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Autore: RedSonja    01/11/2021    1 recensioni
Una festa di Halloween, un gruppo di ragazzi e una tavola ouija.
Cosa potrà mai andare storto?
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Pacta sunt servanda


Seduta a gambe incrociate sul pavimento cominciava a chiedersi perché avesse accettato.
Certo avevano contribuito gli occhi da cucciolo abbandonato di Luca e l’insistenza di Bea ma insomma, passare la serata con sconosciuti mezzi ubriachi a guardare film horror non era esattamente la sua idea di divertimento.

Non che le dispiacesse Halloween, anzi, ma non era così che si aspettava di passare la serata.
Il rumore di una bottiglia di vetro che rotolava lungo le piastrelle gelide su cui attualmente poggiava le gambe nude la riportò al presente.

Bea sghignazzava, mezza ciucca, alla sua destra, mentre un tipo allampanato con una faccia poco raccomandabile le sfiorava il braccio con fare complice e un’occhiata che lasciava intendere perfettamente come avrebbe voluto concludere la serata, il che rese ancora più divertente guardare Bea che lo piantava lì per andare ad accendersi una sigaretta; solo l’andatura incerta ne tradiva le reali condizioni, perciò si rassegnò a tenerla sott’occhio, pronta a intervenire se quello ci avesse riprovato. In tutto ciò le sarebbe piaciuto sapere che fine aveva fatto Luca, visto che era stato lui ad aver insistito per passare qui la serata e poi l’aveva mollata a fare da baby-sitter a una sempre più fuori controllo Bea.

Odiava essere quella sobria del gruppo.

Questa volta non si prese nemmeno la briga di nascondere l’insofferenza crescente.
Un quarto d’ora prima Luca era arrivato con un sorriso raggiante e una tavola di legno in mano, annunciando con entusiasmo – ben poco appropriato secondo il suo modesto parere ma sia mai dirlo ad alta voce – di aver trovato una cosa interessante di sotto.

La cosa interessante si era rivelata essere una tavola ouija.

Senza tante cerimonie l’aveva poggiata per terra al centro della stanza, esortando tutti a sedersi in cerchio, poi era sparito di nuovo nell’altra stanza.
Naturalmente seduta davanti a quel pezzo di legno c’era solo lei.

Se doveva essere onesta quell’aggeggio le metteva i brividi.
Complici tutti gli horror girati come premessa proprio una festa andata male, l’idea di anche solo sfiorare la tavola le faceva accapponare la pelle.

Il suo istinto era tutt’altro che tranquillo e se le bad vibes di cui si fa tanto parlare sui social avessero avuto forma materiale be’, era pronta a giurare che si sarebbero mostrate sotto forma di sdrucito pezzo di compensato con l’intero alfabeto inciso sopra.

Chissà se un oggetto inanimato può ridere di noi. Era un pensiero stupido, ma non poteva fare a meno di credere che la ouija trovasse l’intera situazione alquanto divertente.
Lei al suo posto l’avrebbe fatto: così tanta paura per un misero quadrato di legno pressato, sarebbe stato assurdo in qualsiasi altro scenario.

Ma non lì e non in quel momento.

Luca decise di riapparire proprio in quel momento, portandosi dietro un codazzo vociante di clown, Joker, streghe e vampiri.
La fiera dell’originalità insomma.

Quasi attratti da una calamita, tutti gli invitati dispersi per la casa si riunirono intorno alla tavola, chi con una birra ancora in mano, chi con la sigaretta tra le labbra e chi tra le labbra aveva la lingua altrui.
Luca, come al solito, era l’unico ancora in piedi, quello che parlava a voce più alta di tutti, nonché chi cercava di far stare un attimo in silenzio gli altri. Non stava facendo un buon lavoro ma perlomeno ci stava provando – che poi era esattamente il motivo per cui riusciva a farsi benvolere da chiunque -.

Bea, che in un momento imprecisato degli ultimi due minuti si era seduta vicino a lei, si accostò al suo orecchio giusto in tempo per sussurrarle divertita “Quanto tempo pensi che ci vorrà ancora prima che rinunci?”
Fece un rapido calcolo; se lo conosceva bene avrebbe continuato a insistere per altri dieci minuti, poi si sarebbe stancato e forse questa trovata discutibile della sessione spiritica sarebbe stata archiviata.

Quasi quasi ci sperava: solo perché era travestita da strega non significava certo che volesse avere a che fare con spettri e demoni, no grazie come se avesse accettato.

Purtroppo quando le cose decidono di andare per il verso sbagliato c’è poco da fare, ed era palese che quella sera niente sarebbe andato come previsto.
Col senno di poi avrebbe dovuto capire l’antifona e andarsene, a costo di passare per quella noiosa.

Un tipo di cui non si era preoccupata di imparare il nome – Marco, Alessandro o chissà che altro – decise che quello era il momento giusto per smettere di fare un’ispezione laringo-faringea alla fidanzatina cadavere che gli stava attaccata al braccio come una cozza e proporre di iniziare comunque.

Grazie tante Marco-Alessandro, la prossima volta limitati a usare la lingua per qualcosa che non implichi un pensiero razionale.

La risata soffocata di Bea le suggerì che forse l’aveva detto ad alta voce, e la tentazione di sprofondare nel pavimento si fece più impellente. Non aveva neppure la scusa di essere alticcia, visto che non aveva bevuto un goccio di alcol.

L’occhiataccia che le rifilò il tipo forse era meritata, okay lo ammetteva, ma non era colpa sua se l’idea di contattare gli spiriti la trovava una gran stronzata: una serata passata a guardare horror e questi ancora non avevano capito che se c’era qualcosa ad aspettarli dall’altra parte era meglio che stesse lì dov’era.

E ovviamente, invece di darle retta, si levò un mormorio di approvazione, che si trasformò presto in eccitazione quando, da bravo incosciente qual'era, Luca si accomodò di fronte alla tavola, poggiando l’indice sulla planchette.

Uno a uno gli indici di dieci persone raggiunsero precisi la planchette, tutti tranne uno.
Bea le lanciò un’occhiata di sottecchi, che anche senza alcuna parola ad accompagnarla lanciava un messaggio preciso “Manchi solo tu”

Luca fu più diretto e con il solito sorriso leggero sulle labbra le prese la mano sinistra e la poggiò sulla lancetta di legno.
Il contatto con il pezzo ruvido le diede la scossa.

La voglia di ritrarre la mano e mandare al dia– oh no, forse non era il caso di nominarlo visto dove era poggiato il suo indice –, di mandare all’aria tutta questa farsa era decisamente cresciuta negli ultimi 30 secondi, ma la mano sinistra di Luca le stringeva ancora il polso, mentre il pollice le accarezzava il profilo delle vene sotto la pelle sottile.

Voleva essere un gesto rassicurante, ma l’unica cosa che le trasmise fu ancora più ansia.

Se questo per loro era un gioco divertente, di sicuro non si sentiva allo stesso modo. La brutta sensazione che aveva accompagnato tutta la serata era cresciuta fino a raggiungere le proporzioni del famoso elefante nella stanza, solo che quel colosso lo vedeva solo lei.

Ormai comunque era in ballo e le toccava ballare, anche se avrebbe volentieri tirato la bottiglia vuota all’idiota che sghignazzava da qualche parte dietro di lei.

Alea iacta est, dicevano gli antichi romani.
Mo so' cazzi, dicono i romani di adesso.
La sostanza è sempre quella: il danno è fatto.

“Ciao, c’è qualcuno che vuole parlare con noi?”
Era la voce di Luca, ovviamente, chi altro poteva essere così cretino da pensare una trovata del genere per chiudere la serata di Halloween?

Per un po’ non successe nulla, a parte qualche risatina tra i presenti.
Bene, magari si sarebbero annoiati e la prova si sarebbe chiusa lì. O magari poteva dare una mano al destino.

Stando attenta a non essere troppo brusca, applicò un po’ di forza sull’indice; come c’era da aspettarsi erano tutti troppo concentrati sul fatto che la lancetta si stesse muovendo per chiedersi se, effettivamente, qualcuno di loro ne fosse responsabile.

Con una punta di malignità, fece virare la punta in direzione del “NO”.

Dalla fidanzatina cadavere si levò un gridolino spaventato. Ora sì che si ragiona.
Fingendosi preoccupata si preparò a rispondere alla prossima domanda; dopotutto finalmente si stava divertendo, perché chiudere il gioco proprio ora?

“Se non vuoi parlare con noi perché sei qui?”
Ah, sempre il solito, testardo, Luca. Dopo stasera ci avrebbe pensato due volte ad uscirsene con queste trovate.

Sempre con lo stesso metodo, spostò la planchette da una lettera all’altra; era un processo dannatamente lungo e se non fosse stata così determinata a fargliela pagare probabilmente si sarebbe arresa nel tempo che serviva a indicare due lettere.
Optò per una risposta semplice “PER TE”.

Il brusio che aveva accompagnato la prima risposta si era ammutolito del tutto, lasciando spazio ad un silenzio di tomba. Luca era impallidito.
Qualcuno dal gruppo gridò “Dateci un taglio, si sa che è uno di voi là davanti a muovere quel coso”, ma nessun altro sembrava condividere quella certezza

Il “Chi sei?” che era seguito aveva una nota di timore alla fine.
Sentendosi un po’ in colpa, decise di smetterla di manovrare la lancetta, così che potessero chiudere la sessione.

Non aveva considerato il fatto che la planchette si muovesse ancora una volta.

Si chiese se qualcun altro stesse portando avanti il gioco, ma nessuno sembrava guardare la tavola: l’attenzione era tutta rivolta a Luca, che ad ogni secondo che passava sbiancava un po’ di più.
La faccenda cominciava a farsi seria, ma questo lo pensò prima che qualcuno se ne uscisse con un “Fra, che sta dicendo?"
Lei di sicuro non era pronta a conoscere la risposta a quella domanda; il legno sotto il suo indice scottava come ferro arroventato, ma allo stesso tempo qualcosa le impediva di ritrarre la mano. La stessa forza che la spingeva a muovere la planchette con una velocità crescente, in strattoni che quasi le spostavano l’intero corpo.

Sentì un senso di vertigine quando le lettere cominciarono ad acquisire un senso. Magari avrebbe fatto davvero meglio a non pensare a quello con l’indice poggiato sul cursore di legno.
“LEI LO SA”

Non sapeva che fare. E comunque non era lei a condurre la seduta perciò l’avrebbe dovuto dire a Luca, che sicuro non le avrebbe creduto anche perché “Sai fin’ora sono stata io a rispondere, ma questa volta non c’entro niente e forse so chi ci sta parlando e sarebbe meglio chiudere, che dici?” suonava abbastanza ridicolo.
Fuori discussione, doveva sperare che qualcun altro prendesse la decisione per lei.

Dopo tutto non era certa fosse una buona idea chiudere una metaforica porta in faccia al Diavolo in persona.

Continuando imperterrito, come se la cosa non lo riguardasse nemmeno un po’ – ed in effetti aveva la spiacevole sensazione che tutta quella serata riguardasse solo lei – Luca chiese “Lei chi?”.
Era una domanda sensata con quattro ragazze presenti, ma a lei sembrò comunque sciocca.
Ancora una volta, la planchette si mosse come un fulmine sulla tavola, lasciandole la stessa sensazione di fuoco sul polpastrello dell’indice; chissà se poteva almeno cambiare mano; qualcosa le diceva che non avrebbe funzionato, e che quel calore lo sentiva solo lei.
La sua solita fortuna.

“SINISTRA”

Lo sguardo di Luca incrociò il suo e per la prima volta notò quanto preoccupato fosse davvero; be’ ormai il danno lo aveva fatto, c’era poco da sentirsi in colpa anche se tutta quella storia era colpa sua, come si sarebbe premurata di ricordargli finita quella nottata d’inferno.
Ops, le era sfuggito.

Lo vide umettarsi le labbra prima di prendere coraggio e chiedere di nuovo “Perchè vuoi parlare con lei?”
Invece di una risposta precisa, la lancettà cominciò a tracciare segni sulla tavola. Se non avesse avuto la pelle d’oca già dall’inizio, di sicuro quello sarebbe stato un ottimo momento perché le si drizzassero tutti i peli che aveva sul corpo.

Di solito quando cominciava così nei film poi andava a finire male, ma del tipo mortale di male.

Quella volta non successe nulla, però. La lancetta tornò a fermarsi nel punto iniziale, come se la domanda non fosse stata mai fatta.

“Credo che non voglia rispondere” si sentì dire, ma non si era neppure resa conto di aver aperto la bocca per parlare. Non sapeva da dove le fosse venuta fuori quell’idea, ma la tavola sembrò concordare perché il calore della planchette sotto l’indice tornò ad una temperatura sopportabile.

“Ma certo, ora abbiamo anche i fantasmi che fanno i preziosi”
Ovviamente ci doveva essere il cretino di turno che non capisce quando è il momento di mordersi la lingua. La planchette si mosse di nuovo, stavolta senza che nessuno facesse una domanda, tracciando un perentorio “TACI”.

Erano bastate quattro lettere perché nella stanza la temperatura calasse di minimo dieci gradi.
L’unico suono che si sentiva era quello di dieci respiri corti, e quello del proprio cuore che correva ad una velocità che avrebbe messo in ridicolo qualsiasi tachicardia.

Luca era sempre più pallido, sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro; la paura sembrava aver curato la sbronza di Bea e lei si sentiva sul punto di mettersi a ridere perché non poteva veramente capacitarsi che tutto questo fosse reale.
Magari non lo era, forse si era appisolata sul divano di casa, mentre aspettava che la passassero a prendere per portarla alla festa.
Magari era crollata sul divano di uno sconosciuto prima di riuscire a tornare a casa e questo era solo il parto della sua mente post maratona horror.

O magari era tutto vero e un demone voleva parlare con lei.
Tanto valeva andare avanti e scoprire cosa aveva da dirle.

“Be’ sono qui, se vuoi dirmi qualcosa puoi farlo” Si costrinse ad assumere il tono di voce più disinvolto possibile, data la situazione, ma se la sua voce era suonata stridula anche solo metà di come l’aveva sentita, allora aveva fallito miseramente.

Alla planchette non sembrava importare, comunque, che undici persone fossero sul punto di avere un infarto collettivo, perché non si mosse affatto.
Aspettarono ancora qualche istante, ma la tavola sembrava tornata allo stato iniziale di inattività.

Senza nascondere il proprio sollievo, Luca salutò gli spiriti e chiuse la sessione, ma lei non lo stava affatto ascoltando.
C’era qualcosa che non le quadrava in tutta quell’interazione: la planchette si era spostata con relativa facilità su “GOODBYE”, ma non aveva sentito alcun’energia nel cursore, come se si fosse mossa per inerzia, niente a che vedere con la forza che l’aveva manovrata secondi prima.

I ragazzi intorno a lei avevano ripreso a sghignazzare; si erano già dimenticati della paura di poco fa, pronti a raccontare quella sera come evento “spooky” agli amici, tanto per riderci su.
Le veniva da vomitare.

L’idea di attraversare un corridoio buio per raggiungere il bagno non la entusiasmava particolarmente, ma l’idea di accendere tutte le luci della casa e passare per fifona la entusiasmava ancora meno, perciò si costrinse a comportarsi da adulta e a camminare senza saltare ad ogni minimo scricchiolio.
Il bagno aveva una luce fredda, e uno specchio sopra il lavandino.

Dopo quanto era successo decise che sistemarsi il trucco non valeva il rischio di vedere Bloody Mary comparirle davanti agli occhi, o avrebbe concluso Halloween in una bara vera.

L’acqua fresca le calmò un po’ i nervi, restituendole quel senso di normalità che era scomparso a metà serata.

Passando da una conversazione all’altra, convincersi che era stato tutto uno scherzo di qualche buontempone nel gruppo le riuscì sempre più facile. Tanto facile da perdonare anche Marco-Alessandro – che dopo averci limonato scoprì chiamarsi Marco e basta, non che fosse un dettaglio importante – e bere un bicchiere di birra, giusto per non tornare a casa completamente sobria.
Se avesse saputo quanto sarebbe stato difficile scollare Bea dalla tipa vampiro, però, se ne sarebbe fatti almeno un altro paio di bicchieri.


Tra tutti, quello che sembrava più sconvolto dalla seduta spiritica era Luca.
Da quando era finita non aveva guardato neppure per sbaglio la tavola di legno, lasciando che fosse una delle ragazze a raccoglierla e a sparire nello sgabuzzino da cui l’avevano recuperata. Ma il problema non era solo quello: il colore non gli era ancora tornato sulle guance ed era estremamente strano non vederlo partecipare a qualche stupida challenge lanciata dagli altri ragazzi – come vedere chi riusciva a infilarsi in bocca il maggior numero di finti bulbi oculari -.

Alla fine, comunque, toccò a lei andarlo a chiamare per ritornare a casa.
Quando arrivarono alla porta dell’appartamento erano le quattro di mattina.

Il bello di vivere con dei coinquilini e non con i genitori era la possibilità di tornare a casa tardi senza doversi preoccupare di far piano quando si rientrava; mai come quella sera ne fu felice: tra Bea che si trascinava per il salone, andando a sbattere contro tutti i mobili possibili, e Luca che non aveva spiccicato mezza parola, era certa che i suoi si sarebbero preoccupati e non poco di cosa si fossero presi.

Si tolse i tacchi, pronta a mettere a letto Bea, solo per trovarla già addormentata sul divano, in una posizione che di sicuro le avrebbe fatto venire mal di schiena la mattina dopo. Accasciandosi su una sedia vicina, si rassegnò all’idea di rimanere a vegliarla finché non si fosse svegliata, nel caso in cui si fosse sentita male e avesse avuto bisogno di una mano.

Lo aveva già detto, ma ripeterlo non guastava mai: odiava essere l’amica sobria; ma odiava di più il pensiero che qualcuno si facesse male perché lei aveva bisogno delle sue otto ore di sonno. E poi, comunque, non sarebbe riuscita a dormire: senza il rumore della festa a distrarla, la mente tornò alla tavola ouija, ai suoi strani messaggi, e a quella sensazione che la situazione non fosse affatto un capitolo chiuso.

Più passavano i minuti più l’ansia la divorava.

La parte razionale del suo cervello le ricordò che era passata già un'ora e che, qualsiasi cosa dovesse accadere, a quest’ora avrebbe già dovuto manifestarsi, eppure quella vocina continuava a sussurrarle “Era lì per te” e no, il pensiero non la tranquillizzava affatto.

In tutto ciò c’era anche la questione dell’improvviso mutismo di Luca; ma aveva già avuto abbastanza scocciature per una sola serata per preoccuparsi anche di quello. Qualsiasi problema avesse era colpa sua: era stato lui a proporre quella stupida trovata della tavola ouija, se voleva tenerle il muso perché qualsiasi cosa ci fosse dall’altra parte si era fissata con lei, be’ era un vero idiota.

Il solo pensiero che quel qualcosa volesse proprio lei era sufficiente a farle venire i brividi.

Si dice che quando parli del diavolo spuntino le corna, e infatti neanche l’avesse chiamato ad alta voce, Luca le passò a fianco, andando verso la sua camera da letto. Qualunque cosa ci fosse che non andava, poteva aspettare fino a domani.

 

Non si accorse di essersi addormentata finché non si svegliò, di scatto, seduta sulla scomoda sedia della cucina. Fuori era ancora notte, le cadde l’occhio sullo schermo del telefono; segnava le cinque di mattina.
Nella casa regnava il silenzio, anche il respiro di Bea sembrava tranquillo, eppure la sensazione che ci fosse qualcosa di molto sbagliato non riusciva proprio a togliersela di dosso.

Rispondendo a chissà quale logica, si alzò per andare in direzione della camera da letto; passando guardò in quella di Luca.
E avrebbe preferito non averlo fatto.

Il suo coinquilino stava seduto, rigido, sul letto; gli occhi aperti e vacui che comunque la stavano fissando; quando le parlò aveva una voce monocorde, sembrava ancora addormentato: “Devi andare in camera, lui ti sta aspettando”.
Si sentì annaspare in cerca d’aria, la gola completamente chiusa, non c'era bisogno di chiedere chi fosse il lui a cui si riferiva.

Considerò la possibilità di scappare, andare a cercare un prete, un esorcista, una medium, chiunque potesse aiutare ma la verità era che non aveva un’alternativa.
O forse c’era, come quando aveva deciso di manovrare la tavola a suo piacimento, e lei aveva scelto di giocare.
Ora il gioco doveva continuare fino alla sua fine inesorabile: poteva scegliere di entrare in camera sua oppure tornare in salone, ma non ci sarebbero state seconde possibilità.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza diceva l’Ulisse dantesco per giustificare la scelta che l’avrebbe portato alla morte, e il fatto che quella stessa frase motivasse la sua di scelta avrebbe dovuto spaventarla più di quanto non fosse in realtà

La stessa energia della tavola ora veniva da dietro la porta della sua camera e per un attimo si chiese se l’avrebbero trovata lì, morta per terra, a causa di un arresto cardiaco.
Da come si erano messe le cose non lo escludeva affatto.

I pochi secondi che le servivano per aprire la porta non la prepararono a ciò che la aspettava: due occhi rossi e un libro nero, aperto, due immagini che non avrebbe più dimenticato. Con l’ombra di un sorriso sul volto, prese la penna che le veniva offerta da una mano curata, lasciando che le unghie da rapace le graffiassero appena la pelle.
Ancora una volta, la voce le uscì prima che se ne rendesse conto.

“Dove devo firmare?”.


Angolo dell'Autrice
Prima storia horror (?), il risultato non mi soddisfa ma devo ammettere che mi sono divertita e non poco.
Non sapevo bene dove inserire l'elemento "soprannaturale" tanto che nella bozza iniziale doveva esserci una scena di possessione del povero Luca (che nella versione finale è più una sorta di medium inconsapevole), onestamente non so quale versione funzioni di più quindi vi beccate questa.
Il linguaggio è meno "pulito" di quanto non sia di solito nelle mie storie, ma stiamo parlando di ragazzi ad una festa, non volevo risultasse troppo artificioso perciò spero di non aver turbato nessuno (anche perchè mi sembra l'aspetto meno disturbante di tutta questa storia).

Ad ogni modo, buon Halloween in ritardo, perchè come al solito io e le scadenze non andiamo d'accordo.
RedSonja

 

 

 

 

 

 

 

  
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