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Autore: Ciuscream    08/08/2021    12 recensioni
Incrocia quel profilo di curve morbide, strizzate, poco avvezze all’eleganza, molto più alla seduzione, all’inottemperanza a regole strette come corsetti. Lo incrocia da porte socchiuse, da fruscii di abiti da strega che quella donna – che ha conosciuto bambina, che forse ancora lo è – adesso ha imparato ad abitare, intrappolata in trame di stoffa che copre ma non nasconde.
Niente si nasconde, di lei. Tutto si nasconde, in lei.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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Pozzi di pece (mai di pace)
 
Lucius ha visto Narcissa scivolargli via dalle mani; lei è sempre stata acqua e lui non ha più la stretta ferma di un tempo. Lo vede, lo sente, che lei dentro i suoi occhi cade sempre meno spesso e lui, con mollezza, ne soffre sempre meno – non ne soffre più. Lei, quando lo ha accanto, sente la puzza di Azkaban, come se l’umidità, il putridume, gli fossero penetrati nei pori e lì fossero rimasti adesi, a ricordagli, ad imperitura memoria, che bisogna sempre scegliere bene su quale carro salire. Perché, se si sbaglia, i vincitori non avranno premura di investire ogni perdente; ogni perdente ne avrà, invece, di fissarsi allo specchio, di poggiare gli occhi sull’immagine sporcata da rughe che hanno il sapore salato della sconfitta.
Lucius vede, nello specchio, l’uomo dalla schiena dritta e lo sguardo fiero ereditato da Abraxas – bene più prezioso di ogni tenuta –, vede luccicare all’anulare quell’oro forgiato per celebrare il loro nome, vede la potenza di una vittoria mutilata ma che sempre vittoria è. Villa Malfoy è ancora sua, Draco è vivo e sua moglie ancora tollera, seppur a fatica, la sua presenza. Non lo ama, però. È finito l’entusiasmo sfavillante di quei giorni nascosti, di carezze di seta, di capelli dorati che mischiano i nodi, le trame e i destini con quelli lunghi, lucenti e argentati. Metalli preziosi che hanno perso ogni parvenza di valore, che hanno perso lo smalto austero della ricchezza, della bellezza e della gioventù.

Quel che Lucius non ha perso – quello che nessuno è in grado di strappargli – è l’abilità di tessere, attirare, costruire. Denaro e parole, ha scoperto a suo vantaggio – e, forse, a sue spese – sono armi taglienti e volubili, lasciate all’oscillazione sempre mobile dell’abilità. Non ha più voluto altro, dopo che le sue mani si sono raffreddate anche del calore tiepido di Narcissa, delle impronte rossastre sulla sua pelle sempre troppo chiara, troppo delicata. Non ha più sentito premere nel petto altro ardore se non quello del vino elfico, se non quello del rancore, del sapore acido – a cui mai si abitua – della caduta. Si è rintanato in uno spazio angusto fatto di celebrazioni a senso unico, di giochi d’occhi con la superficie linda dello specchio, di gufi che mai trasportano notizie scritte con piuma leggera. Solo qualcosa – ammetterlo sarebbe come tradire, parole indicibili, pensieri peggiori – riesce ancora a farlo frizzare di uno scintillio che sa del primo tocco della pelle con la bacchetta, di un incantesimo che ti scende nelle ossa e le spezza, le liquefa, le invade della potenza di maledizioni senza nome e senza volto. Vede, nel nero di quegli occhi, la potenza di ricordi lontani, di maledizioni che si mischiano a stanze vuote, ansimi e gemiti, di sudore che sboccia ai lati delle tempie e le attraversa senza remore, scivolando sulla mascella affilata. Vede cose mai esistite e che si scopre, con disgusto, con incredulità, a desiderare. Incrocia quel profilo di curve morbide, strizzate, poco avvezze all’eleganza, molto più alla seduzione, all’inottemperanza a regole strette come corsetti. Lo incrocia da porte socchiuse, da fruscii di abiti da strega che quella donna – che ha conosciuto bambina, che forse ancora lo è – adesso ha imparato ad abitare, intrappolata in trame di stoffa che copre ma non nasconde.

Niente si nasconde, di lei. Tutto si nasconde, in lei.

Pansy ha perso il profilo rotondo delle guance: gli zigomi si sono fatti strada con prepotenza, affilandole il viso di tratti più duri, più affini all’anima che si ingarbuglia fra le sue forme.
Non ha mai smesso di orbitare attorno a Villa Malfoy, non ha perso mai un solo istante – né delle vittorie, né delle sconfitte – che hanno abitato quelle mura, desiderosa di esserne protagonista prima, comparsa poi, antagonista forse, dopo. Ha visto Draco crescere, gli è cresciuta accanto, annaffiando e rimanendo in ombra, fiore infestante
 ortica  bisognosa di ripararsi alla base della sua sconfinata arroganza e della sua, eguale, insicurezza. Ha aspettato finché si può aspettare, finché è concesso, e, poi, una ragazza dai capelli corvini come i suoi, più lunghi, più lucenti, più ordinati, ha portato via le sue attenzioni, le ha strappate con delicata violenza ad una tessitura di anni di devozione ispida, di malcelato amore. Adesso Asteria è il nome che Pansy dà a quella sensazione che risucchia tutto, lo trascina al centro dell'ombelico e lo inghiotte – definitivamente – finendo per sparire chissà dove, in quale anfratto umido e pericoloso del suo cuore marcito. Pansy ha smesso di aspettare, ne è sicura; vacilla soltanto un po' quando, passando accanto ad una grande foto in salone, un piccolo Draco saluta sorridente, con l'innocenza che solo i bambini possono irradiare con così poco sforzo. In quella casa, se ne è accorta anni prima, nulla è rimasto di innocente, tantomeno ne è rimasto in lei.
 
*

Le frane, prima di travolgere villaggi, sono solo sassolini solitari smossi dalla pioggia incessante; a Pansy, a Lucius, la vita piove addosso da sempre con sferzante continuità e, potessero concedersi il lusso di un'analisi lucida sulla loro vita, converrebbero quanto ogni pezzo di loro sia composto da miriadi di piccole pietre, levigate dal dolore, indurite dalla sconfitta, corazza per nemici immaginari o meno.
Le frane, prima di travolgere villaggi, sono sguardi che si incocciano per caso, in corridoi presi per un errore di distrazione. Sono porte socchiuse e parole origliate, sono occhi neri che incontrano quelli di un azzurro glaciale che da sempre sono stati fonte di sconfinata soggezione, di invidia per quella autorità potente e quieta. Pansy si accorge un giorno, all’improvviso, di come i tratti ormai adulti di Draco assomiglino così tanto a quelli di Lucius. L’ha notato scorgendolo riflesso in uno specchio di cui pure lei è diventata protagonista, passando. E da lì, non è riuscita più a togliersi quella geometria spigolosa dagli occhi. Se l’è ritrovata nell’acqua che riempie la vasca, nelle mani che scivolano ad accarezzarsi piano, ad insaponarsi, a lavare via quei pensieri sporchi, disturbanti. Disturbanti e costanti, che le abitano le notti e le giornate, che la rigirano nelle lenzuola di seta appena lavate, profumate come lei, profumate come immagina essere l’incavo del collo di Lucius Malfoy. Se ne vergogna solo un po’, mentre le mani si vezzeggiano in mezzo alle cosce e provano ad immaginare come sarebbe, cosa sarebbe, se quelle dita fossero quelle lunghe, bianche ed affusolate che ha visto spesso attorno a quel pomello a forma di serpente, che ne hanno arpionato l’argento con violenza tale da imbiancarsi le nocche. Ci pensa fino a gridare, fino a gemere di un piacere che non può confessare – nemmeno a sé stessa – nemmeno quando al viso di Draco, quello che da sempre le imperla la fronte di sogni umidi, adesso se ne sovrappone un altro, simile ed opposto – bellissimo.
 
*
 
Asteria, nel suo abito da sposa, è di una bellezza che a Pansy fa tremare lo stomaco. Ha il profilo delicato e semplice che a lei è sempre mancato, che Draco non ha mai mancato di sottolinearle, disprezzando sempre con un ghigno quella sua bellezza molto più sfacciata, molto più volgare. Ha capito presto, rimbalzando lo sguardo dalla nuora a Narcissa, che il destino dei Malfoy è quello di scegliersi accanto piume e non pietre – quello è lei, marmo pregiato e durissimo, non adatto alla delicatezza eterea di quella M incisa all’anulare di Lucius Malfoy e, da oggi, a quello di Draco. Stretta nel suo abito da strega di un verde profondissimo, intarsiato da ricami d’argento, si sente un’estranea a quell’elegante cappa d’umido, quella che da sempre le mozza un po’ il fiato. Anche mentre intreccia delicatamente le ciocche di capelli scuri della sposa, mentre ripone dentro esse ricami di smeraldi e diamanti, non riesce a fare a meno di far scivolare lo sguardo fino alla gola d’Asteria e non riesce a non ritrovarsi a pensare di poggiarci le sue mani contro, di stringere, di prendere il suo posto per sempre. Si odia, Pansy. Si odia perché adesso, affacciata su quello specchio dove la sposa è radiosa di fronte a lei, si sente un’ombra soltanto, un’ombra austera. Vede il suo viso, lo vede chiaro nella superficie: è bella, di una bellezza quieta così in contrasto con la sua. La sua sgomita, si fa spazio e si impone. Questo, però, lei non lo sa; non sa che Lucius la intravede da poco lontano, scalando i pioli che sono i nodi del suo corsetto fino a risalire al collo lasciato scoperto dai capelli raccolti. E sogna – sogna cose che non può dire, sogna i denti a sfilare ognuno di quei piccoli intrecci, sogna di affondare le mani in quella crocchia morbida fino a sfaldarla. Fino a fare aprire Pansy – quel suo abito stretto – sotto di lui. Lo sogna, si odia, continua a sognarlo, mentre si dilegua piano, vinto da un sentimento ingombrante proprio dove non dovrebbe.
 
*
 
Non c’è gioia in Lucius quando Draco sta per dire sì a quella ragazza così ordinaria, sbocciata timidamente ma senza sfarzo, senza sforzo. Narcissa ne adora ogni tratto, lui non riesce. Non riesce a smettere di staccare gli occhi dalla sposa per trascinarsi poco lontano, alle spalle dritte come il mento, ai piccoli ciuffi corvini che ricadono sul viso, alle labbra carnose e morbide di Pansy, che immagina essere buone, in cui vorrebbe conficcare i denti. Si odia, Lucius, per quei pensieri così inopportuni. Si odia perché dovrebbe pensare a stringere mani e sversare ringraziamenti, tessere, comprendere, mettere basi, conoscere, sussurrare e serpeggiare – quello che ha sempre fatto, quello che sa fare. E invece si immagina ad affondare la lingua fra le sue labbra, a cercare la sua con prepotenza, ad allontanarle il viso con le ciocche strette fra le sue dita. Fino a farle male, fino a trovare la strada del suo collo, della sua gola, spalancata sotto i suoi occhi, pronta ad essere attraversata, ad essere divorata.
Non sa, Lucius, che Pansy dall’altro lato della sala, immagina lo stesso: osserva la sua mascella affilata e sogna la lingua a trascinarcisi sopra. Sogna di scovare un piccolo, minuscolo, lembo di pelle che sia stato saltato dalla rasatura perfetta ed impeccabile. Sogna di pungersi con il segno ispido di quella impercettibile dimenticanza, che solo a lei sarebbe concesso scoprire. Sogna di essere stretta come quel pomello d’argento, sogna la violenza della rabbia che ha visto abitare i suoi occhi conficcarsi nelle sue cosce – polpastrelli che affondano, afferrano. Mani che chiedono e bramano: questo vorrebbe, vorrebbe essere supplicata. Vorrebbe che un Malfoy le dicesse che la vuole, che non averla significherebbe impazzire, morire. Lo vorrebbe sdraiato ai suoi piedi, inerme, pronto a baciarle ogni centimetro dalle caviglie alle cosce, per convincerla a concedersi. E, mentre pensa questo, immersa nelle tante persone perfette e compunte che la circondano, si ritrova a tornare alla realtà: una realtà bagnata, desiderosa di un desiderio violento e opprimente, che le alza gli occhi su Lucius, quasi contro la sua volontà. Si ritrovano a metà strada e non si allontanano: si fissano per un secondo interminabile e, in quel secondo, ogni pensiero si riversa folle nelle iridi uno dell’altro. Il nero ed il ghiaccio sono un tutt’uno: sono materia molle che si mescola. C’è lei, spalancata sotto di lui, dalla sua brama, dal suo desiderio immondo, da quella somiglianza con Draco che la atterrisce e la spoglia di ogni riserva. C’è lui che le allarga le gambe con entrambe le mani e affonda fra quelle finestre spalancate sull’ignoto e si ricorda cosa vuol dire l’antro caldo di una donna che aspetta solo lui, proprio lui, e che non può fare a meno di trascinarlo verso di sé, arpionandosi al completo da mago dal taglio sartoriale impeccabile, fino a strapparlo, fino a strapparsi. Si immagina scendere a nascondere i loro visi che si strusciano con la cascata di capelli d’argento, che cela al mondo le lingue che si cercano, i denti che mordono, graffiano, segnano. E non si stancano. Immagina di sprofondarle dentro con una violenza che è figlia di una potenza perduta. Sogna di riscoprire dentro quei gemiti che lei gli tuffa nell’orecchio tutto quello che ha perduto, sogna grida molto più forti ed incessanti di quelle più pudiche di Narcissa, sogna unghie nella schiena e dita attorno al collo, a segnargli il petto di morsi e trame di lingua. Lei sogna allo stesso modo che lui la cerchi, la voglia, la prenda da dietro contro un muro freddo come si sente lei, come sente l’uomo che adesso fissa, come è stato Draco per una vita intera a scacciarla, a rifiutarla. Sognano, entrambi. Sognano, godono, sognano ancora ed ancora. Impeccabili, sotto il sole tiepido di aprile che sferza dalle grandi vetrate, in mezzo a membri di tutte le Sacre Ventotto, loro sognano scenari profani e profondi. Indicibili.
 
Un applauso scrosciante, quello che segue il sì, riporta entrambi alla realtà. Pansy ha le gote leggermente arrosate, Lucius la mascella indurita dal desiderio. Staccano lo sguardo veloce uno dall’altro, in un istante, fuggendo, nascondendosi, mentre le immagini di loro, vivide, pulsanti, restano ad abitare i metri che li dividono, più intense e presenti che mai. Le ignorano con lo sguardo ma se le sentono scavare dentro, a crepare, fino in fondo alle viscere, qualsiasi resistenza.
 

 

Nda: Questa cosina senza pretese è il mio tentativo di tornare a buttare giù qualcosa dopo, ormai, parecchio tempo di inattività. Non c’è pretesa che la storia sia bella – non lo è – ma avevo bisogno di scriverla e pubblicarla, con questa coppia che ormai da troppo mi frulla in testa, e quindi eccola qui. Un doveroso ringraziamento a Severa, che con la sua Andrew/Ginny mi ha fatto nascere per prima in testa quest’idea. E a tutti gli altri, per essere arrivati fino qui.
Un abbraccio
 
   
 
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