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Autore: avalon9    08/10/2021    1 recensioni
“Sei strana oggi, lo sai?” le dice, inclinando appena la testa sulla spalla come fa sempre quando qualcosa gli sfugge.
“Dici?”
“A-ah. Dico” annuisce, ma poi alza le spalle. “Ognuno ha i suoi segreti. Giusto, Retasu?”
“Vale anche per te?”
“Ma se sono un libro aperto”.
“Sì” sbuffa, mentre un nuovo refolo di vento si insinua nella cucina. “Peccato che sia scritto in una lingua incomprensibile”.
“Fa parte del mio fascino, no?”

Una fetta di torta e una colazione di fine ottobre, a otto anni di distanza da quando tutto é finito. Forse l’occasione per pensare a ricominciare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Retasu Midorikawa/Lory, Ryo Shirogane/Ryan
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cinque passi'
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Autore: Avalon9

Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of live

Personaggi Principali: Ryou Shirogane; Retasu Midorikawa

Altri Personaggi: un po’ tutti, ma solo citati

Rating: verde

In proposito: “Sei strana oggi, lo sai?” le dice, inclinando appena la testa sulla spalla come fa sempre quando qualcosa gli sfugge.

“Dici?”

“A-ah. Dico” annuisce, ma poi alza le spalle. “Ognuno ha i suoi segreti. Giusto, Retasu?”

“Vale anche per te?”

“Ma se sono un libro aperto”.

“Sì” sbuffa, mentre un nuovo refolo di vento si insinua nella cucina. “Peccato che sia scritto in una lingua incomprensibile”.

“Fa parte del mio fascino, no?”

Una fetta di torta e una colazione di fine ottobre, a otto anni di distanza da quando tutto é finito. Forse l’occasione per pensare a ricominciare.

Disclaimer: Tokyo mew mew é di Reiko Yoshida e Mia Ikumi. L’idea della storia, invece, è tutta mia.

Note: one shot; missino momento; raccolta.

Cose: ok. A me decisamente l’influenza non fa bene. Fa emergere una voglia folle di scrivere cui è difficile resistere. E lo so di avere in ballo già millanta storie (di cavalieri e altri. E adesso inizi a cantare Don Chisciotte di Guccini), ma quando qualcosa scatta scatta. E io non ci posso fare nulla.

L’ultima storia che ho scritto (e completato) risale ormai al 2018. Ed era di Saint Seiya. Un parto trigemino podalico, quasi. E anche avviata durante un’influenza che mi aveva steso peggio di un rullo compressore.

Tokyo mew mew non è esattamente nelle mie corde: mai stata un’amante di serie Majokko di ultima generazione, mentre faccio eccezione per qualcosa degli anni ‘80 e ‘90, più per valore affettivo che altro.

Ho detestato cordialmente Sailor Moon, con i suoi siparietti comici al limite del demenziale. Capirete: dopo l’epicità dei Cavalieri, certe cadute mi sembravano assurde.

Ecco perchè non so spiegare bene il motivo per cui Tokyo mew mew mi è piaciuto. Piaciuto come può piacere a chi lo guarda alle soglie dei diciotto anni, ma sono stati ogni volta venti minuti trascorsi tranquilli.

E così, complice questa influenza inaspettata, e l’essere incappata nello streaming della serie, mi sono fatta un rewacht completo e, come spesso mi succede, ho iniziato a macinare. E il fatto che sia allettata a forza mi ha permesso di trascrivere in fretta le idee, che altrimenti sarebbero restate a macerarmi in testa per un tempo indefinito.

Questa è la prima di cinque brevi fanfiction (almeno per i miei standard), con una manciata di side story.

Vediamo se il progetto sarà portato a conclusione.

 

 

 

 

 

Cinque passi

Passo uno - Diniego

 

 

 

 

“E tu cosa ci fai qui?”

Ryou si togli gli auricolari, mentre rallenta il passo, il respiro che si condensa in una nuvoletta nell’aria frizzante di fine ottobre.

Non è insolito incrociarlo alla mattina presto, di ritorno da una corsa nel parco. É una di quelle abitudini che ha sviluppato nel tempo, una routine consolidata che scandisce la sua giornata da quando aveva dieci anni. La pianificazione e il rispetto degli orari sono state una delle cose fondamentali per lui, per cercare di mantenere il controllo su un mondo che gli è franato sotto ai piedi all’improvviso, lasciandolo senza precisi punti di riferimento.

Alcune abitudini con il tempo sono cambiate, sostituite da nuovi impegni e scadenze diverse, e si è maggiormente abituato a far fronte a imprevisti dell’ultimo minuto, tuttavia ci sono rituali difficili da scalzare e la corse è uno di quelli.

E se si conosce abbastanza bene Ryou é facile infilarsi in quella sua routine fatta di corse, lavoro, ricerche e qualche ora ritagliata per se stesso.

“Buongiorno anche a te, Shirogane-san” lo saluta Retasu, ignorando come al solito i suoi modi a volte troppo spicci, al limite dello sgarbato.

“Ti ha mandato Kei per caso?” Ryou sospira, il fiato ancora un po’ corto, mentre si toglie il berretto di lana e si ravviva i capelli.

God, per quanti anni possano passare, Kei non riesce proprio a smettere il suo ruolo di chioccia e a preoccuparsi per lui, anche se si trova dall’altra parte del pianeta in quel momento.

“In realtà no” sorride Retasu, alzando un cestino. “Ho la giornata libera e non mi andava di fare colazione da sola. Mi fai compagnia?”

Ryou sbuffa un sorriso, mentre recupera le chiavi del Caffè e le apre la porta.

Nella semioscurità, si intravedono gli attrezzi di muratori e carpentieri, le latte e le scale. Il cellophane a protezione del pavimento produce un suono strano di plastica strisciata e polvere di calcinacci mentre ci camminano sopra e nell’aria c’é odore di vernice fresca e polvere di gesso.

“Stai davvero ristrutturando il Caffè” commenta Retasu entrando in cucina, una punta di conforto nel constatare che almeno quell’ambiente non è cambiato, per il momento.

“Sai com’è” borbotta Ryou, mentre accende il bollitore e si appresta a caricare la macchina per il caffè. “Era tempo di cambiare”.

Un odore strano, un misto di umido, acciaio caldo e polvere di caffè riempie l’aria e Retasu, seduta al bancone della cucina, lo inspira calma, assaporandolo. Quell’odore, assieme al ricordo di cacao e crema pasticciera, la riporta indietro di otto anni, a quando si ritrovavano in quella cucina tutti assieme, prima di iniziare il turno: Kei sfornava gli ultimi dolci della giornata e loro chiacchieravano leggere, aspettando che Ichigo entrasse tutta trafelata e si catapultasse nello spogliatoio, rubando al volo una manciata di biscotti. Non sempre c’erano tutte e cinque, ma quella piccola consuetudine era qualcosa di particolare, un modo per rafforzare il loro legame.

E Shirogane-san pensa Retasu, gli occhi socchiusi a ricostruire battute, risate e gesti ripetuti uguali mille volte. Shirogane-san si sedeva , sorride ancora girandosi appena verso lo sgabello all’angolo del bancone, accanto alla porta di servizio della cucina.

Ryou arrivava dopo di loro e prima di Ichigo, bofonchiando un saluto a mezza bocca e riempiendosi la tazza di caffè caldo e lungo. A quell’ora, di solito, aveva già fatto una bella corsa nel parco e da alcune ore lavorava davanti ai monitor del seminterrato. La confusione che sentiva al piano di sopra era per lui il segnale che era tempo di una pausa, appollaiandosi su quello sgabello un po’ defilato ad ascoltare le loro chiacchiere sciocche da ragazzine.

Retasu apre gli occhi: i banconi laterali sono imballati e dello sgabello vicino alla porta non c’è più traccia. Al suo posto, un trolley e una bagaglio a mano assieme al cappotto.

“Quando hai l’aereo?” gli chiede mentre accoglie con un cenno la tazza di tè caldo fra le mani ancora fredde.

“All’una” scrolla le spalle Ryou, nascondendosi dietro la tazza.

“Oggi?”

“Oggi.”

Ichigo non la prenderà bene” commenta Retasu, mentre si alza e recupera dalla credenza due piattini da dolce e due forchettine da dessert. La torta al limone che ha estratto dal cestino emana ancora un tenue profumo di frolla calda.

“Torna dopo tre mesi e vorrebbe passare del tempo con te. Lo sai.”

“Lo so” sospira Ryou, poggiando la tazza sul bancone e tagliando un pezzettino della torta che lei gli ha offerto. “Buona” commenta poi, il gusto acre del limone che si smorza fra quello della pasta tiepida e della crema. “Sei davvero migliorata in questi anni” aggiunge con leggerezza, il ricordo fugace di altre torte, consumate nel silenzio del Caffè.

Ryou la guarda: ha tagliato i lunghi codini, e il caschetto ha una piega più asimmetrica e sbarazzina; anche gli occhiali sono spariti, sostituiti da lenti a contatto che evidenziano in modo dolce il taglio allungato degli occhi. È cresciuta, in quegli anni, ed è diventata una bella ragazza, meno timida e più sicura di . Eppure il sorriso che gli rivolge è sempre lo stesso, quel misto di affetto e ammirazione che le ha sempre incurvato le labbra.

“Lo so” ride Retasu. “Ma comunque fa piacere sentirselo dire. Tu, però, non cambiare discorso.”

“Non sto cambiando discorso” si difende Ryou, inforcando un nuovo pezzetto di torta e recuperando svelto la tazza di caffè. “Dico solo che la torta è davvero buona”.

“E così eviti l’argomento Ichigo

“Cosa vuoi che ti dica?” sospira posando la forchetta. La torta ha all’improvviso un sapore amaro. “Lei arriva, io parto. Non ci vedo nulla di strano. Capita. Anzi: così vi risparmiate un viaggio all’aeroporto.”

“Ci sei sempre stato, per lei” tenta ancora Retasu, allungando appena la mano anche se non lo sfiora nemmeno. Conosce Ryou, e sa quanto il contatto fisico lo metta a disagio, più ancora di quando erano ragazzi.

“Ci sono ancora. Ci sarò sempre” mormora, gli occhi fissi sulle loro mani, sui tre centimetri che le separano. “Per Ichigo. Per te. Per tutte voi” continua ancora, scrollando le spalle a scacciare un pensiero fastidioso che si è affacciato nella testa. “Ve l’ho promesso quando ci siamo conosciuti. Ricordi?” la provoca ancora.

“Certo che lo ricordo” sbuffa Retasu. “E hai sempre mantenuto la promessa: ci sei sempre stato per noi”.

Ed entrambi sanno che è la verità, così semplice da essere quasi banale.

Perché Ryou c’era mentre combattevano gli alieni. E anche dopo. Ryou c’è stato quanto Heicha si è ammalata e Purin era disperata e non sapeva più cosa fare; c’è stato quando Minto ha fatto il suo debutto da prima ballerina, un mazzo di calle e un sorriso orgoglioso. C’è stato quando Zakuro ha deciso di provare a riallacciare i rapporti con la sua famiglia, anche se non è andata bene, e c’è stato quando lei ha perso suo padre in un incidente.

Ryou è sempre stato lì per loro: per ascoltarle, per spronarle, per confortarle quando piangevano e il mondo sembrava crollare e per sorridere con loro di ogni conquista e soddisfazione.

C’è stato anche per Ichigo, quando lo ha pregato di aiutarla a superare gli esami per poter andare a studiare in Inghilterra con Aoyama. E anche dopo, negli anni, quando lo chiamava perché avevano litigato o per un nuovo passo avanti nella loro relazione. C’è stato anche quando lei gli ha chiesto di fargli da testimone, due anni prima.

“Perché non vuoi che noi ci siamo per te?” gli chiede Retasu, perchè ormai ha imparato che con Ryouin certe cose bisogna essere diretti. Anche se sa che la domanda resterà sospesa. Perché Shirogane-san c’è sempre stato per loro, ma non ha mai permesso a nessuno di avvicinarsi tanto a lui da conoscerlo davvero. Tranne forse Zakuro.

“Sto bene, Retasu. Davvero” le sorride leggero. Mentre dentro qualcosa si incrina ancora, come quando aveva quindici anni e nascondeva dietro i modi bruschi la difficoltà di rapportarsi con qualcuno, di fidarsi di qualcuno. La paura di deludere e di essere lasciato solo.

“Fingerò di crederci, se ti fa piacere” sospira Retasu, raccogliendo la tazza di tè e prendendone un sorso misurato. “Però lasciatelo dire: stai scappando. Di nuovo”.

“Quando parli così, sembri Kei” borbotta Ryou, la mano a massaggiare i capelli, in quel gesto che gli è abituale quando si trova in un vicolo cieco o è in imbarazzo.

“Lo prenderò per un complimento.”

“Non lo era.”

“Lo immaginavo.”

E si trovano a fissarsi, in quella complicità e leggerezza nata negli anni, dalla frequentazione e dalla conoscenza reciproca, un'ombra di sorriso che diventa uno sbuffo di risata a riempire quella cucina altrimenti ormai silenziosa.

“Non sto scappando” riprende alla fine Ryou, giocherellando con la forchetta, il braccio che sorregge pigramente la testa. “Ho davvero degli affari da sbrigare, in America”.

“Però non puoi negare che la tempistica ti fa comodo.”

Ryou ridacchia appena. Da quanto Retasu è diventata così diretta? Lo chiama ancora per cognome e usa il suffisso onorifico, ma negli anni ha imparato una confidenza nuova, diversa. Non balbetta più e non arrossisce ogni volta che lui le rivolge la parola; al contrario gli siede di fronte rilassata e tranquilla. E sta iniziando ad assumere quell’atteggiamento materno che Kei aveva quando era ancora il suo tutore, prima che ottenesse l’emancipazione.

“Non è che l’abbia programmato” cerca di chiarire, e si chiede perché all’improvviso debba sentire il bisogno di giustificarsi, quando in passato non si è mai preoccupato di rispondere a nessuno delle sue scelte. Nemmeno a Kei.

“Ho tirato più in lungo che potevo. Ma domani inizieranno i lavori al piano di sopra. E sai che odio gli alberghi”.

“Potevi venire da noi. Sai bene che sei sempre accetto.”

“E tu sai che ho le mie abitudini” nicchia ancora. “E poi, onestamente, non ho proprio voglia di fare il terzo incomodo.”

Akasaka-san tornerà solo il mese prossimo dal suo stage in Francia.”

“Lo chiami ancora per cognome?” ridacchia Ryou, godendosi le guance di Retasu che sbuffano esasperate. “Peggio ancora, allora. Se volevi una mano con i preparativi, non sono la persona adatta.”

“Per quelli mi aiuta Minto-chan. E senza le tue storie.”

“Perfetto allora” approva ancora Ryou, bevendo l’ultimo sorso di caffè. “Visto? Io non ti servo proprio. O volevi chiedermi di farvi da chauffeur? Perchè ti avverto: costo parecchio.”

“Quando fai così, sei davvero insopportabile” sbuffa ancora Retasu, raccogliendo i piattini e dirigendosi al lavello, la risata di Ryou in sottofondo. “Adesso capisco perché tu e Ichigo-chan litigavate così spesso.”

Ryou non commenta, se ne resta seduto sullo sgabello, le mani fra le gambe e lo sguardo oltre la finestra, perso in qualche ricordo che gli immalinconisce lo sguardo. E Retasu lo lascia tranquillo, perché sa cosa provoca il nome di Ichigo in Shirogane-san e sa anche che è stato un colpo basso farlo in quel modo, ma aveva bisogno di spingerlo a fermarsi e riflettere. Shirogane-san è intelligente, e attento, ma quando si tratta dei suoi sentimenti si comporta spesso come un bambino di sei anni. Stuzzica, prende in giro e poi se ne va, lasciandosi dietro molti non detti e mezze parole che significano tutto e niente.

“Allora? Quanto starai via?” lo richiama, mentre finisce di asciugarsi le braccia con un canovaccio. Nella cucina, adesso, c’è l’odore del detersivo alla mela che Kei usava sempre e il plichettio lento delle stoviglie messe ad asciugare. A Ryou sembra che siano passati anni, dall’ultima volta che si è trovato in quella cucina in quel modo. E il crampo che avverte allo stomaco è al tempo stesso qualcosa di doloroso e confortante, mentre guarda con distrazione verso la porta basculante della sala, come si aspettasse di sentire il chiacchiericcio delle ragazza prima che entrino in cucina.

“Non lo so di preciso” si riprende, scrollando le spalle e scendendo dallo sgabello. “Due. Forse tre mesi. Dipende come andranno le cose.”

Qui o in America vorrebbe chiedergli Retasu, ma non se la sente di stuzzicarlo ancora. Ryou ha la faccia di quando non ha più voglia di parlare di certe cose - sempre ammesso che mai ne abbia voglia - e ti prega solo di lascialo stare.

“È molto tempo” commenta invece Retasu, sistemandosi le maniche che ha arrotolato per lavare i piatti.

“Tranquilla” un buffetto sulla fronte come quando erano ragazzini. “Tornerò in tempo per il matrimonio, vedrai” la rassicura, con un occhiolino che sottintende una promessa. “Altrimenti poi chi lo sente Kei?” ride leggero, incrociando le braccia dietro la nuca.

Akasaka-san ci tiene davvero che sia tu a fargli da testimone” precisa Retasu, sistemandosi la frangetta. “E anche io.”

“E io no?” le chiede di rimando. “Kei c’è sempre stato, per me” aggiunge serio, una nota di malinconia e rimpianto nella voce che nasconde un misto indefinito di sentimenti che si aggrovigliano sempre in fondo allo stomaco.

“Non mi perderei il suo matrimonio per nulla la mondo”.

“Ci conto, allora”.

“Vi ho mai deluso?” la provoca, sapendo benissimo che quella domanda sottende un discorso che nessuno dei due ha intenzione di intavolare. Non in quel momento, almeno. “Anche se primo o dopo qualcuno mi dovrà spiegare perché avete scelto di sposarvi a gennaio.”

“È una stagione bellissima”.

“Ma se è pieno inverno”.

“Non eri tu quello che amava il freddo?”

“Mai detto il contrario” nicchia, infilandosi le mani nelle tasche della tuta. Nonostante il lieve sentore di dolce e caffè, la cucina è fredda. Ha già spento termostati e caldaia e comunque non tiene mai una temperatura troppo alta. Ichigo se ne lamentava sempre, di quanto facesse freddo, gli sfugge nella mente, mentre guarda Retasu sistemarsi la sciarpa di lana color cinabro con attenzione.

Gli mancherà ritrovarsele al Caffè negli orari più inaspettati, sentirle discutere per l’ultimo film che vorrebbero vedere per poi obbligarlo a trasformare il laboratorio in una sala cinema. Gli mancherà la confusione di Purin e la sua mania di far loro provare i suoi nuovi piatti prima di inserirli nel menu del ristorante, o le frecciatine di Minto. God. Gli mancherà anche discutere con Pai per i rapporti e i calcoli dei dati o rispondere a tono a Kisshu solo per il gusto di fargli saltare i nervi.

Anche se nessuno di loro lavora più al Caffè, Ryou si accorge che negli anni in un modo o nell’altro non lo hanno mai davvero abbandonato. Il Caffè o me? si domanda, ma è un pensiero su cui non ha voglia di impegnarsi.

“Ti passiamo a prendere? Sai. Per l’aeroporto” gli chiede Retasu, mentre si infila i guanti.

“No. Prenderò un taxi, non preoccuparti” la rassicura, sistemandole il basco. “Ci vediamo direttamente .”

“A Purin-chan dispiacerà non vederti per un po’.”

“Perché? Pensi che Minto ne sia felice?” ridacchia Ryou. “Odia quando qualcuno le scombina i piani. E immagino che avete in mente una bella festa per il ritorno di Ichigo.”

“È una consuetudine, lo sai” annuisce ancora Retasu, la borsa a tracolla e il cestino in mano. “La facciamo ogni volta che qualcosa di noi torna. Due mesi fa è stato per Zakuro-chan.”

Ryou annuisce, senza parole importanti da aggiungere.

“Anche Ichigo-chan sarà triste quando saprà che non ci sarai” tenta ancora Retasu, senza nemmeno sapere bene lei cosa vuole ottenere: farlo restare o qualcosa’altro?

“Non è che proprio non ci sarò” sospira ancora. “Prima di partire ho il tempo per salutarla. Per questo vengo con voi all’aeroporto con un’ora di anticipo sul gate”.

“Si arrabbierà comunque”.

Ryou alza le spalle come se non gli importasse granché, ma dentro sente una punta di rimorso e colpa rodergli lo stomaco. Perché sa bene il motivo per cui Ichigo sta tornando a casa, e sa che vorrebbe poterne parlare anche con lui. Forse soprattutto con lui. E sa che non ce la potrebbe fare. Perché un conto è ascoltarla quando lo chiama in lacrime alle 03.00 del mattino, e consolarla a distanza cercando di non far trasparire dalla voce rabbia, frustrazione o qualcos’altro. Qualcosa che si trascina da otto anni e che non vuole chiamare in nessun modo definito. E un conto è ritrovarsela in casa, e vedere di persona quanto è cambiata, come la sua freschezza si stia spegnendo e quel sentimento nato a tredici anni stia diventando sempre più un veleno che la intossica.

Non è colpa di nessuno, questo ormai lo ha accettato. Ha smesso di incolpare Aoyama di molte cose. Semplicemente la vita di Ichigo ha preso una piega in cui lui gioca il ruolo di migliore amico, di confidente, di spalla cui appoggiarsi. E per quegli otto anni gli è andata bene così.

Ma adesso che tutto sta cambiando, che potrebbe forse sperare in una qualche possibilità, anche solo in uno spiraglio, Ryou sa che ha troppa paura di restare di nuovo deluso e di vedersi riconfermato quel ruolo di amico che gli sta troppo stretto. E al contempo ha paura di perderlo.

Quindi : sta scappando. Per quanto lo possa negare agli altri, sa benissimo che è la verità. Ci sarà per Ichigo. Ci sarà sempre per lei, ma dall’altra parte di un telefono o di un computer, con migliaia di chilometri di distanza a metterlo al sicuro da qualcosa che potrebbe rovinare tutto.

Perché prima di tutto non vuole perderla; almeno come amica, non vuole che scompaia dalla sua vita. E sa che la farà arrabbiare, ma sa anche che lei aspetterà il suo messaggio dopo l’atterraggio per chiamarlo e inondarlo di parole, mille chiacchiere futili che lui ascolterà in silenzio, la testa a pulsare per il jet lag e un sorriso idiota in faccia, solo perché lei gli sta parlando. Prima di arrivare alle questioni importanti, dove lui dovrà indossare la sua migliore maschera e fare di tutto per aiutarla a capire se il suo matrimonio è davvero al capolinea o se si tratta solo di una crisi passeggera. Quando l’unica cose che vorrebbe sarebbe dirle la verità sui suoi sentimenti, su quel grumo di emozioni che lo soffoca da otto anni, e vedere cosa accadrà.

Ma Ryou è un uomo razionale, calcolatore, a tratti cinico, e ha perso troppo nella vita per accettare di perdere anche quel rapporto ambiguo, fatto di una confidenza che rasenta la complicità e che sfuma in qualcosa che nessuno ha il coraggio di chiamare con un nome diverso da amicizia.

“Le passerà quando vedrà il mio regalo di bentornata”.

“Te ne sei davvero ricordato.”

“L’ho mai dimenticato?” le chiede retorico, sapendo benissimo la risposta.

Retasu sorride, i capelli che ondeggiano appena attorno al viso più maturo. Non ha ottenuto quello che voleva, non è riuscita a parlargli come si aspettava, ma è comunque soddisfatta. Shirogane-san non è felice, ma non sembra nemmeno troppo triste. Sta scappando, certo, e nega di farlo, ma ormai lo conosce abbastanza da sapere che quando si sentirá pronto tornerà. Forse solo per riprendere quel suo posto defilato in quella loro strana famiglia, forse per affrontare finalmente Ichigo. Ma tornerà, questa è la sua sicurezza.

“Ehi. Shirogane-san” lo chiama, la porta sul retro uno spiraglio che fa entrare un soffio di brezza fredda e foglie secche.

Mmh?”

“Vedrai Zakuro-san a New York?”

Maybe. Why?

“Niente” scuote la testa, un sorriso leggero sul viso. “Fai buon viaggio, Shirogane-san”.

“Non dovresti dirmelo all’aeroporto?”

“Va bene anche qui”.

“Sei strana oggi, lo sai?” le dice, inclinando appena la testa sulla spalla come fa sempre quando qualcosa gli sfugge.

“Dici?”

“A-ah. Dico” annuisce, ma poi alza le spalle. “Ognuno ha i suoi segreti. Giusto, Retasu?”

“Vale anche per te?”

“Ma se sono un libro aperto”.

“Sì” sbuffa, mentre un nuovo refolo di vento si insinua nella cucina. “Peccato che sia scritto in una lingua incomprensibile”.

“Fa parte del mio fascino, no?”

Retasu ride, felice di sapere che in qualche modo, per un’ora, Shirogane-san ha recuperato un briciolo di quelle relazioni e di quella leggerezza che dopo la chiusura del progetto m sembrava essersi affievolita sempre di più.

“Fatti sentire qualche volta. Asakana-san si preoccupa”.

I promise”.

“Ci vediamo al matrimonio, allora.”

“Contaci”.

Ryou la guarda uscire, la brezza di fine ottobre a ravvivarle i ciuffi sfuggiti al basco e un profumo di foglie e terra umida a dissiparsi in quella cucina all’improvviso troppo silenziosa.

Guarda l’orologio al polso: ha giusto il tempo di una doccia veloce, prima di passare in banca per gli ultimi documenti. Gli operai arriveranno quando lui sarà già in macchina verso l’aeroporto. Guarda le valigie pronte, il cappotto ripiegato e poi la cucina e la sala del Caffè , tagliata dalla luce che filtra dai nylon appesi alle finestre.

Quando tornerà, sarà tutto diverso. Lo ha voluto lui, e non se ne pente. Sente che ne ha bisogno, è ora di chiudere quella fase della sua vita e provare ad aprirne un’altra. Forse non cambierà nulla, ma almeno ci vuole provare.

Sorride, mentre si avvia per l’ultima volta al piano superiore, alla sua stanza da ragazzo, canticchiando un motivetto impreciso, per una volta senza speranze disillusioni.

 

  
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