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Autore: Shireith    10/10/2021    3 recensioni
Aveva paura di vedere Shouyou ma aveva anche paura di non vedere Shouyou. Sentirsi per messaggio era un’alternativa sicura, un compromesso accettabile tra una totale estraneità e una più intima conoscenza.
Finché, un giorno –
Atsumu-san, sei libero domani?
E al sì di Atsumu digitato con mani tremanti e cuore mezzo esploso – Ti va un caffè? Offro io. Ho idee splendide per il tuo tatuaggio!
[AtsuHina ● Tattoo Artist!AU]
Writober, #10: tatuaggio
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Atsumu Miya, Kozune Kenma, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Arabeschi


(10 — tatuaggio)

 La prima volta che si era colorato i capelli, sua madre, che non era stata né messa al corrente né interpellata per un eventuale permesso, aveva dato i numeri. Aveva sbraitato, gli aveva dato del teppista, aveva chiesto al cielo cosa avesse sbagliato per avere un figlio tanto ribelle, e anche dopo che le acque si erano quietate gli aveva messo il muso per due settimane.
 Così Atsumu Miya, una mattina, entrava per la sua prima volta in uno studio di tatuaggi chiedendosi come avrebbe reagito sua madre. Questa volta, perlomeno, era maggiorenne, e non vivevano nemmeno più sotto lo stesso tetto – la prossima cena di famiglia si prospettava interessante.
 Il luogo era piccolo ma elegante. Ad accogliere i clienti c’era una sala rettangolare su cui affacciavano tre porte, tutte chiuse e probabilmente, pensò Atsumu, riservate allo staff. Sulle pareti si alternavano bianco e nero, e a completare l’arredamento ci pensavano qualche pianta e spruzzi di colore qua e là. Dietro un bancone tirato a lucido un ragazzo con i capelli sfumati di rosso e le braccia nude ricoperte di tatuaggi stava disegnando su un iPad. Era così assorto che non lo sentì entrare.
 Atsumu diede un colpo di tosse per annunciarsi.
 Il ragazzo alzò la testa di scatto e allargò gli occhi quando lo vide. «Oh! Scusa, non ti avevo sentito. Benvenuto al Nekoma Tattoo Shop, sei qui per un tatuaggio? Non mi pare avessimo appuntamento prima delle sei…»
 «Non ho preso appuntamento, sono qui per informazioni», disse Atsumu con un’alzata di spalle. «Ho parlato con un tizio al telefono che mi ha detto di venire oggi verso quest’ora.»
 Il ragazzo annuì mentre spegneva l’iPad e lo spingeva di lato. «Kenma, il mio collega», gli spiegò. Si abbassò al di sotto del bancone e rispuntò qualche secondo dopo con in mano quattro o cinque cartellette nere. Ne aprì due, prese i fogli che c’erano al loro interno e li sparse sul bancone alla rinfusa. «Allora, cosa ti serve? Avevi già in mente qualcosa? Conosci tutti i rischi e le precauzioni da prendere?»
 «Uhm, no.»
 Atsumu cominciava a pensare che andare lì fosse stata una pessima idea. Non sapeva che tipo di tatuaggio voleva né dove lo voleva e non si era preoccupato nemmeno di ricercare su internet rischi e precauzioni. C’era solo da sperare che il ragazzo non gli facesse un sermone sull’importanza del significato di ogni singolo tatuaggio, perché altrimenti…
 Alzò le spalle. «Non m’interessa che sia un tatuaggio con un significato profondo, voglio solo che sia… figo?»
 Per un attimo il tempo parve congelarsi, poi il ghiaccio si spaccò in mille cristalli quando il ragazzo scoppiò a ridere.
 Atsumu rimase senza parole – si stava prendendo gioco di lui?
 L’altro si asciugò una lacrima spuntata all’angolo dell’occhio sinistro.
 «Scusa, non mi aspettavo che fossi così onesto… Un cliente che sa quello che vuole, ottimo. Non so però cosa intendi per tatuaggio figo, ti va se te ne faccio vedere un paio e mi dici cosa ti piace?»
 E così il ragazzo gli mostrò un foglio dopo l’altro, accompagnando con la voce tutte le considerazioni che gli frullavano per la testa. Diceva così tante cose e cambiava argomento così in fretta che Atsumu s’immaginò i pensieri nella sua testa rincorrersi disperati per decidere quale sarebbe venuto a galla per primo.
 Il ragazzo aveva un aneddoto per ogni volta che s’imbattevano in un tatuaggio che qualche cliente aveva già richiesto. Gli parlò di un ragazzo che cambiava ragazza con la stessa facilità con cui altri cambiano i calzini, e che ciononostante insisteva a tatuarsi il nome di quella nuova ogni volta che si presentava in negozio.
 «Questa è quella giusta, fidati», diceva, e dopo due mesi eccolo che tornava con la stessa esatta battuta sulla punta delle labbra.
 Un ragazzo si era fatto tatuare un QR Code sul braccio.
 Un altro aveva voluto un occhio gigante la cui pupilla coincidesse con l’ombelico.
 Due ragazze avevano chiesto un drago gigantesco che partiva dal corpo di una e finiva in quello dell’altra.
 Atsumu non sapeva se ridere o essere sconvolto.
 «È legale fare certe cose?»
 L’altro ridacchiò. «Sì. Sta al buonsenso delle persone decidere cosa farsi tatuare, noi possiamo dare consigli, ma ognuno è responsabile di se stesso. Anche se Yachi era allibita quando Kenma le ha detto delle due ragazze e il drago gigante. Yachi è la nostra collega, è lei che ha fatto il tatuaggio. Siamo in quattro a lavorare qui. Hoshiumi è in vacanza, invece Bokuto-san ha lasciato l’anno scorso per entrare all’università. Nessuno si aspettava da lui una scelta simile, ma Akaashi era il più stupito. Akaashi è il suo ragazzo.»
 Ad Atsumu non erano mai piaciute le persone che non sanno stare zitte, gli facevano venire il mal di testa e lo innervosivano. Eppure c’era qualcosa, in Shouyou, che lo faceva impazzire. Parlava con voce calda e allegra, sembrava avere mille sorrisi diversi nonostante mostrasse sempre lo stesso, e più di tutto Atsumu fu colpito dalla confidenza con cui gli raccontava fatti e aneddoti, come se fosse un diario personale di cui potersi fidare con assoluta certezza.
E gli piacque poi anche il trasporto e la dedizione con cui svelava i segreti d’ogni singolo ghirigoro d’inchiostro. Atsumu apprese presto che per il ragazzo un tatuaggio con significato era un tatuaggio che ti lasciava un marchio indelebile non solo fuori ma anche dentro, altrimenti era solo una macchia nera su una persona.
 Atsumu arricciò il naso. «Quindi se ti chiedessi di tatuarmi un cerchio in fronte perché secondo me è figo mi giudicheresti male perché non ha senso?»
 «Oh, no, no, no! Tutti i tatuaggi hanno senso, è questo il bello! Quel ragazzo che si fa tatuare tutti i nomi delle sue ragazze, Tanaka, secondo me ha coraggio da vendere. In pochi ne sarebbero capaci, avrebbero troppa paura di lasciarsi e pentirsene. Ed è una paura lecita. Però non è bellissimo che la sua pelle racconti così tanto della sua vita? Per noi sono solo nomi, per lui sono storia.»
 «Quindi anche il drago gigante di quelle due ragazze ha un significato, per te?»
 Annuì convintissimo. «Certo che sì. Vedi, quelle due ragazze hanno detto a Yachi che lo volevano perché non avevano mai visto nessuna coppia farsene uno simile. Non so se erano solo stravaganti o se volevano un modo per distinguersi, fatto sta che l’hanno voluto loro, è parte della loro personalità, quindi ha un significato. È questo che voglio per i miei clienti – che se ne vadano da qui sentendosi rinati, come se avessi aggiunto un pezzo tutto mio alla loro anima.»
 Atsumu lo fissò come a volerlo annichilire con la sua sola aura. Si disse fortunato, quando si riprese e riuscì a distogliere lo sguardo, che il ragazzo fosse troppo concentrato sui tatuaggi da accorgersene.
 
*
 
 Lui e il ragazzo avevano parlato fino alle sei del pomeriggio. Solo quando qualcuno alle loro spalle aveva annunciato la sua presenza Atsumu aveva gettato un’occhiata all’ora e aveva capito che erano passate quattro ore.
 Il tempo era volato – e dire che non aveva nemmeno trovato l’occasione per chiedere al ragazzo il suo nome. Nella sua testa era il ragazzo, semplicemente.
 Pensò e ripensò a lui più del necessario.
 Ci pensò mentre tornava a casa e anche dopo. Dovette mangiare roba in scatola perché si era dimenticato di ordinare la cena, ma non si era dimenticato di pensare al ragazzo. Infatti ci pensò anche la notte, e la mattina dopo, e il pomeriggio quando Osamu venne a bussare alla porta annunciando che era tornato in città (era stato via?).
 «Faccio gli onigiri. Vatti a lavare le mani. Ah, i piatti dopo li lavi tu.»
 La mente di Atsumu era troppo occupata per ribattere.
 Andò in bagno, ma non si lavò le mani. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e si sedette sul bordo della vasca.
 Il ragazzo aveva detto che lo studio si chiamava Nekoma Tattoo Shop, o anche solo Nekoma – un’idea di Kenma, aveva rivelato. Atsumu aveva trovato la loro pagina Instagram. In una delle foto più recenti c’era il ragazzo all’opera e il suo profilo personale era taggato.
 Shouyou Hinata. Così si chiamava.
 Atsumu fissò il tasto “Segui” per un’incredibile quantità di tempo prima di armarsi di coraggio e premervi il pollice.
Se mi chiede qualcosa dirò che mi piacciono i tatuaggi che fa. Scommetto che non è la prima volta che un cliente lo segue sul suo profilo.
 
 Shouyou – che bel nome.
 Armonioso, delicato, pieno di vita.
 Sembrava cucito su misura per lui.
 
 Atsumu era un misto d’ansia e attesa, ma razionalmente non si aspettava nulla, di certo non una notifica che gli facesse perdere mille battiti e gli scaldasse la pancia come una pentola in ebollizione.
 Aiutò il fratello ad apparecchiare e servire gli onigiri, mangiò di buona voglia, sparecchiò e lavò i piatti senza un lamento, ignorando Osamu quando gli lanciava occhiatacce o gli chiedeva se si fosse drogato.
 Nella sua testa c’era spazio per una cosa sola e una soltanto.
 
Shouyou Hinata (@ninjashouyou) ha iniziato a seguirti.
 
*
 
Non significa niente. Non farti castelli in aria.
 E invece qualcosa significava e Atsumu i castelli in aria se li faceva eccome perché da quel momento avevano iniziato a sentirsi per messaggio e gli sembrava di sentire i coriandoli esplodergli in pancia e il terreno sgretolarsi sotto i piedi a ogni singola notifica, anche quando Shouyou rispondeva con una semplice emoji.
 Sempre via messaggio si erano presentati ufficialmente e avevano iniziato a conoscersi parlando del più o del meno. Shouyou si era rivolto a lui per cognome e Atsumu l’aveva subito corretto dicendo che preferiva il nome, così era diventato Atsumu-san.
 Shouyou era Shouyou, semplicemente. E nonostante Atsumu fosse abituato a chiamare gli altri per nome, in barba agli usi del suo stesso Paese, a Shouyou aveva chiesto il permesso – quasi come se il suo nome fosse troppo intimo e prezioso.
 Lo studio Nekoma era poco lontano dall’appartamento che Atsumu condivideva col fratello, poco lontano dal ristorante in cui quello stesso fratello lavorava e da cui scroccava regolarmente, poco dall’università che frequentava, poco lontano dal bar che faceva il suo caffè preferito – forse però Atsumu avrebbe preferito che fosse lontanissimo, così almeno avrebbe avuto una scusa più valida da rifilare alla sua coscienza quando quella lo metteva con le spalle al muro e gli urlava codardo.
Codardo.
Codardo, codardo, codardo, codardo, codardo.
 Aveva paura di vedere Shouyou ma aveva anche paura di non vedere Shouyou. Sentirsi per messaggio era un’alternativa sicura, un compromesso accettabile tra una totale estraneità e una più intima conoscenza.
 Finché, un giorno – Atsumu-san, sei libero domani?
 E al sì di Atsumu digitato con mani tremanti e cuore mezzo esploso – Ti va un caffè? Offro io. Ho idee splendide per il tuo tatuaggio!
 
*
 
 Atsumu bevve tutto d’un sorso il suo caffè amaro e lo ingoiò assieme al senso di colpa nel vedere il dispiacere contorcere i bellissimi lineamenti di Shouyou.
 «Non fare quella faccia, non è colpa tua, sono io che non riesco a decidermi. Sono tutti bellissimi, e tu sei bravissimo, è solo che… non mi convincono.»
 Shouyou annuì a testa china e si abbandonò ancora una volta al silenzio mentre apriva due bustine di zucchero e ne versava il contenuto nella tazzina di caffè.
 «Shouyou?»
 «Mh?»
 «Ti va se il tatuaggio lo decidi tu?»
 Poi, come se quel silenzio non fosse mai esistito, il mento scattò in alto e i suoi occhi brillanti provocarono in Atsumu uno di quei mal di pancia cui ormai era abituato. «Cosa?»
 Era interdetto, ma Atsumu era certo di non essersi immaginato il guizzo d’eccitazione che era baluginato nel suo sguardo, probabilmente era ancora lì, nascosto dall’incertezza sul fondo degli occhi nocciola.
 Atsumu sentì le guance andare a fuoco e Atsumu Miya non arrossiva mai. Decise, per una ragione totalmente sconnessa dai bellissimi occhi di Shouyou, di distogliere lo sguardo per puntarlo sull’interessantissimo fondo ancora sporco di caffè della tazzina vuota.
 «È colpa tua», snocciolò su due piedi (patetico, Atsumu, è il meglio che sai fare?). «Mi hai messo in testa tutte quelle idee strane sui tatuaggi e il loro significato e ora non so cosa scegliere, ho l’ansia da prestazione. Da professionista è tuo compito riparare al danno, no? Qualsiasi cosa tu scelga andrà bene.»
Mi fido.
 Shouyou, dapprima incredulo, scoppiò a ridere e Atsumu giurò che la pancia scottasse come un camino ardente. Con un po’ meno di forza di volontà, la logica e il buonsenso avrebbero fatto le valigie e avrebbe baciato Shouyou su quel dannato tavolo, davanti a tutti.
 «Sei un tipo simpatico, Atsumu-san. Ci sto.»
 Rimarcò le ultime due parole ancorando il suo sguardo sicuro a quello di Atsumu e Atsumu capì di essersi appena scavato la fossa da solo.
 
*

Ammazzatemi, ammazzatemi, ammazzatemi, ammazzatemi.
 No, Atsumu non si era scavato la fossa da solo – si era ammazzato da solo, aveva scavato la fossa, ci aveva riposto dentro la bara, aveva organizzato il funerale, invitato tutti i suoi conoscenti a partecipare alla cerimonia e aveva pure pagato di tasca sua.
Ammazzatemi, ammazzatemi, ammazzatemi, ammazzatemi.
 Anzi, magari si fosse ammazzato da solo. Almeno ora non avrebbe dovuto sorbirsi le mani morbide e calde e bollenti e tantissime altre cose di Shouyou che gli toccavano le spalle e gli facevano sperare di essere soli al mondo di notte, non in pieno giorno in uno studio sì vuoto ma non abbastanza.
 «Farà un po’ male, Atsumu-san. Se il dolore è troppo fammelo sapere e faremo una piccola pausa.»
 Atsumu il dolore non lo sentì proprio, il sistema nervoso aveva smesso di percepirlo, gli aveva urlato contro e gli aveva intimato di farsi da parte affinché ogni centimetro di pelle si concentrasse sulle mille sensazioni che si generavano non appena Shouyou lo sfiorava.
 Atsumu non seppe se ritenere o meno una fortuna il fatto che Shouyou indossasse i guanti in lattice. Le sensazioni si fecero meno intense, più ovattate dal materiale che divideva pelle e pelle, ma il dolore rimase nascosto dov’era e Atsumu si godette la seduta come se fossero di nuovo al bar a sorseggiare un caffè.
 «Com’è andata oggi all’università?»
 Atsumu era vanitoso, lo sapeva e non ci teneva a negarlo. Era onesto con se stesso, sapeva di essere affascinante e carismatico e non vedeva perché nasconderlo – preferiva essere se stesso piuttosto che indossare una maschera di finta modestia che l’avrebbe fato sembrare più ipocrita per altro. Nonostante fosse un semplice studente universitario riteneva la sua vita piuttosto interessante, vuoi per i suoi successi sportivi, vuoi per i viaggi all’estero che si era concesso nel corso dei suoi ultimi anni, vuoi per tutti i ragazzi e le ragazze che aveva conquistato. Un giorno raccontava del suo viaggio in Italia, un giorno raccontava di quella volta in cui quella tizia bellissima e simpaticissima e tante altre cose che facevano rima era caduta ai suoi piedi perché lui era irresistibile e uno schiocco di dita bastava a spalancargli porte e portoni.
 Atsumu Miya amava parlare di sé, ma in verità amava ancora di più quando era Shouyou a parlare.
 Si limitò perciò a raccontare lo stretto necessario, senza sviare la risposta con un niente perché sarebbe sembrato troppo sospetto. Shouyou rise quando Atsumu gli riferì un incontro che Osamu aveva avuto con un cliente un po’ matto, e poco dopo Atsumu gli cedette il testimone.
 Shouyou lo accetto volentieri - con la sua voce a cullarlo come il canto di un angelo il dolore che solleticava appena le spalle di Atsumu si azzerò, scomparve, e Atsumu giurò che avrebbe potuto passare cento ore in quella esatta posizione senza rimpiangerlo.
 Passarono tre ore e mezzo prima che potesse alzarsi dalla sdraio in pelle nera e osservarsi allo specchio. Shouyou lo seguì con un sorriso a trentadue denti e non staccò mai una volta gli occhi dalla sua schiena. La vanità suggerì ad Atsumu che Shouyou non fosse affatto indifferente ai suoi muscoli ben definiti, la logica gli diede uno schiaffo bello forte e gli urlò di non illudersi.
 Con la schiena rivolta verso lo specchio Atsumu ruotò il collo e studiò il suo riflesso – il corpo minuto di un corvo nerissimo partiva dalla nuca e gli scendeva lungo la schiena fino a poco più di metà, dispiegando a destra e a sinistra due grandi ali piumate.
 Cercò con gli occhi Shouyou nello specchio e gli rivolse un sorriso quando lo individuò fare capolino da dietro la spalla – aveva dovuto alzarsi in punta di piedi per ovviare alla differenza d’altezza e Atsumu lo trovò adorabile.
 «È ancora più bello del mio!» esclamò.
 Atsumu ci mise una quantità di tempo incredibile a elaborare quelle sei parole.
No.
Allora.
Un attimo.
Non ho capito.
Aspetta.
Cosa?
 «Eh?»
 Fu un gracidio inelegante, ma al momento risultare raffinato non era tra le sue priorità.
 Shouyou annuì convinto e con una mano si indicò la schiena. «Ho preso ispirazione dal mio! È stato il mio primo tatuaggio, me lo sono fatto fare dopo essermi ripreso da un incidente stradale che mi ha quasi ucciso. Per me significa molto, ora significa molto anche per te – eccolo, il significato del tuo tatuaggio.»
 Prima di esplodere, il cervello di Atsumu Miya elaborò le seguenti informazioni:
 1. Aveva un… tatuaggio di coppia con Shouyou Hinata?
 2. Shouyou Hinata era un raggio di sole ma anche e soprattutto fuori di testa.
 3. Aveva un tatuaggio di coppia con Shouyou Hinata?
 4. Shouyou Hinata era capace di fargli provare imbarazzo come mai prima d’ora era riuscito a fare.
 5. Aveva un tatuaggio di coppia con Shouyou Hinata.
 E moriva dalla voglia di vederlo (e non solo).
 «Shouyou, sei libero martedì?»
 (Sei libero per sempre?)
   
 
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