Ripubblicata
per un mio stupido errore xD
Sì,
posso ritenermi abbastanza soddisfatta ^^
E’
vero, con questa storia non sono arrivata al podio, ma mi sono classificata 5°
al concorso “How can you see into my
eyes like open doors” indetto da Hikaru_Zani.
Mi è piaciuto molto trattare di un fatto tanto
triste e drammatico cercando di renderlo in modo profondo e toccante e spero il
risultato non vi lasci delusi.
Avverto inoltre che chi si impressiona facilmente (
moooooolto facilmente xD) dovrebbe evitare di leggere^^”
Auguro
buona lettura e spero in un commento!
P.S.
Ringrazio di cuore Mary_Cry per
avermi fatto notare l’errore nella pubblicazione. Me orma xD Spero mi farai
sapere cosa ne pensi!
Autore:
binky
Titolo: Save
me from the nothing I’ve become
Personaggi/Pairing: HinataxGaara
Genere: Sentimentale, triste
Rating: giallo
Avvertimenti: AU
Introduzione: Lui, un ragazzo che ha deciso di
reprimere se stesso per sfuggire ad un’esistenza difficile. Lei, una ragazza
nei cui confronti la vita ha giocato crudelmente. Insieme cercheranno di vedere
il mondo con occhi diversi.
Save me from the nothing I’ve become
…Breathe into me and make me real
Bring me to life…
“ L’ho conosciuta un giorno come
tanti. Semplice, timida, impacciata. Una ragazza nei cui confronti la vita
aveva giocato crudelmente. L’unica in grado di sapermi vedere dentro.”
- … prima
di iniziare la lezione voglio presentarvi la vostra nuova compagna…-
Un
ragazzo dai folti capelli vermigli distolse lo sguardo assente dalla finestra
che dava sul cortile del liceo, assumendo un’espressione falsamente
interessata. Era quella la maschera di parvenza dietro alla quale celava al
mondo il suo animo afflitto. La realtà era che non gli importava nulla della
collettività e di se stesso. La vita aveva smarrito ogni interesse, riducendosi
ad una monotonia grigia ed ingannevole.
Ecco come
la pensava Gaara mentre, riflettendo sulla crudeltà del destino, si imponeva di
mantenere quell’espressione per lui innaturale sul proprio viso.
Tuttavia,
alla vista di chi si presentò ai suoi occhi, fu costretto a rivalutare le
proprie considerazioni: la vita è una pena a cui ognuno è destinato, seppur con
diversi aspetti.
Si
sorprese nel constatare che quella figura indifesa gli faceva quasi
compassione. Soprattutto i suoi occhi, bianchi, di una finzione palese. Lei non
vedeva.
Hinata
Hyuuga, 19 anni, aveva da poco fatto ritorno nel suo paese natale, il Giappone,
dopo aver vissuto per tredici anni negli Stati Uniti. La ragione di una così
lunga permanenza in uno stato straniero, Gaara l’avrebbe conosciuta solo in
seguito.
L’insegnante
invitò la ragazza a prendere posto ed il rosso si meravigliò della disinvoltura
dimostrata dalla nuova arrivata nel muoversi nonostante la cecità. Hinata prese
posto nel banco di fronte a lui e, per il resto della mattinata, Gaara fissò
quella lunga e liscia chioma scura, quasi rapito. Solo
una volta, quel giorno, gli capitò di incontrare quegli occhi privi di vita.
Poco prima che il suono squillante della campanella annunciasse il termine
delle lezioni, Hinata, inaspettatamente, si voltò.
-
Tut…tutto bene?- gli chiese timidamente.
Gaara fu
colto di sorpresa da una tale domanda, rimanendo confuso. –S…sì. - rispose con
poca convinzione. Non gli era mai capitato di sentirsi così indifeso di fronte
a qualcuno. Quella maschera di finzione, l’unica arma dietro alla quale provava
sicurezza celando il suo io sofferente, era stata palesemente elusa.
La
ragazza, a quella risposta titubante, arrossì violentemente – No…è che…non
respiravi ed io…scusa per l’invadenza- balbettò velocemente, prima di voltargli
le spalle.
Il rosso
si stupì per l’ennesima volta delle capacità dimostrate dalla nuova arrivata.
Nemmeno lui, troppo preso dall’osservarla, si era accorto del proprio fiato
sospeso.
L’imbarazzo
palpabile nell’aria si dileguò al trillo tanto atteso. Velocemente, gli allievi
si alzarono dai propri posti e, dopo aver raccolto le proprie cose, si
diressero impazientemente verso l’uscita, riunendosi in gruppi amichevoli e
scherzosi.
Gaara si
sbrigò a riporre i quaderni, deciso a chiarire i tanti quesiti che quella
timida figura aveva fatto nascere nella sua mente.
Tuttavia,
quando rialzò lo sguardo, scorse solo un’esile figura dai lunghi capelli scuri
varcare velocemente la soglia dell’aula. Non la seguì. Vedere il modo in cui si
muoveva, tentando di mascherare la propria vulnerabilità affidandosi
completamente ai propri sensi, gli fece tornare alla mente i pensieri di quella
mattina.
Percorse
la strada del ritorno lasciando che i propri piedi lo riconducessero a casa, la
mente ancora cristallizzata sulle proprie riflessioni.
Era
primavera ed i colori di quella stagione rigogliosa e portatrice di vita
rendevano meno tetro il grigio distretto di periferia in cui Gaara si ritrovò a
passeggiare. Ciò, però, non contribuì a sanare il morale del rosso, assillato
dalla malinconia celata perennemente dietro a due occhi celesti e freddi.
Si fermò
dinnanzi ad una grande porta in ferro di un verde innaturale e, svogliatamente,
ci si abbandonò contro per contrastarne il peso e riuscire così ad aprirla.
Dentro, l’abitacolo stretto ed oscurato dalle spesse
tende poste alle finestre assumeva un’atmosfera tetra e triste.
Attraversò
il piccolo corridoio dal quale si aveva accesso a due stanze, un bagno cieco ed
una cucina. Passando dinnanzi a quest’ultima, vi scorse all’interno la figura
del fratello, china sul tavolo.
Sospirò
sonoramente – Non dirmi che stai ancora trafficando con quella roba. –
Il
ragazzo castano non si voltò neppure, limitandosi a rispondere – Non sei nella
posizione giusta per farmi la paternale.-
Era
intento nel versare una polvere fine e simile al gesso all’interno di una rozza
marionetta in legno.
Gaara si
avvicinò al tavolo battendovi un pugno stretto – Quando vi beccheranno farete
la stessa fine di nostro padre!-
Kankuro
alzò lo sguardo sul minore, sorridendo. Ma il suo sorriso non aveva niente di
sereno o divertito. – Per chi credi che lo stiamo facendo?!
Tu pensa a non farti cacciare pure da questa scuola.-
Il rosso,
a quella provocazione, si voltò per poi dirigersi a passo veloce nella propria
stanza.
Lanciò la
cartella sul letto, sedendosi in modo scomposto sulla sedia di una scrivania
lignea e rovinata. Poggiò la schiena contro lo schienale, la testa all’indietro
e gli occhi chiusi.
Detestava
quella situazione. Non vi era giorno in cui non provasse ad immaginare come
sarebbe stato vivere in una normale famiglia. Eppure, quando riapriva gli
occhi, tutto tornava alla realtà. Una verità in cui sua madre era morta partorendolo,
suo padre era in prigione da tre anni per contrabbando di droga e i suoi
fratelli si sbattevano il culo per rendergli la vita meno miserevole,
nonostante, nel profondo, lo ritenessero la causa della prematura fine di colei
che li aveva messi al mondo.
Strinse i
denti. La rabbia lo assaliva ogni qual volta i ricordi gli tornavano alla
mente. Poi, l’immagine di lei prese il posto di tutto, e si sentì pervadere da
una pace mai provata. Il sollievo di qualcuno che, nella propria miseria, trova
conforto nell’idea di non essere l’unico a soffrire.
Quella
sera, dopo essere rimasto vigile a lungo nel proprio letto aspettando di
sentire il rumore della porta d’ingresso che gli avrebbe annunciato il ritorno
della sorella, poté rivedere quella dolce figura in sogno, ed il suo sonno fu
per la prima volta quieto.
L’indomani,
mentre si stava dirigendo svogliatamente a scuola, gli capitò di scorgere una
folta chioma scura ben familiare. Rallentò il passo, deciso a seguirla senza
farsi notare. Tuttavia, dopo un breve tragitto, la ragazza si fermò e,
allarmata, domandò con voce tremante - Chi sei?-
Gaara si
stupì per l’ennesima volta delle notevoli capacità della compagna. Attese
qualche istante, prima di rispondere, avvicinandosi – Siamo nella stessa
classe… non ti stavo seguendo…-
- Sei… sei
il ragazzo seduto dietro di me. – non fu una domanda.
- Gaara.-
si presentò, accennando il gesto di porgerle la mano. Si fermò subito, e,
rimproverando la propria stupidità, portò il braccio dietro la schiena.
Voltandosi poi per osservarsi intorno chiese – Sei
sola? Non hai bisogno di qualcuno per…ehm… trovare la strada?- si pentì quasi
all’istante delle proprie parole, convinto che quell’allusione palese alla
cecità della ragazza potesse offenderla. Al contrario, Hinata scosse
timidamente la testa, le guance lievemente arrossate – Prima di venire a scuola
ho fatto la strada molte volte con mio cugino, per ricordarmela.- spiegò con
voce meno tremante.
“ Se la
ricorda…” si meravigliò Gaara. Ripresosi poi dalla sorpresa, gli cadde l’occhio
sull’orologio che aveva al polso – Sarà meglio che ci sbrighiamo, altrimenti
faremo tardi.-
Fecero il
resto del tragitto insieme, l’uno a fianco dell’altra, senza scambiarsi una
parola. Una volta entrati in classe, si sedettero ai soliti posti, e la
mattinata trascorse.
Nuovamente,
al suono della campanella, Hinata uscì senza farsi notare, ma questa volta
Gaara decise di seguirla. Giunto in cortile, pensò di averla persa di vista,
quando ne scorse la figura in lontananza, accostata ad un muro, circondata da
un gruppo di ragazzi.
Il rosso
colse, da un movimento eccessivamente violento di uno degli individui, le loro
reali intenzioni. Attraversò il cortile affollato, correndo.
Nessuno
l’avrebbe aiutata. Gli uomini, quando provano paura, preferiscono non vedere la
concretezza dell’ingiustizia che li circonda. Ci avrebbe pensato da solo,
sfogando quella rabbia repressa che da ormai troppo tempo sentiva di non
riuscire più a celare nel suo amino reso freddo dai ghiacci della sofferenza.
-
Lasciala stare!- sferrando
un forte pugno, fece cadere pesantemente a terra il ragazzo che aveva accennato
a mettere le mani addosso a Hinata, provocando la fuga del resto del gruppo.
Con un ginocchio, bloccò il malcapitato al suolo, pronto a sferrare un attacco
più energico del precedente.
- No!-
Si voltò
in direzione di Hinata, il pugno sospeso a mezz’aria.
La mora
scosse leggermente la testa, il suo rancore visibile perfino in quelle iridi
prive di vita
–
Smettila di essere così arrabbiato, Gaara.-
Al
sentire il proprio nome pronunciato da una voce talmente pura ed innocente, il
rosso fu abbandonato dall’ira. Il respiro, fino a quel momento pesante, tornò
alla normalità. Per qualche istante gli parve di divenire leggero, dimentico di
ogni preoccupazione. Il ghiaccio nel suo cuore non parve più così freddo.
Tuttavia,
la voce adirata della professoressa lo riportò alla realtà. Si trovava ancora a cavalcioni sul ragazzo che aveva appena picchiato, il
pugno alzato.
L’insegnante,
attraversato il cortile ed ora vicina, gli intimò con severità – Lascia andare
quello studente.-
Gaara si alzò,
dando così modo al ragazzo di rimettersi in piedi e correre via ad un comando
della professoressa che, rivolgendosi nuovamente al rosso, lo rimproverò – A
diciannove anni dovresti imparare un minimo di autocontrollo. Non vorrai essere
cacciato anche da questa scuola, Sabaku?!-
L’interpellato
abbassò lo sguardo, la vergogna lo assalì. Quelle parole gli erano state urlate
contro in presenza di Hinata.
Cosa
avrebbe pensato di lui?
Lo
avrebbe ritenuto un povero teppista pazzo.
- Questa
volta sono buona e ti risparmio la visita in presidenza ma vedi di non farmi
pentire per questo.- detto ciò, l’insegnante si allontanò.
Gaara
fece per correre via, quando quella voce immensamente dolce lo chiamò per la
seconda volta. E l’effetto fu lo stesso.
Hinata
gli si avvicinò titubante, prima di dire con un filo di voce – Lo...lo so cosa stai pensando…ma io non ti vedo come una
persona violenta…-
Abbassò
il capo, nascondendo parte del viso all’ombra della frangia – Per quello che può
valere…grazie.-
Gaara si
sentì pervadere da un calore mai provato. Nessuno lo aveva mai ringraziato.
Nonostante avesse tentato più volte di aiutare qualcuno, aveva sempre agito in
modo sbagliato, ricevendo in cambio rimproveri ed insulti. Gli parve di
ritornare alla vita dopo un sonno perdurato millenni.
Sentì un
leggero contatto e si accorse che Hinata aveva timidamente accostato la propria
mano alla sua. Impacciato, la strinse, stupendosi di quanto quelle dita fossero
lisce e candide.
- Non…non
è che potremmo…tornare a casa…insieme?- nel porgli quella domanda alla ragazza
si tinsero le guance di un rosso intenso.
Gaara
rimase sconcertato. Non rispose.
Eppure,
pochi attimi e Hinata si sentì tirare leggermente ed iniziò a seguire in
silenzio il proprio salvatore.
Camminarono
senza scambiarsi parola, le dita intrecciate, quando la ragazza, lasciandosi
completamente guidare dal compagno, chiese – P…perché la professoressa ti ha
detto…quella cosa?- le fu necessario tutto il coraggio di cui disponeva per porre
una domanda su un argomento così personale, ma la sua curiosità fu troppo
forte. Non si era mai interessata tanto a qualcuno, forse perché nessuno si era
mai interessato tanto a lei.
Il rosso
tentennò per qualche istante, ma decise infine di darle una spiegazione. Lei
era la prima ad averlo fatto sentire così vivo, vero, completo.
- Mia
madre è morta mettendomi al mondo e mio padre è in galera da tre anni per
spaccio. – iniziò.
Hinata
quasi non ci credette e, sentendosi in colpa per ciò che gli aveva chiesto,
tentò di interromperlo per cambiare discorso.
Tuttavia,
Gaara non riuscì più a fermarsi. Quelle erano cose che non aveva mai svelato a
nessuno. Aveva bisogno di sfogarsi, di parlare di sé, altrimenti sentiva che
presto sarebbe rimasto travolto dalla sua stessa esistenza.
- Vivo
con una sorella ed un fratello più grandi.- continuò, lo sguardo freddo ora
lucido per la prima volta dopo anni – ma per permettermi di studiare hanno
intrapreso anche loro la strada di nostro padre. Però, come al solito, ho
finito col rischiare di rovinare tutto.-
La
ragazza sentì la presa del ragazzo farsi più dura per la frustrazione, ma
preferì lasciarlo continuare, comprendendo quanto ciò fosse per lui necessario.
- Fino a
due anni fa frequentavo un altro liceo, ma un giorno un mio compagno è venuto a
sapere del fatto che io e i miei fratelli viviamo senza genitori. E’ venuto da
me e mi ha detto
“ Hei
Sabaku, tua sorella deve essere davvero una brava puttana se può permetterti di
studiare in questa scuola!”-
La stretta
di Gaara si fece maggiormente ferrea sulle dita della compagna, ma non se ne
rese conto e continuò, la voce lievemente tremante – Non ci ho più visto. In un
attimo, senza neanche accorgermene, mi sono ritrovato ansimante con la mano
sporca di sangue. Gli avevo rotto il naso. -
Si rese
conto in quel momento del male che stava procurando alla ragazza e si affrettò
ad allentare la presa, senza tuttavia abbandonare quella mano che tanto lo
faceva sentire sicuro.
Aveva
paura che, dopo quella rivelazione, perfino lei lo avrebbe
temuto ed odiato.
- S…sono
sicura che tu non volessi fargli male sul serio.- affermò in un soffio Hinata.
Gaara la
squadrò stupefatto, quasi sperando di poter incontrare il suo sguardo per
dimostrarle senza parole tutta la propria gratitudine. Eppure, ciò che vide
furono quegli occhi innaturalmente chiari.
Forse
perché percepì i pensieri del ragazzo, forse perché si sentiva in dovere di
rivelargli a sua volta la propria storia, Hinata prese un profondo respiro
prima di iniziare a raccontare a bassa voce, il viso chino quasi avesse voluto
celarne la vergogna dipinta – Quando avevo sei anni, mi sono ammalata di un
tumore all’occhio sinistro. I miei avevano divorziato e mia madre era molto
impegnata col lavoro, così mio padre mi ha portato in America perché cercassero
di curarmi.-
La sua
voce si fece più bassa e Gaara faticò ad ascoltarla – Però è stato tutto
inutile e in breve il tumore è passato anche all’altro occhio. Alla fine è
stato necessario un intervento e mi hanno messo…questi…-
Il rosso
sentì un vuoto nello stomaco. Capì quanto la ragazza desiderasse piangere, ma che
ciò le fosse impossibile.
- Penso
che se tu potessi vedermi avresti paura.- affermò Gaara.
- Io ti
vedo meglio di chiunque altro.- fu la flebile risposta della compagna.
Il
ragazzo realizzò quanto fossero vere quelle parole. L’unica in grado di
scrutarlo nel profondo dei suoi occhi perennemente freddi ed impassibili, come fossero porte aperte, si era
rivelata una ragazza cieca.
- Gaara…- Hinata si era fatta
nuovamente rossa in volto - …non essere triste…p…perché vorrei che vedessi il
mondo…per…entrambi.- le ultime parole quasi non si udirono, ma Gaara le
comprese ugualmente.
- Va
bene.-
Glielo
doveva. Lei gli aveva aperto gli occhi di
fronte a tutto, facendogli comprendere quanto la sua realtà fosse composta
da cose belle. Sciogliendo il ghiaccio nel suo animo.
La bocca
della compagna si piegò in un dolce sorriso colmo di gratitudine e, a quella
vista, Gaara promise a se stesso che si sarebbe impegnato per proteggerla ed
aiutarla, come lei aveva fatto con lui.
Insieme, le
mani ancora strette, avvolti in un silenzio colmo di significato, finalmente
entrambi vedevano il mondo.
…Respira in me e
rendimi vero
Riportami in vita…
[Evanescence- Bring me to
life]