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Autore: _Kalika_    28/10/2021    1 recensioni
*Questa fanfiction partecipa alla Halloweek 2021, indetta dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
Day 4: Cimitero
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«Eccoli, sono tornati. Perché non li hai mandati più lontano? Nascondimi, presto!»
«È colpa mia!» Si portò subito le mani alla bocca, ma era troppo tardi.
«Lo so, appunto! Ti ho detto di nascondermi!» Lo strattonò con urgenza, trascinandosi ancora di più verso il muro sudicio. «Non sono mai stato nella zona del mercato, devi aiutarmi!»
«Devo?!»
«Sbrigati!»
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«Perché… lo stai dicendo a me?»
«Perché me l’hai chiesto. E perché non lo dirai a nessuno. Non puoi dirlo a nessuno. Giusto?»
«No.»
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STORIA IN REVISIONE! Vi consiglio di passare tra qualche giorno e non leggerla adesso perché a breve modificherò importanti sezioni della storia! Grazie per la pazienza :>
Genere: Fantasy, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaya, Sanji, Usop
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*Questa fanfiction partecipa alla Halloweek 2021, indetta dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
Day 4: Cimitero




Halloween's Truth



«Tanto, tanto tempo fa, c’era una strega che odiava la verità. Odiava la verità e l’amore, e si divertiva a maledire le persone. Come, chiedete voi? Ogni notte di Halloween, quando i suoi poteri diventavano più forti, scagliava un incantesimo: ed erano sempre la verità e l’amore a farne le spese. A volte entrambi. Ho detto che era tanto tempo fa, ma in realtà la storia non è poi così tanto antica: perché, sapete, io l’ho incontrata, e non ha perdonato facilmente ciò che le ho detto…»  


«…e all’improvviso, un’enorme mostro marino attaccò la mia nave! Era lungo quanto tutta la via del Mercato, largo come quattro, anzi cinque, anzi, no, otto cavalli uno affianco all’altro! Aveva le scaglie di un drago, gli occhi di lava, e una lingua nera che sembrava un serpente! Il mostro mi guardò e aprì le fauci ringhiando, e allora io…»
Fece guizzare gli occhi da una parte all’altra della folla, le braccia ancora in aria dopo il tanto gesticolare, ben compiaciuto di trovarli tutti a pendere dalle sue labbra. Li guardò con un sorriso furbetto mentre i più svegli già capivano il da farsi e i bambini tiravano le gonne delle madri.
Qualche secondo ancora di attesa, e il tintinnare delle monete risuonò accanto alle voci dei mercanti, dei cavalli e delle ruote che riempivano la via del Mercato. Il ragazzo le raccolse tutte con gesti teatrali, approfittando del poco spazio vuoto lasciato dal cerchio di persone accanto a lui. Si addossò di nuovo al muro incrostato che gli faceva da proscenio, ringraziò con un inchino, prese un bel respiro e… «e allora, io gridai ai miei uomini: preparatevi alla battaglia! Kaya, ammaina le vele! Rufy, arma i cannoni! Sguainate le spade, guardate la morte in faccia senza paura!» Correva da una parte all’altra del cerchio, raccolse un bastone da terra e mimò qualche affondo «Ma il mostro era forte, era troppo forte! Colpiva i fianchi della nave, e noi ondeggiavamo, e la tempesta ci sferzava il viso, era un inferno! Neanche il più stabile degli equilibristi sarebbe rimasto sui suoi piedi! E poi, oh!, il mostro sparì nell’acqua all’improvviso! E ci colpì da basso! La prua si inclinò verso il cielo, e tutti ci preparammo a dire addio al mondo!» Si buttò a terra, fingendo di dondolare sotto le onde «Rotolavamo verso la poppa come delle biglie! Alcuni di noi caddero in mare! E poi eccolo! Riapparve!» Puntò il bastone contro il cielo, ancora supino, con gli occhi sbarrati nella migliore delle interpretazioni «sembrava invincibile! Ma allora io… io mi tirai in piedi… e mi lanciai contro di lui! Puntai proprio al suo occhio, e…»
«È la volta buona che papà lo rinchiude.»
«Solo se glielo diciamo»
«E noi glielo diciamo»
«Senza prove non ci ascolterà»
«E allora cerchiamo le prove»
«Intanto cerchiamo lui.»
«Ehi!» Tre uomini dall’aspetto distinto si fecero strada tra la folla, finendo nel mezzo della scena. Erano vestiti in maniera uguale, ma ognuno di un colore diverso. Quello rosso si pose davanti al bardo, richiamando l’attenzione della folla. «Qualcuno di voi ha visto un ragazzo uguale a noi, ma biondo?»
Nessuno rispose tranne un mormorio timoroso.
«Ehi ehi ehi! Disturbate pure il mio spettacolo!»
Lo ignorarono completamente. «Se qualcuno dovesse vederlo, riferitelo a noi. Judge lo sta cercando.» A sentire quel nome, la folla trasalì come se avesse visto un fantasma. Accorgendosi che buona parte di loro se ne stava andando, annoiata o intimorita, il ragazzo cercò nuovamente di riprendersi la scena: «Ehi!»
Finalmente, uno dei tre smise di dargli le spalle. E lui trasalì.
Dei due occhi, soltanto uno non era coperto dai capelli. Si stava giusto interrogando su quanto potesse essere comoda un’acconciatura del genere, quando la suo voce gelida lo riscosse. «Non sarà un’interruzione a rovinare i tuoi affari.» Lo sguardo che gli lanciò non ammetteva repliche. «Ma visto che ci tieni tanto a parlare, dimmi: hai visto la persona di cui parlavo?»
Trattenne il fiato. «L’ho visto.»
«E dov’è andato?»
«Di là» alzò un braccio in una direzione a caso, poi si fermò a guardare dove aveva indicato. Non conosceva ancora bene le viuzze di Germa, ma li aveva indirizzati lungo la via principale, che continuava per non più di una cinquantina di metri. Sperò che fosse abbastanza lontano per sparire prima che tornassero.
«Portava con sé qualcosa?»
«Non me lo ricordo.»
«Guardami mentre parli.» Ma non era tanto facile, visto il gelo che emanavano i suoi occhi. Cosa, aveva paura che mentisse se non lo guardava negli occhi? «È tutto?»
«Ho detto tutta la verità.»
Il rosso lo squadrò un istante ancora con diffidenza, ma alla fine scattò e lasciò il posto con gli altri due. Il ragazzo rimase lì, un po’ imbambolato, un po’ incredulo di essersela cavata così, un po’ confuso riguardo a chi fossero quelle persone.
Spostò gli occhi sulla folla, e per un attimo gli sembrò di vedere ancora quello sguardo gelido da qualche parte tra la gente. Ma quando sbattè le palpebre, vide soltanto espressioni impaurite e alcune impazienti. Lui si nutriva dell’impazienza. Accennò un sorriso.
«Poi cos’è successo?»
«Sì, sì, dicci cos'è successo!»
«E allora!» Riprese il mano la situazione e il bastone, un sorriso spavaldo sulla faccia al vedere gli occhi di tutti illuminarsi al risentire la sua voce «E allora, stavo puntando all’occhio del mostro! Saltai, e lo colpii! Riuscii ad atterrare sulla sua testa, e mi aggrappai alle sue corna con una mano, mentre con l’altra gli cavai tutto l’occhio destro, e lo feci cadere sulla nave, così da riequilibrare la prua e la poppa! E quell’occhio era talmente grande che mangiai zuppa di bulbo oculare per due anni!»
«E il mostro? Come ha risposto?»
«Il mostro?? Pensate che dopo aver perso un occhio, avesse ancora voglia di combattere?? No, ve lo dico io. È scappato non appena ho minacciato di attaccarlo di nuovo! E se, nei vostri viaggi, incontraste un mostro marino con un solo occhio, ricordatevi di dirgli che il Grande Capitano Usopp lo saluta!»
Nel tempo di inchinarsi una nuova pioggia di monete aveva fatto tintinnare di nuovo la strada. In che allegra e benestante cittadina era capitato, se erano disposti a pagare così tanto per una delle sue storie più banali!
Guardava la folla, sorrideva, salutava baldanzoso mentre gli spettatori si lasciavano attrarre da nuove bancarelle e grida di mercanti. E all’improvviso, quel poco di folla osservava lui. No, non la folla: solo uno sguardo, un occhio, familiarissimo eppure stralunato, tanto che per poco Usopp non si gelò sul posto.
Quella figura fece un passo in avanti e mostrò un mantello anonimo che copriva stivali e abbigliamento che di modesto avevano ben poco. Ma forse era solo un’impressione! Forse non stava andando davvero verso di lui! Ecco, doveva essere così. Quindi Usopp gli diede le spalle, chinandosi a raccogliere le ultime monete che si era perso e mettendole nella saccoccia alla vita. Quanto guadagno! Quasi quasi tornava prima a casa e… «Dove li hai mandati?»
Non era un’impressione. Anzi era agitato, quasi arrabbiato, e torreggiava su di lui da una distanza che lo fece quasi saltare sul posto. «C-chi?!»
«Quei tre di prima, ti hanno chiesto di me, l’ho visto. Dove li hai mandati? Tra quanto torneranno? Ma lo sai con chi hai a che fare?»
«Ce-certo, io…»
Cosa diavolo doveva rispondergli? Non sapeva nulla di quelle cose! Cercava di trovare una soluzione prima che l’altro si decidesse che la soluzione era divorarlo sul posto, e visto come si guardava attorno freneticamente sembrava che stesse davvero considerando l’idea. Poi all’improvviso si irrigidì e si tirò più giù il cappuccio, chinandosi verso di lui e sussurrando in un ringhio. «Eccoli, sono tornati! Perché non li hai mandati più lontano? Nascondimi, presto!»
«È colpa mia!» Si portò subito le mani alla bocca, ma era troppo tardi.
«Lo so, appunto! Ti ho detto di nascondermi!» Lo strattonò con urgenza, trascinandosi ancora di più verso il muro sudicio. «Non sono mai stato nella zona del mercato, devi aiutarmi!»
«Devo?!»
«Sbrigati!» A quel punto, Usopp prese una decisione alla svelta. Alzò lo sguardo, valutò la situazione. Individuò effettivamente i tre ragazzi di prima, che si facevano largo a forza di gomitate tra la folla. Scandagliavano ogni centimetro della strada. Non conosceva con precisione le strade della cittadina, quindi fece la cosa più logica. Agguantò l’altro per la manica e si allontanò dai tre con passo rapido, ma non abbastanza rapido da destare sospetti. Svoltò al primo vicolo, con l’obiettivo di allontanarsi semplicemente dalla via del Mercato. I colori, i suoni e gli odori festosi scomparvero, lasciando spazio a muri incrostati e ammuffiti e strade strette e vuote. Svoltò un paio di volte, senza sapere precisamente dove stesse andando. Per un po’ si sentirono solo i loro passi a ritmo serrato, poi quando cominciò a riconoscere le strade rallentò. Si trovavano accanto alla piazza, dall’altra estremità della via del Mercato, una zona che aveva già esplorato: Usopp aveva trovato proprio il giorno prima una baracca abbandonata, e contava di riposarsi lì se mai avesse davvero avuto tempo di riposarsi. «Dove siamo? Ci siamo allontanati abbastanza?»
«N…» prima di riuscire a finire la frase, gli si impastò la lingua. «N…» Provò ancora a rispondere, ma non ci riuscì. «…sì?»
«’etto che era uno spreco di tempo.»
«Ti giuro che mi sembrava di averlo visto.»
«Sì, sicuro.»
«No, davvero, l’ho… ehi! Guardate là! Là, in quel vicolo!»
Senza mettersi a riflettere, Usopp agguantò più forte il mantello dell’altro e fece retromarcia. Sfrecciò tra un vicolo e l’altro, questa volta sentendo ben presenti i passi degli inseguitori, e raggiunse la casa abbandonata. Si buttò dentro quasi sfasciando la porta e il compagno di fuga si fece trascinare senza un fiato.
Si rannicchiò in un angolo, ascoltando i passi dei tre inseguitori che si avvicinavano. Sia Usopp che il compagno avevano un accenno d’affanno, e la polvere non rendeva più facile respirare, ma l’ultima cosa da fare era fare rumore.
I tre svoltarono l’angolo e si fermarono, ansimando perplessi.
«Sono scomparsi?»
«Uno dei due era sicuramente quel bardo di prima. È un complice di Sanji?»
Uno sbuffò. «Senti, falla finita. Macché complice e complice. Probabilmente non era neanche lui.»
«Lo dici solo perché li hai persi di vista.»
«Io li ho persi di vista? Chi è che ha detto che erano andati di qua?»
«Io li ho visti andare di qua! Se poi sono scomparsi con chissà che stregoneria non è colpa mia!»
«E quando si è mai visto uno stregone a Germa, razza di testa bacata?»
Con un sollievo che rasentava l’incredulità, Usopp sentì le voci affievolirsi. Si staccò dal muro solo quando sparirono del tutto e si ripulì i vestiti dalla polvere e controllò di avere tutte le sue cose con sé. Allora alzò lo sguardo verso la causa di tante fatiche, che osservava la strada dalla finestra semirotta con un borbottio cupo sulle labbra. La luce rifletteva dai vetri scheggiati luminosi ghirigori sulla sua guancia, e Usopp rimase sorpreso dall’espressione elegante che riusciva a portare anche con addosso un mantello lacero e coperto di polvere.
Alla fine si voltò verso l’artefice della fuga e gli rivolse un sorriso: «Senza di te mi sarei perso tra i vicoli. Grazie.»
Usopp si limitò ad annuire. «Quelle persone sono pericolose?»
«No, sono degli idioti.» Sbuffò riportando lo sguardo verso la strada, uno sbuffo molto simile a quello che Usopp aveva sentito poco prima. «Voglio ringraziarti come si deve.»
«…»
Senza aspettare risposta, che comunque non sarebbe arrivata, il ragazzo tirò fuori dalla tasca interna del mantello tutta una serie di spezie e ingredienti, osservandoli critico e occhieggiando di soppiatto anche Usopp. Alla fine li rimise tutti al loro posto e annuì tra sé e sé. «…ma non posso farlo qui. Facciamo così: ti aspetto stasera, alle dieci, al cimitero reale.»
«Al ci-cimi… che??»
Registrò a malapena l’altro che si levava il cappuccio e lo squadrava critico. Santo Roger, era davvero una copia di quei tre tizi di prima! «Non posso certo farti entrare dalla porta d’ingresso. Ma… lo sai chi sono io?»
«S-sì.»
Corrugò le sopracciglia. «No, tu non lo sai.»
«…»
«Sono il principe Sanji Vinsmoke. Sono il terzo figlio di Judge, il proprietario di queste terre.»
 

 
 La saccoccia si era fatta un po’ più leggera, ma le spalle erano cariche di vivande e quindi Usopp aprì la porta con passo baldanzoso, pronto ad essere accolto dal saluto della sua principessa. «Uso-nii! Come è andata la giornata?»
«Uno schifo totale!» Richiuse la porta con un calcio e posò la spesa sul tavolo per accogliere tra le braccia la sua sorellina, scoccandole un bacio sulla guancia. «Nessuno ha ascoltato le mie tremende storie e ho guadagnato pochissimo!»
Kaya ridacchiò nella sua stretta, poi si liberò per frugare tra le conquiste del giorno.
«E tu cosa hai fatto?»
Senza staccare lo sguardo dal filone di pane e dall’insalata ancora fresca, indicò un cestino posato accanto alla porta: «Ho raccolto un sacco di castagne con la nonnina dall’altra parte della strada!»
«Me lo ricordo, non è affatto periodo di castagne» commentò liberamente Usopp ad alta voce, facendo annuire la piccola. Si erano appena stabiliti fuori dalla città, trovando per pura fortuna una casetta vuota, e Kaya già faceva amicizia con gli anziani della zona! Sperò che riuscissero a restare a lungo nei pressi di Germa. Ci sarebbero riusciti, se non avesse fatto danni… «Ah, guarda cosa non ti ho comprato!»
E cominciò a frugarsi nella saccoccia mentre Kaya ridacchiava. Per non dire la verità, a volte, bastava aggiungere un “non”, e la soluzione era talmente semplice da risultare divertente. Usopp le porse un piccolo paio di guanti di lana, che lei provò tutta contenta. Il freddo si stava facendo sempre più pungente e Usopp non aveva potuto ignorare le sue manine rovinate dal cambio di temperatura. «E per te non li hai presi?»
«Io non ne ho certo bisogno!» E lo disse con un tono così convinto, così baldanzoso, che Kaya quasi si scordò della maledizione.
  «È successo qualcosa di bello oggi?» «Niente di particolare»
Gli occhi di Kaya brillarono, il cucchiaio a metà tra la ciotola di zuppa di castagne e la bocca. «Cos’è successo? Hai incontrato qualcuno?»
«No» e sogghignò, felice di intrattenere la sua principessa con quelle bugie che alla fine, per lei, dicevano la verità chiara come il sole.
«Oh! E com’è? È una persona simpatica?» Prese una fetta di pane con un’energia che mal celava la gioia di poter mangiare tanto cibo tutto in una volta.
«So tutto di lui. Non è un principe.»
«Un principe! Il principe di questa città?? E ti ha parlato?»
«Non ci siamo detti una parola.» La vide posare il cucchiaio per un breve applauso, affamata di informazioni. «E lo rivedrai?»
«Mi ha chiesto di non incontrarlo… stasera. Ma-» posò una mano sul tavolo come a fermare il filo dei pensieri, suoi e di Kaya «Kaya, penso che ci andrò.» Gliela vide negli occhi, la delusione, e gli si strinse il cuore al vedere quegli occhietti rabbuiarsi.
«Ma… è un principe. Perché?»
«Lo conosco bene. Mi fido di lui. Mi ha chiesto di incontrarlo in un luogo molto sicuro. E in più, voglio lasciarti da sola di notte.»
«Se è per questo, vado dalla nonnina fino a che non torni.»
Ma non era convinto, e Kaya lo sentiva. «Uso-nii, è un principe… potrebbe aiutarci.»
Kaya aveva ragione, come al solito. Sanji era un principe e per quanto fosse stato quasi altezzoso all’inizio, sembrava una brava persona e voleva davvero ringraziarlo per l’aiuto. Ma da questo ad aiutarli? C’era una differenza fin troppo grande. E come avrebbe reagito al capire la sua maledizione? Certo, però, andare almeno a parlargli almeno una volta…
Interruppe i ragionamenti al vedere Kaya fissare la sua ciotola vuota mentre raschiava i residui di cibo col cucchiaio. Era una bambina, ma aveva un appetito eccezionale. «Ecco» le spinse la sua zuppa, carezzandole la testa mentre alzava gli occhi dubbiosa. «E mangia lentamente, perché non ti sto per portare dalla nonnina.»
 


  Il cimitero reale di notte non era sorvegliato. Usopp scavalcò la recinzione con facilità, trovandosi in un dedalo di lapidi e imponenti monumenti funebri. Incontrò all’improvviso un gatto randagio, e tanto bastò per convincerlo che aveva fatto la scelta sbagliata. Ma ormai era tardi per tirarsi indietro, e il volto sconsolato di Kaya lo spingeva a muovere un passo dopo l’altro.
A mano a mano che avanzava verso l’altissima torre del castello, le decorazioni sulle lapidi si facevano sempre più raffinate. Era curioso di leggere gli epitaffi, ma la luce della luna non illuminava abbastanza per poterlo fare: e fermò i suoi pensieri solo quando si accorse che si stava augurando, per chissà quale motivo, di tornarci di giorno. Al cessare le sue fantasie, gli orrori della notte sembrarono pervaderlo da cima a fondo.
Sentiva all’improvviso gli insetti strisciare sulle tombe, e un brivido lo scosse quando gli sembrò di averne uno sulle spalle. Un ululato lontano rimbombò fin dentro le sue orecchie, e forse più che un ululato era un miagolio ma che importava?? Sempre di una creatura oscura e pericolosa si trattava.
Allora aumentò il passo, senza ben sapere dove stesse andando. Cominciò ad annaspare da tanto stava correndo, ma qualcosa gli alitò sul collo. Chi c’era? Era davvero da solo, in quel macabro labirinto?? Chi respirava oltre a lui? Chi faceva eco alle sue orme?
Raccolse tutto il suo coraggio e si voltò. Ad osservarlo c’era soltanto una severa statua di un uomo dal naso aquilino e una corona d’alloro sulla testa. Eppure continuava a sentire un respiro diverso dal suo, che si avvicinava, e ancora, e ancora, e… «Eccoti!»
Spuntò alle sue spalle! E non era ancora atterrato dal salto di due metri quando si girò a guardarlo.
«Ti ho spaventato?»
«Ma-macché!!»
Aveva probabilmente la stessa espressione corrucciata di quella mattina, ma nella penombra notturna sembrava molto più serio. Eppure bastò che accennasse un sorriso perché Usopp si sentisse un po’ più al sicuro. «Vieni con me»
Lo guidò fino alle mura del castello, collegate all’esterno da una porticina di legno quasi marcito. Cigolò un po’ quando la spinse, e si ritrovarono ai piedi di una scala a pioli che sembrava tanto alta da portare direttamente alla torre di guardia.
Salirono una manciata di gradini illuminati dalle torce, e si fermarono in un piano da cui proveniva un odore di cibo che Usopp non aveva mai assaggiato, ma che era sicuro fosse di altissima qualità. Sanji recuperò una torcia dal muro e i due si addentrarono nelle cucine deserte. Anche i corridoi delle cucine sembravano un labirinto per Usopp, ma l’altro vi si immergeva con un agio piuttosto insolito per un principe. Alla fine arrivarono al camino, stranamente acceso, dove un pentolino borbottava pacato. Appesa la torcia in un angolo, Sanji rimescolò il contenuto della pentola e si girò a triturare delle erbe per poi unirle al composto.
Usopp prese posto in silenzio su uno sgabello, mettendo insieme un pezzo dopo l’altro.
«Perché i tuoi fratelli ti inseguivano?»
Sanji alzò lo sguardo all’improvviso, come se non si fosse aspettato di ricevere domande, e Usopp trasalì. Temette di essersi appena giocato la gratitudine del principe, quando quello scosse appena le spalle e tornò alla ricetta: «Mio padre non vuole che io cucini. È una cosa da servi, dice.»
Prese del pane nero e iniziò a tagliarlo in fette sottili. «…ma a me piace molto.» Gesticolò attorno con il coltello ancora in mano, ma Usopp non si sentì in pericolo. «..e quindi lo faccio quando non c’è nessuno. Ma avevo voglia di scegliere gli ingredienti da solo, per una volta.»
Usopp avrebbe voluto commentare, dirgli che aveva capito, ma avrebbe rovinato tutto. Quindi rimase in silenzio, cercando di non sentirsi a disagio per le occhiate che l’altro gli mandava. «Sono andato al mercato, ma i miei fratelli mi hanno beccato. Poi il resto lo sai.» Concluse con uno sbuffo.
«Perché… lo stai dicendo a me?»
«Perché me l’hai chiesto. E perché non lo dirai a nessuno. Non puoi dirlo a nessuno. Giusto?»
«No.» Gli sembrò per un istante di essere a casa con Kaya, perché mai prima di allora gli era capitato di rispondere con tanta disinvoltura a qualcuno che non fosse sua sorella sapendo che l’avrebbe compreso al volo. E infatti, lo sguardo che gli rivolse Sanji confermò la sua tesi.
«Perché parli così?»
«Ci sono nato.»
«Quindi non ci sei nato. Cos’è, non vuoi dirmi il perché?» Si alzò dalla sua postazione e Usopp si trovò a reggere il suo sguardo senza un filo di paura. Mentre toglieva il pentolino dal fuoco, scrollò le spalle con un sorriso tirato. «Allora, diciamo che non è a causa di una maledizione.»
«Capisco…»
Versò un paio di mestoli di zuppa in una ciotola, vi aggiunse le fette di pane e qualche altra spezia. Lo osservò intensamente mentre gli passava il piatto, così tanto che Usopp a malapena represse l’impulso di sistemarsi i ricci caduti fuori dalla coda. «E c’è un modo per levarla? La maledizione, intendo»
«Non c’è. E non mi va bene vivere così per sempre.»
«Ma come? Se puoi spezzarla…»
Usopp lo guardò serissimo. E tanto bastò per non fargli aggiungere altro. Lo guardò osservare la zuppa quasi fosse timoroso di mandarla giù, e gli si avvicinò con un sorriso. «Voglio un parere sincero.»
Rise. «Allora hai scelto la persona giusta.»
 

 
«Sanji, questo è lo stufato più disgustoso che abbia mai assaggiato!» La lingua in estasi, gli occhi sgranati per non perdersi neanche un goccio di quella meraviglia. «Lo dici sempre» rise Sanji, il cuore sollevato. «Il peperoncino ci sta bene?»
«Ci fa proprio schifo. Leverei dello zenzero.»
«Sicuro? Così diventa ancora più piccante.»
«Appunto» e per poco non leccava la ciotola, da quanto era divino «Odio il piccante.»
 
 
«Ma come fai? Ogni dolce è più tremendo dell’altro!»
E Sanji rideva, rideva. «Non mi sono ancora abituato» ammetteva a volte «ogni tanto mi fai perdere fiducia nelle mie capacità»
«Eppure ci hai messo tanto a capire come parlavo»
Prese posto dall’altro lato del tavolo, allungando le braccia verso il bordo opposto e verso Usopp «Mah, in realtà non è che l’abbia capito proprio subito, eh»
«È strano»
«Immagino di sì. Quando hai detto che “era tutta colpa tua” se i miei fratelli mi inseguivano… voglio dire, non lo pensavo neanche io!» E scoppiò a ridere al ricordo dell’incontro di tante settimane prima.
Usopp si stravaccò sullo sgabello, lasciando vagare lo sguardo lungo il soffitto della cucina notturna. Poi passò alle pareti, fino alle finestre che davano sulla campagna. Se si fosse affacciato, probabilmente sarebbe riuscito a vedere la casa dove Kaya stava dormendo. «Te l’ho mai detto che la notte in cui ci siamo incontrati volevo davvero venire qui?»
«Non lo sapevo» rispose Sanji arcuando le sopracciglia. «Come mai?»
«Cimitero? Di notte? Con uno sconosciuto?» E ringraziò che la maledizione non aveva effetto sulle domande brevi e retoriche come quelle, perché altrimenti non sarebbe riuscito a mantenere il tono sarcastico che voleva. «Non avevo affatto paura di venire qui.»
Senza neanche guardarlo, sapeva che Sanji si stava passando la mano sul collo. «Okay, hai ragione. Era una richiesta un po’ strana.»
«Un po’
«Però sei venuto alla fine, no? Come mai ti sei deciso?»
«Non mi ha convinto Kaya»
Lo sentì sospirare, e allora si voltò verso di lui. «Vorrei conoscerla. Com’è, una brava bambina?»
Gli crebbe un sorriso affettuoso sul volto. «La peggiore del mondo» e qualcosa gli scaldò le orecchie mentre Sanji lo guardava e ricambiava.
 
“Vinsmoke Sora”
Una lunga poesia decorava la lapide insieme alla statua di una ninfa che sembrava avvolgere la pietra in un abbraccio lacrimato.
«Non vorrei averla conosciuta»
E per quanto sapesse che Sanji aveva capito, gli sembrava terribilmente sbagliato dire ad alta voce quel “non”.
Si schermò dal sole con la mano mentre leggeva un verso dopo l’altro, e Sanji accanto a lui lo simulava per quella che sospettava fosse la millesima volta.
 

«E se…» girò la testa fino a poterlo guardare. Catturato dalla sua voce, anche Usopplo imitò. «E se dicessi qualcosa tipo “sto mentendo”?»
«Un paradosso?»
«Eh, esatto. Se dici che stai mentendo, vuol dire che non stai dicendo la verità. Ma se menti, stai dicendo la verità. Uhm, non l’ho spiegato molto bene. Comunque sì, un paradosso. Che succede?»
Il cielo era chiaro, prossimo al tramonto. L’erba su cui erano sdraiati sembrò farsi più fredda, e così lo sguardo fisso di Usopp. Guardò una lapide. «Non lo so. Penso che sopravvivrei.»
 
«Tra qualche settimana è Halloween»
Ingoiò il boccone prima di alzare le sopracciglia. «E..?»
«E di solito, ad Halloween, la gente di Germa si traveste da mostri.»
«Anche tu?»
«Anche io» ridacchiò. «Quello che volevo dire, è che nessuno avrà da ridire se la gente vede un vampiro e un essere maledetto alla festa del paese.»
«Sembra un’idea orrenda.»
«Può venire anche Kaya, se vuole.»
«Non vorrà di sicuro.»
«Allora abbiamo un accordo. L’unico problema è che prima della festa, ci sarà una battaglia. È una sorta di rito che abbiamo con il paese vicino, ma è un po’... violento.»
Il sorriso scomparso.
«Non sei in pericolo, vero?»
 
 

Il cimitero di notte era freddo e buio quando non c’era Sanji.
Usopp ormai lo conosceva a memoria, ma le anime sembravano riflettere la sua irrequietezza.
Poi, la porticina di legno quasi marcito si aprì.
Ne uscì un Sanji un po’ malconcio, con un occhio livido e un braccio fasciato.
«Fai di nuovo una cosa così pericolosa, provaci!»
Le braccia attorno al suo collo, la testa sul suo petto, stretto stretto come se stesse per scappargli via.
«Mi dispiace. Non posso sottrarmi alle battaglie del mio regno.»
Respirò forte contro di lui, scosse la testa contro il suo mento. La mano che gli carezzava i capelli non alleviava neanche un grammo delle sue pene.
«Ti ho fatto preoccupare?»
Mai come allora aveva voluto gridare sì.






***Angolo dell'Autrice***
Lo so, lo so, è tremenda. L'ho scritta letteralmente in mezza giornata e me ne pento. Tornerò a sistemarla, prima ancora di continuarla.
Abbiate fiducia, so che l'idea ha potenziale e non intendo sprecarlo perché sono stata pigra e mi sono trovata con tutto da scrivere all'ultimo minuto.
A presto dunque!

Kalika
   
 
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