola?” aveva domanda Leo, quasi speranzoso.
“Finita. Chinotto!” aveva risposto Ebe, mentre lo riconduceva nel ventre pieno della sala, “È ora di far fronte al volere del Grande Zeus! Poi ti prometto la migliore sbronza della tua vita, diretto dalle cantine di Dionisio – lui non può bere ma il suo vino è ancora qui” aveva annunciato, con l’espressione da finta buona.
“Facciamolo. Mettiamo fine a questo strazio” aveva dichiarato Leo.
Se non c’era modo di evitarlo, tanto meglio era ballare.
Era Leo Valdez infondo, anche se metà delle volte era puro caos, era sempre caos a muso duro.
Zia Ebe aveva sorriso, “Dai, sei morto e risorto. Puoi farcela” aveva dichiarato lei, aveva usato ancora una volta il tono finto gentile da Cheerleader.

 

Hera aveva sorriso accomodante, verso di lui. Indossava un vestito di lustrini, degno di una festa di Capodanno, con un generoso scollo a barca ed i capelli acconciati.
Non somigliava a Tia Callida, per nulla.
La donna era seduta su un trono, solo leggermente più piccolo di quello che era al suo fianco.
L’altro era d’oro massiccio, ingombrante e decisamente pacchiano.
Su di esso era seduto il Divino Zeus, con un completo gessato ed il taglio dei pantaloni larghi. Un uomo dall’aspetto rispettabile, tranne per la barba lunga, attraversata da scoppiettanti fulmini.
Non somigliava per nulla ai suoi figli, non aveva la stessa grazia letale di Thalia e sembrava del tutto privo di quella dolcezza e bontà che animava Jason.
L’unica cosa che avevano ereditato dal padre i suoi amici erano gli occhi, Zeus sfoggiava occhi di un blu elettrico, incandescente, come scintille di corrente.
“Eccoti qui, Leonidas Valdez, l’eroe” lo aveva presentato Zeus, sollevando le mani.

Zia Ebe si era stretta di più al suo fianco, mentre l’intera musica nella sala era cessata sotto le roboranti parole del padre dei numi.
Leo, doveva ammettere, si sentiva in leggera soggezione ad avere tutti gli occhi degli dei, rivolti verso di lui, incantati come davanti una fiera esotica. Il che era tutto dire, visto, be … visto che era lui.
Leo Valdez, letteralmente la settima ruota di scorta.
Non aveva controllato il tic del dito della mano, libera dalla presa di Zia Ebe, che teneva stesa lungo il fianco. Aveva pigiato ritmicamente il dito contro il suo pantalone, ripetendo come gesto impulsivo una preghiera a sua madre, in morse.
M-a-m-m-a-c-i-s-e-i.
Pur sapendo di non aver risposta.
“Facciamo un applauso al duro lavoro svolto da Leo!” aveva dichiarato Hera, cominciando lei stessa a battere le mani.
Un uovo crudo aveva colpito Leo in faccia, si era voltato sconvolto per cercare di chi era stato, due ragazzi avevano attirato la sua attenzione; uno era un figaccione in chiodo di pelle – che indossava diecimila volte meglio di quanto facesse Leo –  e l’altro era un armadio a tre ante in canottiera bianca smanicata, un pugno nell’occhio rispetto l’eleganza della festa. “Scusa nonna, mi ero preparato per un ovazione!” aveva dichiarato quello con il chiodo.
Afrodite, non poteva essere altra dea, aveva tirato un buffetto sulla nuca ad ambedue con un movimento sicuro e severo.
Hera aveva guardato con biasimo i suoi nipoti, riprendendo ad applaudire con più vigore, imitata dagli altri ospiti. Il sorriso che nasceva sul viso della dea aveva ricordato a Leo quello della sua baby-sitter psicopatica, che sfoggiava quando Leo superava una delle sue prove infernali.
“Sì. Il nostro giovane Eroe, Leo Valdez ha mostrato una gran dose di coraggio e ciò che ha fatto è stato notevole, se oggi Gea non è qui, seduta sul mio trono, lo dobbiamo in gran parte alle sue azioni” aveva dichiarato Zeus, diplomatico, in quel momento, la sua austerità e sicurezza, avevano ricordato a Leo un po’ Jason, quel suo modo di porsi come faro dei dispersi.
“Per i suoi servigi, Leo figlio di Efesto, tu sarai ricompensato, ovviamente” aveva dichiarato il padre dei numi.
Calypso era libera e lui era vivo, l’unica cosa che voleva era salire in groppa a Festus e prendere il mare per raggiungere Ogigia.
Una donna aveva tossicchiato.
Leo l’aveva riconosciuta immediatamente,  non era molto lontana da Zeus. Una donna in un bel completo tre pezzi grigio tortora, soprattutto era una versione più adulta ed austera di Annabeth Chase – con una chioma nero corvino, anche.
Zeus aveva guardato Atena, la dea aveva fatto una smorfia appena accennata e di rimando l’uomo aveva annuito, “Certo … certo” aveva liquidato l’intromissione. Hera aveva gonfiato le guance piena di rabbia, che aveva inghiottito poi in una bile colma di rancore.
“Leo Valdez però ha infranto un dettame della Legge Naturale, utilizzando il potere di mio Nipote Asclepio, nonostante io avessi più volte sottolineato come questo non dovesse più accadere” aveva conferito il padre dei Numi, gli occhi blu come fulmini brillanti avevano raggiunto la figura di uno smorto e pallido Apollo, che bianco come un lenzuolo aveva cercato di nascondersi dietro le spalle piccole da bambina della divina Artemide – lei aveva sicuramente lo stesso sguardo rigoroso di Thalia.
Atena si era colpita il viso con un palmo aperto, nascondendo gli occhi alla vista … era un face palm?
Leo era rimasto notevolmente sconvolto davanti alla dea della ragione che faceva quel gesto.
Zeus aveva distolto lo sguardo infuocato da Apollo per dirigerlo verso la sua figlia ben vestita e guardarla con notevole confusione.
Hera aveva attirato l’attenzione di suo marito con una carezzina sulla guancia.
Zeus aveva putato nuovamente gli occhi lucenti su Leo, “Be, dicevo, Leo Valdez hai infranto le mie regole, ma per i servigi arrecati a noi tutti e il mondo intero” aveva ripreso Zeus, nonostante le parole poco rassicurante il suo tono sembrava carico di allegrezza.
Buon segno no?
“La punizione sarà lieve” aveva dichiarato Zeus.
Leo si era dovuto trattenere dallo sbuffare, era anche solo assurdo che volessero punirlo.
“Una sciocchezzuola, ragazzo mio” l’aveva rassicurato Era.
Non si sentiva rassicurato.
“Ti è proibita la possibilità di rifiutare” aveva dichiarato Zeus, “Per cento anni?” quella seconda sentenza del padre dei numi sembrava una domanda rivolta alla platea, c’era stato un certo brusio di assenzo.
“Chi sa perché questa insana ossessione per il cento!” aveva dichiarato qualcuno, Leo aveva riconosciuto un uomo con un tuxedo leopardato accanto ad una donna bellissima.

“Sono confuso” aveva ammesso Leo, grattandosi il capo riccioluto. Non avrebbe potuto rifiutare per cento anni?
Che cosa voleva dire?
“Oh, be, caro Leo” aveva cominciato Hera, “Ora ti verrà posta la domanda ed il mio adorato marito, Zeus padre dei numi” aveva ripreso quella, tenendo un tono di rispetto quasi stucchevole verso il compagno, “Ti ha revocato il diritto di negazione” aveva spiegato.
“Brevemente: non potrai rifiutare il tuo premio e chiedere altro in pratica, come qualcun altro di tua conoscenza” aveva dichiarato Atena, con un tono rude e piuttosto disgustato.
Oh, parlava di Percy!
Percy che aveva anche chiesto la liberazione di Calypso.
Immaginava che se la cose non piacesse particolarmente a Leo, alla divina Atena – una che toglieva i doni alla figlia perché non faceva tutto esattamente come voleva – non dovesse andare a genio che il fidanzato della progenie prediletta chiedesse la liberazione dell’ex fidanzata, praticamente.
“Per cento anni” aveva ripetuto Zeus.
Leo doveva dichiararsi stupito di se stesso, sedici anni di vita erano lungi dalla sua più rosea aspettativa di vita, cioè se non considerava il fatto che fosse tecnicamente morto e risorto, però, ecco, nonostante la rinnovata fiducia in se stesso non credevo avrebbe vissuto altri cento anni.
“Divino Zeus” era intervenuta Ebe nella discussione, “Non avete detto a mio nip-al giovane Leonidas quale è il suo premio.”
A Leo andava benissimo andarsene sulla groppa di Festos.
Zeus aveva sorriso con una certa carica di gioia, come se la figliastra avesse appena riportato una notizia fantastica.
“Oh certo! Leo Valdez figlio di Efesto, ero dell’Olimpo, per le tue notevoli gesta ti viene offerta la possibilità di diventare un dio!” aveva stabilito Zeus soddisfatto.
“Ebe, tesoro, dai al ragazzo il sidro” si era intromessa Era.
Leo aveva sentito le parole scrosciarli addosso come una doccia d’acqua fredda.
Dio?
Diventare un dio?
Mentre il criceto nel suo cervello scorreva a velocita fuori controllo, sua zia si era sciolta da lui, per versargli da una brocca una generosa dose di liquido dorato, viscoso come il miele, “Sarò onesta: brucerà un poco, come l’intensità di mille sole, o almeno così mi hanno detto Dionisio e mio marito, ma sarà solo per un momento” aveva detto Ebe, lasciandoli il calice.
Leo aveva preso il bicchiere tremolante.
Lui?
Un dio?

Il liquido dorato non restituiva nessun riflesso, neanche distorto.
Chi era distorto era Leo.
Leo e la sua mente.
Leo che era morto e risorto.
Leo che era l’ultima ruota del carro.
Leo che era letteralmente la settima ruota del carro.
Calypso a cui aveva promesso che sarebbe tornato.
I suoi amici che lo pensavano morti.
I suoi amici …
“Non … capisco” aveva ammesso Leo.



[1] Il chitoniskos è una versione corta del chitone, che veniva utilizzato dagli uomini durante le attività agricole, o di caccia o di battaglia. Ebe sta facendo riferimento al primo caso, essendo Persefone legata ai culti delle messi.

[2] Nel canone Riordiano, mi pare, che Ebe sia figlia di Era e Zeus, però ho trovato diversi miti in cui lei è solo figlia di Era, come Efesto, ma “uscita bene” (povera stella Efesto) niente, ho tenuto su questa versione perché si.

[3] Se state leggendo le note post capitolo sapete già chi è la dea e probabilmente sapete a cosa si sta facendo riferimento. Altrimenti: alla dea in questione era stato profetizzato che qualsiasi figlio avesse messo al mondo sarebbe stato più forte del proprio padre per questo nonostante fosse tanto corteggiata dagli dei, alla fine nessuno si è fatto avanti per timore di avere un figlio che potesse detronizzarlo.
Efesto con “Così mi hanno detto” prende in giro le paure degli dei (che in un’altra occasione aveva spinto pure Zeus a mangiarsi la prima moglie) ed il fatto che, tecnicamente, lui non ha padri da superare.

[4] Elusi è una città devota al culto di Demetra, quindi niente voleva essere una battuta a “Pefetta Famiglia del Mulino Bianco”

[5] Nel canone Riordano: Pleiadi ed Esperidi sono tutte figlie di Atlante e Pleione, mentre Calypso è figlia di Atlante e Teti (La titana, non l’oceania – che casino lol), non ho idea per le Iadi, comunque nella mitologia più canonica ho trovato che Calipso era figlia di Pleione come le Pleiadi, rendendo queste ultime sue sorelle di sangue. Non son voluta entrare nel merito comunque. Le Pleiadi, le Esperidi e co, si considerano tutte sorelle perché tutte unite dal fatto di essere figlie di Atlante, le quali hanno scelto gli dei (che amassero o meno il padre) tranne Calypso che fa da pecora nera.

[6] Merope è la Pleiade che ha sposato Sisifo, per cui è invisa agli dei, e cerca sempre di non farsi notare. Elettra ed Alcione non sono esattamente gentili lol.

[7] Se non sto flashando male le cose, Khione rigettava l’idea del riscaldamento globale.

[8] Sono una persona orribile, Ganimede è un Principe Troiano, quindi, ovviamente dovevo fare questa battuta. Ma quanto sono pessima?

   
 
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