Alla mia dolcissima
Lore
Always
I’ve always been a fighter,
but without you, I give up
Un goal; un altro, e poi un altro ancora.
Che Shinichi Kudo, ventisette anni e detective di fama nazionale da
dieci, stesse giocando duramente a calcio da non si sapeva più quanto, non era
preoccupante di per sé; preoccupante era il fatto che non gli importasse
minimamente del tempo che passava. La verità nuda e cruda, quella che lui si
ostinava sempre a cercare e a ricercare nelle sue indagini, era che voleva
giocare a football solo perché era il solo sport che conoscesse, oltre
all’investigare, in cui poteva dimenticare tutte le sue preoccupazioni solo
concentrandosi. E, in quell’istante, non c’era in giro alcun caso in cui fosse
richiesto un detective, quindi…
“Dacci un taglio, campione, lo sappiamo quanto
vali.” Un asciugamani gli finì dritto sul viso, impedendogli di continuare.
Quando si girò di scatto, non poté dirsi sorpreso di vedere colui che gli stava
davanti: Heiji Hattori, 27
anni, detective di Osaka, e suo migliore amico.
“Hattori.” Biascicò,
asciutto; normalmente sarebbe stato contento di vederlo a Tokyo, ma non era assolutamente
dell’umore adatto. “Che ci fai qui?”
Lo vide scrollare le spalle per tutta risposta. “Dovrei
chiederlo io a te, culone di piombo.” Mise le braccia dietro la testa, con fare
annoiato. “E’ una vera noia quando passi a trovare i tuoi testimoni di nozze
subito dopo la luna di miele, e scopri che tra loro è successo un casino. Ran era fuori di testa, e tu non sei da meno, a quanto noto…”
fece, scrollando le spalle. “E siccome la mia dolcissima sposina ha molto a
cuore la tua mogliettina, se l’è portata in giro per farla un attimo calmare;
io, invece, sono venuto qui. Contento, eh?” ammiccò.
La mascella di Shinichi
si contrasse. “Una pasqua.”
Heiji fischiò. “Uh, si vede, fratello. Senti, ho
parzialmente ascoltato la questione tra te e Ran, ma
mi manca la tua campana. Ti spiacerebbe molto farmela ascoltare?”
“Non ho voglia di parlarne.”
“E invece ne hai voglia, perché sei un fascio di
nervi – nervi molto sudati, oserei dire – che sta scoppiando. Di fronte a te
c’è il tuo migliore amico, il tuo fratello mancato, il tuo testimone di nozze,
colui che ti ha aiutato a sbaragliare l’organizzazione nove anni or sono…”
“Va bene, ho capito, dacci un taglio.” Brontolò
l’altro, bevendo dell’acqua e asciugandosi il sudore con l’asciugamani. “Ma ti
avviso che è una storia lunga…”
L’altro scrollò le spalle. “Abbiamo tempo.”
Shinichi dapprima non disse alcunché, poi respirò profondamente
e, infine, annuì. “Credo tutto risalga esattamente a… Sei mesi fa.”
Rientrando a casa, Shinichi
si sentì avvolto da un alone di gelo; aveva sbagliato, e lo sapeva, ma il caso
che aveva appena risolto era stato talmente intricato e complicato da
stuzzicare la sua passione da detective, e il tempo si era semplicemente
disciolto…
Ma perché aveva dovuto perdere la cognizione del
tempo proprio quando era stata fissata la prima ecografia?!
“Ran?” la chiamò con un
filo di voce, quasi con paura.
Era seduta al tavolo della sala da pranzo, lo
sguardo assente e deluso, e sfogliava, un sorriso amaro sul volto, delle
fotografie. “Entra pure.” Fece, con voce incolore.
Shinichi, varcando la soglia, cercò di comportarsi
normalmente. “Allora, com’è andata?” chiese, baciandole la guancia. “Questi
sono per te.” Le consegnò un mazzo di tulipani rossi, i suoi fiori preferiti, e
lei li prese, sorridendo pallidamente.
“Il bambino è sano come un pesciolino, e sin dalla
prossima ecografia saranno in grado di dire di che sesso sarà.”
“Oh, ma è… E’ magnifico, no?” chiese, impacciato.
Ran sospirò ed abbassò lo sguardo. “Si, lo è.” Esalò
con un filo di voce. “Che cos’è che vorresti mangiare, per cena? Vanno bene
delle polpette di riso?”
“Ma sì, certo…” stavano tergiversando, e la cosa
era pressoché preoccupante. Lui e Ran erano amici da
una vita, le cose se le dicevano dritte in faccia sin da bambini, possibile che
dal matrimonio questa regola non valesse più?
Per un po’ si sentirono trafficare solo delle
padelle e dei coperchi, ma il rumore dei pensieri di Shinichi
avrebbe sopraffatto qualunque cosa, per quanto si stava sforzando di pensare.
Perché, in effetti, Ran
era differente da lui: lui diceva le cose all’istante, dritte in viso, senza
preoccuparsi di alcunché; lei, invece, accumulava tanta di quella rabbia, man
mano passavano i giorni, che il livore la divorava, per poi esplodere una volta
per tutte, violentemente.
Il verdetto era semplice: doveva chiedere scusa,
a costo di mettersi per terra e strisciare.
“Mi dispiace.” Sospirò. “Sei arrabbiata, lo so,
ma non l’ho fatto apposta. Non ho dimenticato volutamente l’orario; il caso si
è semplicemente spinto troppo oltre.”
Ran Mouri, in Kudo da venticinque mesi, smise di trafficare con il cibo e
sospirò pesantemente; infine andò verso suo marito e, guardandolo negli occhi,
gli sorrise in maniera un po’ forzata, come a voler combattere con sé stessa.
“Sei tu che devi perdonare me.” Sussurrò. “E’ che ieri, quando ti sei attardato
alla cena con la mamma per parlare del programma di copertura speciale con
l’ispettore Megure, lei si è messa a… Brontolare. A
ricordarmi… Delle cose. Mi ha messo in testa della roba che non penso… E quando
non ti ho visto arrivare i-io…”
Gli buttò le braccia al collo, e fu naturale per Shinichi cingerle i fianchi appena arrotondati ed
abbracciarla forte. “Tua madre è l’avvocato più pericoloso che conosca.” Le
sussurrò, facendola ridere. “Quindi sii più forte delle sue sapienti parole,
okay?” chiese, sorridendo.
Lei gli pose una mano sulla guancia. “Il mio
amore per te lo è.”
Shinichi sorrise; la sua Ran
era sempre stata così: sincera, leale e sensibile, e lui non avrebbe mai
cambiato una virgola di lei. “Testa bacata.” Sussurrò amorevolmente, baciandole
i capelli.
Lei sospirò. “Niente polpette di riso, stasera:
festeggiamo al ristorante italiano in centro?” e, con un sorriso, Shinichi accettò di buon grado, sperando che tutto fosse
risolto per sempre.
Heiji si accigliò. “Ma questa storia non è a lieto
fine?”
Il detective di Tokyo sbuffò, tirando lontano il
pallone da calcio. “Da bravo detective, cosa hai notato?”
Il neo-sposino si portò un indice al mento,
pensando al racconto del suo migliore amico, poi schioccò le dita. “Ma certo!
Ha detto che la devi perdonare tu, ma non che ti aveva perdonato!” poi scosse
la testa. “Donne… Chi diavolo le capisce?”
L’amico lo guardò di sottecchi. “Parli tu che ti
sei sposato la più gelosa e acida di tutte?”
L’altro ghignò. “Per ora è tutta amore e coccole,
spero vivamente che alla prima litigata seria anche tu e Ran
veniate a soccorrerci come stiamo facendo noi.”
Shinichi si rabbuiò. “Se saremo ancora una coppia.”
Heiji fece tanto d’occhi. “Ehi, piano con le parole!
Come puoi dirlo? Andiamo, siete tu e Ran!
Praticamente sposati da quando eravate bambini! E ora… Ora ne avete uno in
arrivo, non scherziamo!”
Shinichi si voltò a guardarlo. “E chi scherza… E’ lei che
mi ha tirato dietro l’anello di fidanzamento.”
A questo punto Heiji
praticamente sbiancò. “Okay, adesso basta parlare per frasette. Racconta tutto
e basta. E riprendi da dove avevamo lasciato: secondo me era un finale
perfetto.”
Kudo sospirò. “Io invece notavo che Ran era la prima a non esserne convinta. Io mi ero scusato,
ma era come se lei non riuscisse a perdonarmi… Mi dicevo che mi sarei fatto
valere, prima o poi, ma non immaginavo che, due mesi dopo, mi potesse accadere
un casino simile!”
“Secondo la mamma potrebbe essere una
femminuccia, io, invece, dico che è un maschietto.” Fece la neo signora Kudo, arricciando il naso e parlando al telefono con
l’altra signora Kudo, ossia la sua adorata suocera.
“Per la nascita del bambino ci sarete, no? Grandioso! Ma certo, ma certo.
Allora ci sentiamo Yukiko, le auguro una buona
serata.” Concluse, chiudendo la conversazione e riponendo il cellulare nella
borsetta.
Shinichi prese una patatina dal suo cocktail senza un reale
interesse. “Novità?”
Ran scrollò le spalle. “Tua madre mi ha inviato un
pacco sorpresa che riceverò tra qualche giorno, e tuo padre ha appena ultimato
il suo ultimo libro.”
“Saranno a Tokyo questa primavera, no?”
Gli occhi di Ran
presero a brillare. “Yukiko mi ha giurato che non si
perderebbe la nascita del suo primo nipotino per nulla al mondo, e io le
credo.” Fece, sorridendo.
“Mmm… Già vi immagino
insieme a complottare sulle tutine per il bimbo…” rispose il marito, portando
una ciocca dei lunghi capelli della moglie dietro il suo orecchio.
Ran arrossì. “Ti volevo parlare di una cosa.”
Shinichi inarcò le sopracciglia. “E’ per questo che mi
hai portato a cena nell’hotel più prestigioso della città? Per farmi la
proposta indecente?”
Ran gettò la testa indietro, scoppiando a ridere e Shinichi la osservò, pensando a quanto fosse bella. “No,
veramente volevo proporti un’altra cosa.” Fece, riprendendosi. “Io ho come la
sensazione che il nostro bimbo sia un maschietto e se lo fosse… Io vorrei
chiamarlo Conan, ecco.”
Suo marito ridacchiò. “Conan?”
“Sì, dai! Mi manca quel ragazzino intelligente e
precoce che avevo sempre tra i piedi anni fa. Che ne dici?”
“Ran, Conan ero io…”
“Appunto! E poi sarebbe anche un omaggio al tuo
scrittore preferito, no?” qui fece una smorfia. “Beh, Conan Kudo
sembra più uno scioglilingua, ma pazienza…”
“E se lo chiamassimo Arthur Conan Kudo? Così il tuo Conan ci sarebbe lo stesso, ma Arthur Kudo suona meglio, no?”
Ran fece una smorfia. “Io rivoglio un bimbo che
assomiglia a te che si chiama Con-” la futura mamma fu interrotta da un
improvviso black-out che oscurò la vista di tutti i presenti in sala.
Da lì ci furono un turbine di eventi, quasi uno
dopo l’altro, a girandola: uno sparo, delle urla, la luce che si riaccendeva e
un nuovo caso da risolvere. E l’immediato interesse di Shinichi.
Che il colpevole non era altri che uno dei
camerieri fu scoperto solo due ore e mezza più tardi, quando, dopo aver investigato
in lungo e in largo, il detective capì che strategia aveva usato il colpevole e
la prova che lo inchiodava.
Ma la persona che avrebbe inchiodato lui mesi più
tardi era seduta a metri di distanza e lo osservava, chiedendosi cosa mai
dovesse fare per poter essere considerata da lui.
Perché lasciare sua moglie, incinta, da sola,
senza nemmeno chiamarle un taxi, nella sala del ristorante nel caos più totale,
non era stata una saggia mossa per Shinichi Kudo. Proprio no.
“Una volta tornati a casa lei non ha detto
niente?” chiese Heiji; Shinichi
scosse il capo. “Nemmeno stavolta?”
“No, era solo molto provata, e io l’ho capito
solo dopo, quant’ero stato coglione.”
“Beh, in fondo Ran ha
sempre sofferto per colpa tua, non puoi negarlo. Prima perché eri
misteriosamente sparito dalla circolazione e secondo lei la snobbavi per dei
casi importanti, poi perché ha pensato a quanto l’avessi presa in giro tutto
quel tempo, e adesso…”
“Sì, grazie tante.” Sibilò a denti stretti,
dopodiché si passò bruscamente una mano tra i capelli. “Non hai torto, lo so,
okay? Lo so.” Ripeté ed, infine, sospirò.
Heiji lo guardò fisso. “Com’è degenerata la cosa?”
Shinichi sospirò. “Hai scelto la parola giusta: la cosa è
proprio degenerata…”
Trovando all’ingresso una cartolina proveniente
da Montecarlo di Sonoko che mandava baci e abbracci
alla sua migliore amica, Shinichi non riuscì a
reprimere un ghigno: anche a ventisette anni suonati, quella sarebbe sempre
rimasta la ragazzina superficiale e viziata che aveva sempre conosciuto!
Appese la giacca all’attaccapanni e si diresse
verso il salotto dove, forse, avrebbe potuto rilassarsi un po’ dopo una
massacrante giornata passata a cercare di far riaprire e risolvere un caso di
vent’anni prima.
E fu lì che trovò Ran:
distesa sul divano, in singhiozzi, con una mano sul pancione appena arrotondato
e gli occhi gonfi e rossi. Quella visione lo scagliò con violenza ai tempi
dell’organizzazione ed ebbe il potere di fargli contorcere le viscere.
“Che succede?” chiese, allarmato, raggiungendola,
con due passi che parevano falcate.
Quando lei si voltò a guardarlo con astio, capì
di aver fatto qualcosa di sbagliato. “T-Te ne sei dimenticato… V-vero?”
Shinichi restò senza parole: di cos’è che si era
dimenticato? Cercò di scavare a fondo nel suo cervello, ma non vi trovò
alcunché, ed era pressoché preoccupante; quando poi vide gli occhi di Ran inumidirsi di lacrime sempre di più e singhiozzare
ancora più violentemente, ebbe la tentazione di gettarsi dal monte Fuji, se
questo fosse servito a ricordare.
“Ran, ascolta, io-”
“La parola amniocentesi ti dice nulla?” lo
interruppe lei, lo sguardo pieno di dolore. “Oggi sono andata dalla ginecologa
a far l’esame a cui dovevi venire pure tu per appurare se nostro figlio sta
bene e non ha alcun tipo di malformazioni e tu non c’eri, tanto per cambiare.”
Qui emise un singhiozzo. “Non hai nemmeno telefonato per sapere se era andato
tutto bene… Te lo sei dimenticato…”
“Ran…”
Lei pianse più forte. “Scusa, i-io… Sono gli
ormoni in più… Sarà meglio che vada a riposare, scusa…” detto questo lo guardò
un’ultima volta e poi corse via, chiudendosi la porta alle spalle.
Heiji era sempre più scioccato. “Tu non sei un
coglione normale, Kudo: ne sei il re, fidati; perché
di tutte le cazzate che potevi fare, questa era la più grossa.”
Shinichi lo guardò male. “Vorrei dirti di chiudere la
fogna, Hattori, ma so che hai ragione, quindi ci
rinuncio.”
Heiji si esibì in un sorriso smagliante. “Bravo, così
si fa.” Poi tornò serio. “Però nemmeno qui Ran è
andata fuori di testa. Non molto, almeno; questo episodio che mi hai raccontato
a quando risale?”
“A tre mesi fa, quando era alla ventesima
settimana.”
“Okay. E qual è il round finale, quello che ha
consentito alla Mouri di sbatterti fuori di casa?”
Il viso chiaro di Shinichi
si rabbuiò. “E’ tutto partito da un’inezia, ma poi…”
In quei tre mesi che erano trascorsi dal giorno
dell’amniocentesi, Shinichi aveva cercato di non
deludere mai la sua Ran, anche se goffamente. In
effetti, con quella massa di lavoro come in quel periodo, la cosa non poteva
essere più difficile, e lui si ritrovava con l’acqua alla gola.
Ma la cosa più insopportabile per lui, era senza
dubbio l’ostinato mutismo a cui lo sottoponeva sua moglie da tre mesi a quella
parte: praticamente si rivolgevano la parola solo come due perfetti sconosciuti
potevano fare, in un coro di ‘buongiorno’, ‘eccoti il pranzo’,
‘buon lavoro’, ‘ecco la cena’, ‘bentornato’,
‘buonanotte’, e la pazienza di Shinichi era veramente
al limite.
Quel giorno avrebbe dovuto stare attento: per le
quattro aveva un appuntamento con Ran che non avrebbe
perso per nulla al mondo; avevano, infatti, stabilito di andare un po’ in giro
a fare delle spese per il bimbo. Visto che il giorno del parto si stava
avvicinando, avere una borsa d’emergenza da portare all’ospedale per qualsiasi
evenienza poteva essere utile.
Sarebbe arrivato in orario: se voleva dimostrare
a Ran che teneva a lei e al bambino, si sarebbe
dovuto dar da fare, e al più presto.
Dopo una giornata in ufficio piuttosto pesante,
alle tre e mezza in punto scese di tutta fretta per poter arrivare prima possibile;
aveva fatto per aprire lo sportello dell’auto, quando una voce ironica lo fece
sobbalzare.
“Sempre di corsa, eh Kudo?”
“Haibara?” non ci
poteva credere: da quand’era finita la storia dell’organizzazione, nove anni
prima, non aveva più intrattenuto alcun tipo di contatto con lei: sapeva solo
che era andata a vivere a Nara, e che scambiava una fitta corrispondenza con il
professor Agasa, nient’altro.
“Non più, ricordi?”
Beh, c’era da dire che non era cambiata affatto:
i capelli biondi, i glaciali occhi chiari, l’aria saputella e snob, Shinichi aveva quasi voglia di alzare gli occhi al cielo.
“Cosa posso fare per te, Miyano?” fece, calcando la
pronuncia sull’ultima parola.
“In realtà niente. Sono semplicemente venuta a
consegnarti l’invito al mio matrimonio.” Gli rispose, consegnandogli un
rettangolo bianco e argentato.
“Wow, sono sbalordito. Non avrei mai detto che
nel corso della tua vita avresti mai trovato un uomo da odiare abbastanza da
infliggergli la tua presenza tutta la vita.”
Lei inarcò pericolosamente un sopracciglio.
“Potrei dire lo stesso di te.” Sillabò, con un sorrisetto perfido.
“Touché.” Le rispose Shinichi
riponendo il cartoncino nella sua ventiquattrore. “Che dire? Felicitazioni e
auguri. Ti faremo sapere se io e Ran avremo modo di
venire.”
La bionda arricciò il naso. “Sei sempre stato
scortese, Kudo; meno male che sono qui in visita con Soichiro dal professor Agasa:
almeno ho qualcuno su cui rifarmi.”
“Non badare a mio marito: lui è sempre stato un
tipo villano, lo sai.” entrambi si voltarono alla velocità della luce per
vedere una Ran palesemente incinta stagliarsi contro
luce del primo pomeriggio: lineamenti tirati in un sorriso falsissimo, naso
rosso di pianto, occhi lucidi prossimi alle lacrime…Stava per esplodere.
“Ne sono certa.” Disse la Miyano,
lanciando un’occhiata a Shinichi. “Beh… Io stavo per
andarmene. Mi raccomando, Kudo, fammi sapere. Buon
proseguimento.” E, com’era arrivata, sparì.
Shinichi si volse a guardare Ran:
non lo avrebbe mai ammesso ma, di fronte ad una lei arrabbiata nera avrebbe
preferito affrontare venti organizzazioni tutte insieme piuttosto che la sua
furia distruttiva. Se la conosceva bene, infatti, questo non era altro che
l’inezia che scatenava tutto il patatrac.
Ma era possibile che fossero bastate due
chiacchiere con Shiho Miyano
per far passare l’anticipo che era riuscito ad accumulare? Gettando un’occhiata
veloce al suo orologio, Shinichi imprecò tra i denti:
che fortuna, che aveva!
“E quindi, al posto di arrivare puntuale al
nostro appuntamento, eri con lei!” sputò fuori due secondi dopo.
Tombola!
“Ran, è arrivata a Tokyo
non per-”
“Chissà quali altri casi urgenti avete da
risolvere, mh?”
Shinichi roteò gli occhi: andavano bene! In quel momento
stavano nella fase delle cazzate a raffica, un sottogruppo delle paranoie. “Ran, è qui per il dottor Agasa,
okay?”
“E allora perché era con te?” chiese, le guance
scarlatte e gli occhi azzurri incupiti.
Malgrado Shinichi
adorasse letteralmente Ran quando faceva la gelosa –
anche perché non lo mostrava mai in pubblico – in quel momento avrebbe voluto
soltanto prenderla tra le braccia e baciarla fino a farle cedere le ginocchia,
ma sapeva bene che non era il caso: si era comportato talmente male che due
moine non sarebbero bastate affatto.
“Perché mi ha consegnato l’invito del suo
matrimonio.” Spiegò con calma; fu quando la vide scoppiare in lacrime che non
ci capì più nulla. “Ran?” si sentivano solo
singhiozzi. “Ran-chan, che succede?”
Per qualche minuto furono superati da qualche
passante, curioso, che li osservò; e i secondi furono scanditi dai singhiozzi
di Ran, che si facevano sempre meno violenti.
“Io voglio il divorzio, Shinichi.”
E fu peggio che essere scagliati nel vuoto della
bassa pressione, come aver ricevuto una botta in testa; il perfetto contrario
di quando, quella volta, al telefono, sull’aereo, lei, dopo avergli urlato di
tutto, gli aveva sussurrato di amarlo. Lì era stato puro oblio, come essere
sospesi nell’aria. E Shinichi poteva dire di aver
saggiato le sensazioni più dissimili tra loro.
“I-Io ho resistito più di vent’anni con te… Ti
conosco da una vita, so che non rinunceresti mai al tuo investigare, al tuo
ricercare la verità…” gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. “Ma io
non ne posso più di venire sempre per ultima.”
“Ran, io non rinuncerei
mai nemmeno a te!” esclamò lui. “Togliti dalla testa il divorzio, perché è una
follia!”
“E invece no, accidenti! Lo vedi come sei
egoista, lo vedi?”
“Sono egoista perché ti amo, dannazione!”
“Dimostramelo!!” urlò lei. “In tutti questi anni
non hai mai fatto niente, niente, che potesse indurmi a quantificare quanto io
sia importante per te! Tu mi ami? Ci ami? Dimostramelo!!” e con le lacrime agli occhi, si tolse la
vera nuziale, e la fece cadere nella sua borsa; l’anello di fidanzamento,
invece, un solitario appartenuto a Yukiko Kudo, finì per terra, a causa della troppa rabbia.
Heiji aveva gli occhi fuori dalle orbite. “Senza
offesa, amico, ma sembra una scenata di gelosia di un film italiano…”
Shinichi lo guardò di traverso. “Era pure ora che Ran esplodesse, non ti pare?”
“Beh, non mi aspettavo lo facesse dopo averti
visto con Shiho Miyano, ma
sì.”
Kudo fu tentato di chiedergli se non gli pareva che
fosse ora che chiudesse quella boccaccia, ma si trattenne. “Ad ogni modo,
quando tornai a casa lei non c’era e, in compenso, mi aspettavano due valigie
piene delle mie cose. Questo è tutto.”
Heiji corrucciò le sopracciglia. “E adesso dove
abiti?”
“Dove abitavo prima; i miei genitori non hanno
mai vend-” un urlo agghiacciante coprì l’ultima parte
della frase. Quando i due uomini si voltarono per vedere una donna, con le mani
nei capelli, urlare, si precipitarono sul posto per vedere cosa fosse accaduto.
Un uomo era stato accoltellato.
“Si chiamava Asaba
Matsuyama, aveva 54 anni ed era il custode del palazzetto dello sport del
quartiere.” Fece la voce dell’ispettore Megure,
mentre ricontrollava i dati raccolti. “Ma voi due, esattamente, che cosa ci
fate, qui?” chiese, rivolgendosi ai due giovani detective.
“A quanto pare non sono io che devo cercare casi
di cui occuparmi, ma sono loro che trovano me tranquillamente.” Ribatté Shinichi contrariato.
Megure lo guardò sbattendo gli occhi, stupito da quella
frase inaspettata, ma Heiji intervenne con una
risatina isterica. “Beh, eravamo qui e stranamente troppo impegnati a
chiacchierare per notare alcunché, ispettore.”
L’ispettore prese a grattarsi la nuca. “Mmm… Allora la vedo complicata, qui non ci sono testimoni
tranne voi due, che per tutto il tempo siete stati qui, e questa donna, che
dice di aver visto un uomo abbastanza esile con il passamontagna correre verso
ovest.”
E, alle parole dell’ispettore, si fece viva la
classica scintilla che caratterizzava l’interesse di Shinichi
nello risolvere un caso: la spintarella che la sua testa gli dava per poter
sempre conoscere la verità. Scambiandosi uno sguardo d’intesa con Heiji, poteva benissimo affermare che anche lui stava
morendo dalla voglia di sapere quale mistero si celasse dietro tutto quello.
“Ispettore, prima di esalare l’ultimo respiro
l’uomo ha fatto in tempo a scrivere dei numeri!” esclamò un giovane tenente,
strabuzzando gli occhi.
E fu in quell’istante che il cellulare di Shinichi squillò.
Disorientato, poiché era l’ultima cosa che si
aspettava, premette a stento il tasto per accettare la chiamata.
“Kudo-kun?”
“Toyama?!” era proprio
la voce di Kazuha: ma che cosa poteva volere da lui e
perché diavolo aveva una voce così esagitata?
“Devi subito venire al Saint Matthews,
Kudo, corri!” strillò, staccando quasi un orecchio al
giovane.
“Piano, parla piano.” Fece, tentando di calmarla.
“Che sta succedendo?”
“A Ran si sono rotte le
acque, e adesso è in pieno travaglio, ecco che cosa sta succedendo!” farfugliò,
mangiandosi quasi le parole.
“Va bene.” Fu la sola cosa in grado di dire, poi
più niente, perché si dovette appoggiare al primo muro disponibile.
“Ehi, che cos’hai?” gli chiese Megure, guardandolo. “Sei impallidito. Vuoi dell’acqua?” Shinichi scosse lentamente il capo.
“Che succede?” gli domandò Heiji,
avvicinandoglisi.
“H-Ha telefonato tua moglie.” Balbettò, piano. “Ran sta per avere il bambino.”
L’altro sgranò occhi e bocca. “Un mese prima?!”
poi storse la bocca. “Beh, può succedere, no? Complimenti, papà!” quando il
detective di Tokyo non reagì, si preoccupò. “Okay, che c’è?”
“Che devo fare?”
Heiji inarcò pericolosamente un sopracciglio. “Ma sei
scemo? Già che l’altra è intrippata con il divorzio, tu vuoi darle pure
ragione?! Ti presenti da lei strisciando, ovvio!” ci furono molti secondi di
silenzio, dopodiché il neo sposo sospirò profondamente. “Senti, Kudo, a me non la puoi dare a bere: il destino ti ha
giocato uno scherzo incredibile; ti sta dando l’opportunità di scegliere, un
bivio così netto non lo trovi da nessuna parte. Tu puoi stare qui ad aiutarmi a
risolvere questo caso come ce ne sono e ce ne saranno cento altri nella tua
carriera, come puoi correre da tua moglie, implorare perdono, e conoscere tuo
figlio. Che cosa scegli?”
Quello sorrise lentamente. “Heiji,
risolvilo tu questo caso; io ho una donna da riconquistare.”
Nel reparto cardiologia, il monitor, per un
istante, segnò il livello più alto per poi scendere immediatamente; la donna
sdraiata sul lettino, sudatissima, con i lunghi capelli castani legati in una
coda sommaria, respirava ad intervalli, mentre la sua amica le stringeva la
mano.
“Oh, è passata.” Fece Kazuha,
asciugando con una salviettina imbevuta il sudore dalla fronte della futura
mamma.
“Allora, come andiamo?” chiese la dottoressa Miwa Yoshizumi, ravviandosi una
ciocca di capelli color mogano.
“Q-Questa qui è stata terribile.” Singhiozzò Ran, affondando la testa nel cuscino.
“La dilatazione è buona, ed entro una o due ore
dovremmo aver addirittura finito, ma se tu non ti calmi, Ran,
non potrai aiutare il tuo bambino a nascere, va bene? Devi rilassarti.” Quando,
per tutta risposta, la paziente, scoppiò in lacrime, la ginecologa si rivolse
all’amica. “Okay, che ho detto?”
“Non è un buon periodo, dottoressa.” Si limitò a
dire Kazuha Toyama in Hattori, sospirando; ma quanto ci metteva quel buono a
nulla di Kudo?!
“Posso capirlo io, ma non il bambino. Ran, il tuo bimbo è come se fosse confuso sul modo in cui
deve venire al mondo: se non lo aiuti tu, dovremmo intervenire con il cesareo.”
Ran annuì lentamente tra le lacrime, spaventata, e
in quel momento la porta si spalancò di botto, rivelando la persona che, più di
tutte, amava e odiava allo stesso istante.
“Ran!” Shinichi era pallido e sudato, come se avesse scalato il
monte Fuji in due istanti per correre da lei.
“Va’ via.” Sussurrò, quando lo ebbe accanto, ma
il suo sussurro fu spezzato da un gemito di dolore per una nuova contrazione.
“Lei chi sarebbe, scusi?” chiese la dottoressa,
seccata di avere nella stanza una persona che non stava portando nessun bene
alla sua paziente.
“Il marito.” Rispose quello sbrigativamente, per
poi concentrarsi sulla moglie. “Ran, dobbiamo
parlare: mi dispiace di tutto, sono stato-”
“Va’ via.” Lo fermò Ran,
irremovibile, stringendosi alla mano di Kazuha.
“Digli di andare via.”
La neo sposina sospirò non sapendo che fare: da
un lato voleva disperatamente che i due facessero pace, ma dall’altro non
voleva che la sua amica stesse male… “Ehm, quasi papà, perché non vai un attimo
a chiedere alla dottoressa una stanza privata per Ran,
mh? Su, renditi utile!” poi gli fece un occhiolino
che notò solo lui, come a dirgli che ci avrebbe pensato lei a convincerla; Shinichi, dopo un profondo sospiro, annuì, poi andò.
“Tesoro, so che questo non è il momento ideale,
ma che ne diresti di ascoltarlo? Lo so, lo so che tutto ciò che ha fatto è
imperdonabile, ma sai meglio di me come sono i detective, no? E poi sono certa
che da dirti avrà molto e, se non ti convincerà, quando il piccolino sguscerà
fuori, io e te lo piglieremo a calci, ci stai?” Ran
dapprima disorientata da quel flusso di parole, e stancata da una contrazione,
non rispose, poi si limitò ad annuire; Kazuha le
passò un panno sulla fronte. “Brava, così si fa!”
“Allora?” chiese Kudo,
impaziente, all’altro lato della stanza.
Kazuha scrollò le spalle. “Io le ho parlato, lei ha
assentito, tu fai un altro passo falso – l’ennesimo – e ci penserò io a farti
diventare una delle vittime che ti piacciono tanto.”
Shinichi represse a stento un ghigno. “Non ne avrai
bisogno. Grazie.”
La neo signora Hattori
si stiracchiò. “Mi sa che è meglio se vi concedo un po’ di privacy e vado a
prendere dei caffè. Con o senza zucchero?”
“Okay, la dilatazione è ottima e le contrazioni
sempre più ravvicinate; se continuiamo così, entro mezz’ora siamo in sala
parto.” Disse la ginecologa, sorridendo e buttando la siringa nel cestino.
“L’epidurale è fatta, dovrebbe aver effetto nel giro di qualche minuto; ti
lascio con tuo marito, se ci sono problemi, chiamami.” Detto questo, li superò,
e lasciò la stanza.
Osservando il monitor collegato al pancione fare
su e giù, Shinichi non poteva non sentirsi agitato,
soprattutto se sapeva che sua moglie ce l’aveva con lui. Volendo rendersi
utile, si sedette sullo sgabello precedentemente occupato da Kazuha, e prese a bagnare il panno in una bacinella d’acqua
fredda.
“Non so da dove cominciare.” Borbottò, strizzando
il panno. “Se… Se ti fa molto male puoi sempre stringermi la mano fino a
disintegrarmi le ossa, sono qui per questo.” Provò, azzardando un sorriso.
Ran fece una smorfia. “Sono stanca di farmi trattare
come un oggetto da te.” Mormorò, la voce tirata. “Per te esiste solo il lavoro,
solo la tua passione più grande… E io lo so, l’ho sempre saputo. Ho aspettato
quasi vent’anni affinché tutto questo cambiasse, ma sono stufa di aspettare il
mio turno… Quindi facciamola finita.”
“No, Ran!” ribatté lui
con forza. “Senti: okay, sai che hai tutta la ragione del mondo, e te lo dico
pure io: hai ragione. Ma io… Io tengo
a te. A me importa di te. E mi importa perché…” e qui abbassò la voce e
arrossì. “Perché ti amo.” E fu quando le parole gli sbucarono fuori dalle labbra
che si rese conto di quanto poco gliel’avesse detto. “Tutti gli incontri dalla
ginecologa, l’appuntamento per l’amniocentesi… Non me li sono affatto
dimenticati. Tu lo sai che sono stato oberato di lavoro, e che ero troppo
stanco persino per ragionare, ma non troppo stupido per commettere errori.”
Ran fece un sorriso amaro. “L’ho sempre saputo di
essermi innamorata di un idiota…”
“Potrei offendermi, ma in questo caso, hai
ragione.” si sorrisero delicatamente. “E sai che quella volta all’hotel mi è
sembrato di rivivere un deja-vù? Quella volta di
dieci anni fa in cui ti portai a cena fuori in quello stesso hotel e ti
abbandonai per risolvere un caso? Solo che questa volta sono stato ancora più
idiota: ti ho lasciata da sola. Certo, accanto ad un grande uomo” fece,
indicando pomposamente se stesso “C’è sempre una grande donna; una bellissima,
fortissima, cocciutissima, sensibilissima donna, aggiungerei io. Che amo da
morire.”
Ran sorrise leggermente. “Shinichi…”
“Non parlare più di divorzio, per favore. Sono
stato il più grande tra i cretini, tra gli idioti, ma sono Shinichi,
e Shinichi Kudo senza la
sua Ran Mouri non è niente.”
Gli occhi le si riempirono di lacrime, e
maledicendo tutta la situazione e il fatto che dinnanzi a lui – soprattutto se
le parlava con quel tono – si sciogliesse
sempre, non poté far altro che sorridere.
Sorseggiando il suo caffè, Kazuha
si chiese quanto ci potesse mettere quella testa bacata di Kudo
a strisciare per benino ai piedi di Ran: doveva
aspettare altri cinque minuti o poteva già entrare?
Se solo ci fosse stato Heiji
con lei! Dio solo sapeva dove fosse quella testa matta di suo marito, visto che
al cellulare era irraggiungibile.
Gettando il bicchierino di carta nel cestino,
sospirò, decidendo di fare un giro nel reparto maternità: tanto cos’è che aveva
da fare?
E fu una grande vetrata, pochi secondi dopo, a
catturare la sua attenzione: un sacco di culle vuote erano sparse in giro per
la stanza, e in queste dei piccoli bambini giocavano ad afferrare l’arietta con
i pugnetti serrati, dormivano beatamente o, più semplicemente, sorridevano. E Kazuha si ritrovò a sorridere di rimando, il cuore
riscaldato e traboccante di gioia.
“Ehi, tu: non si sorride così alla mia signora;
potrei divenire molto geloso.” Quando il caldo fiato di Heiji
le si abbatté sull’orecchio, rabbrividì; era una cosa di cui non poteva fare a
meno, provare certe emozioni quando suo marito era nei paraggi, seppur dopo
vent’anni e passa di conoscenza.
“Ma dov’eri finito?” chiese, corrucciata. “Qui
tutto quello che poteva accadere, è successo: Ran ha
avuto le doglie all’improvviso, siamo corse in ospedale con l’ambulanza, mi
sono presa cura di lei fino all’arrivo di Shinichi…
Son sfinita.” Fece, melodrammatica, lasciandosi cadere in avanti e ritrovandosi
accolta dalle braccia di suo marito che la presero al volo.
Hattori ridacchiò: in passato avevano perso molto tempo
prezioso passato ad andarsi dietro come due cani che si mordevano la coda ma
poi, nove anni prima, quando lei aveva rischiato di tirare le cuoia in
occasione dello scontro con l’organizzazione, Heiji
aveva capito quanto fosse stato stupido rimandare e rinviare ciò che avevano
capito da sempre. “Non ci crederai, signora Hattori,
ma ho avuto un caso da risolvere.”
Kazuha si alzò di scatto, sospirando. “Vi vengono a
cercare, non c’è che dire…”
Heiji rise e la strinse in un abbraccio, posando il
mento sulla sua testa. “Allora, com’è che prima stavi guardando loro?” chiese,
indicando i neonati. “Cos’è, un messaggio subliminale o un tentativo per dirmi
che nella tua vita vuoi qualcun altro?”
Kazuha gettò la testa indietro e rise. “Veramente
volevo qualcuno in giro per casa che avesse la tua stessa età mentale, ma non conoscevo
la tua opinione in merito.”
Heiji sorrise largamente. “Sai che ti dico, signora Hattori? Facciamo provare prima ai Kudo.
Se ne escono vivi loro, noi lo possiamo fare tre volte meglio.”
“La sala parto 8 è disponibile?” chiese
frettolosamente la ginecologa, indossando la mascherina pro igiene.
“No, già occupata. Ma la 4 si è appena liberata.”
Le rispose un’infermiera, spostando Ran dal lettino
alla barella con l’aiuto di altre persone, tra cui uno Shinichi
tutto vestito di verde.
“Vada per la 4, allora.” Rispose sbrigativamente
la ginecologa, sospirando; poi spalancò le porte del reparto cardiologia e andò
ad aiutare con la barella movibile.
“Ran!!” delle voci in
lontananza giunsero a Shinichi e Ran
come un flebile sussurro: chi erano?
“Mamma…” ansimò la giovane, gettando indietro la
testa con una smorfia di dolore.
“Che succede?” s’informò Goro, accanto ad Eri,
sgranando gli occhi.
“La stiamo portando in sala parto.” Rispose Shinichi.
“In culo alla balena, fratello.” Gli rispose una
voce conosciuta
Shinichi strinse gli occhi e poi sogghignò. “Fottiti.”
Borbottò, ma quando Heiji scoppiò a ridere lo imitò.
Nel reparto maternità, trovarono immediatamente
la sala 4, già bell’e pronta, e Shinichi si impose di
infondere semplicemente del coraggio in sua moglie e non guardare per nessun
motivo gli strani attrezzi che quei medici terribili minacciavano di
usare.
“Okay, Ran, respira,
brava.” Le stava dicendo un’infermiera.
“Dai, dai che stai andando benissimo.” Le fece
eco la ginecologa.
L’ostetrica, invece, un donnone sulla mezza età,
fissava Ran corrucciata, e scuoteva la testa; poi
sussurrò qualcosa che mise in allerta la ginecologa. Mentre confabulavano tra
loro, Shinichi fece bene attenzione a non lamentarsi
quando la sua cara mogliettina gli stritolò le mani talmente tanto da fargliele
divenire bianche e, quando il donnone lo guardò male, capì che quella non
sarebbe stata esattamente la sua giornata.
“Ran, ci siamo accorte
di un’inezia… Ti facciamo una piccola anestesia locale e un piccolo taglietto.”
Le sussurrò la ginecologa, sorridendo; la partoriente, stremata, annuì,
ansante.
“E lei non stia lì come un broccolo: faccia
qualcosa per distrarre sua moglie, che questo non sarà un parto facile, con un
fisico esile come il suo!” gli abbaiò contro il donnone-ostetrica.
Shinichi aveva voglia di risponderle per le rime, ma si
trattenne; in effetti era vero: Ran era in procinto
di partorire, pallida, sudata e stremata, eppure non si era lamentata nemmeno
una volta, nonostante i dolori che subisse non dovessero essere proprio facili
da sopportare. E adesso che la stavano per tagliuzzare da quelle parti, lui
doveva assolutamente trovare qualcosa per cui distrarla, qualcosa che la
rendesse felice.
E se fosse stato qualcosa di inconfessabile, fino
ad allora?
Shinichi arrossì, poi sorrise; accarezzando il dorso
della mano di sua moglie, fece attenzione a richiamare dolcemente la sua
attenzione. “Ehi.” Sussurrò; quando lei si voltò, con i capelli appiccicati
alla fronte e il respiro corto, non poté fare a meno di sorridere. “Te lo
ricordi il nostro primo appuntamento?”
Ran fece una smorfia di dolore, ma trovò ugualmente
la forza di rispondere. “Ti riferisci al Tropical
Land?” ansimò, tra un respiro e l’altro.
Shinichi sogghignò. “Nah, io mi
riferisco al nostro primo vero appuntamento, quello come fidanzati. Nove anni
fa in quel pub.”
Ran annuì. “Sì, sei arrivato con un’ora di ritardo.”
Shinichi scosse il capo con decisione. “E invece no. Sono
stato puntuale.”
La partoriente restò senza fiato per un attimo
per una contrazione particolarmente dolorosa, e a Shinichi
non sfuggirono nemmeno i silenzi delle infermiere che ascoltavano senza ombra
di dubbio ogni parola. “Che intendi?” chiese poi la giovane, sospirando.
Il detective sorrise. “Intendo che… Che sono
sempre stato imbranato in questo genere di cose. E quel giorno tu eri già
dentro il pub, mi aspettavi e… E indossavi un maglione rosso che faceva
risaltare la tua carnagione. Le guance ti erano diventate rosse per il freddo
della giornata, e i capelli erano spettinati…” e sorrise, ponendo una ciocca di
capelli castani dietro l’orecchio della moglie. “Ricordo di aver pensato che
proprio in quell’istante mi ero innamorato di te per la terza volta.” Tacque
per un istante; non avrebbe mai pensato di formulare ad alta voce questi
pensieri. “Nella mia vita sono sempre stato innamorato di te, Ran.”
“Shinichi…”
“La prima volta mi sono innamorato di te quando
ti ho vista come una donna, e non come un’amica; la seconda volta mi sono
innamorato di te quando ho notato con quanta fiducia e speranza mi aspettavi,
nonostante tutte le delusioni; e la terza volta mi sono innamorato di te quando
ho capito quanto fortunato io sia stato ad avere, al mio fianco, una donna come
te. E in questi mesi è quasi sembrato che me lo fossi dimenticato.”
“Vedo la testa!”
“Shinichi…”
“Io sono innamorato di te; e se sono sempre stato
un guerriero, senza di te, io rinuncio.”
“Signora Kudo, dobbiamo
fare uscire la testa, coraggio!” la richiamò l’ostetrica.
Ran porse la mano a suo marito, gli occhi azzurri
lucidi. “Vogliamo combattere insieme questa battaglia?” Shinichi
l’afferrò subito e, pochi minuti dopo, tra il giubilo delle infermiere, il
peggio era passato.
“Adesso mancano solo le spalle, dai!” esclamò
un’infermiera.
Non fu facile; prendendo una boccata d’ossigeno
nemmeno dovesse andare metri e metri sott’acqua, Ran
si preparò ad affrontare quella contrazione, la più dura di tutte, ma non poté
impedirsi un gemito strozzato quando avvertì una fitta lancinante al
bassoventre.
Ma quando il pianto di un bimbo squarciò il
silenzio della stanza, quel suono parve il più bello di tutti.
“Un bellissimo e sanissimo maschietto.” Annunciò
un’infermiera. “Adesso effettuiamo i controlli di routine, lo facciamo bello e
ve lo portiamo.” Fece, porgendo loro degli asciugamani. “Ah, signor Kudo? Bellissimo discorso! Mi sono così emozionata!” qui Ran scoppiò a ridere e il diretto interessato arrossì,
imbarazzato.
Poi Shinichi impiegò
dieci minuti a tamponare dolcemente il viso di Ran, a
raccoglierle i capelli spettinati, e a baciarle finalmente le labbra, come
aveva sognato fare di nuovo da mesi.
Fu un deciso schiarimento di voce a farli voltare
entrambi: la ginecologa che li aveva aiutati tanto, con un fagottino azzurro in
braccio e un sorriso enorme sulle labbra, stava andando verso loro. “Ecco qui
il vostro principino.” Cinguettò, ponendolo tra le braccia della sua paziente
che, con occhi spalancati, lo osservava, tremante.
E dal suo canto, anche Shinichi
lo osservava per benino, scrutandolo in ogni minimo particolare; perché
quell’esserino paffutello con i capelli neri già spettinati che sbatteva gli
occhioni azzurri verso la sua mamma già si doveva dare una regolata. Perché
doveva capire che lì l’uomo di casa era lui, e quindi solo lui aveva il diritto
di fare gli occhi dolci a lei.
Ma poi… Shinichi
ghignò. Ma sì, era bello. Ovvio, era un Kudo, quindi
fascino ne aveva da vendere, e poi era la sua copia sputata. A quanto si poteva
notare, di Ran aveva preso solo la forma del mento e
la linea dritta del naso, poi era uno Shinichi in
miniatura.
“Dio, ti assomiglia tantissimo.” Sussurrò infatti
la neo mamma con voce commossa, guardandolo con occhi lucidi.
Un’infermiera venne verso di loro, mentre la
ginecologa aiutava Ran ad attaccare il bimbo al seno.
“Allora, com’è che si chiama?”
I coniugi Kudo
esitarono giusto un istante: solo quello necessario per potersi scambiare uno
sguardo d’intesa, infine sorrisero, complici. “Conan.”
“Ci sono i parenti che desiderano entrare,
possono?”
Entrambi annuirono, e in breve si ritrovarono
tutti intorno: non sapevano esattamente quanto tempo avevano impiegato in sala
parto, ma avevano dato il tempo ai genitori di Shinichi
di sopraggiungere, per la felicità della puerpera.
E così, mentre il nuovo nato si sorbiva le
coccole delle giovani nonne e la neo mamma i complimenti da parte degli amici, Shinichi osservava la sua famiglia con un misto di felicità
e speranza. Aveva finalmente ritrovato Ran, la sua
migliore amica, il suo amore di tutta una vita, e giurò a se stesso che da
allora in poi non avrebbe mai permesso a nessun caso, per quanto allettante, di
precedere lei o i suoi cari.
In quel momento Kazuha,
con un saltello, stava annunciando la sua voglia di diventare mamma. “Ho sempre
voluto una bimba, e ho sempre desiderato chiamarla Tomoko!”
esclamò.
“Come la bambola che avevi a quattro anni?” la
prese in giro Heiji. Quando il pugno della neo
sposina si abbatté sulla sua testa, tutti risero, anche Shinichi;
ma lui era un detective, e certe cose le capiva al volo.
Come capiva che la piccola Hattori
sarebbe presto venuta al mondo, pronta ad allietarli con la loro presenza.
E allora chissà che l’eterna storia del detective
liceale imbranato innamorato non si sarebbe presto ripetuta, con protagonisti
Conan Kudo e Tomoko Hattori.
Fine.
Ed eccoci alla fine! *.*
Scrivere questa fic è
stato un vero e proprio parto, in concomitanza con Ran!
XD Quindi, se volete farmi un regaluccio, ditemi pure come trovate il mio…
bambino! XDDD
Besos!