Questione di prospettiva
Dormitorio di Serpeverde, inverno 1976
«A cosa pensi?»
«Ti interessa?»
«Lo trovi così strano?»
Lui, che dal soffitto del letto a baldacchino ha orientato le iridi sul tuo volto, ti fissa indecifrabile.
Non puoi fare a meno di sorridergli, cercando di fare del tuo meglio
per mostrarti disinvolta. Non ti senti a disagio perché siete
entrambi nudi, sdraiati sul tuo letto, né perché il
torpore dell'amplesso sta lentamente svanendo lasciando spazio a un
silenzio scomodo.
Il sesso non ti imbarazza, è una pulsione naturale che trovi del
tutto legittima e che detesti sentire etichettata come un tabù.
Quello che davvero ti
imbarazza – e ti affascina allo stesso tempo – è il
modo in cui lui ti affronta: diretto, fissandoti negli occhi e senza
alcuna ombra di esitazione. È qualcosa a cui non sei abituata:
ai ragazzi non piace scontrarsi con tanta sicurezza. Li intimorisce,
come il tuo cognome del resto.
Rosier, invece, non solo non sembra infastidito dal tuo modo di fare,
anzi, pare quasi apprezzare tanta schiettezza. Da quando hai iniziato a
parlarci – tua madre ti ha inviato dozzine di gufi, esasperandoti
ad allacciare i rapporti con quello che molto probabilmente sarà
il tuo promesso –, lo hai visto più di una volta inclinare
le labbra in quel sorriso appena accennato e invitante.
Evan, ti costringi a correggere mentalmente, non Rosier.
È un nome dolce, quasi poetico, sebbene in lui non ci sia
traccia né di dolcezza né di poesia. Ti sembra invece di
scorgere una certa freddezza e tragedia in quelle iridi verdi
così inespugnabili.
«Più che altro mi chiedo il perché» riprende
lui, apatico, strappandoti da quelle riflessioni e pretendendo
attenzione.
Ecco, se proprio devi trovargli un difetto, non ti piace il modo in cui svicola dalle tue domande. Sembra, in un certo senso, fuggire da te.
Scrolli le spalle, flemmatica, puntando un gomito sul materasso per sorreggerti la testa con una mano.
«Potrei volerti conoscere meglio» rispondi ragionevole,
sentendoti un po' esposta. Non perché il lenzuolo che ti copre
il seno è scivolato in basso, mostrando centimetri della tua
pelle. Ha già visto tutto quello che c'era da vedere nel momento
in cui avete ceduto alla passione, togliendovi con impazienza i vestiti
di dosso. «In fondo siamo quasi fidanzati» aggiungi, giusto
per dare più legittimità alla tua proposta.
«Già» commenta lui, incolore. «Che cosa vuoi
sapere?» chiede disponibile, anche se gli occhi sono guardinghi.
È folle essere compiaciute per così poco, vero?
«Qualcosa di personale?» azzardi sfacciata.
Evan inarca un sopracciglio, appena sorpreso.
«Tipo?»
«Non lo so. Qualcosa che non hai mai detto a nessuno» proponi audace.
«Non credi di essere troppo pretenziosa?» ridacchia lui,
quasi beffardo. «Nemmeno ci conosciamo» sottolinea logico.
«Appunto» ribatti all'istante, sentendo anche un genuino
senso di irritazione. «Tu non ci stai nemmeno provando a far
funzionare questo fidanzamento» lo accusi, non riuscendo a
camuffare del tutto l'amarezza.
Evan ti rivolge un'occhiata ironica.
«Punta più in basso con le tue domande, Meadowes, e potrei
anche accontentarti» afferma leggero, piegando le labbra in un
sorriso lieve.
«Dorcas» lo correggi all'istante. «Almeno potresti iniziare a chiamarmi per nome» affermi indispettita.
«Dorcas» concede, continuando a guardarti. Non aggiunge
altro e questo ti fa supporre che non sia interessato ad approfondire
il vostro rapporto. Con un guizzo di fastidio, realizzi che finora si
è esposto solo sul versante fisico – e grazie tante,
quanto ci vuole a spogliarsi per fare sesso con una persona? – ma
non ti hai mai fatto intuire niente quello che gli passa nella testa.
«Mi piace il tedesco» rivela poi, facendoti sgranare gli
occhi per la sorpresa. «Ho iniziato a studiarlo da bambino e non
ho mai smesso» termina sovrappensiero, incurante del tuo
sbigottimento.
Ti avvicini a lui, il volto illuminato da un sorriso trionfante, e gli
sfiori il torace in una lenta carezza. Evan calamita immediatamente gli
occhi a seguire quelle dita che gli toccano la pelle, lente e leggere,
ma non ti dice di smettere. Sembra quasi gradire.
«Ti ho visto qualche volta in Sala Comune leggere dei libri dai
titoli stranieri» ricordi soprappensiero, rammentandoti anche che
hai giusto prestato un grammo di attenzione a quello che aveva
tra le mani perché i tuoi occhi erano quasi completamente
rivolta al suo viso, corrucciato in un'espressione concentrata.
«Ti sei mai innamorato?» quella curiosità ti scivola
fuori dalle labbra ancor prima che tu possa solo pensare di fermarla.
Evan ti fissa stranito, la fronte aggrottata.
«Perché questa domanda?» chiede con un guizzo di sorpresa nelle iridi chiare.
«Così» minimizzi, ignorando l'agitazione che ti
sconquassa le membra in attesa della risposta. «È troppo
pretenziosa?» ironizzi giocosa, buttandola sullo scherzo e
utilizzando esattamente lo stesso termine che lui ha pronunciato
qualche attimo fa.
Lo vedi trincerarsi dietro un silenzio oscuro, interrompendo il contatto visivo e spezzando quel clima sereno.
«Una volta» mormora e anche se usa un tono talmente basso
da essere a malapena udibile, ti sembra che quelle due parole risuonano
nel Dormitorio Femminile con la forza di un Bombarda.
Ingoi il vuoto insieme alla delusione che senti chiuderti la gola.
«E perché non ha funzionato con quella ragazza?»
insisti, cercando di zittire quel grumo di sentimenti – possibile
che sia fastidio? – che inizia a pungolarti il petto.
Non sai nemmeno perché vuoi saperlo, né perché
provi una sorta di gelosia feroce all'idea che possa esserci un'altra. Evan non ha mai prestato particolare attenzione a nessuna, constati mentalmente e una piccola parte di te era soddisfatta di questo.
Non hai nemmeno preso in considerazione la possibilità che ci possa essere una rivale.
«Chi ti dice che era una ragazza?» rilancia lui serio. Al
silenzio allibito che segue, rilassa il viso in un sorriso divertito.
«Sto scherzando, Dorcas, per tua fortuna non sono attratto anche
dagli uomini» afferma tenue, mettendosi seduto al bordo del
letto, recuperando la bacchetta che aveva appoggiato sul comodino e
dandoti le spalle.
Ti stampi sul volto un sorriso di circostanza, avvicinandoti a lui e sfiorandogli una spalla con un bacio.
«Non sapevo riuscissi ad essere anche ironico» commenti
forzata, la voce che è alterata in un suono quasi stridulo.
«Sei una continua sorpresa, liebchen» aggiungi, dando sfoggio a quel poco che sai del tedesco.
Lui si volta di scatto, bloccandoti quella mano con cui gli stavi
vezzeggiando la pelle dell'avambraccio in una presa ferrea. Vedi il suo
volto rigido, gli occhi verdi che mandano lampi e che ti trafiggono con
una collera così insopportabile che quasi ti lascia senza fiato.
«Non chiamarmi mai più così» sibila brutale.
Sbatti le palpebre, attonita da quel cambio repentino di umore.
«Perché ti sei arrabbiato?» chiedi confusa,
corrugando le sopracciglia con stizza quando lo osservi ignorarti e
alzarsi dal letto per rivestirsi. Serri la mascella, oltraggiata da
quella mancanza di rispetto. «Evan, se pensi che tollererò
che-»
«Che cosa?» ti fredda lui, tornando a guardarti e
bloccandosi dall'allacciare la cintura dei pantaloni. «Che me ne
vada dopo che abbiamo scopato?» continua con una rabbia che
riesci comunque a percepire nonostante faccia di tutto per
controllarla. «Mi dispiace deluderti, Meadowes,
ma non ho nessuna intenzione di prendere ordini da te. Se ci tieni
tanto ad avere un cane, esci con uno di quelli che sei solita portarti
a letto» consiglia inesorabile, inarcando le sopracciglia e
storcendo il viso in una smorfia di disgusto.
Fai davvero fatica a contenerti e a ignorare la tentazione di alzarti e schiaffeggiarlo.
«Quando fai così sembri davvero un bastardo» ribatti subito, gelida.
«Mi è stato detto» commenta Evan, piatto,
indifferente al fastidio e alla delusione che legge sul tuo volto.
«Ma del parere degli altri me ne frega poco» afferma
superiore.
«Anche del suo?» replichi sferzante, aprendo bocca con il solo scopo di ferirlo. «Di quella ragazza?»
Lui rimane in silenzio, accusando il colpo.
«Deve essere orribile» commenta poi, con quel sorriso
crudele studiato apposta per ferire. «Saper di poter manovrare
tutti i ragazzi che vuoi tranne quello che sposerai. È questo
che ti infastidisce, vero Meadowes?»
Non dici nulla, ti limiti solo a girare la testa per scappare da quello sguardo.
Il problema con lui, elabori svelta, è che permette di vedere
solo una piccola parte di sé. Appena qualcuno cerca di andare
oltre quell'armatura di noia, gelo e impenetrabilità che lui
sfoggia con tanta testardaggine, viene brutalmente respinto.
Come ha appena fatto con te.
Rosier non vuole essere compreso, non gli importa nulla di quello che il mondo pensa di lui. Lo lascia indifferente.
E questo significa che per lui sei un volto tra i tanti.
Trattieni a stento le lacrime che minacciano di sfuggirti quando senti la porta del Dormitorio chiudersi. Non piangerai per lui.
Evan – Rosier – non ne vale la pena.
Dormitorio di Serpeverde, inverno 1977
«Evan, no!»
Nemmeno ti ascolta, continuando a baciarti quel punto del collo che sa provocarti il solletico.
«Quanto sei scemo!» esclami tra le risate, afferrandolo per le spalle con l'intenzione di spingerlo via.
Non lo smuovi di un centimetro e rimani sorpresa quando lui si blocca,
alzando il viso dal tuo collo e puntandoti quelle iridi verdi dritte
addosso. Ha l'ombra di un sorriso sulle labbra e un'espressione
così serena che, per un attimo, rimani incantata.
«Dillo di nuovo» mormora sommesso.
Sgrani gli occhi scuri, perplessa.
«Cosa, che sei scemo?» domandi scherzosa.
«No, quello che hai detto prima» ribatte lui, tranquillo.
«Trovo eccitante quando tenti di comandarmi» ammette
affascinato, con quello sorriso che diventa completo.
Ti scappa da ridere di cuore mentre scuoti la testa.
«Come se ci riuscissi davvero» osservi realista. «Tu
fai solo quello che vuoi» rinfacci poi, appena contrariata.
«Non direi» replica Evan, all'istante, con un tono
così basso e vibrante da provocarti una serie di brividi e un
nodo allo stomaco. «Mi pare di averti accontentata quando avevo
la testa tra le tue gambe e mi supplicavi di continuare» insinua
sfacciato, facendoti arrossire.
Dopo esserti ripresa dalla shock iniziale, cerchi di tirargli uno schiaffo sul capo.
«Sei davvero scemo» esclami, fingendoti sdegnosa e cercando
di liberare senza davvero provarci i polsi che lui ha stretto in una
mossa salda. «Lasciami!» pretendi divincolandoti.
Evan ti lancia un'occhiata che sottolinea quanto abbia capito la tua farsa.
«Se vuoi davvero dare un ordine, dovresti farlo senza
ridere» suggerisce leggero. «Più fermezza,
Emme» ti sprona giocoso.
Prendi un profondo respiro, irrigidendo i lineamenti e stampandoti addosso un'espressione determinata.
«Basta» comandi imperiosa, fissandolo sconvolta quando lui
non accenna a prestarti ascolto. Anzi, inizia a baciarti la mascella.
Hai quasi la tentazione di chiudere gli occhi e di cedere alle sue
premure ma l'orgoglio ti impone di mantenere la tua posizione. Fa
davvero uno sforzo enorme per evitare di essere distratta da quelle
labbra che, leggere e ammalianti, hanno cominciato a scendere,
lambendoti la gola. «Hai dett-»
«Ti ho solo suggerito come imporre un ordine» ti interrompe
delicato, intuendo già dove andrai a parare. Stacca a malapena
le labbra della tua pelle, mormorandoti contro quelle parole. Non lo
puoi vedere ma sei sicura che sta sorridendo nel saperti in pugno.
«Non ho mai detto che poi avrei ubbidito» ti ricorda
sagace, allontanandosi quanto basta per guardarti in volto con un
sorriso che sa di trionfo.
Decidi quindi di giocare d'astuzia. Porti una mano dietro al suo collo
per tirarlo verso di te, contro la tua bocca. Lui ti asseconda docile,
liberandoti i polsi per appoggiarsi meglio sulle braccia così da
evitare di pesarti addosso. Per dare maggiore credibilità alla
tua strategia, continui a baciarlo con passione e infili una mano tra i
suoi capelli castani, un gesto che sai adora.
Evan ricambia, lambendoti le labbra con la punta della lingua prima di
incontrare la tua. E, anche se sei estremamente consapevole che
è ben lontano dall'aver abbassato la guardia, continui a
fingerti schiava del desiderio.
Che poi, ad essere oneste, non si tratta affatto di finzione: sei realmente attratta da lui e non ne hai mai abbastanza.
Evan è una droga che crea dipendenza.
È nel momento in cui lo senti muoversi sopra di te, cambiare
posizione in una più precaria ma che gli permettere di sfiorarti
il profilo del seno, che recuperi la lucidità. Senza perderti in
troppi pensieri, con un movimento repentino lo spingi via di lato,
costringendolo ad appoggiare la schiena sul materasso e sovrastandolo
con un sorriso vittorioso che ti illumina il viso.
«Oppure, invece che parlare, potrei passare direttamente
all'azione» affermi audace, ignorando il rossore che senti
scottarti le guance. Seduta sopra il suo bacino, con il lenzuolo che
è scivolato via e espone tutta la tua nudità, ti senti
andare a fuoco per l'imbarazzo.
Nonostante non sia la prima volta che finite a letto insieme,
c'è ancora quel tremore che ti scuote le membra e che ti obbliga
a provare un moto di vergogna.
E gli occhi verdi di lui, diventati improvvisamente torbidi, non ti
aiutano a rallentare il battito cardiaco. Ti scivolano addosso come
lava bollente sulla pelle, facendoti alzare ancor di più la
temperatura corporea.
«Mi piace il tuo modo di pensare» approva carezzevole,
appoggiando le sue mani sulle tue anche. «E poi» continua,
riprendendo a sorridere e facendoti maledire quell'idea che giudicavi
tanto geniale. «Da questa prospettiva sei una visione, liebchen» mormora roco.
Abbassi le palpebre e nemmeno ti accorgi di smettere di sorridere quando un pensiero cupo ti affiora alla mente.
«Che c'è?» domanda Evan, accigliandosi, vedendo le tue labbra piegarsi in una smorfia amareggiata.
«Niente»
rispondi, cercando di scacciare via le nuvole che si sono abbattute ad
oscurare quello spiraglio di sole che vi siete ritagliati,
approfittando di un'uscita ad Hogsmeade che ha allontanato dal Castello gran parte degli studenti. «È che non pensavo di poter essere così felice» spieghi schietta.
Non speravo di ritrovarti, vorresti
aggiungere ma sai che non è necessario. I tuoi occhi parlano per
te e, anche se non vorresti, per un istante – maledetto, unico
istante – saettano verso il suo avambraccio sinistro, dove sai che cosa è celato dietro quell'incantesimo che gli rende la pelle candida.
Lui corruga la fronte, intercettando il tuo sguardo. Rimane un attimo
in silenzio, illeggibile, prima di sospirare e portarsi seduto, facendo
forza sulle braccia. Indietreggi leggermente, una mano di nuovo sul tuo
fianco ti impedisce ulteriore fuga.
«Andrà tutto bene» assicura determinato, fissandoti
dritto negli occhi e sistemandoti una ciocca di capelli scuri dietro
l'orecchio.
«Come può andar bene?» replichi afflitta, in un
sussurro, scuotendo il capo. «C'è una guerra»
sottolinei e, per un attimo, la prospettiva che fra meno di un anno
sarete fuori dalle mura protettive di Howgarts, catapultati in mezzo
agli scontri tra i seguaci del Signore Oscuro e gli Auror, ti stringe
la gola.
«Sono addestrato» ribatte Evan, pratico. «Sopravviverò» promette rassicurante.
Non scomparirò di nuovo, sembra dirti
guardandoti in faccia senza alcuna esitazione ma tu sai che, in un
clima incerto come quello in cui vivete, non si è nemmeno sicuri
di arrivare al giorno dopo, figurarsi sperare di arrivare vivi al
termine del conflitto.
Sempre che ci sia, una fine. Ti sembra di vivere da così tanto
tempo in guerra – contro i Mangiamorte, persino contro te stessa
quando si tratta di lui – da non ricordarti nemmeno che cosa
significhi la pace.
«Lo so» bisbigli fioca, inumidendoti le labbra e azzardando
ad alzare lo sguardo su di lui. «Però le perdite sono
inevitabili, specie se...»
«Stai dalla parte sbagliata?» ti interrompe, asciutto.
Ha inarca un sopracciglio con quell'aria di sfida che ti ha sempre irritata a morte.
«Non volevo dire questo!» ti difendi piccata, aggrottando
la fronte. «Specie se combatti in prima linea» precisi con
forza. «Ti conosco: preferiresti morire piuttosto che
fuggire» affermi sicura, la voce che tradisce una chiara nota di
disapprovazione.
Evan ti fissa un solo istante, analitico.
«La fuga è la soluzione dei deboli» sentenzia sprezzante.
«O dei furbi» ribatti subito, impetuosa. «A volte detesto la tua testardaggine» confessi amareggiata.
«Non dovresti criticarla tanto» replica lui, più
calmo, la fronte che cancella quelle pieghe che l'avevano increspata.
«È lei che ci ha riuniti» ti ricorda ironico,
accennando un sorriso.
Ti accarezza la guancia, lentamente, facendo scivolare poi la sua mano
fino al tuo collo. Inclina il capo, incatenando lo sguardo ai tuoi
occhi e sorridendoti mite.
Quando fa così, davvero non riesci a evitare di sentire una
stretta al cuore. Vederlo così sereno, senza quella maschera di
apatia e distanza che si è cucito addosso negli anni, ti riporta
alla mente il bambino con cui sei cresciuta, quello che hai imparato ad
amare e conoscere.
«Lasciamoci le preoccupazioni a domani, vuoi?» soffia contro le tue labbra, prima di tornare a baciarti.
Con una punta di lucidità, mentre lui ti trascina con sé
sul letto per ripiombare in quel vortice di passione, ti chiedi se
valga davvero la pena quello che stai facendo. Se mettere in crisi i
tuoi ideali e la tua morale pur di averlo di nuovo al tuo fianco sia
sensato e non una follia, come tutti – i tuoi amici, tuo padre,
tua zia – non fanno altro che ripeterti.
Vale davvero la pena mettere tutto in discussione per un'unica persona?
È un dubbio che ti pungola la coscienza di notte, che ti impedisce di dormire e che non riesci mai a zittire.
Ti allontani da lui per riprendere fiato, gli occhi incollati al suo
viso. Il verde che divampa in quelle iridi ricambia il tuo sguardo,
vivo e incantevole, provocandoti quasi una sorta di bruciore sotto
pelle. È quella sensazione che provi da sempre in sua presenza,
quel lieve calore che ti scalda il cuore e che te lo fa tremare quando
ti rendi conto che una singola persona è capace di farti stare
così bene, senza bisogno di camuffare la tua natura o
nascondergli i tuoi difetti.
Non è necessario imbrigliare il tuo carattere e importi un
comportamento degno della società Purosangue nella quale
entrambi siete cresciuti, che tanto inorridisce davanti a quei
sentimenti ritenuti inutili quanto dannosi. Evan ti accetta per quello
che sei, senza riserve o giudizi, con quel sorriso che gli piega appena
le labbra e quegli occhi che sono quanto di più dolce tu abbia
mai visto.
Gli accarezzi il viso, incantata, e dentro di te sai di avere una risposta a quella domanda.
Sì, Evan ne vale la pena.
Ne vale dannatamente la pena.
"Il cuore puoi legarlo, farlo tacere,
bendarlo, ma quando trema c'è poco da fare."
Tourgiarov
Questa storia è nata dall'iniziativa di Gaia Bessie Un personaggio per tutte le stagioni, sul gruppo Facebook Apri le Challenge, chiudi le Challenge.
Avevo proposto Evan e mi sono uscite le combinazioni Evan/OC (dove ho
utilizzato Emmeline, che non è un mio OC ma Gaia mi ha
gentilmente concesso di usarla ugualmente) e Evan/Dorcas.
(In
realtà sono uscite altre due combinazioni ma tutte faremo finta
che quel Evan/Piton sia un'allucinazione collettiva. O almeno, io lo
farò)
La
citazione di Tourgiarov è stato il prompt che mi ha ispirato,
tanto che ho potuto fare a meno di utilizzarla all'interno della storia
(“quel lieve calore che ti scalda il cuore e che te lo fa tremare”).
È
la prima volta che scrivo qualcosa in seconda persona e devo dire che
è stato un esperimento straniante, anche se ha richiesto una
revisione e una riflessione più approfondita del solito
(leggasi: ho lasciato questa storia nella sua cartella per circa due
mesi prima di decidermi sul da farsi).
Vorrei
ringraziare di cuore Paige che non solo mi ha fatto il piacere di
leggere in anteprima ma mi ha anche spronata a pubblicare. Grazie
davvero, tesoro <3
Alla prossima,
Blue