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Autore: _astronaut_    21/09/2021    1 recensioni
Quando hai perso tutto, non ti resta che il silenzio, rotto dal rumore di un dolore troppo assordante per poter essere descritto.
Dal testo: "La vita è ingiusta, è crudele, è spietata, pensa il dio. La vita ti dà, e ti toglie, con la stessa semplicità con la quale si beve un bicchiere d’acqua. Tuttavia, tutto quello che vorrebbe, Thor, è che la vita desse un po’ di più e togliesse un po’ di meno".
SPOILER WARNING! Verso la fine della OS sono presenti spoiler relativi alla serie tv "Loki".
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come onde contro i fiordi

Loki! No, Loki! Rispondimi! Ti prego, non morire. Non morire, non morire…

Thor si sveglia di soprassalto, sudato e aggrovigliato nelle lenzuola del suo letto sfatto, il viso trasfigurato dal dolore e le guance solcate da lacrime che non si era nemmeno reso conto di aver versato. I suoi occhi eterocromi fissano febbrili le tenebre della sua stanza nella modesta casa midgardiana che si è costruito a Nuova Asgard, quasi alla ricerca di qualcosa, o qualcuno, che manifesti la sua presenza e metta a tacere tutte le sue sofferenze con un semplice sorriso impertinente e sornione.

Ma, quella persona, non c’è. Non c’è più.

Quella persona è stata assassinata, il suo collo spezzato come la mina di una matita caduta troppe volte, trattata con troppa noncuranza e infine gettata al suolo senza il minimo ripensamento. Quella persona ha smesso di respirare tra le sue braccia, un ultimo sguardo insanguinato rivolto verso di lui, un ultimo, forzato, sorriso, a nascondere l’immensa sofferenza tradita dagli occhi verde giada ricolmi di lacrime. Quella persona gli ha stretto la mano con l’ultimo residuo di forze rimastegli, cercando la sua vicinanza e il suo affetto negli ultimi attimi della sua vita, mentre Thor sentiva il suo cuore smettere di battere proprio sotto al suo orecchio, poggiato sul petto freddo del fratello nel disperato tentativo di tenerlo con sé.

Thor non è riuscito a salvarlo, Loki, e di questo non se ne dimenticherà mai: la sua ottima memoria non fa che ricordargli, quasi ogni sera, la sensazione del corpo morente del dio dell’inganno spegnersi definitivamente sotto i suoi occhi. Thor non è riuscito nemmeno a salvare sé stesso, finendo poco dopo alla deriva nello spazio, e sperando, egoisticamente, di poter a sua volta smettere di vivere e venire avvolto dal buio assoluto. Thor non è riuscito neppure a salvare il suo popolo, condannandolo a una estinzione sventata solo grazie a qualche superstite portato sulla Terra da Brunilde, che ora governa Nuova Asgard come se non avesse fatto altro in vita sua, con una rettitudine, una attenzione, e una bontà, che non fanno altro che renderla sempre più amata agli occhi dei suoi sudditi.

Thor è un sopravvissuto, un superstite dannato, divorato dai sensi di colpa, e, ogni volta che si guarda allo specchio, non vede che sangue, sulle sue mani callose e forti e piene di cicatrici di battaglie di cui nemmeno si ricorda il nome. Non vede che gli sbagli di millenni di vita e i rimpianti per non aver fatto di più, per non averci provato di più, per non averci creduto di più.

Forse, se lui fosse stato di più, suo fratello sarebbe ancora vivo.

Il dio del tuono soffre, piange come il cielo in quella notte fredda di metà novembre, riversa sulle sue guance incolte il dolore di una perdita che ancora non ha superato, la rabbia per una vendetta affatto soddisfacente, la solitudine in un mondo che non sente più suo.

Piange per suo fratello, per sua madre e per suo padre, piange per la famiglia che ha amato infinitamente e che ha perduto nel giro di troppo poco tempo, piange per Heimdall, il guardiano, l’amico e il confidente, piange per i suoi sudditi dispersi nei meandri più bui dell’Universo, minuscoli corpi ormai svaniti e che non hanno nemmeno potuto godere di una cerimonia funebre come si deve. 

Piange di un dolore sordo ad ogni supplica di cessare, almeno per un po’, di martellargli l’anima come un tamburo di morte. Piange di un dolore cieco alla devastazione che sta creando nella mente di un giovane uomo troppo stanco persino per alzarsi dal letto. Piange di un dolore muto, perché sì, Thor ha finito le parole, e non parla da mesi, ormai, se non a monosillabi.

Thor si alza e si guarda allo specchio, ha preso peso, beve più birra che acqua e mangia più di quanto gli sia necessario, passa le giornate a guardare il vuoto e a vigilare su Korg che sta imparando a giocare alla Play Station, e non si rende conto che sta perdendo sé stesso. A nulla valgono le premure di Brunilde, i suoi consigli di andare a parlare con qualcuno di esperto, il dio del tuono rifiuta ogni aiuto, rifiuta di dare una voce ai suoi tormenti interiori, rifiuta di esternare il suo dolore, rifiuta di concedersi il lusso di sentirsi debole di fronte a qualcuno.

Se la caverà, si dice. Se l’è sempre cavata. Da solo. Lo farà anche stavolta.

E passano cinque anni da quando Thor si lascia cadere nel buco nero della disperazione, passano cinque, lunghissimi, interminabili, anni, prima che Rocket si ripresenti alla sua porta e gli dica che un modo per prendersi la rivincita sul Titano Pazzo e portare nuovamente in vita metà universo, c’è.

Passano cinque anni prima che Thor si renda conto del fatto che, forse, avrebbe fatto meglio a dare retta alla Valchiria. Sono cinque anni in cui la sua barba è diventata un groviglio disordinato giallo paglia, e i suoi capelli sono più nodi che altro, e i suoi muscoli stentano a sostenere le conseguenze di un periodo decisamente buio della sua vita, e i suoi occhi hanno smesso di brillare di bontà e fiducia nel prossimo.

Forse, si dice, è ora di ricominciare. E quindi, parte alla volta dell’Avengers Compound, dove i suoi compagni di squadra – e qualche aggiunta decisamente inaspettata – organizzano un piano per riportare il mondo alla situazione originale.

Tocca a lui e a Rocket raggiungere una Asgard del passato, dove Mjöllnir non è stato spezzato e dove sua madre, la sua splendida, buona, dolce, madre, vive ancora.

“Il futuro non è stato gentile con te”

No, madre, non lo è stato affatto, pensa il dio del tuono mentre chiude gli occhi assaporando il tocco amorevole della donna che lo ha dato alla luce, ma Thor è ancora degno di brandire il suo martello. Nonostante tutto, nonostante la sua condizione, Mjöllnir vola tra le sue mani, come sempre aveva fatto negli anni precedenti. E lui, sorpreso come non mai, culla l’oggetto come se fosse un bambino, un barlume di speranza nel buio pesto del suo presente, promessa e auspicio per un futuro migliore dove, forse, riuscirà a smettere di odiare il mondo, e soprattutto, odiare sé stesso.

La battaglia che da lì a poco infuria sulla Terra la ricorderanno per sempre nei libri di Storia: il cielo è tinto di viola, le armate del Titano strisciano malefiche su un suolo pieno di lacrime e storie spezzate a metà, mentre gli Avengers cercano invano di resistere a un esercito nettamente superiore, spinti dalla disperazione e dalla rabbia. Lo spirito di Natasha è con loro, sembra accarezzarli tutti con i suoi occhi da gatta e il suo sorriso sornione: non li abbandona, ma li guida nell’attacco, il pensiero di vendicare la sua morte come un chiodo fisso nella testa dei suoi amici.

Rogers si alza da terra, lo scudo spezzato a metà e il viso rosso di sangue, la divisa strappata e il fiato affannato, non si arrende. Non si arrende, Steve, una fredda determinazione a indurirgli i lineamenti del viso solitamente gentile. Non si arrende, ed è pronto a fronteggiare da solo un intero esercito, se necessario, ma è in quel momento che l’impossibile accade: una luce dorata invade il suo campo visivo, e prima che possa realizzare quanto sta accadendo, ecco che riconosce Doctor Strange e Wong, che aprono centinaia di portali contemporaneamente e danno modo alle armate alleate di portare supporto, finalmente, sul campo di battaglia.

Ybambe!, sente da lontano Re T’Challa che, imperioso, sfida gli alieni con lo sguardo, il Wakanda che risponde senza esitazione al grido di guerra.

Avengers!, ode Steve a pochi metri da lui, la voce roca di emozione e furia.

E basta una parola, una sola, semplice parola, a fare sì che si scateni l’inferno. Thor si lancia contro Thanos, la rabbia a guidare le sue azioni e a renderlo più feroce di una bestia assatanata: lo assalta, para i suoi colpi, parte al contrattacco. Ma il Titano riesce ad atterrarlo, e gli punta Stormbreaker al petto, mentre il martello è abbandonato a un centinaio di metri da lui.

Thor pensa che, se quella per lui dovesse essere la fine, la accetterebbe senza alcun lamento. Pensa, quasi con gioia, che potrebbe finalmente ricongiungersi ai suoi cari per davvero, non solo nei suoi deliri notturni.

Ma Mjöllnir vola, vola e colpisce Thanos, per poi atterrare tra le mani di Rogers, che, come un angelo della morte, torna ad attaccare il titano senza sosta. E Thor, allora, combatte ancora, combatte come non ricordava nemmeno di essere in grado di fare.

Vincono, alla fine. Vincono, ma il prezzo da pagare è il viso bruciato e immobile di Tony, le lacrime di un ragazzo piegato in due dal dolore, i singhiozzi di Virginia Potts e James Rhodes, il mutismo e il labbro tremante di Steve Rogers. Cade in ginocchio, sopraffatto dalla consapevolezza della perdita appena subita, il Capitano fuori dal Tempo.

E cade in ginocchio Thor, cade in ginocchio Clint, cadono Strange e T’Challa. Lentamente, tutti, si ritrovano a terra, per rendere omaggio al gesto eroico dell’uomo che un tempo era stato Iron Man. E il funerale che si tiene qualche giorno dopo è devastante: il visino dolce e giovane della piccola Stark è attraversato da un’ombra di tristezza e serietà fin troppo pesanti per avere il diritto di solcare i suoi lineamenti.

La vita è ingiusta, è crudele, è spietata, pensa il dio. La vita ti dà, e ti toglie, con la stessa semplicità con la quale si beve un bicchiere d’acqua. Tuttavia, tutto quello che vorrebbe, Thor, è che la vita desse un po’ di più e togliesse un po’ di meno.

Alla fine, si convince a parlare con qualcuno che possa aiutarlo. Come se fosse il vaso di Pandora, una volta aperto, Thor, svuota tutto quanto serbava nel suo animo: il dolore, la rabbia, la frustrazione. La tristezza, la nostalgia. Thor si scopre, si mette a nudo di fronte a una donna che non fa che ascoltarlo, un sorriso paziente e caldo ad accompagnare ogni suo gesto, gli occhi gentili a spronarlo a non trattenere più niente, a fidarsi, a darsi la possibilità di essere debole.

È un percorso lungo, doloroso, e sì, ha ricadute. Molte ricadute. Però non si scoraggia, no. Dopo lunghi e strazianti mesi, Thor guarisce. Thor accetta quello che gli è successo, razionalizza gli avvenimenti, fa ordine nel suo cuore e soprattutto nella sua mente. Il suo fisico risponde bene, è tornato ad essere un uomo atletico, perfettamente in salute, padrone di se stesso e delle sue emozioni.

Il dolore lacerante e assordante è diventato un dolore sordo, sempre presente, ma più che il rombo di un uragano è come l’infrangersi delle onde sui fiordi norvegesi: invece di trascinarlo in aria e risucchiarlo togliendogli l’aria per respirare, è qualcosa che lo culla dolcemente, e gli ricorda che è ancora vivo, e che non può sprecare la sua vita. Gli ricorda che, in fondo, il dolore è parte della vita.

E che cosa è il dolore, se non l’amore che persevera?

Thor ha preso l’abitudine di passeggiare nei boschi: i bambini del villaggio spesso lo accompagnano fino al limitare della foresta, e il dio del tuono non riesce proprio a non sorridere vedendo i loro visi spensierati, pronti a nuove avventure e pieni di voglia di vivere.

Si siede su un masso in una radura isolata, e medita. Sente la natura attorno a sé, si fa cullare dai cinguettii degli uccelli e dal fruscio delle foglie sulle fronde degli alberi, percepisce il gorgoglio di un ruscello poco distante e il vento gli accarezza il viso, finalmente in pace.

Ma un ronzio sconosciuto, quasi metallico, lo mette in allarme. Spalanca gli occhi e chiude i pugni, subito pronto ad evocare elettricità e a stendere un potenziale nemico inter-dimensionale. Ma ciò che vede lo paralizza, e lo fa rinascere, e lo fa morire e poi ancora lo resuscita.

Fratello.

Quanto pesa l’anima? Quanto pesano i ricordi? Thor sente gli occhi riempirsi di lacrime, e non bada alle persone che sono al seguito di Loki, a loro penserà dopo, non gli importa di niente, in quel momento. Gli importa solo stringere a sé il corpo del fratello, notevolmente malmesso e visibilmente provato da una lotta.

Respira a fondo il suo profumo di pino, poi gli prende il viso tra le mani, lo scruta. Gli tremano le spalle, i suoi occhi smeraldini sono lucidi e commossi, sul suo viso scorrono lacrime di pura gioia. È lui, ma ha qualcosa di diverso. Sembra più giovane, anzi, è più giovane di quando l’ha lasciato. Gli sembra lo stesso Loki degli eventi di New York, come se suo fratello, dal passato, fosse scappato per raggiungerlo nel futuro.

“Hai molte domande, suppongo” mormora il dio dell’inganno appoggiando la fronte a quella del fratello “Ho una risposta a tutte”

Thor scuote il capo e lo riabbraccia. Loki singhiozza, commosso, e si lascia stringere di nuovo. Alle loro spalle, un uomo di mezza età sorride con dolcezza e orgoglio, mentre un ragazzino dai capelli corvini e gli occhi color salvia lo guarda con un misto di paura e… dolore.

Thor si stacca lentamente, poi scoppia a ridere. Di incredulità, gioia, sollievo. Forse sta impazzendo, si dice. Forse la sua mente sta proiettando un suo sogno, forse a breve si sveglierà nel suo letto e si renderà conto di essersi appisolato e di non essere andato a fare nessuna passeggiata nel bosco. Non gli importa. Quel momento è troppo bello, e la gioia è così totalizzante, da non volerlo guastare in alcun modo con i suoi pensieri. Passa allora un braccio attorno alle spalle di Loki e si rivolge ai due intrusi. “E voi chi siete?”

“Mobius” si presenta l’uomo “E lui è… Be’…”

“Un mini-me”

Thor spalanca la bocca. “Mi stai dicendo che sono zio?”

Passa qualche istante di sbigottimento generale, ma poi i tre si lasciano andare a una risata fragorosa e contagiosa. Thor alza le spalle, e stringe la mano all’uomo. Poi, si abbassa al livello del ragazzo, gli sorride, e, in men che non si dica, se lo ritrova aggrappato al collo, singhiozzante.

“Mi dispiace così tanto di averti ucciso” mormora disperato “è stato un incidente, non volevo, non volevo…”

Ed è in quel momento che Thor capisce. Strange gli aveva parlato del Multiverso, delle linee temporali, delle conseguenze terribili che poteva avere giocare con il passato. Si rende conto che il ragazzino che stringe tra le braccia è una versione di Loki, decisamente giovane, ma che ha già negli occhi lo sguardo triste di chi ne ha passate decisamente troppe. Suo fratello abbozza un sorriso, Mobius si morde il labbro per nascondere la commozione. E allora, Thor fa l’unica cosa che gli pare opportuno fare. Stringe il piccolo Loki dolcemente a sé, e lo culla piano.

“Va tutto bene, è tutto okay, non ti preoccupare. Sono qui”

Non sa se quelle parole di conforto le dice più a lui o a sé stesso: sta di fatto che il cuore si calma, i pensieri diventano più lucidi, la vista meno annebbiata.

Loki è lì. È tutto vero. Sono di nuovo insieme. Affronteranno tutto.

“Sono così felice di rivederti” mormora in direzione del Loki adulto “Non hai idea di quanto ho sofferto”

Il dio dell’inganno sorride ancora, e Thor non l’ha mai visto così felice, così in pace. Quella versione di Loki è certamente sconosciuta, ma non gli dispiace vederlo così docile e tranquillo, almeno per il momento.

“Ne ho idea” dice quello “Perché ho sofferto enormemente anche io, fratello mio”

Annuisce, commosso. “Andiamo a casa” Thor si stacca dal ragazzino e gli offre la mano, che subito viene presa senza alcuna esitazione.

“Andiamo a casa” concorde, Loki gli fa passare una mano dietro la schiena, prende per mano Mobius, e si fa guidare da Thor verso il villaggio di Nuova Asgard.

Le onde accompagnano la loro entrata in città.

Il vento porta piccole goccioline di salsedine sulle guance arrossate dal pianto.

Il sole calante illumina il cielo di rosso e i volti di oro.

Canti di gioia li accolgono per le strade: Asgard è viva.

“Te l’avevo detto” Loki sussurra al suo orecchio, staccandosi da lui per salutare una incredula e felice Brunilde a pochi metri da loro “Il sole sarebbe tornato a splendere su di noi”

 

 
Angolino disagiato
Ehm. *fa capolino timidamente da dietro lo schermo* Tutto bene? Non ho scritto qualcosa di troppo devastante, vero? In caso contrario, chiedo scusa per le eventuali lacrime che vi ho fatto scendere. Se può consolarvi, sono scese anche a me mentre scrivevo. Se vi va di dirmene quattro nelle recensioni, fate pure, lol. Scherzi a parte, spero vi sia piaciuta, e mi auguro che qualcuno voglia lasciare i suoi pensieri nelle recensioni. Mi farebbe davvero super piacere.
Grazie anche solo per aver letto ed essere arrivati fin qui. Vi abbraccio.
_astronaut_
   
 
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