Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    17/08/2021    1 recensioni
Erwin è da solo con Levi ferito e febbricitante. In un momento così delicato, il giovane Ackerman non ha il controllo sulle proprie reazioni e rimane, per un po', senza difese
Genere: Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Flashfic scritta per l’ “antiferragosto challenge” del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia – Fanfiction and fanart- GRUPPO NUOVO
 
Autrice: Heatherchan – PerseoeAndromeda
Fandom: Attack on titan
Prompt: Terrore notturno, legna, asma
Titolo: Rifugio
Personaggi: Erwin e Levi (Eruri hints)
Generi: hurt
Rating: Direi verde, perché a parte incubi e un attacco di panico non c’è niente di troppo crudo
Note: Dal punto di vista temporale non ho ben idea di dove possa collocarsi. Di sicuro prima dell’inizio della storia ufficiale
 
 
RIFUGIO
 
Il comandante Erwin Smith era sul punto di assopirsi sulla sedia, quando un soffio di vento gelido spalancò di colpo la finestra e lo fece sussultare.
Il primo istinto fu quello di stringersi addosso l’uniforme con maggior cura, ma subito dopo si alzò, andò a richiudere le imposte malandate meglio che poteva, consapevole che non avrebbe potuto fare nulla contro gli spifferi che sarebbero comunque penetrati attraverso il legno eroso dal tempo.
Poi, dopo aver rivolto uno sguardo al ragazzo addormentato sul pavimento ed essersi assicurato che stesse continuando a riposare, si avvicinò al fuoco e lo smosse, cercando di riattizzarlo. Purtroppo, la legna che avevano trovato in quel rifugio di fortuna stava per terminare e non voleva pensare a cosa sarebbe accaduto quando il fuoco si sarebbe spento, se la tempesta lì fuori non fosse cessata, rendendo vano ogni tentativo di riprendere il cammino.
Non con Levi in quelle condizioni.
Lo aveva trovato, ferito e febbricitante, dopo ore di disperata ricerca e, mentre cercava di riportarlo a Trost, una tempesta feroce li aveva colti alla sprovvista durante la notte.
Levi non poteva restare per strada nelle condizioni in cui versava: la febbre, la perdita di sangue, il rischio di assideramento e la mancanza di lucidità avevano convinto Erwin ad approfittare di quel rifugio cadente trovato lungo il cammino.
Sfortunatamente si trattava di una catapecchia piena di spifferi, la legna era poca e non c’erano letti.
Era stato costretto ad adagiare Levi sul pavimento, più vicino possibile al focolare e lui si era sforzato di rimanere sveglio, sull’unica sedia, per tenere viva la fiamma e controllare le condizioni del giovane.
Le ferite non erano gravi, ma la febbre era alta e il freddo che aveva aggredito il suo corpo conferiva alla pelle un colorito malsano: il rischio di assideramento era concreto.
Gli si inginocchiò accanto e gli il viso.
La vicinanza del fuoco sembrava riscaldarlo un po’, ma non abbastanza.
Erwin sospirò.
La cosa che detestava maggiormente era il senso di impotenza e rimpiangeva di non avere portato con sé Hanji: lei avrebbe saputo cosa fare.
Lui non era un medico, non aveva competenze se non quelle basilari richieste ad ogni buon soldato e poi…
Poi si trattava di Levi…
Detestava ammetterlo: per tanti versi, Levi era un suo punto di forza, ma anche una sua debolezza. Se Levi stava male, la lucidità che contraddistingueva Erwin, non era così salda come al solito.
“Levi” lo chiamò, accarezzandogli una guancia.
Quando non ottenne risposta corrugò le sopracciglia, gli posò una mano sulla spalla e lo scosse un po’. Avrebbe voluto lasciarlo riposare, ma era pericoloso, preferiva assicurarsi che restasse vigile.
“Levi… mi senti?”.
Alle labbra violacee sfuggì un gemito, gli occhi si serrarono con più forza. Non aveva evidentemente le energie per rispondere, ma almeno dava segni di reattività ai suoi stimoli.
Erwin sospirò e si sdraiò su un fianco, accanto a lui, senza smettere di accarezzarlo:
“Non so che altro fare per aiutarti. Posso solo sperare che questa tempesta cessi, in modo da poterti riportare a casa, dove potrai essere curato”.
Lo attirò con più decisione contro di sé:
“Tu cerca solo di resistere fino ad allora, mi raccomando, non fare scherzi”.
Un altro gemito e Levi si agitò un po’.
Il corpo, minuscolo tra le sue braccia, era scosso da tremiti.
Erwin lo guardò con più attenzione.
“Stai sognando qualcosa?”.
Levi sussultò, i suoi movimenti si fecero più convulsi, i gemiti si trasformarono in ruggiti e le mani fecero leva sul petto di Erwin, come a volerlo spingere via.
Il comandante si tirò su, puntellandosi su un gomito, per osservarlo meglio.
“Qualcosa di molto brutto, sembra”.
Gli occhi di Levi si aprirono di colpo, ma Erwin si rese conto immediatamente dell’innaturalità della loro espressione.
Erano sbarrati nel vuoto, puntati su qualcosa che, chiaramente, vedeva solo lui.
Si sollevò di scatto e Erwin si prodigò per fermarlo, perché Levi non sembrava conscio delle proprie condizioni fisiche.
Ma, nel momento stesso in cui le sue braccia si avvolsero intorno al corpo del più giovane, questi si irrigidì, prima di cominciare a tremare con una violenza tale che Erwin faticò a contenerlo e la sua voce si levò in un grido lancinante.
“Levi…” mormorò Erwin, senza poter nascondere il proprio sbigottimento. Non aveva mai visto Levi reagire in un modo simile, neanche in sogno.
In tutta risposta ottenne altre grida, altri tentativi di divincolarsi.
Levi era forte, nonostante le dimensioni, nel suo piccolo corpo, che spesso attirava commenti indesiderati, si nascondeva un’energia che era in grado di mettere in difficoltà anche un gigante come Erwin Smith.
Dovette lottare con tutte le proprie risorse per bloccarlo e lo fece spingendolo a terra e sdraiandosi sopra di lui, le mani a sollevargli i polsi sopra la testa. Non voleva fargli male, ma quella reazione lo aveva scombussolato e Levi rischiava di farsi del male da solo: chiaramente non era in sé.
“Calmati!”.
La voce di Erwin si fece più energica, assunse i connotati del comando e sembrò sortire qualche effetto, perché i movimenti sconnessi di Levi rallentarono, continuò a scalciare, ma con meno convinzione, gli occhi rimasero sbarrati nel vuoto e le grida si ridussero a gemiti sempre più radi, fino a mutarsi in affannosi ansimi.
Solo a quel punto Erwin notò le lacrime che rigavano il volto del compagno.
Di sicuro Levi non era lì, era da qualche altra parte, a vivere chissà quale esperienza terribile in grado di farlo piangere…
Quindi doveva essere qualcosa di tremendo.
“Ehy” mormorò. “Levi… Levi… io sono qui”.
Accompagnò la rassicurazione appena sussurrata facendo scorrere le nocche delle sue dita lungo lo zigomo del compagno che, a quel tocco, sussultò nuovamente, con un lamento strozzato.
I suoi occhi vagarono da una parte all’altra, l’orrore si andava mutando in confusione.
Erwin sperò che stesse tornando.
Dopo qualche istante, gli occhi riuscirono a fermarsi su di lui, l’espressione era attonita.
“Va tutto bene” gli disse Erwin, allentando del tutto la presa. Levi non cercava più di scappare, tremava, si vedeva che era smarrito e non capiva dove si trovasse, ma rimase fermo, a guardarlo.
“Er…” fece per dire, poi si portò una mano alla gola, gli occhi si ingrandirono.
“Levi!”.
Che stava succedendo ancora?
“Non riesco…” provò ancora a esprimersi, ma le parole si spezzarono in un rantolo spaventoso.
Erwin si affrettò a mettergli una mano sotto la testa e lo aiutò a sollevarsi. Le dita di Levi annasparono, aggrappandosi a lui in cerca di appiglio, gli occhi si dilatarono nel panico, mentre boccheggiava per incamerare ossigeno.
Erwin gli mise le mani sulle guance, inseguì il suo sguardo:
“Cosa ti succede? Che cos’hai?”.
Per quanto insistesse, Levi non riusciva a rispondere, apriva la bocca, tentava di dire una parola, ma sembrava non trovare il fiato per farlo.
“Non riesci a respirare?”.
Domanda inutile e stupida, lo sapeva e si odiava per questo: era evidente.
Si trattava di un attacco di panico dovuto al sogno? Di un peggioramento delle condizioni fisiche dovuto alla febbre e alle ferite?
“Hanji” pensò, “Perché proprio quando servi non ci sei?”.
Lo sentì fremere, agitarsi sotto le sue mani, cercò di tossire, ma l’agitazione rischiava di peggiorare le sue condizioni.
Le mani di Erwin gli lasciarono il viso, gli afferrarono le braccia poco sotto le spalle:
“Ascolta Levi, ascolta, so che mi senti”.
Gli parve che gli occhi del più giovane lo cercassero, nella disperazione in cui versavano.
“Rilassati… cerca di stare calmo. Fai respiri più profondi che puoi, e vedrai che passa…”.
Ci stava provando, lo vedeva. Levi lo ascoltava sempre.
A fatica aveva conquistato la sua fiducia ma, dal momento in cui era accaduto, tale fiducia era diventata incondizionata.
Anche nella situazione più critica, ai loro occhi bastava incrociarsi e si capivano, la complicità si attivava e non c’era nulla che potesse intromettersi tra loro…
Neanche una condizione fisica drammatica come quella in cui versava Levi in quel momento.
“Ce la farai, devi solo stare calmo e concentrarti su di me”.
Levi non staccò più i propri occhi dai suoi, Erwin continuò a parlargli, a intimargli di seguire il suo respiro, con quel tono che riusciva ad essere, ad un tempo, imperioso e gentile.
Il tono che su tutti, soprattutto su Levi, aveva un ascendente irresistibile, una guida che non era possibile non ascoltare e non assecondare.
Il respiro, lentamente, troppo lentamente per Erwin, tornava regolare, gli occhi di Levi andavano acquistando consapevolezza.
Alcune parole riuscirono a prendere forma tra un rantolo e l’altro:
“Erwin… che cazzo…”.
Il comandante sarebbe scoppiato a ridere in una situazione più leggera.  Un sorriso, tra il divertito e il sollevato, se lo concesse comunque:
“Risparmia il fiato per respirare, anziché sprecarlo per parlare in maniera sboccata”.
Levi sembrò voler ribattere, ma un improvviso colpo di tosse lo fece piegare in due.
Erwin tornò serio e lo sostenne:
“Calmo… tranquillo…”.
“Merda…”.
“Ssshh… taci e respira”.
Andava meglio.
Andava molto meglio.
Levi ora stava col volto basso, i respiri sempre più profondi.
“Che ho combinato?” chiese infine, senza osare sollevare lo sguardo.
Erwin poteva immaginare cosa stessa accadendo dentro di lui: si era ripreso e adesso arrivava la consapevolezza di essersi mostrato indifeso e fragile e, soprattutto, privo di autocontrollo.
E, insieme a tale consapevolezza, giungeva la vergogna.
“Sei ferito, hai la febbre, hai rischiato di morire congelato e hai avuto un incubo. Tutto questo ti ha causato un risveglio traumatico”.
Levi sbuffò, ancora non lo guardava:
“E poi cosa ancora? Mi sono messo a frignare come un marmocchio?”.
“La crisi è passata prima che accadesse, eri sulla buona strada”.
La testa di Levi si alzò di scatto e due occhi di fuoco trafissero l’artefice di quella provocazione.
Erwin ridacchiò:
“Sembra che stai molto meglio, i tuoi occhi sono tornati vivaci”.
L’istinto, in quel momento, lo avrebbe spinto a carezzargli una tempia, tanto era il sollievo che provava nel vederlo tornare se stesso.
Arrivò a sollevare la mano e ad avvicinare al volto del più giovane le nocche delle dita ripiegate.
Ma si fermò, consapevole che era come avere vicino un gatto selvatico, arruffato e nervoso per essere stato colto nelle sue debolezze.
La testa di Levi ricadde, il suo sguardo si fece malinconico:
“Grazie… comandante…”.
“Di nulla, Levi”.
La notte era ancora lunga.
Fuori la tempesta infuriava e Levi aveva ancora la febbre, ma adesso Erwin ne era certo: sarebbe andato tutto bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda