Serie TV > Il paradiso delle signore
Ricorda la storia  |      
Autore: InvisibleWoman    31/10/2021    0 recensioni
Questa one shot (shottona, sorry) prende inizio dopo gli eventi della mia long (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3977118&i=1). Rocco è partito per Roma per fare il ciclista, Irene è rimasta a Milano. Le cose, però, non stanno andando come avevano previsto e pian piano si rendono conto che questa relazione a distanza potrebbe essere più complicata di quanto si aspettassero.
Il tutto scorre seguendo le vicende reali del Paradiso (a parte l'ovvia eccezione che gli Irocco sono finiti insieme e un'altra piccola sorpresa), ma è anche legata alle altre one shot fatte in precedenza (come ad esempio la menzione che faccio alla notte trascorsa in magazzino che non è realmente accaduta nel canon, ma è avvenuta nella mia primissima one shot su di loro).
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia è legata alla long che ho scritto questa estate. Prende luogo tre mesi dopo la fine di quella, e coincide più o meno con l'inizio della nuova stagione del Paradiso in TV. 

---

La parte difficile di ogni cambiamento era abituarsi a quel cambiamento. Accettare che le cose non sempre andavano come le si era immaginate e farsene una ragione. Irene non era mai stata brava in questo. Faceva fatica ad accettare qualsiasi deviazione dal percorso che lei aveva immaginato per se stessa e per le persone che le stavano accanto. Voleva avere lei il controllo della situazione, il coltello dalla parte del manico. Eppure raramente la vita lo permetteva. Le cose non andavano quasi mai come le aveva previste e ogni volta doveva ritornare lungo il selciato, ritrovando la via più corretta per proseguire, come faceva sua madre con l’enorme mappa che controllava in macchina durante i loro rari e sporadici viaggi di famiglia. Nonostante tutto, Irene era abbastanza caparbia e determinata da non arrendersi davanti agli ostacoli. Sebbene le cose sfuggissero al suo controllo, era abbastanza intelligente e forte da non lasciarsi abbattere e andare sempre dritta per la sua strada. 
Nonostante lo avrebbe ammesso a fatica, le prime settimane erano state dure. Molto dure. Non aveva mai passato così tanto tempo senza vedere lui e la sera si ritrovava come una stupida attaccata alla cornetta del telefono della caffetteria in attesa che squillasse per poter risentire la sua voce. Si vergognava quasi di se stessa pensando a come un banale magazziniere l’avesse ridotta. Lei, la donna sicura e spavalda, che dava consigli alle amiche su come accaparrarsi lo scapolo migliore di Milano, invitandole soprattutto a lasciarsi desiderare, si ritrovava ad aspettare sin dalla mattina il momento in cui avrebbe parlato nuovamente con Rocco. Un po’ come lui, con agognante entusiasmo, aspettava che la notte passasse per poter fare colazione. 
Era diventata loro abitudine quella di chiamarsi una volta durante i giorni feriali e una volta sola durante il fine settimana, dato che Rocco aveva spesso gare fuori porta. Si raccontavano della loro settimana, lei in genere si lamentava di tutto, dalle clienti indisponenti alle colleghe poco collaborative. Rocco, invece, aveva solo parole di entusiasmo per quella esperienza nella capitale, e Irene ascoltava divertita tutti i suoi racconti pronunciati con la tipica voce concitata di un bambino che raccontava le sue mirabolanti imprese. 
“Però mi manchi, Irè” ogni sera concludeva allo stesso modo la loro conversazione. Come a voler sottolineare che sebbene stesse seguendo il proprio sogno e fosse felice della direzione che stava prendendo la sua vita, c’era qualcosa che mancava: lei. Sarebbe stato tutto diverso se Irene fosse stata lì presente. Si sarebbe sentito totalmente realizzato, avrebbe vissuto la vita che non aveva nemmeno creduto di poter desiderare e non si sarebbe più guardato indietro. Certo, non avrebbe mai messo da parte la sua famiglia ma, sebbene anche loro gli mancassero, era Irene quella senza cui non riusciva proprio a stare. Il suo corpo e la sua testa erano lì a Roma, ma il suo cuore era a Milano. Quella felicità non sarebbe mai stata piena senza di lei. 
“Lo so” ribatteva sempre Irene arricciando il naso nel modo in cui a Rocco piaceva sempre tanto, anche se in quelle occasioni non poteva vederla. E poi, velocemente, come se cercasse di non farlo notare troppo, aggiungeva sempre un “anche tu” che riempiva il cuore di Rocco. Sapeva che le dimostrazioni di affetto da parte di lei non erano all’ordine del giorno e non sempre venivano facili come a lui. Per cui, ogni volta che accadevano, lui se ne beava, come se gli avessero fatto il regalo più prezioso. 
Tuttavia, c’erano anche delle giornate no. Le volte in cui la lontananza si faceva sempre più insopportabile, Irene diventava la solita Irene, quella che le ragazze ricordavano fin troppo bene: saccente, arrogante, indisponente e, se l’avesse fatta Dora, la lista sarebbe continuata all’infinito. Non aveva mai totalmente perso quelle caratteristiche, ma Stefania si ostinava a ripetere alle sue colleghe che l’amore, in fondo, l’aveva un po’ ammorbidita. In quelle giornate no, però, tutte loro le rivolgevano delle plateali occhiatacce che avevano un unico significato. “Meno male che era cambiata” diceva allora Dora, l’unica in grado di dire apertamente quello che tutte esprimevano solo con lo sguardo. 
La partenza di Rocco non era stata l’unica deviazione dal percorso prestabilito a cui Irene si era dovuta abituare. La verità era che il suo progetto era stato sin dal principio troppo ambizioso. La vita era imprevedibile e se Irene e Rocco potevano controllare le proprie azioni, lo stesso non si poteva dire delle persone che facevano parte della loro vita. Gli impegni sul lavoro, soprattutto nell’ultimo periodo, avevano reso impossibili i loro incontri. Si era ritrovata a sbuffare alla cornetta davanti all’ennesima partenza rimandata e lo stesso aveva dovuto fare lei annullando all’ultimo quell’unico fine settimana in cui era riuscita a organizzare la sua breve permanenza a Roma. In quei tre lunghi mesi Irene non era ancora riuscita ad andare a trovarlo. Non era semplice per una donna della sua epoca spostarsi da sola in giro per l’Italia. Non che a lei importasse, ma era stato Rocco a preferire di raggiungerla lui, approfittandone per rivedere anche la sua famiglia. Eppure erano riusciti a vedersi nemmeno la metà delle volte che avevano invece preventivato prima della sua partenza. 
“Mi dispiace, Irè, tu giuru non è colpa mia. M’hanno messo una gara proprio stu sabato. E io ce l’avevo detto che dovevo tornare a Milano, ah” aveva provato a scusarsi lui. 
“Tanto, ormai…” aveva ribattuto lei sconsolata.
“Au, ma comu ormai” Rocco era subito entrato in allarme. “Guarda che sabato prossimo sono là. Amunì, cascasse il mondo, io su quel treno ci salgo, te lo dico” aveva aggiunto determinato.
“Chissà” Irene aveva concluso con poco entusiasmo, ormai abituata a quei cambio di programma.
Avere una relazione a distanza era come stare sulle montagne russe: a fasi di felicità ed entusiasmo ogni volta che lo rivedeva o attendeva il suo arrivo, si alternavano momenti in cui pensava che non sarebbero mai riusciti a farla funzionare. Poi però, senza che nemmeno se ne rendesse conto, qualcosa era scattato in lei e quella era diventata la nuova normalità. 
“Ci si abitua a tutto” le diceva sempre sua madre ogni qualvolta Irene si faceva prendere dallo sconforto. Ci si abitua all’assenza, ai dintorni che cambiano, al dolore che lentamente diventa un rumore sordo, di sottofondo. Ci si abitua a tutto, aveva ragione lei.  L’abitudine, spesso vista come la tomba dei rapporti, la morte di qualsiasi forma di vita, che impedisce di crescere e andare avanti, in certi frangenti diventava quasi una consolazione. Tutto quello che sembrava difficile e insormontabile, la mente dopo un po’ iniziava ad accettarlo, alleviandone la pena. Ogni giorno diventava sempre più facile. Non si aspettava più di sentire la sua grande mano bussare alla porta di casa la mattina per darle il buongiorno. Andando in magazzino a prendere i riassortimenti, non erano gli occhi di Rocco quelli che cercava. Non c’era lui ad aspettarla all’uscita per fare la strada di casa insieme. Tutto quello che prima aveva fatto parte della sua quotidianità e da cui all’inizio si era sentita strappata, a un certo punto era semplicemente diventata la normalità. E questo non voleva dire che lo amasse di meno o che non le facessero effetto le sue visite rimandate. Significava solo che la sua assenza non faceva più così male. E in fondo era meglio così.

 

28 settembre 1962

  “No, zì, non ci dire niente a Irene, ci voglio fare una soppresa” aveva detto Rocco al telefono alla zia Agnese la sera prima di mettersi in viaggio. Quella mattina aveva preparato un piccolo borsone con alcuni cambi, buttati un po’ alla rinfusa e, con in mano i biglietti del treno, si era recato in stazione. Non sarebbe rimasto a lungo a Milano, gli impegni che lo legavano a Roma erano troppi. Però era riuscito a ottenere anche il venerdì, quindi avevano tre giorni da passare insieme e aveva tutta l’intenzione di goderseli fino all’ultimo, soprattutto l’espressione stupita di Irene quando lo avrebbe visto arrivare al grande magazzino.
Nonostante la lontananza, la sua vita a Roma gli piaceva. Era molto diversa da ciò a cui era abituato e da quello che gli avevano insegnato quando abitava a Partanna. Viveva da solo, doveva badare a se stesso e occuparsi di tutto. Un tempo non ne sarebbe stato in grado. Il Rocco appena arrivato a Milano, che non voleva nemmeno spostare un bicchiere dalla tavola al lavello, non sarebbe mai riuscito a vivere da solo. In realtà aveva preso un minuscolo appartamento che divideva con un compagno della squadra di ciclismo. Anche Giacomo veniva da fuori e capiva perfettamente gli stati d’animo di Rocco. Erano due giovani del sud che faticavano a tenere il passo in una città tanto carica e movimentata come Roma.
Rocco era felice di poter condividere l’appartamento con qualcuno, gli faceva sentire meno la mancanza di casa. Quel ragazzo, dal carattere molto più esuberante del suo, gli ricordava un po’ la sua Irè e lo spronava, come lei, a fare cose che normalmente non avrebbe creduto di saper fare. Persino trasferirsi a Roma da solo lo doveva a lei. Nei tre anni che si erano conosciuti, Irene gli aveva dato fiducia in se stesso, lo aveva sempre spronato a scegliere per se stesso e fare le cose da solo perché lo riteneva del tutto capace di farle. Era l’unica che non lo aveva mai trattato come un bambino e se adesso poteva vivere da solo in una grande città come Roma, lo doveva anche a lei. Senza il suo intervento nel corso di quei tre anni, Rocco era certo che si sarebbe fatto influenzare dalla sua famiglia. Le parole di sua zia che lo trattava ancora come un neonato, e le prese in giro di suo cugino Salvo, gli si sarebbero insinuate dentro e lo avrebbero portato a desistere dall’idea di andarsene tanto lontano. Non avrebbe mai creduto di essere in grado di farcela. Sarebbe stato un sogno troppo grande per una persona di umili origini come lui. Invece si stava destreggiando bene, anche se a fatica. Era fiero di se stesso: riuscire a farcela con le proprie forze lo faceva sentire importante, lo faceva sentire un uomo. Lo faceva sentire degno di Irene.
Era partito da Roma alle cinque di mattina di quel venerdì di settembre. Il treno impiegava poco più di sei ore per arrivare a Milano e lui non voleva sprecare l’intera mattinata partendo più tardi. Così aveva optato per una levataccia, a cui in fondo era già abituato quando in Sicilia si occupava dei campi. Era un mattiniero, gli piaceva sentire il gallo che cantava, osservare l’alba, e occuparsi delle pecore in silenzio e in solitaria. Forse anche perché a quell’ora suo padre non c’era e non aveva motivo di riprenderlo o colpirlo se non faceva le cose come lui avrebbe voluto. Era uno dei pochi momenti di calma e tranquillità che aveva a Partanna, il suo momento preferito della giornata. Adesso che era diventato un uomo di città, aveva imparato a dormire un po’ più a lungo, anche perché non c’erano più pecore di cui occuparsi o galli da ascoltare, c’era solo il silenzio e una casa addormentata. 
Si era quindi appisolato per quasi tutto il tragitto e fu bruscamente risvegliato dal fischio del treno che annunciava l’arrivo a Milano. Tutto trafelato scese dal mezzo, senza dimenticarsi il borsone, e si guardò intorno un po’ spaesato, cercando di ritrovare la lucidità dopo quel lungo pisolino. Si incamminò verso l’uscita a passo spedito tra uno sbadiglio e l’altro, tutto contento di poter finalmente rivedere Irene. Finché d’un tratto non notò un volto conosciuto.
“Robbè!” esclamò avanzando sorridente verso quella figura. “Che ci fai tu qua?” chiese a Roberta Pellegrino, la venere con cui aveva condiviso il giorno di un esame tanto tempo prima. Non la vedeva da parecchio tempo, da quando si era trasferita a Bologna per lavoro. Un tempo avrebbe provato sdegno per una donna come lei, che anteponeva la carriera alla famiglia e all’amore. Col tempo invece aveva imparato ad ammirare la sua forza di volontà. In fondo avevano preso entrambi strade simili, sebbene con obiettivi diversi. Tutti e due si erano allontanati da Milano e dal Paradiso per seguire i loro sogni. Con la differenza che il suo rapporto con Irene non si era troncato a causa di quel trasferimento, come aveva fatto invece quello tra Marcello e Roberta. 
“Rocco!” pronunciò lei a sua volta, andandogli incontro. “Piuttosto che ci fai tu qua?” gli domandò sorridente, ma perplessa.
“Ti sei persa tante cose, ah. Ora vivo a Roma. Faccio il ciclista professionista” disse dandosi un tono, tutto fiero del percorso che aveva deciso di intraprendere.
“Ah, è vero, Marcello me l’aveva detto. Sei venuto a trovare Irene, allora?” chiese lei.
Il volto di Rocco si trasformò in un’espressione interrogativa. La guardò confuso per qualche istante, cercando di processare quelle informazioni che non combaciavano con la sua visione dei fatti. 
“Io e Marcello siamo tornati insieme, Rocco” gli spiegò lei, ponendo per fortuna fine a quella tortura.
“Vero, dici?!” esclamò contento, abbracciandola come se avessero fatto un regalo a lui. Le due volte che era tornato a Milano in quei tre mesi, li aveva trascorsi unicamente con Irene e la sua famiglia. Tutti loro avevano dato poco spazio ai pettegolezzi, e forse in fondo nemmeno erano a conoscenza di quella sorpresa. Tuttavia si corresse mentalmente subito dopo: no, Irene doveva saperlo per forza. Conosceva fin troppo bene la sua fidanzata.
“E come è successo? Avanti, racconta!” le disse, dandole una leggera gomitata per spingerla a parlare e soprattutto a camminare verso l’uscita. Avevano tutto il tempo dalla stazione al Paradiso per aggiornarsi. 
Rocco aveva ascoltato con particolare interesse il racconto di Roberta durante il tragitto in corriera. Quel lavoro pagava più di quello da magazziniere, ma era anche vero che spendeva quasi tutto in affitto e in biglietti del treno, così aveva optato per un semplice ed efficace mezzo pubblico anziché un taxi, che erano pure parecchio costosi. 
“Ah, e quindi era tutta una finta?” aveva domandato Rocco cadendo dalle nuvole.
“Beh, Rocco, finta fino a un certo punto” si era stretta nelle spalle, incupendosi di colpo. Era vero che aveva deciso di dare un’altra opportunità a Marcello e al loro rapporto, soprattutto dopo averlo visto raggiungerla a Bologna per dirle tutta la verità. Eppure una parte di sé non riusciva a fidarsi più completamente di lui dopo la sua breve parentesi con Ludovica. Era iniziata come una finta, come diceva Rocco, eppure era continuata realmente dopo la sua partenza. A detta di Marcello era il suo modo per non pensare agli errori commessi e andare avanti, nascondendo la testa sotto la sabbia. Non aveva contato nulla, era una storia passeggera, non erano fatti per stare insieme e tutte le solite scuse che gli uomini rifilavano alle donne dopo averle tradite ed essere tornati con la coda tra le gambe. Lei si definiva troppo obiettiva e logica per credere a tali buffonate, eppure i suoi occhi le parevano sinceri e lo amava ancora talmente tanto che aveva deciso di cedere. Dopo un bel po’. Lo aveva fatto penare parecchio, tenendolo sulle spine. Marcello aveva dovuto dimostrarle di meritarsi un’altra possibilità, prima di ottenerla realmente. Il periodo di prova in realtà non era affatto finito, ma se si trovava a Milano era perché vedersi, frequentarsi e parlarsi era l’unico modo per capire se quella storia potesse ancora funzionare o se stessero finendo per prolungare unicamente quell’agonia. 
“Perdonalo, amunì” le disse Rocco mentre la corriera stava per arrivare alla fermata. “Se ti posso dire la mia: quella là non mi aveva mai convinto per Marcello. Non era bona pi iddu” liquidò l'argomento con un gesto della mano, afferrando poi il borsone per scendere dal mezzo. 
Roberta non replicò ma lo seguì a sua volta, guardando con tenerezza il volto teso di Rocco che fissava l’entrata del grande magazzino. 
“Sei preoccupato? Vedrai che le farà piacere” stavolta fu lei a spingerlo a proseguire.
“Sì, ma sicuro chidda prima mi dà un timpuluni per tutte le volte che ho dovuto rimandare” ammise preoccupato per la reazione della sua fidanzata, che non era esattamente conosciuta per il proprio autocontrollo. 
“Ma no, sono certa che sarà più che contenta di vederti” lo rassicurò. “Certo, conoscendola un timpuluni, come dici tu, non posso del tutto escluderlo” ridacchiò mentre apriva la porta del Paradiso.
“Avà” la riprese lui con tono lamentoso, entrando poi per cercare subito con lo sguardo Irene. 
La trovò vicino ai camerini che parlava con sua zia Agnese. Furono infatti le altre a notarlo per prime e lui fece loro cenno di fare silenzio portandosi un dito alle labbra. Si avvicinò piano a lei, mentre il cuore gli batteva forte in petto. In genere non era bravo con le sorprese. Un po’ perché non era abbastanza subdolo da organizzarle, e in parte perché Irene era talmente scaltra da scoprire subito quando lui le nascondeva qualcosa. In quei pochi mesi insieme aveva capito quanto sarebbe stato difficile coglierla in contropiede. Eppure quella volta l’avrebbe spuntata lui. 
“Signora Agnese, proprio lei cercavo” disse Irene.
“E che è successo, Irè” rispose lei avvicinandosi trafelata. 
“Questi sono gli aggiusti che deve fare” la informò, inconsapevole dell’uomo alle sue spalle che lentamente si avvicinava a lei, troppo impegnata a sorreggere una quindicina di abiti per accorgersene.
“Tutti questi? Ma hai preso bene le misure? Hai appuntato gli spilli?” domandò Agnese poco convinta.
“Certo, signora Agnese. Mi ha insegnato lei, non ricorda?” rispose Irene con un sorriso tirato, mollandole di colpo tutti i vestiti tra le braccia. Ricordava fin troppo bene quel giorno di qualche settimana prima quando la signora Agnese l’aveva raggiunta ai camerini mentre si occupava di una cliente. 
“Irè, non si fa così” l’aveva ripresa e lei aveva sospirato con rassegnazione, preparandosi mentalmente all’ennesima sua ramanzina. Non era mai abbastanza brava a fare nulla, c’era sempre qualcosa per cui Agnese Amato ritenesse necessario correggerla. Quel giorno, tuttavia, si era mostrata quasi paziente e clemente nei suoi confronti. Irene aveva aggrottato le sopracciglia per lo stupore e aveva lasciato che la signora Agnese le spiegasse come fare. Era un tentativo, un primo passo verso di lei. Un segno che forse, solo forse, iniziava ad accettare la sua presenza. 
“Perché ride? Non si fida?” Irene s’imbronciò di colpo, sentendosi d’un tratto delle mani sugli occhi, come lei faceva con Rocco quando lo sorprendeva in magazzino.
“Chi è? Non è divertente” Irene esclamò d’istinto, sussultando. Poi riconobbe il profumo della sua colonia e si voltò di scatto, sgusciando dalla sua presa.
“Rocco!” gli gettò le braccia al collo, mentre lui la stringeva a sé, avvolgendole la schiena. “Che ci fai qua?” continuò stupita. Non sapeva cosa dire. Non aveva creduto fino in fondo alla sua promessa. Era talmente abituata a vederlo rimandare, che aspettava la telefonata di quella sera come un condannato davanti al patibolo. 
“Ti volevo fare una soppresa” le rivelò tutto tronfio. “Hai visto che ci riesco pure io?”
Quell’aria così sicura che la mandava sempre fuori di testa la portò a prendergli il viso tra le mani e stampargli un bacio sulle labbra lì davanti a tutti, lei che in genere non apprezzava questi gesti plateali, né da protagonista e né da semplice spettatrice. 
“Ehm, avanti, piano, con calma” intervenne la signora Agnese, frapponendosi tra i due. “Irè, c’è una signora che sta aspettando in camerino, avanti” aggiunse facendole un cenno con la testa. “Li perdoni, signora, sono ragazzi” disse invitando con un gesto della mano i due ad allontanarsi, mentre lei si rintanava in atelier con quella mole di vestiti.
“Rocco, io…” pronunciò vicina alle scale.
“Sì, zì, ora vengo” la bloccò immediatamente. Tanto sapeva già che gli avrebbe chiesto di raggiungerla al piano di sopra per fargli il terzo grado. Ma prima voleva un momento con lei.
Rocco e Irene ridacchiando si spostarono verso la porta che dava sul magazzino, nascondendosi meglio dall’occhio di falco della capocommessa. Non appena si riprese dalla sorpresa, come risvegliata all’improvviso da uno stato di trance che l’aveva brevemente addolcita, Irene tirò uno schiaffo sul braccio di Rocco.
“Avà!” rispose lui rassegnato. “U sapeva iu” si imbronciò, cercando con lo sguardo Roberta in cerca di comprensione.
“Per tutte le volte che mi hai dato buca e mi hai lasciato qua da sola con tua zia!” ribatté lei fintamente arrabbiata. A dirla tutta in quei tre mesi era avvenuto il miracolo: persino il suo rapporto con la signora Agnese era vagamente migliorato. Se non altro non la guardava più dall’alto in basso, né si ostinava a volerla sostituire con Maria. Anche perché pure lei, adesso, aveva decisamente voltato pagina. Se con Agnese si andava avanti a piccoli passi, il rapporto tra lei e Maria era invece sbocciato. 
“Io lo sapevo che sareste potute essere amiche, se non fosse stato per Rocco” le aveva detto una volta Stefania. E adesso Irene si trovava a dover concordare con lei. Si erano odiate tanto, ma per i motivi sbagliati. Adesso che Rocco non era più a Milano e Maria non doveva più vederli ogni giorno mano nella mano, era riuscita ad andare avanti con più facilità. Era stata Irene a darle la spinta per reagire e andare contro alla sua famiglia. D’altronde cosa avrebbero potuto fare? Toglierle il saluto? Li vedeva comunque due volte all’anno. Maria non avrebbe mai mentito dicendo che non la dilaniava l’idea di non poter avere più contatti con loro, ma era contenta di aver preso quella decisione per se stessa e non ci sarebbe mai riuscita senza la spinta di Irene, ma non solo, anche delle altre coinquiline che l’avevano appoggiata. Aveva perso una famiglia, ma ne aveva trovata un’altra. Esattamente come Irene.
Liberarsi dagli occhi indagatori della famiglia Amato, della zia Rosalia e dalle aspettative della sua famiglia, aveva giovato alla siciliana, che aveva iniziato ad acquisire maggiore sicurezza in se stessa. Aveva smesso gli abiti da monaca e le trecce da Pippi Calzelunghe ed era ufficialmente entrata negli anni ‘60, con buona pace delle sue amiche e soprattutto di Irene, che la spingeva da secoli a modernizzarsi e stare al passo coi tempi. Ma il suo aspetto non era stata l’unica cosa a cambiare. Nonostante Rocco non ci fosse più, la squadra di ciclismo era ancora attiva grazie a Pietro e Nino e dunque un meccanico era ancora utile al Paradiso. Meccanico che per l’appunto uscì proprio in quel momento dal magazzino al fianco di Maria Puglisi. 
“Rocco” si fecero eco i due nel salutarlo, un po’ sorpresi di trovarlo lì.
“Stiamo andando in pausa pranzo” Maria informò Irene, col tono teso di chi ancora non riusciva totalmente ad accettare quella relazione. Finché lui stava a Roma, Maria fingeva che quel fidanzamento non fosse mai avvenuto. Quando lo aveva davanti, invece, tutto tornava a galla. Poco contava che fosse andata avanti, che avesse legato ulteriormente con Irene, che avesse trovato la forza di decidere per se stessa e che, soprattutto, avesse accanto un uomo che voleva lei e lei soltanto. Uno dei difetti di Maria era portare rancore. A vita. In eterno. Si sarebbe portata fino alla tomba quell’astio nei confronti di Rocco Amato, specialmente ora che aveva capito come indirizzarlo verso la persona che veramente lo meritava. 
“Buon pranzo, allora” Irene rispose con un mezzo sorriso, mentre entrambi li osservarono allontanarsi verso l’uscita. 
“Ma quindi…” provò a chiedere Rocco, alludendo a quel risvolto inaspettato.
“Eh” ribatté Irene stringendosi nelle spalle. Non che si sentisse minacciata da lei, ma saperla impegnata altrove le alleggeriva certamente la testa e il cuore. Non glielo aveva detto per telefono perché aveva voluto vedere la sua reazione dal vivo. Si era avvicinato a Maria proprio quando quell’Alfredo aveva iniziato a ronzarle intorno. Una parte di sé, quella più insicura, aveva paura che potesse nuovamente interessarsi a lei dopo aver scoperto quella novità. Non era un pensiero logico e sensato, come non lo erano mai le paure. Se avesse voluto Maria l’avrebbe sposata, era già sua. E questo Irene lo sapeva, però…
“Mi fa piacere, va” disse lui tornando a voltarsi verso Irene, dopo aver seguito con lo sguardo Maria fino all’uscita. Vederla insieme a quel meccanico non lo aveva affatto turbato. La verità era che voleva bene a Maria, gli era affezionato e aveva commesso l’enorme errore di scambiare l’affetto per sentimenti più profondi. Non era stato geloso di lei in quanto donna con cui intendeva trascorrere il resto della sua vita. Era stata la paura di perdere il terreno sotto ai piedi a portarlo ad agire. Tutte le sue certezze, sicurezze che gli erano state inculcate dagli altri. Se avesse perso Maria, la donna che tutti descrivevano come la più giusta per lui, cosa avrebbe fatto? E allora aveva sbagliato, assecondando l’idea che gli altri avevano avuto del suo futuro. Eppure, nonostante tutto, voleva che Maria fosse felice. Specialmente dopo averla ferita lui stesso. Certo, non gli andava totalmente a genio che fosse proprio Alfredo il suo sostituto, perché si era ormai instaurata quell’antipatia senza in realtà alcun fondamento. Tuttavia, la sua vita adesso era a Roma e con Irene. Non avrebbe dovuto frequentare Maria e Alfredo o fare delle uscite a quattro, come aveva inizialmente proposto Dora quando lui era fidanzato con Maria e Irene con Lorenzo. 
Irene squadrò bene il suo viso e soprattutto i suoi occhi, che per lei erano ormai come un libro aperto, e sorrise. Aveva superato la prova. 
“Sì, sono carini insieme” si lasciò scappare Irene, mentre Stefania si avvicinava a loro due con aria affranta.
“Troppo carini” sbuffò sconsolata, appoggiando la testa sulla spalla di Irene. Federico continuava a non degnarla di uno sguardo, e lei proseguiva a fare lo stesso con Pietro, che ancora le moriva dietro. Finché avesse continuato a fissarsi su Federico, non avrebbe visto quante altre possibilità il mondo aveva da offrirle. Un po’ com’era stato per Maria. Si era tanto fossilizzata anche lei sull’idea che aveva di Rocco, da non accorgersi che la persona più giusta per lei era quella che meno si aspettava. Ma Irene era convinta che un giorno la sua amica si sarebbe svegliata. Sperava solo che allora per lei e Pietro non fosse troppo tardi.
“Signorine! Che state facendo nascoste qui dietro?” La voce di Gloria Moreau portò i tre a trasalire dallo spavento.
“Mi scusi, signorina Moreau” Stefania si drizzò immediatamente, pronta a scattare per tornare alla propria postazione.
“Signor Amato” salutò Rocco con un sorriso. “Mi fa piacere vederla qui e sono contenta per lei, signorina Cipriani. Ma siamo ancora in orario di lavoro, per cui vi consiglio di aspettare la pausa pranzo per le vostre chiacchiere da innamorati” consigliò loro. In un’altra occasione li avrebbe anche lasciati andare, concedendo alla signorina Cipriani una pausa anticipata. Ma dato che la signora Cecchi mancava già all’appello per via di un’influenza, il Paradiso non poteva fare a meno anche della sua venditrice migliore. 
“Ha ragione, mi scusi” aggiunse Irene, mentre Rocco, che fino a quel momento aveva tenuto la mano di lei stretta nella sua, si defilò dalla presa e si allontanò di qualche passo.
“Allora io vado a salutare a mia zia e poi ti aspetto da Salvo, va bene?” le disse, congedandosi poi con deferenza dalla capocommessa.
“Al lavoro, signorine” disse Gloria facendo un occhiolino di complicità a Irene. Lei l’assenza, purtroppo, la conosceva fin troppo bene. Per tutto quel tempo non le era stato concesso nemmeno di sentire il suo Teresio o la voce di sua figlia. Era dovuta scappare come una ladra, rinunciando alle cose che aveva di più care. Non passava giorno senza che pensasse alla sua Stefania. Si chiedeva come stesse crescendo, se fosse felice, che ragazza fosse diventata. Vivere lontani dalle persone che si amavano era uno strazio, lo sapeva, ma la signorina Cipriani ci stava riuscendo a testa alta, pensò Gloria con orgoglio. 
Irene le sorrise, prima di allontanarsi e tornare alla sua postazione. Se fino a quella mattina diceva di stare bene, di essersi abituata ad averlo lontano e non poterlo vedere e toccare tutte le volte che voleva, adesso che lo aveva potuto stringere tra le braccia per qualche istante, si rese conto di quanto stesse mentendo a se stessa. Forse una parte di lei si era davvero abituata, ma un’altra non avrebbe mai smesso inconsciamente di cercarlo nei luoghi a loro familiari. 

La testa di Tina fece capolino nel camerino delle veneri a orario di chiusura. Senza bussare o chiedere il permesso, entrò mentre le ragazze si stavano ancora cambiando e si buttò sul divanetto in attesa che Irene finisse di rivestirsi.
“Che ci fai qua?” le chiese lei perplessa. In pausa pranzo aveva visto Rocco in caffetteria, ma erano potuti rimanere insieme solo per un quarto d’ora, prima di dover tornare a tutti i costi al lavoro. Malediceva Paola per essersi ammalata, ancora, nel momento più inopportuno. Non c’erano abbastanza veneri perché lei si prendesse il pomeriggio libero per trascorrerlo con Rocco. Così, per tutta la giornata, aveva atteso con impazienza il momento di poter finalmente finire il turno di lavoro e raggiungerlo a casa. La presenza di Tina, tuttavia, la preoccupò.  
“Ma come che ci faccio qua? Finalmente possiamo avere la nostra prima vera cena di famiglia e ho tutta l’intenzione di godermela” ridacchiò Tina, accavallando le gambe.
“Ecco, ora non ci allarghiamo” si tirò indietro Irene. Le sembrava un po’ presto per parlare di famiglia. Così come non moriva dalla gioia di dover trascorrere la serata insieme a loro. Aveva sperato che Rocco riuscisse a defilarsi per portarla a cena fuori, adesso che poteva permetterselo, oltretutto. Invece no: cena dai suoi zii, con Tina che non perdeva occasione di punzecchiare lei e sua zia ogni volta che interagivano, soprattutto quando queste finivano in discussioni, come spesso accadeva. Non ci provava nemmeno a renderle la vita più facile, ma in realtà sapeva che quello era il suo modo di dimostrarle di averla completamente accettata come fidanzata di suo cugino. Non era un fiore delicato da trattare coi guanti, non era una Maria Puglisi timida e impacciata da dover difendere. Irene era Irene, e lei la trattava come se niente fosse mai cambiato. 
“Guarda che quando hai scelto Rocco, hai preso tutto il pacchetto, cosa ti credi?” le spiegò Tina, mentre Irene roteava gli occhi al cielo. “Avanti, muoviti, amunì, ché devi imparare a fare la massaia” continuò ridacchiando, prendendola sotto braccio.
“Quello mai!” esclamò lei, mentre sentiva le altre ridere alle sue spalle per la sua sventura e implorò Stefania con lo sguardo di darle una mano. Lei invece si strinse nelle spalle con fare innocente. Gliel’avrebbe fatta pagare.
“Guarda che mica scherzavo quando dicevo che dovevi imparare a essere una donna di casa” le ricordò Tina mentre Irene apparecchiava la tavola di casa Amato. Di Rocco neanche l’ombra. Era stata quell’arpia di Tina a trarla in inganno, portandola a casa prima ancora che lui fosse di ritorno e, soprattutto, senza nessuna richiesta da parte della signora Agnese. Per entrambe, meno tempo trascorrevano insieme e meglio era. Per Agnese Irene era una causa persa e non aveva alcuna intenzione di aiutarla a diventare la moglie perfetta per suo nipote. Ai suoi occhi lei era ancora provvisoria, quindi perché prendersi la briga di insegnarle?
In realtà c’era stato un momento in cui tutte le sue certezze avevano vacillato. Quando due mesi prima Agnese era tornata dal lavoro e aveva trovato Irene sul ballatoio, affacciata alla finestra con aria pensierosa. 
 

15 luglio 1962

“Irè, è successo qualcosa?” si avvicinò preoccupata, adocchiandole un foglio tra le dita. Aveva immaginato chissà quale evento nefasto: quando la sua famiglia era lontana, Agnese aveva sempre il terrore che potesse accadere loro qualcosa di brutto. Non poteva controllarli, non poteva averli davanti a sé, e questo portava la sua mente davanti agli scenari più insopportabili. 
“No, signora Agnese” rispose lei chiudendo la lettera che aveva ricevuto quella mattina da parte di Rocco. Non era triste. Beh, lo era anche. Ma era soprattutto frustrata e nervosa perché Rocco le mancava più di quanto avrebbe voluto e non era ancora riuscita ad adattarsi a quell’assenza. Lui era partito da solo un mese e le sue chiamate si facevano via via meno frequenti, gli appuntamenti iniziavano ad essere annullati e lei rimaneva lì da sola a far fronte alla famiglia di Rocco che continuava a guardarla come se fosse l’usurpatrice che presto si sarebbe stancata di aspettare. Si sentiva costantemente sottoposta a giudizio, tutti in attesa di un suo passo falso. Ed era arrabbiata con se stessa: se reagiva con una tale impazienza dopo solo un mese, voleva dire che la loro relazione era destinata al fallimento?
Agnese appoggiò la borsa sulla sedia davanti alla porta e si affacciò accanto a lei. 
“E’ di Rocco?” chiese. 
Irene annuì. 
“E dice qualcosa di brutto?” domandò con fare materno, un tono che mai aveva usato con lei prima di quel momento. 
“No, al contrario. Sembra molto felice: non fa che parlare della sua vita lì, delle gare che ha iniziato ad affrontare, del ragazzo con cui è andato a vivere” Irene fece l’elenco di tutte le cose di cui Rocco parlava nella sua lettera. Beh, non tutte. Aveva evitato di menzionare le parole d’amore che le aveva rivolto: quelle voleva tenerle per sé. 
“E allora che problema c’è?” ribatté Agnese, voltandosi a guardarla. Le sembrò triste. 
“Nessuno, nessuno” si strinse nelle spalle. “E’ che mi sembra che la sua vita vada avanti, e io sia rimasta indietro, ecco. Ora mi crederà una stupida” aggiunse poco dopo, incapace di tenersi tutto dentro. 
“No, Irè, penso solo che tu sia troppo impaziente” le spiegò. Le donne come lei non sapevano farsi da parte, aspettare a lungo un marito lontano, come Agnese aveva fatto per anni e anni. Aveva provato a voltare pagina solo dopo aver creduto nel tradimento di Giuseppe. Ma prima di quel momento gli era stata sempre fedele, nonostante l’assenza, nonostante la mancanza, nonostante tutti i problemi a cui aveva dovuto far fronte da sola. Le donne moderne erano ormai abituate ad avere tutto e subito, non erano più disposte a lottare per far funzionare i rapporti. Se al suo posto ci fosse stata Maria, come ancora, nonostante tutto, si ritrovava a pensare di tanto in tanto, le cose sarebbero state ben diverse. Lei avrebbe capito che quella separazione non avrebbe contato nulla se davanti avevano un futuro insieme. Ma per Irene era diverso. Lei non era abituata ai sacrifici. 
“Ha ragione” rispose Irene arricciando le labbra.
“E lo so che c’ho ragione. L’amore non è sempre tutto rose e fiori come i romanzi che leggete voi giovani d’oggi” sentenziò con una smorfia. “Se davvero ci tieni a mio nipote, devi solo pazientare.”
“Se ci tengo?” sbottò lei. Quando avrebbero preso in considerazione i suoi sentimenti? Quando li avrebbero presi per veri?
Agnese la guardò annoiata, roteando gli occhi al cielo per quella sfuriata a suo dire gratuita. Qualsiasi cosa dicesse, con lei le sembrava sempre di sbagliare, di camminare sulle uova o sui carboni ardenti. Le due in realtà si studiavano a vicenda, come due leoni che cercavano di capire chi dovesse essere il capo di quel branco. Se solo si fossero rese conto di non dover primeggiare l’una sull’altra, avrebbero capito quanto sarebbero state più forti insieme.
“Quindi secondo lei il mio ruolo, in quanto donna, deve essere questo? Devo stare qui a tessere la tela in attesa del suo ritorno?” continuò Irene con vena polemica. Se non altro battibeccare con la signora Agnese l’aveva ridestata da quel torpore deprimente in cui era piombata, facendo tornare colore alle sue guance. 
“Non so di che tela stai parlando, ma se non sai manco tenere un ago in mano, amunì…” ridacchiò Agnese.
“Lasci perdere” ribatté Irene, che già aveva a che fare con Rocco che non capiva mai i suoi riferimenti, non aveva alcuna voglia di mettersi a spiegarli anche alla signora Agnese. 
“E comunque, non è il tuo ruolo in quanto donna. E’ il tuo ruolo in quanto fidanzata. Sei tu che l’hai scelto questo ruolo, no? Cosa vorresti fare? Andare a vivere là nel peccato? O farlo tornare qua per dare retta ai tuoi capricci?” 
“Ma quali capricci! Ma se l’ho spinto io a partire. Mi è concesso però sentire la sua mancanza o no?” ribatté arrabbiata. 
“Che succede qua?” Maria esclamò facendo capolino dalla porta di ingresso del loro appartamento. “Vi si sente da dentro!”
“Niente, Marì, è tutto a posto. C’ha un poco di malumore, ma ora ci passa” disse avvicinando una mano alla spalla di Irene, prima di prendere la borsetta e allontanarsi. Non sapeva mai come prendere Irene, e ogni volta che cercava di fare un passo nei suoi confronti, finiva sempre per peggiorare le cose. Eppure la capiva. Forse sarebbe dovuta partire da lì, senza farle la paternale dall’alto della sua saggezza. Per quanto faticasse ammetterlo, la capiva fin troppo bene. Giuseppe le era mancato per anni e per tanto tempo aveva creduto di non farcela da sola con tre figli. Adesso invece le mancava Armando: pur avendolo davanti tutti i giorni, non poteva stare con lui. Irene aveva bisogno di essere consolata, capita, compresa, non di una lezione sul manuale della brava fidanzata. Agnese si rendeva conto dei propri errori. Ma lo faceva solo dentro quel suo capoccione testardo e orgoglioso tipico della sua famiglia. Non l’avrebbe mai ammesso a Irene. Avrebbe cercato, come al suo solito, di fare ammenda a modo suo. Magari comportandosi in modo più gentile il giorno dopo, o facendo qualche gesto nei suoi confronti. Ci stava provando, per amore di Rocco ci stava davvero provando. 
“Ma voi due sempre a battibeccare state?” si lamentò Maria, posizionandosi sul davanzale nel posto dapprima occupato da Agnese. 
Irene si strinse nelle spalle e rimase in silenzio. 
“E’ di Rocco?” chiese lei, mordendosi il labbro inferiore. Per quanto il suo rapporto con Irene fosse migliorato e potesse quasi arrivare a definirla amica, non le faceva piacere sentirla parlare di Rocco. Quella era una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. 
La bionda annuì, stringendo forte tra le dita quella busta di carta. 
“E’ normale che ti manchi, Irè” disse Maria, avvicinandosi a lei per darle un lieve colpo sulla spalla con la sua. “Ho sentito un poco quello che vi siete dette con la signora Agnese. Non la devi prendere male, sono sicura che aveva buone intenzioni” le spiegò. 
“Sarà” rispose Irene tirando su col naso. La verità era che le parole di Agnese l’avevano colpita non tanto perché se ne sentisse offesa, ma perché temeva potessero essere la verità. “E’ che io non so se ce la faccio” confessò per la prima volta ad alta voce, guardando Maria negli occhi. “Lo so che sono stata io a spingerlo a partire, e sono felice per lui, ma non so se sono capace di… questa cosa qui” disse con un gesto della mano.
Maria sospirò, cercando di trovare la forza per affrontare quella discussione a cui non avrebbe mai voluto partecipare, se solo non avesse sentito quel moto di altruismo che l’aveva portata a consolare una persona a cui poteva dire ormai di voler bene. 
“Mi dispiace, non dovrei parlarne con te” aggiunse frettolosamente Irene. 
“No, Irè. La verità è che Rocco manca anche a me” le fece notare. Era un’assenza diversa la sua. Assenza per qualcosa che aveva vissuto e adesso apparteneva al passato. Assenza per quel rapporto che non avrebbe mai più riavuto. Era un’assenza malinconica. “E’ normale che ti manchi. E’ normale che tu abbia paura di non farcela. Non sei sbagliata a pensarlo” cercò di rassicurarla. Al posto suo anche a lei sarebbe mancata la terra sotto ai piedi. 
“Stai affrontando una cosa nuova, ti mancano le certezze. Questo non vuol dire che non ce la farai, se Rocco è davvero la persona che vuoi” sottolineò Maria ingenuamente, senza nessun intento accusatorio.
“Ma perché continuate a dirmi tutti ‘se’? Se amo Rocco, se voglio Rocco… non l’ho già ampiamente dimostrato?” chiese Irene di nuovo sulla difensiva. 
“Non sempre basta volerle con il cuore le cose, Irè” rispose Maria. “Le devi volere anche con la testa. E se le vuoi con la testa, se pensi che sono la cosa giusta per te, non ti importa delle conseguenze. Me l’hai insegnato tu, non ricordi?” aggiunse. Era stato grazie a Irene che Maria aveva deciso di rimanere a Milano e sfidare la sua famiglia. Le aveva fatto realizzare che rimanere lì era la cosa più giusta per lei, quella che voleva con la testa. Il cuore la portava a Partanna dalla sua famiglia, ma la ragione l’aveva spinta prendere quella decisione con la giusta consapevolezza. E anche se adesso le cose con loro non andavano bene e giornalmente ne soffriva, era però convinta di aver fatto la scelta giusta. 
“Forza, torna dentro che fa freddo” disse rivolgendole un sorriso, prima di tornare anche lei dentro il loro appartamento. 

 

Presente - 28 settembre 1962 

Agnese si affacciò sul ballatoio per sventolare la tovaglia da tavola e ripulirla dalle briciole. Irene era di nuovo lì, in quello che ormai sembrava essere diventato il suo posto preferito. Guardava la città dall’alto, silenziosa e tranquilla e aveva il potere di calmare anche lei. Ripensò a Lorenzo e al discorso che avevano fatto ormai diversi mesi prima sul potere chiarificatore della notte e sorrise, mentre la mano di Agnese si poggiò per un istante sulla sua spalla. 
“Hai visto che non era così difficile?” disse ripiegando la tovaglia, per poi tenerla tra le braccia. 
“Cosa?” chiese Irene confusa.
“Aspettare, essere paziente” rispose Agnese. Da quell’incontro sul ballatoio di un paio di mesi prima, ne avevano fatta di strada lei e quella ragazza. Non le avrebbe dato una lira. Non la credeva capace di attendere così a lungo il ritorno di Rocco, era convinta che si sarebbe stancata prima. Invece lei era ancora lì, e Agnese aveva assistito a tutte le sue tribolazioni in quei tre lunghi mesi da quando suo nipote era partito per Roma. Non avrebbe mai ammesso ad alta voce di averla accettata nella sua vita e in quella di Rocco come una presenza stabile, e di aver imparato a conoscerla e apprezzare alcuni lati del suo carattere, ma ormai la verità era che aveva smesso di cercare di metterle i bastoni tra le ruote. Non sempre andavano d’accordo, anzi raramente riuscivano a trovare del terreno comune. Ma su una cosa erano entrambe sulla stessa lunghezza d’onda: l’amore che provavano per Rocco. E forse, almeno per il momento, questo bastava a unirle. O quantomeno, a non dividerle.
“Lei lo sapeva, allora?” domandò Irene, riferendosi alla sorpresa sull’arrivo di Rocco.
“Sì, ci ha chiamato ieri, ma a te voleva fare una sorpresa. E’ diventato un romantico, quel nipote mio” scherzò Agnese con un sorriso. “E cos’è quel muso lungo? Non sei contenta?” chiese alla ragazza.
“Certo che lo sono” si affrettò ad affermare lei. 
“Picchì se non lo eri me ne tornavo subito a Roma, ah” affermò Rocco uscendo dall’appartamento dei suoi zii. Non avevano ancora avuto un momento che fosse solo ed esclusivamente loro e adesso moriva dalla voglia di portarsela via per stare un po’ con lei. Purtroppo, o per fortuna, il ritorno di fiamma tra Marcello e Roberta significava non avere più libera la stanza in casa di Armando. A casa Amato si stava già stretti ed era impossibile trovare uno spazio in privato. 
“Non ti azzardare” lo minacciò Irene con uno sguardo di fuoco. 
“Talia che bedda quannu s’arrabbia, zì” rispose lui divertito, stringendole le spalle in un abbraccio e schioccandole un bacio su una guancia. Un tempo si sarebbe vergognato di dimostrazioni di affetto di quel tipo davanti a sua zia. Ma adesso non gli importava più nulla. Era cresciuto, non era più un ragazzino timido, impacciato e inesperto. Ormai si sentiva un uomo. 
“La finisci?” ribatté Irene, dandogli un colpetto sul braccio. 
“Vi lascio da soli, va” disse Agnese schiarendosi la voce prima di parlare, per interrompere quel momento tra i due ragazzi. 
“Grazie, zì” aggiunse Rocco rivolto a sua zia che aveva mantenuto il segreto e lo aveva aiutato a organizzare quella sorpresa per Irene.
Agnese si congedò con un cenno della testa e sparì di nuovo dentro l’appartamento, dove una discussione concitata e divertita stava avvenendo tra Tina e suo fratello Salvo. Anche loro non perdevano mai occasione di discutere tra di loro. 
“Vieni a casa?” gli chiese lei.
“Ma… e Maria?” domandò lui a bassa voce, come se stessero parlando di un segreto inconfessabile. 
“Maria non c’è, è al cinema con Alfredo” rispose lei mordicchiandosi il labbro superiore.
“E… Stefania?” continuò, facendo l’elenco dei presenti e degli assenti come a scuola. 
“Eh, c’è una novità. Suo padre si è trasferito a Milano, quindi stasera è a cena da lui e dalla sua nuova compagna” ammise Irene, prendendogli la mano per trascinarlo dentro.
“Ma io tre mesi sono mancato!” protestò Rocco, sommerso da tutte quelle novità.
Irene ridacchiò, entrando in casa e chiudendo la porta.
“L’hai mai vista la mia stanza?” gli domandò con aria divertita.
“Irè!” esclamò lui, sempre sconvolto dai modi tanto poco discreti della sua fidanzata. 
“Eddai, pensavo le avessimo superate ormai queste paturnie” sbuffò lei, mettendo il broncio.
“Tu si tutta matta” si lasciò andare Rocco con un sorriso, avvolgendola da dietro in un abbraccio che la ricopriva completamente. 
Lasciatosi convincere da lei, approfittarono del momento di solitudine per sdraiarsi sul letto uno accanto all’altra come avevano fatto in magazzino, quando tutto era cominciato, e qualche mese fa in pensione, quando tutto era ricominciato. Non facevano nulla di male, dopotutto stavano insieme, ormai. E avevano così poco tempo a disposizione, che le poche ore che riuscivano a ritagliarsi volevano passarle legati come due gemelli siamesi. Fare scorta per i periodi di magra in cui sarebbero stati lontani. 
“Me lo dici che c’è, Irè?” le domandò dopo essersi persi negli occhi dell’altro per qualche istante in totale silenzio. “Ma non sei felice che sono qua?”
“Che domande, certo che lo sono” si affrettò a puntualizzare lei. “E’ che…”
“Mi dispiace se ho dovuto rimandare così tante volte, se non ho potuto chiamare quanto volevo, se non ti ho scritto abbastanza spesso” disse lui rammaricato. “Ma io ti amo ancora, Irè, anzi pure più di prima” aggiunse rabbuiandosi. “E tu? Hai cambiato idea?”
Irene gli sorrise, con il cuore tanto colmo di amore da lasciar andare via ogni preoccupazione. Come ci riusciva? I suoi modi sempre tanto teneri, il suo parlare sempre così onesto. Era puro come un bambino e quando faceva così, lei non riusciva proprio a tenergli il broncio per più di qualche minuto.
Avvicinò una mano al suo viso e lasciò scorrere le dita lungo la pelle leggermente irta della mascella. Gli occhi lucidi per il vino che avevano bevuto in casa Amato, e per quella levataccia mattutina. Lui era sempre lui. E anche lei non aveva smesso di amarlo, che domande. Dio, non aveva messo in dubbio i propri sentimenti nemmeno per un istante. Non erano quelli a preoccuparla. 
“No, Rocco” lo rassicurò, stampandogli un bacio sulle labbra. “Non ho cambiato idea. E’ solo che è più difficile di quanto pensassi, ecco” si strinse nelle spalle.
“Ma pensi che per me è facile?” le chiese guardandola negli occhi. “E’ vero, io sto inseguendo il mio sogno. E finalmente sono contento di quello che faccio, Irè” le spiegò arricciando le labbra. “Però io sono anche solo là, ah. Non c’ho la mia casa, non c’ho la mia famiglia, non c’ho il signor Armando. Non c’ho te” le confessò. “Alla fine tu stai sempre qua, col tuo lavoro, le tue amiche. Che ti credi, anche io mi sento solo.”
“Hai ragione, scusami, sono una sciocca” si giustificò Irene, abbassando lo sguardo. “Me l’ha detto anche la signora Agnese che dovrei essere più paziente.” E il pensiero di come si sarebbe comportata Maria al posto suo tornò a tormentarla. Quando avrebbe messo da parte quell’inutile e costante confronto? Come poteva pretendere che la famiglia di Rocco smettesse di osservarla tramite una lente di ingrandimento, se lei stessa era la prima a dubitare di ogni sua azione? Non era mai stata così insicura in vita sua. La verità era che si sentiva così, perché quella era la prima volta che aveva messo in gioco il proprio cuore in quel modo. Non era abituata a essere paziente, accomodante, a essere la fidanzata perfetta che la famiglia di Rocco era convinta meritasse. E una piccola parte di lei credeva tutt’ora di non essere abbastanza.
“Avà, ma ti scusi con me?” si affrettò a puntualizzare lui con un sorriso, mettendosi sdraiato sulla schiena e allungando un braccio affinché Irene si posizionasse sul suo petto. Poi la strinse a sé, desideroso di prolungare quel momento il più a lungo possibile. Quella situazione era difficile per tutti e due, ma forse Rocco aveva sottovalutato l’impatto che avrebbe potuto avere su di lei. La sua Irene così forte, testarda e fiera, che nascondeva un’anima così fragile.
“Non ti posso promettere di venire più spesso” disse posandole un bacio tra i capelli. “Però ci posso provare, Irè. Perché pure tu mi sei mancata assai e mi manchi ogni giorno.”
Irene sorrise, circondandogli la vita con un braccio. Si era sentita tanto persa senza di lui, perché sembrava essere l’unica persona al mondo in grado di darle quella stabilità emotiva che tanto cercava. L’unica, insieme a Stefania, che la aiutava a mantenere il contatto con quella miriade di sensazioni che spesso non riusciva a controllare a dovere. Si era sentita persa senza di lui. Mentre adesso lì, contro il suo petto, aveva ritrovato il proprio posto nel mondo. Da quel momento in poi non sarebbe stato più facile. Irene iniziava a dubitare che potesse mai diventarlo. Ma in quell’istante decise di smetterla di pensarci e godersi quei due giorni che avevano da trascorrere insieme. Al resto avrebbero pensato in seguito. Che senso aveva avvelenarsi quei momenti pensando al loro futuro incerto?
“Ti amo” gli disse lei. In genere era lui a farlo per primo e lei rispondeva solo con un timido e affrettato ‘anch’io’. 
Rocco sorrise, di un sorriso ampio e pieno e le afferrò la nuca con una mano, avvicinandola a sé per baciarla. “Ah, finalmente” disse prima che le loro lingue si intrecciassero come se non si fossero mai allontanate. Le mani di Irene che scorrevano lungo il suo viso e quei ricci che tanto adorava accarezzare. 
“Perché? Avevi dubbi? Non te lo dico abbastanza?” scherzò lei tra un bacio e l’altro.
“No, o cuntrariu. Non me lo dici mai” puntualizzò lui con una smorfia. 
“Che bugiardo che sei” aggrottò le sopracciglia, afferrandogli il mento con due dita.
Rimasero a parlare e baciarsi per oltre un’ora, finalmente da soli e senza nessuno che potesse disturbarli. Rocco le raccontò della sua vita a Roma, delle lezioni serali che frequentava per prendere la terza media, perché non aveva dimenticato la promessa che le aveva fatto prima di partire. E Irene del rapporto con la signora Agnese, e di tutti i pettegolezzi di cui era venuta a conoscenza in quell’ultimo mese e mezzo di sua assenza. Avrebbero voluto che quei giorni non passassero mai. Bloccare quell’istante e impedire lo scorrere del tempo. L’assenza non sarebbe mai stata semplice da affrontare e Rocco avrebbe continuato a mancarle ogni giorno, nonostante a volte fingesse di essersi abituata a non averlo più accanto. Ma Maria aveva ragione. Non sempre l’amore era abbastanza, e non sempre era possibile seguire solo e unicamente il proprio cuore. Ma le difficoltà entravano in secondo piano, se si era convinti di aver preso la decisione più giusta per se stessi. E quella senza dubbio lo era. Non potevano viversi giornalmente come lei e Alfredo, ma avrebbero cercato di trarre il meglio dai loro brevi e fugaci incontri. E magari un giorno quella distanza sarebbe stata definitivamente colmata. Ma per il momento, almeno quella notte era tutta per loro. 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il paradiso delle signore / Vai alla pagina dell'autore: InvisibleWoman