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Autore: Dharma    01/09/2009    3 recensioni
[ classificata 5° al concorso “How can you see into my eyes like open doors” indetto da Hikaru_Zani.] Lui, un ragazzo che ha deciso di reprimere se stesso per sfuggire ad un’esistenza difficile. Lei, una ragazza nei cui confronti la vita ha giocato crudelmente. Insieme cercheranno di vedere il mondo con occhi diversi.
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ripubblicata per un mio stupido errore xD

Ripubblicata per un mio stupido errore xD

 

Sì, posso ritenermi abbastanza soddisfatta ^^

E’ vero, con questa storia non sono arrivata al podio, ma mi sono classificata 5° al concorso “How can you see into my eyes like open doors” indetto da Hikaru_Zani.

Mi è piaciuto molto trattare di un fatto tanto triste e drammatico cercando di renderlo in modo profondo e toccante e spero il risultato non vi lasci delusi.

Avverto inoltre che chi si impressiona facilmente ( moooooolto facilmente xD) dovrebbe evitare di leggere^^

Auguro buona lettura e spero in un commento!

 

 

P.S. Ringrazio di cuore Mary_Cry per avermi fatto notare l’errore nella pubblicazione. Me orma xD Spero mi farai sapere cosa ne pensi!

 

 

Autore: binky
Titolo:
Save me from the nothing I’ve become
Personaggi/Pairing: HinataxGaara
Genere: Sentimentale, triste
Rating: giallo
Avvertimenti: AU
Introduzione:  
Lui, un ragazzo che ha deciso di reprimere se stesso per sfuggire ad un’esistenza difficile. Lei, una ragazza nei cui confronti la vita ha giocato crudelmente. Insieme cercheranno di vedere il mondo con occhi diversi.

 

 

 

 

 

Save me from the nothing I’ve become

…Breathe into me and make me real

Bring me to life…

 

 

“ L’ho conosciuta un giorno come tanti. Semplice, timida, impacciata. Una ragazza nei cui confronti la vita aveva giocato crudelmente. L’unica in grado di sapermi vedere dentro.

 

- … prima di iniziare la lezione voglio presentarvi la vostra nuova compagna…-

Un ragazzo dai folti capelli vermigli distolse lo sguardo assente dalla finestra che dava sul cortile del liceo, assumendo un’espressione falsamente interessata. Era quella la maschera di parvenza dietro alla quale celava al mondo il suo animo afflitto. La realtà era che non gli importava nulla della collettività e di se stesso. La vita aveva smarrito ogni interesse, riducendosi ad una monotonia grigia ed ingannevole.

Ecco come la pensava Gaara mentre, riflettendo sulla crudeltà del destino, si imponeva di mantenere quell’espressione per lui innaturale sul proprio viso.

Tuttavia, alla vista di chi si presentò ai suoi occhi, fu costretto a rivalutare le proprie considerazioni: la vita è una pena a cui ognuno è destinato, seppur con diversi aspetti.

Si sorprese nel constatare che quella figura indifesa gli faceva quasi compassione. Soprattutto i suoi occhi, bianchi, di una finzione palese. Lei non vedeva.

Hinata Hyuuga, 19 anni, aveva da poco fatto ritorno nel suo paese natale, il Giappone, dopo aver vissuto per tredici anni negli Stati Uniti. La ragione di una così lunga permanenza in uno stato straniero, Gaara l’avrebbe conosciuta solo in seguito.

L’insegnante invitò la ragazza a prendere posto ed il rosso si meravigliò della disinvoltura dimostrata dalla nuova arrivata nel muoversi nonostante la cecità. Hinata prese posto nel banco di fronte a lui e, per il resto della mattinata, Gaara fissò quella lunga e liscia chioma scura, quasi rapito. Solo una volta, quel giorno, gli capitò di incontrare quegli occhi privi di vita. Poco prima che il suono squillante della campanella annunciasse il termine delle lezioni, Hinata, inaspettatamente, si voltò.

- Tut…tutto bene?- gli chiese timidamente.

Gaara fu colto di sorpresa da una tale domanda, rimanendo confuso. –S…sì. - rispose con poca convinzione. Non gli era mai capitato di sentirsi così indifeso di fronte a qualcuno. Quella maschera di finzione, l’unica arma dietro alla quale provava sicurezza celando il suo io sofferente, era stata palesemente elusa.

La ragazza, a quella risposta titubante, arrossì violentemente – No…è che…non respiravi ed io…scusa per l’invadenza- balbettò velocemente, prima di voltargli le spalle.

Il rosso si stupì per l’ennesima volta delle capacità dimostrate dalla nuova arrivata. Nemmeno lui, troppo preso dall’osservarla, si era accorto del proprio fiato sospeso.

L’imbarazzo palpabile nell’aria si dileguò al trillo tanto atteso. Velocemente, gli allievi si alzarono dai propri posti e, dopo aver raccolto le proprie cose, si diressero impazientemente verso l’uscita, riunendosi in gruppi amichevoli e scherzosi.

Gaara si sbrigò a riporre i quaderni, deciso a chiarire i tanti quesiti che quella timida figura aveva fatto nascere nella sua mente.

Tuttavia, quando rialzò lo sguardo, scorse solo un’esile figura dai lunghi capelli scuri varcare velocemente la soglia dell’aula. Non la seguì. Vedere il modo in cui si muoveva, tentando di mascherare la propria vulnerabilità affidandosi completamente ai propri sensi, gli fece tornare alla mente i pensieri di quella mattina.

Percorse la strada del ritorno lasciando che i propri piedi lo riconducessero a casa, la mente ancora cristallizzata sulle proprie riflessioni.

Era primavera ed i colori di quella stagione rigogliosa e portatrice di vita rendevano meno tetro il grigio distretto di periferia in cui Gaara si ritrovò a passeggiare. Ciò, però, non contribuì a sanare il morale del rosso, assillato dalla malinconia celata perennemente dietro a due occhi celesti e freddi.

Si fermò dinnanzi ad una grande porta in ferro di un verde innaturale e, svogliatamente, ci si abbandonò contro per contrastarne il peso e riuscire così ad aprirla. Dentro, l’abitacolo stretto ed oscurato dalle spesse tende poste alle finestre assumeva un’atmosfera tetra e triste.

Attraversò il piccolo corridoio dal quale si aveva accesso a due stanze, un bagno cieco ed una cucina. Passando dinnanzi a quest’ultima, vi scorse all’interno la figura del fratello, china sul tavolo.

Sospirò sonoramente – Non dirmi che stai ancora trafficando con quella roba. –

Il ragazzo castano non si voltò neppure, limitandosi a rispondere – Non sei nella posizione giusta per farmi la paternale.-

Era intento nel versare una polvere fine e simile al gesso all’interno di una rozza marionetta in legno.

Gaara si avvicinò al tavolo battendovi un pugno stretto – Quando vi beccheranno farete la stessa fine di nostro padre!-

Kankuro alzò lo sguardo sul minore, sorridendo. Ma il suo sorriso non aveva niente di sereno o divertito. – Per chi credi che lo stiamo facendo?! Tu pensa a non farti cacciare pure da questa scuola.-

Il rosso, a quella provocazione, si voltò per poi dirigersi a passo veloce nella propria stanza.

Lanciò la cartella sul letto, sedendosi in modo scomposto sulla sedia di una scrivania lignea e rovinata. Poggiò la schiena contro lo schienale, la testa all’indietro e gli occhi chiusi.  

Detestava quella situazione. Non vi era giorno in cui non provasse ad immaginare come sarebbe stato vivere in una normale famiglia. Eppure, quando riapriva gli occhi, tutto tornava alla realtà. Una verità in cui sua madre era morta partorendolo, suo padre era in prigione da tre anni per contrabbando di droga e i suoi fratelli si sbattevano il culo per rendergli la vita meno miserevole, nonostante, nel profondo, lo ritenessero la causa della prematura fine di colei che li aveva messi al mondo.

Strinse i denti. La rabbia lo assaliva ogni qual volta i ricordi gli tornavano alla mente. Poi, l’immagine di lei prese il posto di tutto, e si sentì pervadere da una pace mai provata. Il sollievo di qualcuno che, nella propria miseria, trova conforto nell’idea di non essere l’unico a soffrire.

Quella sera, dopo essere rimasto vigile a lungo nel proprio letto aspettando di sentire il rumore della porta d’ingresso che gli avrebbe annunciato il ritorno della sorella, poté rivedere quella dolce figura in sogno, ed il suo sonno fu per la prima volta quieto.

 

L’indomani, mentre si stava dirigendo svogliatamente a scuola, gli capitò di scorgere una folta chioma scura ben familiare. Rallentò il passo, deciso a seguirla senza farsi notare. Tuttavia, dopo un breve tragitto, la ragazza si fermò e, allarmata, domandò con voce tremante - Chi sei?-

Gaara si stupì per l’ennesima volta delle notevoli capacità della compagna. Attese qualche istante, prima di rispondere, avvicinandosi – Siamo nella stessa classe… non ti stavo seguendo…-

- Sei… sei il ragazzo seduto dietro di me. – non fu una domanda.

- Gaara.- si presentò, accennando il gesto di porgerle la mano. Si fermò subito, e, rimproverando la propria stupidità, portò il braccio dietro la schiena. Voltandosi poi per osservarsi intorno chiese – Sei sola? Non hai bisogno di qualcuno per…ehm… trovare la strada?- si pentì quasi all’istante delle proprie parole, convinto che quell’allusione palese alla cecità della ragazza potesse offenderla. Al contrario, Hinata scosse timidamente la testa, le guance lievemente arrossate – Prima di venire a scuola ho fatto la strada molte volte con mio cugino, per ricordarmela.- spiegò con voce meno tremante.

“ Se la ricorda…” si meravigliò Gaara. Ripresosi poi dalla sorpresa, gli cadde l’occhio sull’orologio che aveva al polso – Sarà meglio che ci sbrighiamo, altrimenti faremo tardi.-

Fecero il resto del tragitto insieme, l’uno a fianco dell’altra, senza scambiarsi una parola. Una volta entrati in classe, si sedettero ai soliti posti, e la mattinata trascorse.

Nuovamente, al suono della campanella, Hinata uscì senza farsi notare, ma questa volta Gaara decise di seguirla. Giunto in cortile, pensò di averla persa di vista, quando ne scorse la figura in lontananza, accostata ad un muro, circondata da un gruppo di ragazzi.

Il rosso colse, da un movimento eccessivamente violento di uno degli individui, le loro reali intenzioni. Attraversò il cortile affollato, correndo.

Nessuno l’avrebbe aiutata. Gli uomini, quando provano paura, preferiscono non vedere la concretezza dell’ingiustizia che li circonda. Ci avrebbe pensato da solo, sfogando quella rabbia repressa che da ormai troppo tempo sentiva di non riuscire più a celare nel suo amino reso freddo dai ghiacci della sofferenza.

- Lasciala stare!-  sferrando un forte pugno, fece cadere pesantemente a terra il ragazzo che aveva accennato a mettere le mani addosso a Hinata, provocando la fuga del resto del gruppo. Con un ginocchio, bloccò il malcapitato al suolo, pronto a sferrare un attacco più energico del precedente.

- No!-

Si voltò in direzione di Hinata, il pugno sospeso a mezz’aria.

La mora scosse leggermente la testa, il suo rancore visibile perfino in quelle iridi prive di vita

– Smettila di essere così arrabbiato, Gaara.-

Al sentire il proprio nome pronunciato da una voce talmente pura ed innocente, il rosso fu abbandonato dall’ira. Il respiro, fino a quel momento pesante, tornò alla normalità. Per qualche istante gli parve di divenire leggero, dimentico di ogni preoccupazione. Il ghiaccio nel suo cuore non parve più così freddo.

Tuttavia, la voce adirata della professoressa lo riportò alla realtà. Si trovava ancora a cavalcioni sul ragazzo che aveva appena picchiato, il pugno alzato.

L’insegnante, attraversato il cortile ed ora vicina, gli intimò con severità – Lascia andare quello studente.-

Gaara si alzò, dando così modo al ragazzo di rimettersi in piedi e correre via ad un comando della professoressa che, rivolgendosi nuovamente al rosso, lo rimproverò – A diciannove anni dovresti imparare un minimo di autocontrollo. Non vorrai essere cacciato anche da questa scuola, Sabaku?!-

L’interpellato abbassò lo sguardo, la vergogna lo assalì. Quelle parole gli erano state urlate contro in presenza di Hinata.

Cosa avrebbe pensato di lui?

Lo avrebbe ritenuto un povero teppista pazzo.

- Questa volta sono buona e ti risparmio la visita in presidenza ma vedi di non farmi pentire per questo.- detto ciò, l’insegnante si allontanò.

Gaara fece per correre via, quando quella voce immensamente dolce lo chiamò per la seconda volta. E l’effetto fu lo stesso.

Hinata gli si avvicinò titubante, prima di dire con un filo di voce – Lo...lo so cosa stai pensando…ma io non ti vedo come una persona violenta…-

Abbassò il capo, nascondendo parte del viso all’ombra della frangia – Per quello che può valere…grazie.- 

Gaara si sentì pervadere da un calore mai provato. Nessuno lo aveva mai ringraziato. Nonostante avesse tentato più volte di aiutare qualcuno, aveva sempre agito in modo sbagliato, ricevendo in cambio rimproveri ed insulti. Gli parve di ritornare alla vita dopo un sonno perdurato millenni.

Sentì un leggero contatto e si accorse che Hinata aveva timidamente accostato la propria mano alla sua. Impacciato, la strinse, stupendosi di quanto quelle dita fossero lisce e candide.

- Non…non è che potremmo…tornare a casa…insieme?- nel porgli quella domanda alla ragazza si tinsero le guance di un rosso intenso.

Gaara rimase sconcertato. Non rispose.

Eppure, pochi attimi e Hinata si sentì tirare leggermente ed iniziò a seguire in silenzio il proprio salvatore.

Camminarono senza scambiarsi parola, le dita intrecciate, quando la ragazza, lasciandosi completamente guidare dal compagno, chiese – P…perché la professoressa ti ha detto…quella cosa?- le fu necessario tutto il coraggio di cui disponeva per porre una domanda su un argomento così personale, ma la sua curiosità fu troppo forte. Non si era mai interessata tanto a qualcuno, forse perché nessuno si era mai interessato tanto a lei.

Il rosso tentennò per qualche istante, ma decise infine di darle una spiegazione. Lei era la prima ad averlo fatto sentire così vivo, vero, completo.

- Mia madre è morta mettendomi al mondo e mio padre è in galera da tre anni per spaccio. – iniziò.

Hinata quasi non ci credette e, sentendosi in colpa per ciò che gli aveva chiesto, tentò di interromperlo per cambiare discorso.

Tuttavia, Gaara non riuscì più a fermarsi. Quelle erano cose che non aveva mai svelato a nessuno. Aveva bisogno di sfogarsi, di parlare di sé, altrimenti sentiva che presto sarebbe rimasto travolto dalla sua stessa esistenza.

- Vivo con una sorella ed un fratello più grandi.- continuò, lo sguardo freddo ora lucido per la prima volta dopo anni – ma per permettermi di studiare hanno intrapreso anche loro la strada di nostro padre. Però, come al solito, ho finito col rischiare di rovinare tutto.-

La ragazza sentì la presa del ragazzo farsi più dura per la frustrazione, ma preferì lasciarlo continuare, comprendendo quanto ciò fosse per lui necessario.

- Fino a due anni fa frequentavo un altro liceo, ma un giorno un mio compagno è venuto a sapere del fatto che io e i miei fratelli viviamo senza genitori. E’ venuto da me e mi ha detto

“ Hei Sabaku, tua sorella deve essere davvero una brava puttana se può permetterti di studiare in questa scuola!”-

La stretta di Gaara si fece maggiormente ferrea sulle dita della compagna, ma non se ne rese conto e continuò, la voce lievemente tremante – Non ci ho più visto. In un attimo, senza neanche accorgermene, mi sono ritrovato ansimante con la mano sporca di sangue. Gli avevo rotto il naso. -

Si rese conto in quel momento del male che stava procurando alla ragazza e si affrettò ad allentare la presa, senza tuttavia abbandonare quella mano che tanto lo faceva sentire sicuro.

Aveva paura che, dopo quella rivelazione, perfino lei lo avrebbe temuto ed odiato.

- S…sono sicura che tu non volessi fargli male sul serio.- affermò in un soffio Hinata.

Gaara la squadrò stupefatto, quasi sperando di poter incontrare il suo sguardo per dimostrarle senza parole tutta la propria gratitudine. Eppure, ciò che vide furono quegli occhi innaturalmente chiari.

Forse perché percepì i pensieri del ragazzo, forse perché si sentiva in dovere di rivelargli a sua volta la propria storia, Hinata prese un profondo respiro prima di iniziare a raccontare a bassa voce, il viso chino quasi avesse voluto celarne la vergogna dipinta – Quando avevo sei anni, mi sono ammalata di un tumore all’occhio sinistro. I miei avevano divorziato e mia madre era molto impegnata col lavoro, così mio padre mi ha portato in America perché cercassero di curarmi.-

La sua voce si fece più bassa e Gaara faticò ad ascoltarla – Però è stato tutto inutile e in breve il tumore è passato anche all’altro occhio. Alla fine è stato necessario un intervento e mi hanno messo…questi…-

Il rosso sentì un vuoto nello stomaco. Capì quanto la ragazza desiderasse piangere, ma che ciò le fosse impossibile.

- Penso che se tu potessi vedermi avresti paura.- affermò Gaara.

- Io ti vedo meglio di chiunque altro.- fu la flebile risposta della compagna.

Il ragazzo realizzò quanto fossero vere quelle parole. L’unica in grado di scrutarlo nel profondo dei suoi occhi perennemente freddi ed impassibili, come fossero porte aperte, si era rivelata una ragazza cieca. 

- Gaara…-  Hinata si era fatta nuovamente rossa in volto - …non essere triste…p…perché vorrei che vedessi il mondo…per…entrambi.- le ultime parole quasi non si udirono, ma Gaara le comprese ugualmente.

- Va bene.-

Glielo doveva. Lei gli aveva aperto gli occhi di fronte a tutto, facendogli comprendere quanto la sua realtà fosse composta da cose belle. Sciogliendo il ghiaccio nel suo animo.

La bocca della compagna si piegò in un dolce sorriso colmo di gratitudine e, a quella vista, Gaara promise a se stesso che si sarebbe impegnato per proteggerla ed aiutarla, come lei aveva fatto con lui.

Insieme, le mani ancora strette, avvolti in un silenzio colmo di significato, finalmente entrambi vedevano il mondo.

…Respira in me e rendimi vero
Riportami in vita…

[Evanescence- Bring me to life]

 

 

 

 

  
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