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Autore: Florence    05/10/2021    0 recensioni
-Pluto, ci stai dicendo che se non riusciremo nella nostra missione la nostra esistenza futura potrebbe essere compromessa?-
-È molto complicato... quel che è certo è che la nostra realtà non esisterà più, perché nessuno può fermare la collisione con un'altra dimensione che avverrà alla prossima eclisse di luna.-
-E quindi... ? Stiamo per morire?-
-Non è così semplice, Neptune: continuamente le nostre coscienze passano tra una realtà e l'altra senza che noi ce ne accorgiamo nemmeno, questo avviene ogni volta che si incontrano dimensioni molto simili tra loro nel continuum spazio-tempo.-
-E quindi perché stavolta dovremmo preoccuparcene?-
-Perché stavolta stiamo per scontrarci con una dimensione del tutto differente dalla nostra... Dobbiamo "sistemare" gli eventi del passato di quella dimensione affinché non sia tutto perduto.-
-In sostanza, cosa dovremmo fare? Altre battaglie? Scontri epici?-
-No, niente di tutto ciò, Uranus: il vostro scopo è quello di fare innamorare Usagi Tsukino e Mamoru Chiba prima che avvenga l'eclissi di luna.-
-Parli dei nostri sovrani? E qual è il problema: quei due si amano da sempre!-
-Ne sei proprio sicura...?-
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Mamoru/Marzio, Nuovo personaggio, Outer Senshi, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Mamoru/Usagi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie, Prima serie
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Capitolo 1 – Incubi, Presentazioni & Un’altra realtà 

 

 

Un velo di stelle copre il cielo nero, scintillante ed effimero, rischiara il buio e incorona la luna.

Luna… luna piena e lucente nel firmamento, regina sulle stelle e gli astri.

Luna, destinata a calare e sparire, per risorgere più bella di prima, notte dopo notte.

 

Luna!

 

Verrà il giorno che ti tingerai di dolore, Luna! Arderai della luce del fuoco, sanguinerai nel pianto e non sorgerai più.

Quel giorno tu non sarai più regina e la notte regnerà per sempre.




 

-Non accadrà, mia adorata.-

Un sorriso, una carezza, i suoi occhi scintillano come il cielo stellato, mentre le mie dita disegnano i contorni del suo volto. Solleva il capo dalle mie ginocchia e si avvicina: la sua bocca è vicina alla mia, il suo sguardo parla di speranza, sincerità, amore.

Mi bacia ed è un bacio che sa di latte, di fiori di campo, di stelle e felicità lontana. È un bacio che profuma di fine, come una rosa destinata a sfiorire. È un bacio che sa di luna.

Chiudo gli occhi perché so che quello che ha detto è una bugia. Il cuore fa male, il respiro brucia. Anche senza guardarla, sento che la luna sopra di noi è un po’ più rossa di prima ed è solo causa mia: non sarò in grado di curarla, di proteggere il nostro amore… non ne sono capace. Chino la testa, sconfitta e lascio che l’angoscia si coaguli nel mio petto, mentre le lacrime pungono prepotenti per uscire e dare sfogo al dolore. 

Ogni cosa bella ha una fine, la mia ha inizio questa notte in cui la profezia si sta avverando.

-Endymion… devi andare via. Non sono più in grado di impedire tutto questo, sono pericolosa…-

Io sono la causa di tutto e potrei esserne la cura, ma non ci riesco… Sento che sta per succedere, sento che passerà poco tempo prima che i suoi occhi blu si chiudano su di me.

-Devi andare via… ti prego…-, lascio che una lacrima solitaria scivoli sulla mia guancia e cada a terra. Terra… il posto dove vorrei restare per sempre, il posto che sto uccidendo con la mia debolezza. Non riesco a guardarlo e a sapere che lo sto condannando… non ci riesco, fa troppo male…

Sento le sue mani sul mio viso: lo carezzano come se fosse un cosa preziosa, lo fanno sollevare fino a guardare nei suoi occhi. 

-Non permetterò che accada. Mai.- 

Occhi negli occhi: è una promessa. So che farà ogni cosa perché la notte non oscuri il nostro cammino.

 

Anche rinunciare a tutto.

 

Prende la mia mano e l’avvicina al suo petto, il suo cuore galoppa.

-Lo senti? Finché batterà, io non permetterò che ci accada nulla-, ma la sua voce decisa si incrina, la disperazione strisciante sta contagiando anche lui, la paura si tramuta in determinazione, la determinazione in passione. Nei suoi occhi si accende una nuova luce, disperata come quella di una stella prossima a morire.

Una mano scivola dietro la mia nuca, affonda nei capelli, mi tira a sé finché il suo respiro è sulla mia pelle e il mio cuore accelera la sua corsa dolorosa.

-Per sempre insieme-, sussurra sulla mia bocca. Sa di mare e vento, sa di terra e cielo, sa di fuoco e sangue. 

-Per sempre…-, rispondo e so che sarà l’ultimo bacio.

E quando di nuovo le sue labbra incontrano le mie è un’esplosione nella mia testa e dentro di me.

Un brivido di pura elettricità mi percorre, scivolando sulla pelle, strappandomi il respiro. 

Non è mai stato così prima. Non c’è più il latte e non più la luna. Non ci sono i fiori di campo, ma fuoco e caldo e passione che fa quasi male. È l’ultimo tentativo di donarci l’un l’altra, perché solo diventando una cosa sola nessuno potrà mai separarci.

 

In lontananza qualcosa esplode, un urlo di terrore giunge ovattato fino a me, persa in lui, in noi, che finalmente siamo insieme, nel posto che vorrei chiamare casa.

Il cuore batte così forte da spaccarmi il petto mentre le labbra si schiudono e le lacrime bagnano la mia e la sua pelle.

 

Ancora un istante, un istante solo… solo un altro attimo… insieme a lui come non lo sono stata mai…

 

-Ti amo, Serenity-, non mi sono accorta che si è staccato da me, il battito del mio cuore assorda le orecchie, ottenebra i sensi.

-Ti amo-, ripete tenendomi il volto tra le mani. -Per sempre.-

Asciuga con i pollici le lacrime dal mio viso, abbassa gli occhi, si allontana da me ed è come se di colpo mi avessero tolto l’aria.

 

Un altro boato squassa la notte; io lo so: la luna ormai è rossa.

 

La luna sanguina.

 

-Tornerò-, mi dona un ultimo sorriso carico di fiducia e speranza, un’ultima bugia detta per troppo amore.

 

Perché lui non correrà via da me, non si metterà in salvo come gli ho implorato di fare, standomi lontano. Endymion va a combattere, perché rinunciare a me sarebbe come rinunciare all’aria, al sole, al vento e al mare. Sarebbe come privarsi della sua anima, buttarla via, condannarsi ad una vita senza di me che non avrebbe senso per lui. Ma se non ce la facesse, non avrebbe senso la mia…

Lo fermo afferrando la sua mano, la porto una volta ancora al mio viso, poi più giù, perché anche lui senta come riesce a farmi battere il cuore. 

 

-Tienilo sempre con te-, gli dico, posando sul palmo aperto il mio ciondolo a forma di stella. -Si è fermato, ma se tu vivrai, tornerà a suonare e a mostrarti il candore della luna, ogni notte. E sarà come se io fossi sempre accanto a te. Prima o poi ci ritroveremo e torneremo insieme… devi resistere… devi andare lontano da me. Ora.-

Rubo un ultimo bacio alle sue labbra rosse: -Mettiti in salvo-, gli dico col cuore in mano.

Lui si volta, sospira, si allontana da me che già sto male e non riesco più a pensare, ad agire.

Lotto contro l’impulso rosso e nero di trattenerlo accanto a me, perché lo condannerei. Lo lascio andare via. Per sempre.

 

Ti amo anch’io, Endymion.

Vorrei pronunciare quelle parole, ma le labbra restano serrate, perché se parlassi ancora, il calore del suo bacio svanirebbe con lui, la dolce sensazione si disperderebbe e io perderei anche il più dolce ricordo.

 

Lo guardo correre lontano, la spada in pugno, nell’altra il mio dono. Ma è un regalo rotto, che non tornerà mai più a funzionare. Gli ho detto una bugia.

 

Un’altra esplosione mi distoglie dalla bolla di silenzio in cui sono caduta, una luce intensa rischiara la notte, si espande e sento una fitta di puro dolore al cuore: lui è andato proprio lì, lo so, non si è messo in salvo lontano da me, è corso verso la morte sperando di vincere.

Endymion si è gettato nelle fauci della bestia da me generata, lui è…

 

-Endymion!!!-




 

Tokyo, 25 luglio 1996


    


Usagi aprì gli occhi, confusa, trovandosi seduta nel mezzo al letto: tra le mani stringeva il lenzuolo umido del suo sudore. Il cuore le batteva all’impazzata, senza un perché e solo quando il suo corpo pretese aria si accorse che non stava respirando. Inspirò e sentì i polmoni bruciare; cercò Luna con lo sguardo, ma la stanza era vuota.

Un colpo secco e deciso alla sua porta la fece sussultare.

-Usagi! È tardi, vuoi alzarti?-, la voce di sua madre aveva il tono classico della quarta, quinta chiamata mattutina: stizzita, rassegnata, vagamente delusa.

La ragazza si voltò svogliatamente verso il comodino, dove la sveglia segnava le…

-Cavoli!!!-, schizzò come una rana, muovendo in maniera scoordinata braccia e gambe, senza accorgersi che un piede era rimasto impigliato nel lenzuolo e…

 

SBAM!!!

 

Con un tonfo sordo cadde giù dal letto, evitando l’impatto della sua faccia contro lo spigolo del comodino solo grazie ad una mano malamente sbattuta a terra.

-Usa!-, la mamma entrò in camera come un treno, strillando spaventata per il gran baccano: quando la vide accartocciata ai piedi del letto, corse subito da lei.

-Tesoro…-, la aiutò a tirarsi su prendendola da sotto le ascelle e vide che la figlia si teneva con la mano destra l’altro polso dolorante. Capì immediatamente.

-Amore… ti fa così male? Oh, piccola… stai piangendo!-, intenerita le passò una mano sulla fronte, scostandole la frangia madida di sudore e prese tra le sue mani il polso, vedendo che stava gonfiandosi rapidamente.

-Usagi… tesoro… dì qualcosa!-, ma sua figlia non rispose e, tesa come una corda di violino, ritrasse la mano e la tenne stretta al petto. Sembrava spaventata e Ikuko lo fu subito più di lei.

-Usa…-, allungò una mano al suo volto e cancellò con una carezza le lacrime. Usagi prese una profonda boccata d’aria, come se fosse appena riemersa da uno stagno e si voltò verso di lei, sforzandosi di sorriderle.

-Non è niente, mamma. Scusa se ti ho fatta arrabbiare-, disse nel tono delle tristi occasioni, come quando portava a casa un brutto voto. Si alzò con cautela e le diede le spalle.

-Sarò pronta tra cinque minuti-, dichiarò, -Puoi chiedere a papà di preparare la macchina, per favore?-, chiese con tutto il rispetto che riuscì a infondere in quelle parole e, uscendo dalla stanza, si chiuse in bagno.

Ikuko Tsukino sospirò, raccolse da terra la sveglia che era caduta assieme a sua figlia, sollevò le coperte per far prendere aria al materasso e sprimacciò il cuscino.

Sotto ad esso trovò nascosto il ciondolo-carillon di sua figlia. Aprì con estrema cura lo sportellino della stella e si aspettò di udire la triste melodia che tanto piaceva ad Usagi, ma nessuna nota si librò nell’aria.

“Dev’essersi rotto…”, pensò, lo richiuse con dolcezza e lo posò sulla pila degli abiti che Usagi aveva preparato per quel gran giorno: sua figlia partiva per il mare con le amiche, per la loro prima vacanza da sole e aveva il cuore spezzato.

Ikuko sospirò, -Se prendo quel mascalzone che l’ha ridotta così, glielo faccio ingoiare questo carillon!-, sibilò e scese di sotto per avvertire suo marito di prepararsi.

 

Usagi attese che sua madre fosse lontana per guardare il suo riflesso nello specchio del bagno, dove si era letteralmente rifugiata.

Aveva aperto l’acqua nel lavandino, in modo che il suo scrosciare coprisse ogni suono. C’era qualcosa che non andava, per niente… Usagi si sentiva molto, molto strana. Col cuore in gola ripensò alle parole che la mamma le aveva detto: “Stai piangendo…”.

Perché piangeva? Quando aveva iniziato a farlo e perché si sentiva così…

Si voltò verso il muro e vide nel riflesso dello specchio quanto i suoi occhi fossero gonfi e rossi; sulla guancia si vedeva la scia perlacea di una lacrima. 

Era successo di nuovo… non era possibile, non ancora una volta!

Sospirando si appoggiò con entrambe le mani sul bordo del lavandino per avvicinarsi di più allo specchio e solo allora una fitta di dolore al polso le fece scappare un lamento.

-Perché…?-, si domandò mestamente e lasciò che altre lacrime silenziose cariche di rabbia e confusione cancellassero quelle versate senza comprenderne il motivo.

 

Cinque minuti: ne aveva già sprecati almeno due e rischiava di essere veramente troppo in ritardo. Si asciugò col dorso della mano le lacrime, fece pipì e si lavò la faccia sotto l’acqua ghiacciata.

Tornò in camera di fretta, spazzolandosi i capelli e si vestì, notando che i suoi abiti erano stati sistemati ordinatamente sul letto e che, sopra ad essi, la mamma aveva posato il ciondolo che le aveva regalato Tuxedo Kamen.

Lo aprì e riuscì ad udire solo poche note, prima che il meccanismo si bloccasse di nuovo, come aveva fatto anche la sera prima.

-Credo che sia tutta colpa tua-, affermò soppesandolo tra le mani, -Ma non posso proprio separarmi da te-, sospirò e lo chiuse dentro lo zaino con tutte le altre cose già pronte. Indossò i pantaloncini e la maglietta a fiorellini, calzò le ballerine lilla e corse al piano di sotto.

-Usagi, la colazione!-, la chiamò la mamma, ma la ragazza, presentandosi a lei con un rotolo di bende e la pomata per le distorsioni trovati in bagno, le chiese di aiutarla ad immobilizzare quel polso, garantendole che sarebbe stata bene da lì a un giorno e scusandosi per non aver tempo a sufficienza per mangiare le frittelle e il caffellatte che la mamma le aveva preparato.

-Dov’è Luna?-, le domandò, facendosi aiutare a mettere lo zaino sulle spalle. Era stato strano non trovarla accanto al risveglio, non accadeva quasi mai.

-Credo sia in camera di Shingo… è venuto giù prestissimo chiedendomi un po’ di latte, poi è tornato a dormire. Tuo fratello ti saluta, ma mi ha pregata di non svegliarlo… Credo che abbia fatto tardi a lavorare… per montare la libreria da tavolo che ti abbiamo regalato per il compleanno-, Usagi sorrise, il piccolo Shingo, allora, le voleva bene davvero!

-Dagli un bacio da parte mia e digli che quando tornerò sarò felicissima di ammirare il lavoro ultimato da quella testa matta!-, Usagi si sentì alleggerita dall’angoscia che velava il suo buonumore da così tanti giorni e si rassegnò a non salutare Luna, sapendo che la sua amica era davvero in buone mani, anche se doveva comportarsi come una gattina qualunque. “Bene, questa è la giusta punizione per avermi messo i bastoni tra le ruote per questa vacanza!”, pensò ridacchiando tra sé e sé e salutò la mamma con un bacio. 

-Ti voglio bene-, le disse sorridendo e schizzò fuori di casa in tutta fretta. Salì in auto e, col sorriso sulle labbra, spronò suo padre a partire alla volta della stazione.

 

--- 

 

-E… quindi… ci saranno le tue amiche…?-, chiese circospetto Kenji Tsukino alla figlia, svoltando sul raccordo stradale in direzione della stazione. Usagi terminò di legarsi il secondo codino con uno dei nastri che aveva scelto il giorno prima e annuì vivamente: -Ami, Mako, Mina e Rei-, trillò contenta, -E anche Naru con Umino!-, aggiunse sorridendo.

-Umino??? Umino Gurio?????-, esclamò suo padre, sbandando appena e ritrovando subito il controllo della vettura, -Ma… Umino è… un maschio! Non era nei patti, Usagi!-, sbraitò, realizzando la gravità di quel che stava per accadere solo allora.

Usagi, serafica, scostò con un gesto snob un ciuffo di capelli dalla spalla e guardò suo padre con occhietti affilati: -Proprio un vero maschio: ci portiamo dietro anche la guardia del corpo-, si morse un labbro per non scoppiare a ridere in faccia a suo padre, ricordando le gesta del prode ‘Tuxedo Umino Kamen’.

-È bene che il tuo lo guardi poco, signorina!-, tuonò Kenji, fraintendendo ogni singola parola, infuriato.

Usagi sbuffò, seccata, poi si costrinse a calmarsi: -Naru e Umino stanno insieme, papà. È un problema suo e della sua famiglia se va in vacanza con il suo ragazzo-, spiegò con il più tranquillo candore, guardando allo specchietto se il suo lavoro ai capelli era venuto bene.

Con la coda dell’occhio vide l’insegna Stazione Tokyo Shinjuku.

-Siamo arrivati!-, esclamò felice lasciando svanire ogni recriminazione del padre; ci mise poco a scorgere tra la gente all’ingresso il suo gruppo di amici.

-Non sono ancora andati via, che fortuna!-

Usagi guizzò come un pesce giù dall’auto ferma nell’apposita area di sosta e salutò suo padre con un bel bacio schioccato sulla sua guancia, -Stai tranquillo papone-, gli disse, si fece aiutare a mettere sulle spalle lo zaino e corse come poté verso il suo gruppo di amici, frementi per la prossima partenza.

 

Kenji spostò l’auto, dal momento che avevano iniziato a strombazzare il clacson dietro a lui, ma, non appena scorse un posto libero, si fermò con il deliberato scopo di spiare sua figlia e capire cosa stesse davvero tramando alle sue spalle. La vide correre verso il piccolo gruppetto formato da Ami Mizuno, Rei Hino, Makoto Kino, la sua amica Naru e Gurio e -si disse-, effettivamente poteva stare tranquillo, circa quel ragazzo. Akane Gurio, madre di Umino e sua vecchia compagna all’università, tre anni prima, durante un ricevimento dei genitori a scuola, si era sfogata con lui su quanto fosse mortificata per l’aspetto di suo figlio: “Umino, povero il mio bambino, è proprio un brutto anatroccolo… Soffre tanto per questo e crede che nessuna lo vorrà mai come marito. Inoltre è invidioso di suo cugino Hiro, che è più grande di lui, più alto, più bello e ha già la ragazza!”

Akane aveva avuto ragione solo a metà: Umino infatti aveva trovato una bella ragazza (seppur scandalosamente giovane, come lui, in fondo…), ma effettivamente era proprio bruttino e sgraziato! Non come il suo Shingo, che era tutto suo padre!

Shingo… li attendeva un fine settimana insieme, ordito alle loro spalle dalle ‘sue ragazzÈ, a causa di quella vacanza che Usagi stava per iniziare.

 

Sua figlia ne parlava da mesi, dicendo che tutte a sedici anni avrebbero dovuto passare quel rito di transizione e divertirsi ‘tra ragazzÈ al mare. L’aveva messa sulla scusa del ‘regalo di compleanno’… E poi, lì al mare, ci sarebbe stato ‘quel concerto’ della band che loro adoravano proprio durante l’eclissi di luna, ‘uno spettacolo unico’… Sarebbero andate in treno fino a Kagoshima e poi, da lì, con un traghetto della A-Line che avrebbe viaggiato di notte, sarebbero arrivate di prima mattina a Amami Ōshima, la perla delle isole dell’Arcipelago di Ryūkyū . Sarebbero state in un bel campeggio, nei bungalow di legno e, tornate dalla spiaggia, all’imbrunire, avrebbero persino potuto trovare tempo per studiare un po’, sotto la guida di Ami e Rei.

 

Un bel programma, senza dubbio, un programma che aveva fatto brillare gli occhi anche a Ikuko: sua moglie aveva colto l’occasione per svegliare le sue vecchie amiche dalla ‘letargia familiare’, come la chiamava lei, e concedersi un bel week-end tra donne alle terme. Un week-end che lui si sarebbe goduto con Shingo, ‘tra soli uomini’.

Kenji sospirò, pensando alle partite alla diabolica Sega Master System che gli sarebbe toccato giocare (e perdere) con Shingo e… 

Qualcosa di molto strano turbò il quadretto delle ragazzine che stava spiando:  al gruppo di amiche di Usagi si era appena unito un altro gruppetto di… maschi!!!

Quei brutti ceffi si erano salutati con le ragazze, che avevano rivolto loro un breve inchino, mentre Umino e Naru sembravano conoscere già tutti loro.

Usagi sorrise a un tipo biondo e a Kenji parve persino di riuscire a scorgere un lieve rossore sulle guance di sua figlia, quando quel poco di buono ricambiò, presentandogli un tipo più alto, col ciuffo ritto sulla fronte, molto somigliante a lui e uno con i capelli lunghi da rock star da quattro soldi, che aveva subito preso di mira Umino.

L’ultimo ragazzo, un tipo imbronciato e all’apparenza a disagio in mezzo al gruppo vociante, si rivolse direttamente a Usagi e infilando un dito in uno degli chignon che sua figlia si era appena arrotolata in auto, iniziò a ridere, facendola chiaramente fumare di stizza.

Ma chi erano quei tipo vestiti alla moda, pronti con gli zaini in spalla, che si prendevano tante confidenze con la sua bambina e le altre?? E che ci facevano là, apparentemente unitisi al loro gruppo placido e… sicuro? Cosa volevano da loro e… -Kenji ebbe un lieve mancamento-, dove avevano intenzione di andare, organizzati al pari loro per il viaggio???

Non erano quelli i patti! Usagi stava forse prendendosi gioco della fiducia dei suoi genitori??? Si mosse nella loro direzione, soffiando come un toro. Ah, se fosse stato così, avrebbe preso quella bugiarda di Usagi per quei codini e l’avrebbe riportata a casa immediatamente e…

-Salve Tsukino-san!-, Kenji si immobilizzò come se fosse stato colto in flagranza di reato, si voltò lentamente e vide, sorridente e trafelata davanti a sé, Minako Aino, l’ultima che mancava all’appello.

-Grazie al cielo mi hanno aspettata! Sono estremamente in ritardo… ma d’altronde, si sa: la gatta frettolosa fa i tre topolini ciechi!-, esclamò Minako, vedendo il gruppone di amici pronti all’avventura. Rivolse un inchino al signor Tsukino, lo salutò e in un istante raggiunse il gruppo. Kenji rimase un istante interdetto, senza aver capito il reale significato di quel che aveva sciorinato Minako e, prima che potesse chiederle qualche spiegazione sul significato di quel gruppo promiscuo, la vide scomparire con tutti gli altri diretti ai treni in attesa. Fece per seguirla, ma il fischio fastidioso di un poliziotto che lo stava puntando con occhi truci, indicandogli di levare immediatamente la sua auto dal posto riservato alla propria vettura, lo costrinse a desistere.

Dopo aver trovato un altro posto, Kenji tornò trafelato alla banchina della stazione, ma il treno su cui era salita la sua bambina lo salutò con un lungo e allegro fischio, partendo alla volta di Kagoshima: Usagi se n’era andata… la sua bambina lo aveva abbandonato e spezzato il suo fragile cuore di padre.

“Ikuko, tu sapevi tutto… quando arrivo a casa me la paghi!”, pensò furibondo il signor Tsukino e mise in moto l’auto.


--- 

 

Il treno procedeva veloce e silenzioso lungo la sua via ferrata e tutte le ragazze sentivano il cuore scoppiare di gioia per l’aspettativa della vacanza che stava iniziando.

-Non mi sembra vero!-, sospirò Minako, stravaccandosi su uno dei sedili dello scompartimento che aveva occupato con le altre ragazze.

-Eh già… finalmente Umino e io…-, Naru bisbigliò l’ultima parte della sua frase, appoggiandosi sognante alla porta della piccola stanzetta. Quando vide dieci occhi che la fissavano morbosamente incuriositi e anche alquanto scandalizzati, portò le mani avanti e, in preda all’imbarazzo, le agitò per fugare qualsiasi strana idea avesse colto le ragazze.

-Ma che andate a pensare! Intendevo che questa è la prima volta che Umino e io riusciremo a stare un po’ da soli e a…-, come poco prima, la sua voce si fece piccola e il rossore sul suo volto la fece somigliare ad una aragosta con i riccioli. Ami e Makoto, più rosse di lei, stavano cercando di non far correre le loro menti innocenti oltre quello che era lecito per una ragazza di sedici anni, mentre Rei, Minako e Usagi ridacchiavano perfide e complici.

-Non vergognarti, Naru! E’ così bello che tu e Umino siate finalmente da soli-, esclamò Usagi in preda all’euforia, colpendo con una sonora pacca la spalla della sua amica, facendosi male da sola.

-Ahi…-, si morse la lingua, lasciandosi sfuggire un piccolo urlo di dolore. Il polso…

-Usagi!!! Cosa ti è successo???-, l’urlo di Minako, quando vide la fasciatura dell’amica,  si udì in tutto il treno. Prima che la sventurata potesse tapparle la bocca, tutte le altre ragazze si erano riunite attorno a lei, seguite dai ragazzi che si erano sistemati nello scompartimento accanto al loro, affacciati alla porta.

Nessuno aveva notato prima il bendaggio di Usagi, perché lei aveva furbescamente tenuto sul braccio per tutto il tempo la sua felpa opportunamente ripiegata, per nascondersi. Una moltitudine di occhi la fissavano ansiosi di sapere cosa le fosse accaduto.

-Io…-, iniziò balbettando, pensando alla figura meschina che avrebbe fatto raccontando la verità sul suo infortunio.

-Sei caduta dalle scale?-, le urlò in un orecchio Rei, piombata alle sue spalle.

-Sei inciampata correndo qui?-, domandò Makoto, abbassandosi fino a guardarla negli occhi.

-Hai combattuto contro un… una zanzara?-, chiese Ami, sottintendendo ben altro.

-Che ti è successo, Usa?-, la implorò Naru, preoccupata per la sua migliore amica.

-No… ragazze… niente di tutto questo… è che…-

-Forse ti sei slogata il polso cadendo dal letto, Testolina Buffa? Oppure mentre cercavi di aprire un barattolo di marmellata?-, la voce insopportabile di quel baka di Mamoru la fece scattare, irritandola a morte come ogni volta.

-Senti, tu, sottospecie di parassita, scroccone di vacanze altrui, infiltrato di…-

-Ti fa male?-, le domandò Motoki, prendendole la mano e interrompendo la sua lista di commenti al vetriolo sul ragazzo; -Fammi vedere-

Usagi sentì le guance avvampare e abbassò lo sguardo da quello del ragazzo, prima che – come suo solito -, le apparissero i cuoricini negli occhi, come le rimproverava sempre Rei.

Motoki le fece muovere la mano con delicatezza e, poco dopo, gliela liberò sorridendole.

-Ragazzi, vi va un bel the freddo?-, chiese a tutti Hiro, sciogliendo l’atmosfera tesa. In un batter d’occhio nessuno si ricordò più del polso di Usagi, tranne Ami, che la raggiunse in disparte dopo pochi minuti col suo bicchiere di the.

-Che ti è successo veramente, Usa?-, le domandò preoccupata e Usagi sbuffò, perché con Ami non riusciva a rimanere in silenzio.

-Stamattina sono caduta dal letto e mi sono fatta male-, confessò all’amica, che non trattenne un debole sorriso.

-Oh, allora Mamoru aveva ragione!-, esclamò divertita e a Usagi passò la voglia di confidarsi con lei, raccontandole il perché di quella improvvisa caduta.

Nell’ultimo periodo era tutto un po’ così… quegli strani sogni dei quali non ricordava nulla, il sonno che non riusciva a mantenere per più di un paio d’ore per volta, l’angosciante sensazione che mordeva come un piccolo tarlo alla base della sua nuca, come se fosse un pensiero già formato, ma che lei non riusciva a catturare e comprendere: Usagi avrebbe voluto davvero confidarsi con qualcuno di fidato, ma il solo sentir nominare quel Mamoru… l’aveva mandata in ebollizione, come fosse stata una teiera sul punto di esplodere.

Succhiò con la cannuccia un po’ del the preparato dalla mamma di Hiro e zia di Umino e si  domandò come potesse essere possibile che quei due fossero cugini.

Cugini… era una parentela piuttosto stretta, aveva sempre pensato, e invece tanto Umino era… bruttino, quanto Hiro invece era… era… Hiro era alto, muscoloso, sorridente e gentile… aveva una bocca perfetta, era elegante e i suoi occhi… oh, che occhi che aveva Hiro! Per non parlare dei suoi capelli, lunghi come andava tanto di moda, ma… anche l’altro ragazzo, Kenzo, il migliore amico di Hiro era così… così… Kenzo era il fratello di Motoki e lo dimostrava dalla testa ai piedi: di un anno più piccolo di lui, aveva un sguardo più furbetto e malizioso del fratello maggiore, ma il suo sorriso era ugualmente così solare e divertente e assolutamente affascinante, mentre i suoi capelli erano… Ah, ma nessuno dei due poteva superare il suo Motoki!

Quando, grazie ad una serie fortuita e fortunata di coincidenze aveva capito che lei, Usagi, sarebbe andata in vacanza al mare con Motoki era impazzita di gioia! Motoki era… Motoki e poco importava se aveva già la fidanzata. Lui era il ragazzo più dolce e carino e bello che potesse esistere sulla faccia della terra. 

Era così bello guardarlo ridere e scherzare con Kenzo e Hiro! Motoki era così… così…

-Faccia di luna, stai di nuovo sbavando, mentre sogni ad occhi aperti!-, Usagi si voltò di scatto verso Mamoru, apparso vicino a lei fuori dallo scompartimento dove gli altri stavano bevendo il the e piluccando patatine al formaggio.

Si morse il labbro inferiore con un risucchio, temendo per un istante che davvero potesse aver sbavato e…

-Quante volte te lo devo ripetere che arrivi tardi, Testolina Buffa: Motoki ha già la ragazza! E onestamente, anche se fosse libero, dubito che sarebbe interessato a una poppante come te, che ancora cade dal letto!-

Ancora con quella storia?! Ma come faceva quello screanzato di Mamoru a saperlo!?

-E io non sono interessata a parlare con te!-, gli rispose, -E smetti di raccontare che sono caduta dal letto! Non sono affari tuoi!-, Mamoru guardò il suo viso rosso e i pugni stretti e sorrise in un ghigno.

-Non dirmi che ho indovinato davvero?-, la punzecchiò ancora e, quando la vide diventare se possibile ancor più rossa di rabbia e andarsene facendo sventolare i suoi buffi codini, scosse la testa pensando che, in fondo in fondo, lui era davvero un baka

“Ma non ti darò la soddisfazione di accorgerti di aver ragione, Faccia di Luna!”, pensò e bevve d’un fiato il suo the freddo.

 

Usagi trotterellò per qualche minuto lungo il corridoio del treno, ripensando a quando Naru le aveva proposto quell’avventura. Il piano iniziale prevedeva davvero che fossero solo loro due, Umino e le amiche di Usagi, ma in un secondo momento si erano uniti il cugino di Umino e il suo migliore amico Kenzo. Il destino aveva voluto che Kenzo fosse il fratello di Motoki e lo avesse convinto ad aggregarsi al gruppo. Sarebbe stato tutto perfetto, se il ragazzo non si fosse portato dietro anche quel rompiscatole di Mamoru… 

Stanca del corridoio, Usagi raggiunse le amiche nello scompartimento in cui loro, disposte a cerchio, stavano svelando l’un l’altra gli acquisti che avevano fatto per quella vacanza.

-E questo è il mio!-, trillò Minako, mostrando loro un due pezzi color oro che aveva acquistato ai saldi l’anno prima e gelosamente conservato nascosto nel suo cassetto.

-Ma è minuscolo!-, commentò scandalizzata Ami.

-Ma io me lo posso permettere!-, dichiarò con spavalderia Minako, riprendendosi il bikini, -E poi… ho intenzione di…-

-Eh?-, chiesero tutte in coro, Naru compresa. Minako fece loro segno di avvicinarsi, perché stava per rivelare un segreto. Quello che disse loro sottovoce sconvolse qualcuna ed esaltò qualcun’altra.

-Ma se l’hai appena conosciuto!!!-, esclamò Ami, imbarazzata per la sfacciataggine dell’amica.

-Non è così: in realtà avevo già incontrato Kenzo alla sala giochi di Motoki qualche settimana fa. Pensate che lui stava giocando al videogame di Sailor V e diceva che “come lei non c’è nessuna”. Allora io l’ho sfidato e lui ha detto: “Ragazzina, osi sfidare il Re del joystick?”, ma io ho vinto e lui mi ha detto “Beh, complimenti, sei forte quasi come Sailor V!”. Poi mi ha sfidata ad altri videogames… Ah… tra me e Kenzo…è stato amore a prima vista! Un po’ come per Usagi e Mamoru!-, trillò allegra.

-Che coooosa? Mina, a te il treno fa male!-, si risentì Usagi, punta nell’orgoglio, -Tra me e Mamoru, tutt’al più, è stato O-D-I-O a prima vista!-, puntualizzò, calcando bene ogni lettera di quel che dichiarava di provare per il ragazzo.

-Sarà, ma per me sareste una splendida coppia!-, tutte risero, tranne Usagi e Rei, che si limitò a storcere la bocca in un ghigno deluso: ancora non le era andato giù che il ragazzo, dopo un iniziale entusiasmo, si fosse presto disinteressato a lei, uccidendo prima ancora che nascesse la loro storia. Non aveva fatto in tempo nemmeno a dargli un bacio, neanche un bacetto piccolo piccolo sulle labbra, avevano passato il tempo a disposizione soltanto a parlare, parlare e parlare. Che inutile spreco di energie era stato uscire con Mamoru, uno che non era affatto interessato a lei, anche se Rei non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva!  Dissimulò la sua reazione riprendendo il discorso sui guardaroba delle amiche e mostrò un paio di shorts rossi molto carini, una fascia per capelli e degli occhiali da sole nuovi.

Makoto invece stupì tutte con una attillatissima tutina di jeans appena acquistata e presto le ragazze tornarono a concentrare la loro attenzione su abiti, smalti per le unghie, canzoni, trucchi, spiagge…

 

Usagi rimase piuttosto estranea alla conversazione, non le riusciva proprio di concentrarsi su argomenti come quelli, col macigno che gravava sul suo animo; si rannicchiò contro il finestrino e sospirò: le faceva male il polso e non le era piaciuta l’affermazione di Minako su lei e Mamoru, ma soprattutto si sentiva stanca morta. 

Le ragazze continuavano a parlottare concitatamente, mentre il treno correva ondeggiando, come se fosse stata una culla, così piacevole, così…

Realizzò solo dopo un lungo sbadiglio che anche quella notte aveva dormito sì e no solo quattro ore, a causa di quei sogni che odoravano di incubo che non l’abbandonavano più. Quello che maggiormente odiava era svegliarsi col batticuore e l’angoscia di non ricordare assolutamente nulla, cosa che la stordiva e distraeva e le faceva provare sempre una sensazione di disagio che strideva con la sua indole allegra.

Se solo avesse potuto capire… ricordare qualcosa… Infilò una mano nello zainetto e tastò il carillon a stella, sperando che la aiutasse a ritrovare un po’ di forza e tranquillità.

 

Tutto era iniziato la notte in cui aveva finalmente sconfitto i nemici del Regno delle Tenebre, pagando un prezzo altissimo. Aveva perso le sue amiche, che si erano sacrificate per lei e non aveva avuto altro a cui aggrapparsi se non il ricordo di Tuxedo Kamen che non vedeva ormai da tanti, troppi giorni. Era andata in battaglia sapendo che tutto sarebbe dipeso da lei e dalla responsabilità che era stata messa nelle sue mani, cercando in ogni modo di affidarsi a qualcosa che le desse forza e speranza. Si era sforzata di pensare a qualcosa di bello… e aveva ricordato il sapore del bacio dell’eroe mascherato sulle proprie labbra, quel bacio che nessuno aveva visto e che lui le aveva rubato al termine dell’ultimo combattimento insieme… oppure era stata lei a rubare un bacio a Tuxedo Kamen…? 

Quella volta, lui le aveva detto che, in qualche modo che non riusciva a comprendere, sapeva di essere stato “molto vicino” a lei, in un passato ignoto e che ogni volta che la incontrava sentiva l’impulso di proteggerla, a costo della sua stessa vita.

“Finché saprò che sei in pericolo, non potrò fare a meno di correre in tuo soccorso, Sailor Moon: tu sei l’unica ragione per cui Tuxedo Kamen esiste e l’unico scopo delle mie battaglie. Io… credo di averti già incontrata, in un tempo lontano. Credo che tu ed io… Credo di provare qualcosa per te, Sailor Moon”, aveva detto e lei, emozionata come mai le era accaduto in tutta la vita,  aveva sentito qualcosa vibrare nel suo cuore, come una piccola forza vitale, il germe di un sentimento mai realmente provato, ma che sopiva nel suo animo di ragazzina acerba. 

In quel momento aveva saputo

“Anche per me è lo stesso, Tuxedo Kamen: quando vado in battaglia so che tu verrai da me, quando lotto contro il nemico so che ci sei tu a proteggermi. Tu e io siamo fatti per combattere insieme e forse per vincere insieme… e poi… credo di provare anch’io qualcosa per te”, gli aveva confessato. 

Dopo si erano baciati, come accadeva nei manga di Rei, come se fosse stata una favola. Un bacio a fior di labbra, casto eppur ardente di qualche strana sensazione che Usagi non aveva ancora mai provato e che l'aveva presa impetuosamente. Toccare la labbra di Tuxedo Kamen, inspirare il suo profumo che non avrebbe mai scordato… era stata un’esperienza senza pari. Le sue labbra morbide e sicure, il respiro sulla sua pelle… 

Ah, Usagi ci aveva fantasticato per giorni, indecisa se confessare o meno alle sue amiche quello che le era accaduto, mentre il nemico crudele rafforzava nell’ombra le proprie armi, pronto a stroncare i sogni di una ragazza innamorata. Alla fine si era decisa a parlarne solo a Luna, che l’aveva sgridata, miagolandole contro che era stato un gesto avventato e sconveniente, sia per una guerriera Sailor che per una ragazzina di quattordici anni sciocca e sognatrice. Non era tempo per l’amore, non quando il pericolo era imminente.

Usagi non aveva avuto occasione di parlare nuovamente a Tuxedo Kamen perché, dopo che in centro a Tokyo era comparsa quella orrenda torre nera e, al fine di rendersi abbastanza forte per sconfiggerla era riuscita a trovare dentro di sé l’energia per utilizzare una nuova arma giunta da chissà dove, che Luna diceva essere il leggendario Cristallo d’Argento, il misterioso eroe non era più comparso in loro aiuto, le successive volte che avevano dovuto combattere. Era come se fosse sparito, portando via con sé un pezzo del cuore di Usagi.

 

Durante la battaglia finale contro la regina in persona, dopo che tutti i suoi generali erano stati sconfitti a costo della vita delle Guerriere Sailor, che avevano combattuto fino all’ultimo per difendere ‘la custode del cristallo d’Argento’, Usagi aveva incontrato nuovamente Tuxedo Kamen, scoprendo con orrore che il suo amato era passato dalla parte del Potere Nero ed era rimasto l’unico a difendere la Regina Berillia. 

L’uomo a cui aveva regalato il suo primo bacio era diventato un suo nemico: il ragazzo che l’aveva conquistata con il coraggio e la dolcezza non esisteva più e Sailor Moon non avrebbe dovuto lasciarsi intimorire da questo nuovo adepto di Berillia, come avevano fatto le sue amiche con tutti gli altri, anche se si trattava del suo Tuxedo Kamen. E mentre combatteva contro di lui, che la colpiva senza pietà, Sailor Moon non era riuscita a trattenere le lacrime di delusione e dolore per la perdita del suo primo vero amore. Tutta la speranza di cui era ricolmo il suo cuore era svanita, le sue amiche non c’erano più, l’uomo che amava l’aveva dimenticata. Non c’era più niente che avesse un senso, non poteva fare più nulla, se non lasciarsi andare alla disperazione.

Miracolosamente erano state proprio le sue lacrime a risvegliare Tuxedo Kamen, che si era ricordato ogni cosa, ritrovando se stesso nell’abbraccio di Sailor Moon e dando conferma di come fosse stato manipolato da Berillia. Sailor Moon e Tuxedo Kamen avevano combattuto fianco a fianco, fino alla fine, fino a quando lui l’aveva protetta da un colpo letale scagliato dalla crudele regina, facendole scudo con il suo corpo, in un ultimo gesto d’amore.

“Perdonami, Sailor Moon: mi sono fatto soggiogare da Berillia, ma quello che provo per te non è cambiato… Sailor Moon, io credo di…”

 

Era morto. 

 

Tuxedo Kamen era morto tra le sue braccia, proprio come era accaduto ad Ami, Rei, Makoto e Minako. L’uomo che amava non c’era più e lei non era neanche riuscita a confessargli quello che provava.

Aveva affrontato da sola la crudele Regina, sostenuta dal potere delle sue compagne e da quello dell’amore che bruciava nel suo cuore spezzato e aveva vinto, trovando la forza di usare il leggendario Cristallo d’Argento, sconfiggendo il buio e la paura, rifugiandosi nei suoi desideri: una vita semplice, le risate delle amiche più care, i piccoli problemi quotidiani, un sentimento d’amore puro, da fare crescere con costanza, che sarebbe divenuto immenso giorno dopo giorno.

 

E allora era stato come se non fosse mai accaduto nulla. Il Cristallo d’Argento aveva esaudito i suoi desideri, riportando tutto alla condizione iniziale: nessuna trasformazione, nessuna guerriera Sailor, nessun Tuxedo Kamen, finché non era arrivato un nuovo nemico e i poteri di ciascuna guerriera erano stati risvegliati per proteggere l’umanità. Sailor Moon, la ‘custode del Cristallo’ aveva ricordato ogni cosa: la morte, la distruzione, la solitudine, la disperazione, la speranza, l’amore, il sacrificio e infine la vittoria e aveva chiesto al cristallo di risparmiare tutto quel dolore alle sue amiche, lasciando che per loro tutto fosse stato veramente come prima.

E così erano ricominciate le battaglie e allo studio quotidiano si era andato a sommare l’impegno nel difendere gli abitanti della terra contro l’invasore. Lei era la sola a sapere come fossero andate realmente le cose e a portarne il peso sulle sue spalle insicure, come se le fossero state strappate via a forza quelle ali che le avevano permesso di sognare, fino ad allora.

 

Tempo dopo, in una notte di luna, durante una battaglia che la stava vedendo in difficoltà, Sailor Moon era stata salvata dall’intervento di una rosa rossa ed era ricomparso anche Tuxedo Kamen,  ma per qualche ragione, entrambi avevano dimenticato il loro amore forte oltre la morte. In qualche modo, al termine della battaglia contro Berillia, Sailor Moon doveva aver chiesto al Cristallo di non ricordarsi neanche di lui, perché la sua perdita sarebbe stata la più dolorosa da accettare.

Nessuno dei due aveva ricordato quello che c’era stato tra loro. Era stato come se non si fossero mai incontrati prima, come se non ci fosse mai stato il loro primo bacio. Avevano ripreso a combattere come alleati, andando ognuno per la sua strada al termine delle battaglie, eppure ogni volta lei sentiva sbocciare e crescere un sentimento antico che andava oltre la magia del Cristallo d’Argento e i misteri della memoria umana. Era stato come innamorarsi di nuovo di lui, riscoprirlo piano piano e sentire battere di nuovo il cuore, pressato dalle domande: “sarà lo stesso anche per lui?”, “era già accaduto?”, “mi vorrà?”.

Finché, durante un attacco, nel tentativo di difendere un bambino tenuto in ostaggio dal mostro di turno, Sailor Moon aveva dato l’ordine a Tuxedo Kamen di attaccare il nemico, nonostante lei stessa fosse intrappola nelle mani del mostro e le altre Sailor non fossero pronte ad aiutarla: il rischio di ferire la guerriera bionda era stato altissimo e Tuxedo Kamen aveva esitato.

“Colpiscilo!”, aveva urlato Sailor Moon e lui aveva scagliato la sua rosa, ma aveva tremato e sbagliato mira.

Era stato come se un pugnale affilato avesse strappato la pelle di dosso a Usagi. Un istante solo e il dolore atroce si era esteso dalla spalla a tutto il suo braccio e, da lì, fino alle ossa e al cuore.

La rosa l’aveva trafitta, l’arma del combattente mascherato era penetrata dentro di lei.

In quell’istante Sailor Moon aveva ricordato ogni cosa, anche quello che il Cristallo le aveva tenuto nascosto: il bacio con Tuxedo Kamen, il suo dolce sentimento, la morte del ragazzo durante l’ultimo combattimento contro Berillia, il potere scaturito dal loro amore, la fine di tutto.

Ma in quel momento, oltre la fine, oltre la morte, oltre le sofferenze, lui era tornato.

 

Forti braccia l’avevano sostenuta, mentre le guerriere Sailor giungevano in soccorso del bambino e di tutti gli altri suoi amichetti dell’asilo. Il sangue grondava dalla spalla ferita sul corpetto bianco come la neve, sul gilet di Tuxedo Kamen e sulla sua coscienza. 

“Perdonami Sailor Moon”, le aveva sussurrato, affranto, trattenendo a stento lacrime e rabbia.

“L’hai sconfitto?”, aveva chiesto la guerriera e lui aveva annuito: “Ma ho fatto del male a te! Io… adesso ricordo tutto di quello che c’è stato prima… Ho ricordato me… e te… Perdonami per quello che ti ho fatto… per come mi sono lasciato soggiogare da Berillia e…” 

“Berillia non c’è più”, aveva detto semplicemente Usagi, sorridendogli, felice che anche lui avesse ricordato ogni cosa, “mentre noi siamo qui.”

Stringendola al suo petto, Tuxedo Kamen aveva perso il cappello a cilindro. E mentre in lontananza si udivano le sirene di un'ambulanza chiamata dalle sue amiche, Sailor Moon aveva sorriso all’uomo e allungato una mano al suo viso: “L’ultima volta che ne ho avuto occasione, mi sono dimenticata di dirti che anche io credo di…“ Con la mano aveva fatto cadere la maschera di Tuxedo Kamen, ma le forze l’avevano abbandonata proprio in quel momento, lasciandola nell’oblio.

Sapeva di aver provato una sensazione fortissima, un calore intenso proprio dove la rosa magica l'aveva colpita, sapeva che sarebbe andato tutto bene, ma non era mai riuscita a capire cosa le fosse successo in quegli attimi di oscurità.

Al suo risveglio, Usagi si era trovata al Pronto Soccorso, in abiti normali, segno che in qualche modo aveva sciolto la sua trasformazione. Di Tuxedo Kamen non c’era più traccia.

Rei aveva detto che secondo lei Usagi aveva sbagliato a fidarsi di lui; Makoto si era domandata chi fosse in realtà il guerriero mascherato fuggito un istante prima che loro la nascondessero agli occhi dei curiosi mentre stava tornando a essere solo Usagi Tsukino, vinta dal dolore; Minako era grata al cielo per la vittoria e per il fatto che Usagi si fosse salvata. Solo Ami non aveva fatto commenti e aveva aiutato Usagi a rialzarsi e tornare a casa: la ferita sembrava essere superficiale e sarebbe guarita in breve tempo, nonostante lei fosse stata intimamente certa che era stata colpita gravemente. Non era una ferita come le altre, aveva scalfito il suo cuore, grattando via la coltre che aveva fino allora impedito di ricordare tante cose. Tutte le ragazze avevano iniziato a dubitare di Tuxedo Kamen e di quali fossero le sue reali intenzioni nei loro confronti; Usagi aveva deciso di non raccontare a nessuna di loro del bacio e di quel che realmente provava per l’uomo e aveva lasciato che continuassero a parlare e dubitare di lui. Il sentimento che aveva ripreso a farle battere il cuore, la verità su quanto avesse rischiato con Berillia e con quella rosa se li era tenuti per sé, chiusi a chiave in un cassetto remoto della sua anima strappata.

 

Quella notte erano iniziati quei sogni strani, via via sempre più opprimenti.

In seguito, ogni volta che si trasformava in Sailor Moon e Tuxedo Kamen giungeva in suo soccorso, una forte fitta di dolore la colpiva laddove la rosa aveva ferito la sua pelle. Erano passate settimane, eppure, ancora, quella ferita pulsava e faceva male. Solo per un attimo, solo per ricordarle quello che non c’era mai stato tra lei e l’uomo dei suoi sogni. Solo come monito contro le distrazioni e le debolezze del cuore. E intanto, notte dopo notte, gli incubi le rubavano l’allegria e minavano le certezze su cui aveva costruito il suo fragile equilibrio di adolescente e paladina della legge. 

 

Incubi di cui non avrebbe mai parlato a nessuno.


 
   
 
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