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Autore: ChiiCat92    04/11/2021    0 recensioni
"[...]Dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita, quello che viene decantato nei film, nei romanzi d’amore, nelle canzoni melense, il giorno in cui le uniche lacrime sono di gioia ballando abbracciati al proprio partner.
Non riesco a non avere paura.[...]"
Questa storia partecipa al Writober indetto da Fanwriter, prompt #15, "Paura".
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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25/10/2021


E se fosse il momento sbagliato, e se fossi la persona sbagliata. E se si rendesse conto che non vuole davvero farlo, e se pensasse, guardandomi arrivare, di fronte a tutti i nostri amici e parenti, che è stato tutto un errore? 

Fisso il mio riflesso nello specchio, cinque minuti prima di uscire da casa.

Truccata, con i capelli acconciati, il vestito bianco, e lacrime agli angoli degli occhi.

Non devo piangere, non devo piangere, non devo piangere.

Ma è così difficile.

Dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita, quello che viene decantato nei film, nei romanzi d’amore, nelle canzoni melense, il giorno in cui le uniche lacrime sono di gioia ballando abbracciati al proprio partner.

Non riesco a non avere paura.

Mi sembra tutto sbagliato, io mi sento sbagliata. Non sono la persona con cui io passerei tutto il resto della mia vita. E se non mi piaccio io come posso piacere a lei?

Cerco di immaginarla, vestita anche di lei di bianco, con il vestito più romantico e pieno di balze che è riuscita a trovare, mentre accetta di essere mia moglie, di avere il coraggio di sopportare tutto quello che c’è nella mia testa, nella gioia nel dolore, in salute e malattia, e tutte quelle altre stronzate.

Non posso farle questo, non posso costringerla a questo. Già solo immaginarlo mi fa venire la nausea, perché dovrei costringere la persona che amo di più al mondo a sposarmi? 

Sembra una condanna a morte, no anzi, peggio, la condanna alla prigionia. 

Penso a mia madre, a quando le ho sentito dire piangendo che il matrimonio e la famiglia sono come i chiodi di una bara, quando l’ho vista scontenta, quando l’ho vista odiare mio padre, forse odiare anche le sue figlie per il solo fatto di respirare ed esistere.

Come posso condannare l’amore della mia vita a questo? 

Forse non dovevamo organizzare questo matrimonio, è troppo presto, io non sono pronta.

Sento la crisi di panico stringermi i polmoni e il cuore, mi sembra di non riuscire più a pensare, la mente piena di bambagia nera che si fa sempre più densa, infilandosi in ogni anfratto del mio corpo come poliuretano espanso. Soffocherò senza riuscire a chiedere aiuto, annegando nella mia stessa disperazione. 

Qualcuno bussa alla porta, riesco a mettere a fuoco la mia immagine allo specchio. Ancora truccata, ancora con i capelli in ordine, ancora vestita, ancora intenzionata ad andare a sposarmi. 

< Sì. > dico, con un filo di voce.

Mia sorella entra nella stanza. Lei è carina con il vestito blu chiaro che indossa. Lo stupido tema che abbiamo deciso per il matrimonio: i miei amici e parenti in blu, i suoi in viola, i nostri colori preferiti. 

< Tutto bene? >

< Sì. > ma lei lo vede sul mio viso che non è così.

Non c’è un cazzo di niente che vada bene, mi tremano le ginocchia e le stupide scarpe con il tacco che ho deciso di indossare sono instabili, lo è persino il pavimento sotto i piedi, tutto trema, fatto di gelatina alla frutta.

Lei mi guarda, capendo perfettamente qual è il problema il quel suo modo insinuante e odioso. E’ la persona che mi conosce meglio, fatta esclusione per la donna che sto per sposare, e sa leggermi come se fossi un libro aperto. Insopportabile se penso ai modi in cui è in grado di demolirmi a livello molecolare solo per ricostruirmi a suo piacimento. 

Lei sa che se dovesse dire la parola sbagliata (ma a dirla tutta anche quella giusta) scoppierei in lacrime e rovinerei un’ora di trucco che ci è costata una fortuna (maledetti sciacalli di matrimoni, non appena si aggiunge la parola “nozze” a qualcosa diventa subito cento volte più costosa). 

Per questo tace, guardandomi, percorrendo ogni angolo del mio corpo con i suoi occhi scanner cercando le microfratture del mio essere. 

< Se sei pronta possiamo andare. > 

< Sì. > 

Riesco a parlare solo per monosillabi, qualcosa di più lungo scatenerebbe un flusso di parole, lacrime, probabilmente improperi, e da una signorina vestita così bene non ci si aspettano bestemmie. Anche se è l’unica cosa che riesco a pensare. 

Sistemo il cinturino delle scarpe, aggiusto i bottoni sul corpetto, faccio di tutto per allontanare il momento in cui dovrò uscire dalla stanza. 

Procrastino come ho fatto per tutta la mia vita. 

< Sei...sicura che sia tutto okay? >

Ecco, l’ha detto, dannazione.

Perdo l’equilibrio, definitivamente, qualcosa si spezza dentro di me e la paura si riversa sottoforma di lacrime, urla, ululati come quelli di un animale ferito.

Lei scatta in avanti, mi abbraccia, in qualche modo (credo) mi sostiene, ma non riesco a capirlo, ci sono solo vestiti, metri e metri di stoffa, calze di nylon, trucco, lacca, cose che mi soffocano e mi seppelliscono un po’ più in basso, sotto uno strato di insicurezza e terrore.

Mi stringe e mi sussurra all’orecchio parole confortanti che non riesco a sentire. Quello che so è che le dico che sono un fallimento, tutta la mia vita lo è, e che non voglio che il mio fallimento contagi anche lei, che diventi per osmosi un liquame umano come me. 

Quando penso di aver finito di versare tutte le mie lacrime, mia sorella mi prende il viso tra le mani.

Non dice niente, si limita a sistemarmi il trucco, sa che qualsiasi parola sarebbe superflua in questo momento. Sa quanto la amo, sa quanto ho lottato per il nostro rapporto, quanti pregiudizi abbiamo dovuto affrontare, quanto abbiamo sofferto e quanto...ci meritiamo questa felicità.

Quindi perché dirmelo? Di nuovo? Quando ne sono completamente consapevole? 

La paura allenta la morsa, sento gli artigli ritrarsi senza lasciare segni nella carne. Si ritira come la marea, lasciandomi dentro uno strano senso di calma.

E’ ingiusto che mi senti così dopo essere crollata in mille pezzi. 

Mia sorella mi stringe le mani finché non recupero un po’ di colore, finché non smetto di tremare.

Dentro di me, in fondo, c’è ancora paura, non posso negarlo. Ma posso superare queste ridicole debolezze. Le accetto, fanno parte di me, lo saranno sempre, probabilmente mi sveglierò una mattina ancora con la sensazione di annegare, ma lo supererò.

Con la persona che amo, e che sto andando a sposare. 

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The Corner 

Non mi sono ancora arresa, voglio finire il Writober (anche se oggi è il 4 novembre lol), quindi continuerò a pubblicare storie finché non ce l'avrò fatta, ormai è una battaglia contro me stessa e sono intenzionata a vincerla.
P.s. Sì, questa storiella è abbastanza autobiografica, devono essere queste le paure che si sbloccano quando si supera una certa età.

Chii

 
   
 
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