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Autore: Parmandil    07/11/2021    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_1984)]
"Il principio è un periodo oltremodo incasinato. Sappiate che questo è l’anno Diecimila e Rotti. L’Universo Conosciuto è unificato sotto l’Impero Analogico, governato dall’Imperatore Pascià Sofà IV. In questo periodo, la più preziosa e vitale sostanza dell’Universo è il melange, la Spezia. La Spezia esalta tutte le facoltà della mente e del corpo. La Spezia fa arrapare anche i nonnetti. La Spezia è essenziale per annullare lo spazio, tenendo unito l’Impero Analogico. La potente Gilda Spaziale, e i suoi Navigatori che la Spezia ha sballato in oltre quattromila anni, usano il gas arancione del melange che conferisce loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè di viaggiare in qualsiasi parte dell’Universo... senza mai muoversi.
Oh, già... ho dimenticato di dirvelo. La Spezia esiste su un solo pianeta nell’intero Universo Conosciuto. Un arido e desolato pianeta, con vasti deserti roventi. Nascosta tra le rocce in queste zone desertiche, vive una popolazione conosciuta come i Femen, che attende – secondo un’antica profezia – l’avvento di un giovane emo, che li guiderà finalmente verso la vera libertà. Il pianeta è Arrankis, così detto perché tutti arrancano come dannati nelle sue sabbie, conosciuto anche come... Dune. TUM-TUM-TU-TUUUM!”.
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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-Capitolo 2:

 

   “La Casa Formaldeides prese il controllo di Arrankis il 69º giorno standard dell’anno 10.191. Si sapeva che gli Scarafonnen, precedenti tiranni di Arrankis, avrebbero lasciato molte trappole dietro di loro. I Formaldeides raddoppiarono la sorveglianza...”.

dal Manuale dell’Emo, della Principessa Iruxol Corrida

 

   Il primo impatto con Dune non fu roseo. All’apertura del portello, l’aria rovente del pianeta entrò nella navicella d’atterraggio e investì i Formaldeides.

   «Porca Gesserit! È un forno!» si lamentò Paul.

   «Che ti aspettavi? Non hai letto i videolibri? Su, andiamo!» disse il Duca, che resisteva stoicamente al clima asfissiante. Scese assieme a Lady Godiva, mentre Paul gli arrancava dietro. Tutt’intorno erano schierate le truppe Formaldeides, in un’imponente dispiegamento di forze. Uomini e donne resistevano sotto il solleone, sudando anche l’anima; solo a Tuttfritt era permesso di tenere un ombrellino da sole, per proteggere il suo prezioso cervello.

   «A palazzo avremo l’aria condizionata, vero?!» gli bisbigliò Paul, quando furono affiancati.

   «Certo... se non s’inceppa l’impianto» rispose il Dementat, poco consolante.

   Fatti pochi passi, i Formaldeides incontrarono il comitato di benvenuto. Paul riconobbe con gioia il buon Duncan Ohio, giunto lì poche settimane prima per preparare il terreno. C’era anche un uomo dalla corta barba grigia, con l’uniforme di un alto funzionario imperiale. Quando gli furono vicini, Paul notò che i suoi occhi erano di un blu intenso. Possibile che fosse un Femen?!

   «Benvenuto, Duca» disse Duncan, eseguendo il saluto militare. «Avete fatto buon viaggio?».

   «Diciamo così» minimizzò Letonto. «Allora, che dicevamo di questo buco infernale?» chiese, guardandosi attorno.

   «Qui ti lavi le chiappe con la sabbia, mio signore» rispose il Maestro d’Armi. «Posso testimoniare che è proprio così. Ma lasciate che vi presenti il dottor Kinkes, ecologo imperiale ed esperto degli usi locali». A queste parole, l’interessato sorrise e fece uno strano gesto di saluto, portandosi la mano alla fronte e poi allargandola.

   «Molto lieto» disse Letonto. «Se non fosse impossibile, direi che siete un Femen...» aggiunse mentre lo osservava.

   «Non lo sono; ma ho vissuto così a lungo su questo pianeta che i miei occhi sono cambiati» rispose il funzionario.

   «Il dottore ha anche sposato una Femen» rivelò Duncan. «Senza la sua mediazione, non avrei potuto incontrare il loro leader Sticazz».

   «Ah, ben fatto!» si congratulò il Duca. «Allora, come si pongono davanti al nostro avvicendamento? Sono amichevoli, ostili, indifferenti...?».

   «Direi incazzati, per come gli Scarafonnen li hanno trattati negli ultimi decenni» rispose Kinkes.

   «Noi non siamo Scarafonnen» chiarì Letonto. «Voglio incontrare questo Sticazz, per mettere in chiaro le cose».

   «Si può fare» disse l’ecologo imperiale, conciliante.

   «Voglio incontrarlo a casa mia» puntualizzò il Duca, accennando al palazzo fortificato verso cui si stavano dirigendo.

   «Ecco, questo sarà più complicato» ammise Kinkes. «I Femen la considerano un po’ la tana del drago, non so se mi spiego. Forse un incontro in campo aperto...» suggerì.

   «No. Incontrerò Sticazz là dentro, e lei lo renderà possibile» ordinò Letonto, in un tono che non ammetteva repliche.

   Il funzionario deglutì. «Come desidera, Eccellenza» disse, con un sorriso più nervoso del precedente.

   «Questi Femen... sono numerosi?» chiese Paul, affiancandosi a Kinkes mentre entravano nel palazzo. L’ombra portò un poco di refrigerio, che crebbe quando il portone si richiuse alle loro spalle.

   «L’Impero non è mai riuscito a censirli» rispose l’ecologo. «Io stesso, pur avendo vissuto tra loro per anni, non saprei dirvi quanti ce ne siano in totale sul pianeta. Credo, però, che il loro numero e la loro forza siano ampiamente sottostimati. Sono un popolo fiero, sapete. Se li prendete nel modo giusto, sanno essere ospitali. Ma non lisciateli contropelo, o diventano delle belve!» avvertì.

   «Senti, senti...» fece Paul.

 

   I primi giorni su Arrankis furono strani. Paul viveva quasi segregato nel palazzo di Arrankeen, la capitale, mentre attorno a lui fervevano i lavori d’insediamento. Dalle finestre e dai camminamenti poteva osservare la città, che a dire il vero gli parve piccola e anonima. Gli unici edifici imponenti erano il palazzo stesso, la raffineria di Spezia e la caserma, tutti pesantemente fortificati. Per il resto c’erano soprattutto case basse, rugginose e polverose. Le loro mura, graffiate dalle tempeste di sabbia, riverberavano sotto il sole cocente. Il centro città apparteneva al personale imperiale, mentre in periferia vivevano alcuni Femen, perlopiù addetti a lavori di manovalanza. Tutto era racchiuso dalle spesse mura cittadine, che tenevano fuori il deserto e – si sperava – i Vermoni. Non c’era alcuna traccia di vegetazione, salvo una ventina di palme terrestri allineate davanti alla facciata del palazzo. In un torrido mezzogiorno, Paul vide un inserviente Femen che le annaffiava, sacrificando le preziose riserve d’acqua. L’uomo bagnava il terreno subito attorno al tronco, accertandosi che nemmeno una goccia andasse sprecata.

   «Ehm, salve, buon uomo!» esordì il giovane, volendo conoscere quegli strani individui. «Che mi dice delle palme... bevono molto?».

   «Ciascuna consuma tanta acqua quanto cinque uomini» rispose solennemente il nativo, raddrizzandosi. «Venti palme... cento anime».

   «E non si può lasciarle seccare? O tagliarle proprio?» chiese Paul, impressionato.

   «No. Anche l’occhio vuole la sua parte» rispose il Femen, e riprese ad annaffiarle senza più badargli.

   «Sembra che avrò molto da imparare» si disse Paul.

 

   Quel giorno stesso, Letonto convocò il figlio nel suo studio. «Ci siamo!» disse con un lampo di trionfo negli occhi. «Duncan e Kinkes hanno combinato un incontro col leader del Femen».

   «Bene» disse Paul.

   «L’incontro avverrà qui da noi».

   «Benissimo».

   «Voglio che te ne occupi tu» disse il Duca, come se niente fosse.

   «Be... be...» balbettò il giovane, che non se lo aspettava.

   «Piantala di belare e ascoltami!» intimò Letonto. «Ti avevo avvertito che avrei cominciato ad affidarti degli incarichi. Bene, questo è il primo: fatti rispettare da Sticazz. Mostrati forte, ma senza minacciarlo. Assicuragli che rispetteremo l’autonomia dei Femen, ma anche che continueremo l’estrazione di Spezia e non tollereremo sabotaggi da parte loro».

   «E se... questo Sticazz si mostrasse ostile?» chiese Paul con un filo di voce. «Se pretendesse delle concessioni da parte nostra?».

   «Ascoltalo, ma non agire impulsivamente. Io assisterò alla scena e se necessario prenderò in mano la situazione» garantì il Duca.

   «Okay» deglutì il giovane. «Allora, quando...».

   «Oggi. Tra un’ora» lo informò Letonto.

   «Groan, mi hai proprio dato il tempo di prepararmi!» borbottò Paul, ma suo padre si stava già occupando d’altro. Vedendolo così teso, tuttavia, il fedele Tuttfritt gli si accostò.

   «Giovane signore, ricordate ciò che avete appreso sui Femen» sussurrò il Dementat. «Hanno un forte senso dell’onore, che in tempo di pace si traduce soprattutto nell’essere sinceri. E valutano l’acqua sopra ogni cosa, tanto che offrire la propria acqua all’interlocutore è il loro saluto e la loro prova di buona volontà. Quando Sticazz sarà davanti a voi, e vi offrirà la propria acqua, ricordatevi di fare altrettanto. Sarà indispensabile per avviare una trattativa proficua».

 

   Di lì a poco Letonto e Paul erano nel salone delle udienze. Il Duca però si teneva in disparte, in un angolo ombroso, lasciando il figlio in prima linea. Solo Tuttfritt restò accanto a Paul, consigliandolo fino all’ultimo momento. Infine il portone si aprì, lasciando entrare Sticazz. Era un ceffo poco raccomandabile, dal faccione pieno di cicatrici incorniciato da una corta barba nera e gli occhi blu tipici del suo popolo. Indossava la famosa tuta distillante dei Femen, con tanto di sondino nel naso per assorbire il vapore acqueo.

   «Beh, eccomi qui!» esordì con un vocione tonante. «Allora, chi comanda?».

   «Io sono il Duca, ma per questa trattativa parlerete con mio figlio» chiarì Letonto.

   «Come volete» disse Sticazz in tono sbrigativo. «Ebbene, giovanotto... ti offro la mia acqua» disse, accostandosi a Paul. Questi si aspettava che l’altro gli consegnasse una borraccia, o al limite staccasse il raccoglitore d’acqua dalla tuta distillante. Invece, dopo essersi riempito ben bene la bocca di saliva, il Femen gli sputò in piena faccia.

   «Porca Gesserit! Che vi prende?!» protestò Paul, paralizzato dalla sorpresa.

   «Come sarebbe? Ti ho offerto la mia acqua, in segno di rispetto!» spiegò Sticazz. «Perché non ricambi il saluto? Devo credere che ci dispregi, come i tuoi predecessori Scarafonnen?!» s’indignò.

   «Certo che no... io vi stimo profondamente!» mormorò il giovane, detergendosi lo sputo.

   «Allora dimostralo! Ricambia il saluto, altrimenti me ne andrò gravemente offeso!» minacciò il Femen.

   «Adesso capisco perché ha voluto che gestissi io la trattativa» pensò Paul, dando un’occhiataccia a suo padre. Questi però non si scompose e rimase a osservarlo. «E va bene... vi offro la mia acqua, in segno di stima per voi e il vostro popolo!» si arrese il giovane. Raccolta la saliva, sputò in faccia al suo ospite. «Possa venirti l’herpes!» gli augurò tra sé.

   Soddisfatto, Sticazz diede finalmente inizio alle trattative. «Allora, giovanotto... sappi che gli Scarafonnen erano dei gran pezzi di merda. Spero che voi sarete meglio, perché altrimenti la mia gente perderà la pazienza. Devi sapere che quando noi Femen perdiamo la pazienza, diventiamo stitici. E quando diventiamo stitici, c’incazziamo come delle belve. Vuoi farci diventare stitici?!» chiese, tornando a scaldarsi.

   «C-certo che no, illustrissimo!» balbettò Paul, intimidito dal suo atteggiamento umorale. «Avete la mia parola che rispetteremo le vostre autonomie locali. Vi riforniremo anche di lassativi!» aggiunse, colto dall’ispirazione. «Tuttavia siamo qui su ordine dell’Imperatore, per gestire l’estrazione di Spezia. Siamo fermamente decisi a rispettare il nostro incarico, poiché in caso contrario tutta l’umanità ne soffrirebbe. Abbiamo giurato di fare il nostro dovere... e lo faremo ad ogni costo!» ribadì, acquistando una certa baldanza.

   «Questo vi fa onore» riconobbe Sticazz. «Bene, vedremo se sarete all’altezza delle vostre promesse. Ora devo andare» disse, facendo cenno di voltarsi.

   «Come, di già?!» si stupì Paul. «Ci sono molti dettagli di cui dovremmo discutere...».

   «Se sono dettagli, non vale la pena discuterne. E poi m’è venuto l’abbiocco» sbadigliò Sticazz.

   Paul si ritrasse, temendo che volesse “onorarlo” con un altro sputo. «Rimanete almeno a cena, così vi renderemo onore...» tentò ancora.

   «L’onore mi richiede altrove» rispose il Femen, inflessibile. «Alla prossima, signori. Ah, un consiglio... state attenti alle mosche cavalline. La loro puntura è fottutamente fastidiosa» raccomandò. Ciò detto, uscì senza aspettare d’essere congedato.

   Incerto, Paul fissò il padre per vederne la reazione.

   «Niente male, come primo approccio» commentò il Duca. «Non preoccuparti per i suoi modi bruschi... la fiducia non si costruisce in un giorno. L’importante è che non ci abbia dichiarato guerra. Per sistemare i dettagli ci saranno altre occasioni» assicurò.

   «Già, e altri sputi!» si disse il giovane, con la sensazione che se li sarebbe beccati tutti lui.

   «Riposati, ora. Domani andremo a ispezionare le Mietitrici» rivelò Letonto.

   «Wow, quindi voleremo sul porcicottero!» si emozionò Paul. «Mi farai guidare?».

   «Non in questa vita, figliolo» rispose il Duca.

 

   Quella sera, dopo cena, Paul si ritirò nella sua camera con l’idea di documentarsi ulteriormente sui Femen. Al suo ingresso trovò una domestica ancora affaccendata nel riordino. Era una donnina piccola, dalla faccia vizza, su cui gli occhi blu spiccavano inquietanti. «I miei rispetti, giovane signore» gracchiò. «Sono Napisan, addetta ai vostri alloggi; la camera sarà pronta a momenti».

   «Non ho fretta» sorrise Paul. «Anzi, è un bene che tu sia qui, perché vorrei chiederti alcune cose sul tuo popolo».

   «Quali cose?» chiese la governante, circospetta.

   «Beh, ad esempio... è vero che tra voi circola la profezia di un Eletto?» chiese Paul, ansioso di verificare quanto la propaganda delle Male Gesserit avesse attecchito.

   «Intendete l’Emo? Sì, così ci hanno tramandato i nostri padri» confermò la donna.

   «E pensate che arriverà a breve?» indagò il giovane.

   «Che sia tra un anno, o cento, o mille, che differenza fa? Prima o poi qualcuno arriverà» rispose la domestica, fatalista.

   «Come lo riconoscerete?».

   «Da molti segni. In primo luogo, egli conoscerà i nostri usi come se fosse nato tra noi, pur provenendo da un mondo lontano» rivelò la donna. «In seguito egli domerà i Vermoni e ci dimostrerà la sua preveggenza».

   «Uhm... e allora che accadrà?» incalzò Paul.

   «Allora non dovremo più nasconderci nelle sabbie, mentre altri sfruttano la ricchezza del nostro mondo» rispose Napisan, con uno sguardo obliquo.

   «Parli di noi Formaldeides?» s’indispettì il figlio del Duca.

   «Parlo di tutti coloro che non comprendono lo spirito di Dune» rispose la domestica. «Questo pianeta ci parla, mio signore... ma pochi ne avvertono il sussurro».

   «Sì, il pianeta parla... come no!» sbuffò Paul, alzando gli occhi al soffitto. «Hai altro da dirmi?».

   «Una sola cosa... tra noi Femen si vocifera che tra voi si celi un traditore» sussurrò la donna, gli occhi blu ridotti a fessure.

   «Un traditore?! E chi sarebbe? Parla, se lo sai!» si agitò il giovane.

   «Io non so nulla... io non ho detto nulla. Buonanotte, mio signore...» fece Napisan. Raccattò la sua attrezzatura e scivolò via come un’ombra.

   Rimasto in compagnia dei suoi dubbi e paure, Paul si mise a letto. Ma poiché era presto per dormire, prese a leggere un libro. Questo era un vero e proprio volume rilegato, con le pagine da sfogliare. Parlava delle usanze dei Femen, in particolare delle loro tute distillanti e delle tende con cui sfidavano la calura diurna. C’era anche un capitolo dedicato alle pericolose tempeste di sabbia che si scatenavano periodicamente, offuscando gran parte del pianeta.

   Assorto com’era nella lettura, Paul non si avvide che un fregio nella porta corazzata dell’alloggio si era aperto, né scorse il Cercatore Assassino che ne era uscito. Il drone aveva la forma e le dimensioni di una piccola siringa. Era in grado di levitare autonomamente e conteneva un veleno letale. Fin lì era stato pilotato da remoto, ma una volta oltrepassato il portone metallico doveva affidarsi al suo sistema di guida automatico, sensibile al movimento. Il minimo spostamento lo avrebbe indotto a colpire, iniettando il suo intruglio letale. Ma il giovane era talmente assorto nella lettura da risultare del tutto immobile. Così il Cercatore aleggiò nella camera per interi minuti, in attesa di quel movimento fatale che lo avrebbe indotto all’attacco.

   «Yawn! Che sonno!» sbadigliò a un tratto Paul. Al tempo stesso posò il libro sulle coperte e si stiracchiò tutto.

   Attivato dal movimento, il Cercatore scattò in avanti, l’ago teso verso il collo della vittima. Ma in quella il giovane si abbassò rapidamente per calzare le pantofole. Non riuscendo a fermarsi in tempo, il Cercatore si conficcò con l’ago nella testata lignea del letto. E lì rimase, ronzando nel tentativo di liberarsi, mentre Paul infilava le scarpe e poi si alzava.

   «Che strano ronzio...» mormorò il giovane, guardandosi attorno. «Allora Sticazz non scherzava, ci sono davvero le mosche cavalline!». Per quanto guardasse, tuttavia, non riconobbe il drone immobilizzato. Così lasciò cadere il problema e si recò in bagno, per fare una doccia e lavarsi i denti. Naturalmente ogni goccia d’acqua era contata su Arrankis, così che anche la doccia aveva una durata pre-impostata; se non ci si sbrigava, si restava insaponati. Persino i getti d’acqua del rubinetto duravano pochi secondi, per evitare che la sbadataggine del fruitore li lasciasse aperti. Anche così, Paul riuscì a sistemarsi e arrivò persino a canticchiare, ignaro del pericolo mortale che lo attendeva nella camera adiacente.

   Finito tutto, il giovane tornò in camera da letto. Il Cercatore Assassino era ancora lì, con l’ago conficcato nella testata. I movimenti di Paul, che tornava a coricarsi e si rimboccava le coperte, lo misero di nuovo in agitazione. Il diabolico congegno oscillò a destra e a sinistra, per quanto glielo consentivano le circostanze, finché riuscì a liberarsi. Subito tornò a levitare a mezz’aria, sondando la camera in cerca di movimenti; ma Paul era tornato a immergersi nella lettura, così che era di nuovo immobile. Presto però avrebbe dovuto girare la pagina, e allora...

   Un movimento catturò l’attenzione del Cercatore. La porta blindata si apriva, qualcuno entrava nella stanza. Rapido e silenzioso come una libellula, il congegno schizzò verso la nuova vittima. Il suo ago proteso era pronto a iniettare il micidiale veleno.

   Ma il Cercatore non era il solo, in quella stanza, a recepire il movimento. Con la coda dell’occhio, Paul avvertì che qualcosa gli volava accanto e si mosse fulmineo. Chiuse di scatto il libro e schiacciò il Cercatore contro la parete, distruggendone i fini meccanismi. La minuscola siringa andò in pezzi e il veleno si disperse, macchiando un po’ il muro e un po’ la copertina del volume. In presenza d’ossigeno atmosferico, il letale composto chimico si degradò in pochi attimi, divenendo innocuo.

   «Ah! T’ho presa, maledetta!» si gloriò Paul.

   «Per il Vermone!» esclamò Napisan, bloccandosi sulla soglia. «Che avete fatto?!».

   «Ho finalmente schiacciato quella dannata mosca cavallina che sentivo ronzare» rispose il giovane, ignaro del rischio appena corso. «Fortuna che Sticazz mi aveva avvertito di queste bestiacce».

   «Ma veramente non mi pare che ne abbiamo...» mormorò la domestica, perplessa.

   «Su, entra!» la invitò Paul, non badando alle ultime parole. «Che ti porta di nuovo qui?».

   «Vi ho portato una tisana, giovane signore» disse Napisan, entrando col vassoio in mano. «Vi aiuterà a dormire... non temete, è semplice camomilla» spiegò, porgendogli la tazza fumante.

   «Ah, grazie!» fece Paul. Prese la tazza e la vuotò in un paio di sorsi. «Mi ci voleva. Domani sarà una gran giornata... sai, andiamo a ispezionare le Mietitrici».

   «State attenti ai Vermoni» raccomandò la domestica, riponendo la tazza sul vassoio.

   «Tranquilla, voleremo ben alti sopra di loro» la rassicurò il giovane. «Sarà la mia prima escursione su Dune... sarà fantastico! Cosa può andare storto?».

 

   «Ebbene?» chiese Letonto, chinandosi a osservare i resti del soldato Scarafonnen.

   «Si è murato in un’alcova del palazzo, invisibile ai nostri sensori, e ha atteso giorni interi prima di colpire» rispose il dottor Olé, che aveva appena ultimato l’autopsia. «Riteniamo che dirigesse un Cercatore Assassino, ma è chiaro che ha fallito il bersaglio. E quando lo abbiamo localizzato, tracciando il segnale radio, s’è avvelenato prima che potessimo immobilizzarlo».

   «Non ci avrebbe detto molto, comunque» commentò Duncan. «Questi killer sono fanatici... ma è il suo equipaggiamento che parla per lui. Questa è tutta tecnologia Scarafonnen!» sbuffò, accennando all’attrezzatura del sicario.

   «Temevo una mossa del genere; si addice al Barone» commentò Letonto con tristezza. Subito dopo, però, si riscosse. «Ispezionate di nuovo il palazzo, nel caso ci fossero altri come lui. Questa adesso è casa nostra... rendetela sicura una volta per tutte!» ordinò seccamente.

   «Sarà fatto, milord» promise Duncan, mettendosi sull’attenti. «Volete cancellare l’ispezione di domani?».

   «No, procederemo come previsto. Non voglio dare ai nostri avversari l’impressione che siamo spaventati e ci nascondiamo. Non gli darò questa soddisfazione!» stabilì il Duca.

   «E vostro figlio... volete che sia informato dell’accaduto?» chiese il Maestro d’Armi, dando un’ultima occhiata ai resti del sicario.

   «No, e nemmeno Godiva. Servirebbe solo a preoccuparli» decise Letonto.

   «Magari starebbero più sul chi vive...» azzardò Duncan.

   «Penso che lo siano già abbastanza» disse il Duca, guardandolo negli occhi. «È un rischio calcolato, vecchio mio. Del resto, tutta l’arte militare lo è».

 

   Era il giorno dell’ispezione. Consumata una robusta colazione, Paul indossò per la prima volta la sua tuta distillante, costruita sul modello di quelle Femen (ma con materiali migliori). Giunto all’hangar, vi trovò suo padre col fedele Duncan. C’era anche il dottor Kinkes, che non vedeva dal giorno dell’insediamento. «Ah, eccoti!» lo accolse Letonto. «Sempre ultimo, eh?».

   «Sono giunto prima dei piloti» rivendicò Paul.

   «Niente piloti; guiderò io stesso il porcicottero!» spiegò il Duca, tutto orgoglioso. «Il dottor Kinkes mi affiancherà. Tu e Duncan starete nei sedili posteriori».

   «I sedili posteriori mi danno la nausea» borbottò Paul, ma il commento si perse nel trambusto generale. Gli addetti stavano rifornendo di carburante il porcicottero, una navicella scolpita nelle nobili forme di un grande suino alato. Sul grugno c’erano due fari; sopra di esso vi era il parabrezza della cabina. Il portello era posto sulla fiancata, mentre il carburante veniva iniettato attraverso il posteriore. Il Duca stava per salire a bordo, quando Kinkes lo fermò.

   «Col vostro permesso, milord, devo controllare che le tute siano in ordine» disse il planetologo. Vedendo che accostava le mani al Duca, le guardie del corpo scattarono in avanti; ma Letonto le fermò con un gesto.

   «Siamo nelle vostre mani, dottore» disse il Duca, sapendo che avrebbe dovuto affidarsi spesso alle sue conoscenze. «E se volete essere così gentile, gradirei anche una completa spiegazione del loro funzionamento».

   «Certamente» disse Kinkes. Prese a ispezionare gli illustri ospiti, a partire dal Duca; gli aggiustò le chiusure sulle spalle mentre sviscerava il funzionamento della tuta. «In sostanza è un tessuto a microstrati, che fanno da filtro ad alta efficienza e da scambiatore di calore. Lo strato a contatto con la pelle è poroso, per consentire la traspirazione. I due strati superiori contengono i tubicini per riciclare l’acqua e i precipitatori per il sale. Alzate le braccia, milord, e inspirate profondamente» invitò.

   Il Duca eseguì, restando in posizione, per consentire allo scienziato di proseguire con le osservazioni. «I movimenti del corpo, uniti all’effetto osmotico, permettono di recuperare l’acqua persa col sudore. Questa circola nei tubicini e finisce nelle tasche di raccolta. Potete succhiarla grazie a questa cannuccia ubicata nel colletto».

   «Vedo... semplice ed efficiente» approvò Letonto, abbassando le braccia.

   «Se vi trovaste in pieno deserto, dovrete inoltre portare questo sondino nel naso. Ovviamente ricordatevi di respirare solo dalle narici» proseguì Kinkes, sollevando il sondino dal colletto e mettendolo in posizione. «Così non perderete più di un ditale d’umidità al giorno, anche se vi smarriste nel Grande Argh» disse, riferendosi al deserto più infuocato del pianeta.

   «Vi ringrazio» disse il Duca, che effettivamente trovava la tuta più comoda, ora che l’esperto gli aveva aggiustato le chiusure.

   «E ora veniamo a voi, giovanotto» disse Kinkes, venendo a ispezionare Paul. La sua fronte si corrugò ed egli indietreggiò di un passo. «Uhm... avete già indossato una di queste tute, prima d’ora?» volle sapere.

   «Questa è la prima volta» rispose Paul, in tutta franchezza.

   «Allora qualcuno l’ha aggiustata per voi?».

   «No».

   «I vostri pantaloni sono infilati in modo da scorrere liberamente sulle caviglie. Chi ve l’ha insegnato?».

   «Nessuno. Mi è semplicemente sembrato il modo giusto» spiegò Paul. Ricordò le parole della vecchia Napisan, riguardo all’Eletto che i Femen aspettavano: «Egli conoscerà i nostri usi come se fosse nato tra noi, pur provenendo da un mondo lontano». Il cuore gli batté forte: possibile che fosse lui?!

   «No, è completamente sbagliato» lo gelò Kinkes. «I pantaloni devono essere infilati negli stivali, o perderete un sacco d’acqua».

   «Oh» fece Paul, deluso, e si affrettò a correggersi. Intanto lo scienziato ispezionò Duncan, aggiustandogli la cinghia sulla fronte. «Possiamo andare» disse infine Kinkes, vedendo che il porcicottero era stato rifornito a dovere.

   I quattro salirono sul velivolo, con Letonto ai comandi. «Vediamo... come si accende quest’affare?» mormorò il Duca, che da un pezzo non pilotava di persona. «Ah, ecco!» ricordò, attivando i comandi in sequenza. Dietro di lui, Paul ripeté a bassa voce la Litania contro la Paura, sentendo di averne bisogno.

   Il porcicottero spiegò le ali simili a pale, che presero a battere sempre più in fretta, fino a diventare pressoché invisibili. Il ronzio salì di tono e il loro rapido movimento sbatté in faccia agli astanti l’onnipresente sabbia. Infine il porcello dorato si levò maestosamente in volo e lasciò l’hangar, innalzandosi nel cielo blu senza nubi.

 

   Lasciata la capitale, Letonto diresse il porcicottero nello sconfinato deserto di Arrankis. Non c’era roccia in quella regione; solo sabbia, fine sabbia arancione a perdita d’occhio. Il vento l’aveva modellata in immense dune a mezzaluna, alte come colline, e continuava a spostarla. «Bene, siamo nel deserto di Argh» disse Kinkes. «Fuori ci sono 80ºC e ce ne saranno ancora di più, quando il sole sarà a picco. Questo è l’ambiente preferito dei Vermoni».

   «Pensa che ne vedremo qualcuno?» s’interessò Paul.

   «Oh, è probabile» annuì lo scienziato. «Dove ci sono i Vermoni, c’è la Spezia. Dove c’è la Spezia, ci sono le Mietitrici. E poiché i Vermoni sono attratti dalle loro vibrazioni, gli attacchi sono frequenti. Ecco, guardate laggiù!» disse, indicando un punto del deserto qualche chilometri avanti.

   Paul si alzò sul sedile, aguzzando la vista, e scorse una nube giallastra a forma di vortice che s’innalzava nel cielo terso.

   «È la sabbia che viene espulsa dopo essere stata centrifugata per estrarne la Spezia» confermò Kinkes. «Nessun’altra nuvola le somiglia. La Mietitrice è là sotto, se riuscite a vederla. Sembra che abbia trovato un giacimento ricco, a giudicare dal colore». In effetti la sabbia al suolo scintillava in modo particolare, come se qualcuno avesse disseminato il deserto di brillantini.

   «Voglio avvicinarmi» disse il Duca, correggendo la rotta. Il porcicottero puntò dritto verso la Mietitrice, che scintillava alla base del mulinello di sabbia. Paul lasciò del tutto il sedile e venne avanti, per vederla meglio. Era un imponente macchinario emisferico, che si muoveva lentamente su numerose zampe meccaniche, ciascuna terminante in una ruota cingolata. Visto così, pareva un gigantesco coleottero che filtrasse la sabbia del deserto. Il sole ne arroventava la corazza bruna, tutta graffiata dalle tempeste di sabbia.

   «Quello cos’è?» chiese Paul, notando un velivolo squadrato che levitava molto più in alto.

   «L’Ala Trasporto» spiegò l’ecologo imperiale. «Controlla che non ci siano segni di Vermoni e al momento del bisogno scende a trarre in salvo la Mietitrice».

   «Ah... e quali sono i segni premonitori?».

   «Precipitandosi contro il bersaglio, i Vermoni creano un’onda di sabbia in superficie. Ma a volte viaggiano troppo in profondità, così che l’onda è invisibile. Per questo l’Ala è provvista di sonde sismiche...».

   «Ehi cervellone, quando dice “onda di sabbia” intende quella?» chiese Duncan, indicando qualcosa in lontananza. I compagni di volo seguirono il suo gesto, notando uno strano rigonfiamento della sabbia. Era una linea dritta che veniva in avanti, con l’estremità increspata. C’erano anche delle scariche d’elettricità statica, che somigliavano a piccoli fulmini; ma questi partivano dalla sabbia e si ramificavano verso il cielo.

   «Diavolo, sì!» confermò Kinkes. «È un Vermone, senza dubbio... ed è anche parecchio grosso».

   «Tanto da minacciare la Mietitrice?» chiese Paul, osservando dubbioso quella montagna di metallo semovente.

   «Tanto da ingoiarla come una pillola, temo» disse lo scienziato. «Sarà meglio avvertire l’equipaggio, posto che non abbiano già rilevato il pericolo».

   «Sì, ma non dica che abbiamo il Duca a bordo» raccomandò Duncan, sempre protettivo verso il suo signore.

   «Intesi» fece Kinkes, attivando la radio a onde corte. «Volo 42 a Mietitrice 9, attenzione! Sono il dottor Kinkes, in giro d’ispezione. Avete un Vermone che vi viene contro, a ore sei!» avvertì.

   «Sei matto? Sono quasi le undici!» gli risposero dalla Mietitrice.

   Lo scienziato alzò gli occhi al cielo. «Intendevo dire che ce l’avete in coda. A questa velocità sarà da voi tra venti minuti al massimo. Se ci tenete alla vita, vedete di sbaraccare!».

   «Okay dottore, stiamo chiamando l’Ala Trasporto» rispose l’addetto alla mietitura. «Grazie dell’avviso, saremo in volo tra pochi minuti. Passo e chiudo».

   «Vede, signor Duca?» fece Kinkes, riaccomodandosi sulla sua poltroncina. «I mietitori lavoreranno fino all’ultimo secondo, per strappare al deserto qualche grammo in più di Spezia. Si goda lo spettacolo».

   La Mietitrice arrancò sulla sabbia alla massima velocità consentita dai suoi cingoli, per guadagnare un poco di tempo. Nel frattempo l’Ala Trasporto assegnatale calò dal cielo. Era una grande piattaforma sorretta da razzi, che si posizionò sopra il veicolo. Cavi d’acciaio furono sparati contro la Mietitrice, agganciandola saldamente ai lati. Ma il peso era tale che nemmeno l’Ala Trasporto, con tutti i suoi propulsori, poteva sollevarla. Così il velivolo aprì degli sportelli sulla sua faccia superiore. Enormi palloni aerostatici cominciarono a gonfiarsi; il gas veniva prodotto sul momento, tramite reazioni chimiche. Servivano quattro palloni, oltre ai razzi, per sollevare il pesantissimo carico. Si gonfiarono l’uno dopo l’altro, a distanza di pochi secondi. Uno... due... tre...

   «Sarà meglio che si sbrighino, quel Vermone è sempre più vicino» commentò Duncan, osservando con apprensione fuori dal finestrino laterale. «A tratti esce dalla sabbia».

   «Dove? Devo vederlo!» si emozionò Paul, lasciando il proprio sedile per osservare assieme al suo mentore. Così facendo, dette inavvertitamente una gomitata a un comando, attivandolo. Sfortuna volle che quella fosse la postazione dell’artigliere e il comando fosse proprio la mitragliatrice. La bocca del porcicottero si aprì, lasciando uscire una smitragliata. Proprio in quel momento il Duca stava manovrando per avere l’Ala Trasporto davanti a sé. Il risultato fu che alcuni proiettili colpirono l’ultimo pallone aerostatico, afflosciandolo. L’Ala Trasporto sbandò, inclinandosi. La Mietitrice, già sollevata di qualche metro, ricadde pesantemente al suolo. Ci fu uno schianto e il metallo si deformò, mentre alcuni bulloni saltavano via. Il veicolo era danneggiato, tanto da non potersi più muovere autonomamente. E in ogni caso fuggire via terra era inutile, perché il Vermone stava arrivando.

   «Cos’è successo?!» chiese Letonto, che essendo concentrato sui comandi non aveva notato la smitragliata.

   «Hanno avuto un incidente, ma...» farfugliò Kinkes, che a sua volta si era perso il fattaccio.

   «L’ultimo pallone era difettoso» disse prontamente Paul. «Senza dubbio si tratta di un sabotaggio degli Scarafonnen».

   «Ah, quei lardosi vigliacchi! Li strozzerei tutti!» proruppe Duncan.

   «Ala Trasporto a Mietitrice, purtroppo siamo impossibilitati a sollevarvi. Dobbiamo tagliare i cavi e riprendere quota». La voce giungeva via radio leggermente distorta, per via delle scariche elettrostatiche emesse dal Vermone in avvicinamento.

   «Ci abbandonate?!» si disperò l’operatore della Mietitrice. «Siamo in ventisei, qua dentro!».

   «Spiacenti, ma non abbiamo scelta. Se ve la cavate, vi offriremo da bere al saloon. Passo e chiudo». L’Ala Trasporto rilasciò i cavi d’acciaio e riprese prontamente quota, con la spinta combinata dei razzi e dei tre palloni superstiti. La Mietitrice restò al suolo, abbandonata al suo destino.

   «Padre, dobbiamo salvarli!» disse Paul, sperando di rimediare al suo errore.

   «Groan... suppongo di sì» convenne Letonto, sintonizzandosi sulla loro frequenza. «Volo 42 a Mietitrice, aprite i boccaporti. Vi prenderemo noi a bordo. Lasciate la Spezia, non c’è tempo di caricarla. È il Duca che ve lo ordina!» aggiunse, rinunciando alla sicurezza dell’anonimato.

   A queste parole, Kinkes lo guardò con rinnovato rispetto. Non era da tutti rinunciare così a qualche milione di solari.

   Il porcicottero atterrò accanto alla Mietitrice, senza interrompere il battito delle ali. Il forte vento spazzò la sabbia tutt’intorno, mentre l’intera duna tremava per l’approssimarsi del Vermone. Allora due portelli blindati si aprirono sulla fiancata della Mietitrice e gli operai corsero fuori. Arrancarono sulla sabbia, verso la salvezza rappresentata dal velivolo. Intanto anche Paul aveva aperto il portello del porcicottero. Il giovane si sporse e si sbracciò, facendo loro segno di sbrigarsi. «Correte, presto! Lasciate tutto e correte!» raccomandò.

   Raggiunto il velivolo, gli operai scivolarono uno dopo l’altro dentro il portello spalancato, sgomitando per guadagnare la salvezza. Paul li aiutò a salire, afferrandoli per le braccia e tirandoli dentro. Fortunatamente il comparto posteriore del porcicottero era abbastanza grande da accogliere tutti, a patto di gettare ogni zavorra, cosa che Duncan fece dal portello sull’altro lato. Man mano che gli uomini salivano a bordo, Paul sentì diffondersi uno strano odore, vagamente simile al cinnamomo. Era il profumo della Spezia grezza, che scintillava sulle loro tute distillanti.

   Il giovane sentì girare la testa. Gli operai attorno a lui divennero macchie indistinte e anche le loro voci gli giunsero stranamente ovattate. D’un tratto ebbe l’impressione di trovarsi in aperto deserto. Il sole era basso all’orizzonte e la brezza sollevava la Spezia, creando un luccichio diffuso. E in quello scintillio da fiaba, ecco apparire la fanciulla dei suoi sogni. Si muoveva lieve sulle dune, sfiorando appena la sabbia. Gli occhi blu oltremare lo fissavano imperscrutabili, mentre le lunghe chiome nere si agitavano al vento. «Paul... ora sei come addormentato, ma le cose cambieranno... il Dormiente deve svegliarsi...» disse con voce musicale.

   «Uhhh, sì... mi garba tanto!» fece Paul, stranamente intontito. Seguì i suoi passi, barcollando come un ubriaco. Tentò persino di afferrarla, ma era come voler ghermire un’ombra.

   «Ma che fa quella testa vuota?! Riportatelo subito qui!» gridò Letonto, da quella che pareva un’enorme distanza.

   «Paul! Ehi, Paul! T’ha dato di volta il cervello?!». Due braccia rudi e robuste afferrarono il giovane e lo trascinarono indietro. Paul cercò di divincolarsi, mentre la misteriosa ragazza svaniva in lontananza, come un miraggio nel deserto. Intanto il suolo sabbioso tremava e un boato crescente annunciava l’arrivo del Vermone.

   «Lasciami... devo capire...» biascicò Paul.

   «Da capire c’è solo che se non decolliamo subito siamo fottuti!» disse la voce, che il giovane riconobbe come quella di Duncan. Poco alla volta Paul si snebbiò e riconobbe il Maestro d’Armi che lo trascinava indietro, verso il portello del porcicottero. Poco più avanti, la traccia del Vermone era diventata un muro di sabbia in avvicinamento. L’aria era satura d’elettricità e del boato del mostro in avvicinamento.

   «Porca Gesserit, quello ci mangia!» imprecò Paul, smettendo di divincolarsi.

   «Oh, ci sei arrivato!» fece Duncan. I due si precipitarono nel velivolo, chiudendosi il portello alle spalle. «Paul è al sicuro, possiamo decollare!» gridò il Maestro d’Armi.

   Il Duca non se lo fece ripetere. Sebbene il porcicottero fosse più appesantito del dovuto, riuscì ad alzarlo in volo e prese quota il più rapidamente possibile. Al tempo stesso si allontanava dalla Mietitrice condannata.

   «Dov’è il Vermone?» chiese Paul, schiacciato contro il finestrino posteriore del velivolo. Il rigonfiamento di sabbia aveva infatti smesso di avvicinarsi, e anzi si livellava come se la creatura non fosse più lì.

   «Mi sa che è sotto la Mietitrice» rispose Kinkes, facendosi largo tra gli operai assiepati. «Continua a guardare... è uno spettacolo che pochi hanno visto».

   La Mietitrice s’inclinò su un lato e prese a sprofondare nel deserto, come se qualcosa la trascinasse sotto. La sabbia aleggiò per centinaia di metri attorno, ma senza offuscare del tutto la scena. Fu così che Paul vide aprirsi una voragine, più grossa della macchina imperiale. Erano le fauci del Vermone, tripartite e irte di denti così affilati da tranciare il metallo. Con un gemito sgradevolissimo, la Mietitrice si accartocciò e scomparve in quel pozzo senza fondo. La sabbia vorticò, i fulmini statici si sprigionarono; poi tutto finì. La voragine si richiuse, lasciando solo sabbia fina, senza alcuna traccia del macchinario. Nessuno che fosse passato in quel momento avrebbe immaginato ciò che era appena accaduto, e la tragedia sfiorata. Solo un sordo “Burp!” proveniente dal sottosuolo tradì la presenza del Vermone che si allontanava a stomaco pieno.

   «Hai visto ciò che i Femen chiamano Shai-Hulud, “Vecchio Incazzoso del Deserto”» disse Kinkes con solennità, rivolto a Paul. «Essi lo temono e lo venerano al tempo stesso».

   «Sempre meglio che corrergli incontro!» sbottò Letonto, infuriato col figlio. «Di’ un po’, che credevi di fare?! Se il buon Duncan non ti avesse acchiappato, a quest’ora saresti nell’intestino del Vecchio Incazzoso!».

   «Io... per alcuni momenti ho avuto l’impressione di trovarmi altrove» confessò Paul, pur non sapendo se questo gli avrebbe giovato. «Mi pareva d’essere all’aperto, lontano dal pericolo...». Anche stavolta non fece parola della misteriosa ragazza.

   «Credo di capire» intervenne Kinkes, in tono comprensivo. «Questi operai hanno le tute sporche di Spezia grezza. Ne avrai respirata un po’, mentre salivano, e ciò ti ha provocato un’allucinazione. Sono cose che capitano» si rivolse al Duca.

   «Noi però stiamo bene» obiettò Letonto. «Perché solo il ragazzo ha sbarellato?».

   «Chi può dirlo? Forse uno sbuffo di Spezia particolarmente intenso... o forse vostro figlio è più sensibile della media...» suggerì lo scienziato.

   «Vabbe’, l’importante è che gli sia passato» borbottò il Duca, rabbonendosi. «A proposito di Spezia, quanta ne abbiamo persa?» chiese al capo-macchina.

   «Ehm, insomma... tutto considerato... direi un paio di quintali» mormorò il poveretto, facendosi piccolo piccolo.

   «Porca Gesserit! Ci si compra una luna, con tutti quei soldi!» sbottò il Duca. «Dovrei decurtarveli dallo stipendio!».

   «Mi sa che servirebbe qualche miliardo di anni per restituire la somma» disse Kinkes, divertito. «Forse dovremmo accontentarci d’esserne usciti tutti sani e salvi».

   «Salvi sì... ma sani?» fece Letonto, scrutando rabbuiato il figlio. Per tutto il resto del viaggio non gli rivolse più la parola.

 

   «Allora, si può sapere che ti è successo là fuori?» chiese Lady Godiva, quando Paul fu di nuovo al sicuro nel palazzo di Arrankeen.

   «Non ti è stato riferito?» chiese il giovane.

   «Sì, ma voglio conoscere l’esatta natura della tua visione» disse sua madre, serissima.

   «Che importa? La gente vede di tutto quand’è sballata...».

   «Tu non sei uno qualunque! Le tue visioni devono avere un senso, uno scopo!» insisté Godiva.

   «Perché, di grazia? Solo perché sono il figlio del Duca?!» insorse Paul, infastidito da quell’interesse morboso. «Ma certo... è perché ti sei messa in testa che io sia l’Emo! E se invece fossi uno qualunque che ha avuto le traveggole?».

   «Questo lascialo giudicare a me. Allora, cos’hai visto?» insisté Godiva.

   Dato che sua madre non cedeva, e che gli ripugnava mentirle, il giovane vuotò il sacco. Riferì per intero la sua visione, compresa la fanciulla misteriosa, e rivelò di averla già vista in sogno, prima ancora di trasferirsi a Dune.

   «Uhm... una visione senza la Spezia, poi corroborata da una con la Spezia... molto insolito» mormorò Godiva, camminando avanti e indietro. «Può essere il segno che hai una predisposizione naturale alle premonizioni».

   «O forse il segno che il melange gli ha rinfocolato i suoi sogni bagnati!» suggerì Letonto, facendo capolino in camera. «Magari dovresti trovarti una ragazza vera, eh? Così la smetterai di sognarle!» suggerì al figlio.

   «E tu mi lasceresti libero di scegliere? Credevo che un Formaldeides dovesse guardare in primo luogo alla convenienza politica!» ribatté il giovane con amarezza.

   «Pensi che non ti permetteremmo di stare con chi vuoi?» chiese Godiva, turbata.

   «Non lo permettete nemmeno a voi stessi. Guarda papà! Lui spera ancora di accalappiare qualche principessa imperiale, altrimenti ti avrebbe sposata!» osò dire Paul.

   «Giovane impertinente!» strepitò il Duca. Arrivò persino a levare la mano contro il figlio, ma all’ultimo si fermò. L’accusa aveva colpito nel segno. Cercò lo sguardo della concubina, ma lei si era allontanata con le lacrime agli occhi. Allora tornò a fronteggiare il figlio.

   «Io... non volevo...» mormorò Paul, temendo d’essersi spinto troppo oltre.

   «No, hai ragione» gracchiò Letonto. Tra la voce arrochita e le spalle curvate dalla stanchezza, per la prima volta sembrò vecchio. «Comunque le tue visioni di una squinzia nel deserto restano una sciocchezza. Cerca di non pensarci più. Tieniti impegnato, allenati con Duncan... qualunque cosa. E mi raccomando, non farti di Spezia! Ti bruceresti il cervello, per quel poco che ne hai!». Con quest’ultima raccomandazione, il Duca lasciò la camera del figlio.

 

   Con passo deciso, Rubik il Bestione entrò nell’infermeria di palazzo. Suo zio, il Barone Scarafonnen, era disteso su una poltroncina dal sedile reclinato, simile a una sedia da dentista. I dottori gli si affollavano attorno, occupandosi dei disturbi della pelle che lo affliggevano. Siccome metà volto del Barone era cosparsa di grosse pustole, piene di un disgustoso pus, gli incaricati si erano armati di siringhe e gliele svuotavano una per una. Loro stessi avevano un aspetto sinistro, pieni com’erano d’impianti cibernetici, sistemati senza alcun riguardo per l’estetica. Il caposquadra, munito di occhi telescopici, stava aspirando il pus da una delle bolle più grosse. «Non temete, mio signore... mi occuperò delle vostre malattie per tutta l’eternità...» disse con voce suadente. Chissà come, la sua promessa non suonò molto incoraggiante.

   «Beh, chi rompe?!» latrò il Barone, notando l’intrusione. «Ah, sei tu, nipotastro! Allora, come vanno i preparativi?».

   «Ultimati, zio!» assicurò Rubik, gonfiando il petto. «Le nostre truppe sono pronte a imbarcarsi sulla Nave Cannolo. Armamenti, munizioni, tute da deserto... ogni cosa è pronta. Abbiamo anche acquisito dall’Impero le foto orbitali aggiornate, che mostrano il dislocamento di forze dei Formaldeides. Li colpiremo di sorpresa, bombardando i loro velivoli prima che possano decollare. Sempre che il nostro uomo disattivi lo scudo come ha promesso» aggiunse, con un pizzico d’apprensione.

   «Lo farà; un uomo disperato è capace di tutto» garantì il Barone. «Bene, puoi procedere con l’imbarco. Andrete dapprima su Saludos, così che i Sardonen si uniscano alle nostre forze, dandoci la certezza della vittoria. E poi... attaccherete!» ordinò, dando un pugno sul bracciolo. I medici si allontanarono un poco, sospendendo gli interventi per dargli modo di parlare più agevolmente col nipote.

   «Fermi tutti!» esclamò Frizzata, il nipote più giovane, entrando in quel momento col suo passo dinoccolato.

   «Che vuoi, deficiente?!» berciò Rubik, irritato da quell’intrusione.

   «Abbiamo un’ospite d’eccezione: prostratevi innanzi alla Reverenda Madre!» disse il giovane in tono teatrale. Si fece da parte, lasciando entrare Gaia Helen Mangiahuom in persona.

   «Tu!» fece il Barone, sobbalzando sulla sedia. «Che ci fai qui?!».

   «Farei volentieri a meno della visita, credimi» rispose la Mala Gesserit. Gli si avvicinò, contemplandolo con aria schifata. «Gli anni non sono stati clementi con te, Vladimir. Diventi sempre più grasso e marcio» constatò.

   «Anche tu non sei quella di un tempo, vecchia baldracca incartapecorita!» rimbeccò lo Scarafonnen. «Lasciateci» ordinò poi ai medici, che furono ben lieti di abbandonare la sala. Solo Rubik e Frizzata rimasero testimoni del confronto.

   «Beh... almeno abbiamo avuto il nostro momento, tanti anni fa!» sogghignò la Reverenda Madre, con un tono lussurioso che fece inorridire persino i nipoti del Barone.

   «Non farmelo ricordare» borbottò lo Scarafonnen, passandosi una mano sul volto. «Allora, a cosa devo questa visita inattesa?».

   «So che stai per colpire i Formaldeides, col beneplacito dell’Imperatore» disse Mangiahuom.

   «E vorresti fermarmi?!» si agitò il Barone.

   «No, gli eventi ormai corrono verso l’inevitabile epilogo» rispose la Mala Gesserit. «Voglio però la tua parola che risparmierete Lady Godiva e suo figlio Paul. Una volta catturati, li consegnerete a me».

   «Non se ne parla!» protestò lo Scarafonnen. «I Formaldeides devono essere sterminati una volta per tutte. Forse potrei lasciarti Godiva... ma il figlio del Duca deve morire. Altrimenti vorrà vendicare il padre, e questa faida continuerà per chissà quanto».

   «Tu non immagini la loro importanza, stupida palla di lardo!» sibilò Mangiahuom.

   «Solo perché hai curato il loro pedigree, nella speranza di creare l’Emo? Non è abbastanza per convincermi!» insisté il Barone. «Non ho alcun interesse per i tuoi giochetti genetici...».

   «Apri bene le orecchie, sacco di merda!» strepitò la Mala Gesserit, venendogli accanto. «Paul è figlio di Godiva, la mia allieva più talentuosa. E sai di chi è figlia Lady Godiva?!».

   «Mi pare... uhm... una certa Tanidia?» fece il grassone, attingendo ai ricordi.

   «Quello era uno pseudonimo che usavo da giovane» rivelò la Reverenda Madre. «Proprio così... Godiva è mia figlia! E indovina un po’ chi è il padre?!».

   Rubik e Frizzata si scambiarono un’occhiata stranita. Quanto al Barone, sembrava voler sprofondare nel seggiolone. «Stai insinuando che...» rantolò, in preda all’asma.

   «Io non insinuo, affermo!» chiarì la Mala Gesserit. «Godiva è nostra figlia. Il che rende Paul nostro nipote».

   «E Letonto sarebbe mio genero!» si lamentò il Barone, passandosi le mani sul volto butterato. «Perché, brutta vipera? Perché me l’hai nascosto per tutti questi anni?!».

   «Avrebbe cambiato i tuoi piani nei riguardi della Casa Formaldeides?» ritorse Mangiahuom.

   «Groan... probabilmente no» ammise il grassone, sconsolato.

   «Un momento... questo significa che Paul Formaldeides è il tuo erede diretto? L’erede di tutti i possedimenti del nostro Casato?!» chiese Rubik, col fiato mozzo.

   «Nessuno deve saperlo!» ringhiò lo Scarafonnen. «Non manderò a monte il grande progetto della mia vita, solo per le parole di questa megera!».

   «Resterà un segreto, se mi consegnerai Godiva e Paul incolumi» garantì la Reverenda Madre. «Farò in modo che vivano al sicuro, ma lontani dal potere e dalle occasioni di vendetta. E tra qualche altra generazione d’incroci, chissà... forse avremo finalmente l’Emo. Ma a quel punto la faccenda sarà in mani altrui».

   «Ancora questo Emo!» sbottò il Barone. «E va bene, vecchia strega. Avrai il ragazzo e sua madre. Ma non farti più vedere, e non chiedermi mai più niente!» avvertì.

   «Mi sta bene» disse la Mala Gesserit. «Addio... caro. Riguardati, non hai una bella cera. Ti lascio il numero del mio chirurgo plastico». Scribacchiò su un post-it, che appiccicò in fronte a Frizzata, e infilò l’uscita, scomparendo tra gli svolazzi della veste nera.

   Muovendosi in sincronia, Rubik e Frizzata si girarono verso il grasso zio e lo fissarono a lungo in silenzio. «Tu... le credi?» mormorò infine il Bestione.

   «Diciamo che non mi stupirei se fosse sincera» precisò lo Scarafonnen. «Le Male Gesserit sono capaci di tutto per portare avanti i loro piani, e quella poi... uhm... se l’aveste vista quarant’anni fa...».

   «Okay, mettiamo che abbia detto il vero» si raccapezzò Rubik. «Questo come cambia i nostri piani?».

   «Non li cambia affatto!» ringhiò il Barone, ritrovando la grinta. «Procederai esattamente come ti ho detto».

   «Salvo per il fatto che Godiva e Paul devono sopravvivere...» mormorò il Bestione, contrariato.

   «Ho promesso che li avrei risparmiati, ma sai com’è... nella furia della battaglia, può sempre capitare un incidente» disse lo zio, con un ghigno diabolico. «Dunque fa’ in modo che gliene capiti uno. La colpa deve ricadere su qualcuno dei nostri militari, diciamo un tenente di reggimento, che in seguito provvederai a giustiziare. E non temere le reazioni della vecchia befana! Se fai come ti ordino, diventeremo così forti che nemmeno le Male Gesserit potranno più nuocerci. La Casa Formaldeides cadrà nella polvere e il monopolio della Spezia sarà nostro per sempre! Muahahahaha!».

   Trascinato dall’entusiasmo, il Barone attivò il sospensore gravitazionale che aveva in cintura. Liberato dal peso del suo corpaccio obeso, fluttuò verso l’alto, come un grosso e lurido palloncino. Così facendo, tuttavia, si sbilanciò e prese a oscillare in modo sempre più marcato. Per un attimo parve sul punto di capovolgersi, tanto che dovette agitare pazzamente gambe e braccia per rimettersi in assetto, mentre emetteva versi inconsulti. Quando riuscì a stabilizzarsi, rise ancora più forte.

   «Attento, zio... ricorda che ti ha detto il cardiologo...» raccomandò Frizzata, un poco apprensivo.

   «Lascia che il vecchio si diverta» gli sussurrò Rubik all’orecchio. «Del resto, se gli capitasse un incidente... beh, gli incidenti accadono, no? L’ha detto lui stesso!» aggiunse in tono complice.

   «Oh, sì!» fece Frizzata, restituendogli un ghigno sinistro.

   I due Scarafonnen rimasero a guardare lo zio che rideva come un ossesso, rimbalzando contro il soffitto e la parte alta delle pareti senza farsi male, grazie alla veste imbottita. Mentre aspettava, Rubik levò di tasca un arnese simile a un inalatore trasparente. Al suo interno c’era una grossa piattola viva, che si muoveva. Il Bestione premette lo stantuffo, spappolandola; poi accostò le labbra al beccuccio e bevve il succo verdastro appena spremuto.

   «Guardate, sono Mary Poppins! Ah-ahahahah!» rise sguaiatamente il Barone. In quella sbatté la testa contro il soffitto. «Ouch! E va bene, mi sono divertito abbastanza» borbottò. Ridusse la potenza del sospensore, abbassandosi gradualmente, come una mongolfiera un po’ sgonfia. In tal modo scese accanto alla sua sedia medica, afferrandola per fermarsi.

   «Tutto questo moto mi ha messo appetito. Chiamate i paggi, che mi portino uno spuntino» ordinò ai nipoti, col respiro un po’ affannoso. «No, anzi, chiamate i paggi e basta. Non ho finito i miei trattamenti ricostituenti... è l’ora della trasfusione. Mi occorre sangue giovane!» rise. Sapeva che, finché rimaneva nei suoi possedimenti, sarebbe sempre rimasto impunito.

 

   L’imbarco delle truppe si svolse senza contrattempi. Pochi giorni dopo, la Nave Cannolo era in orbita presso Saludos Amigos, pronta a imbarcare le truppe d’elite dell’Impero, i sanguinari Sardonen. In qualità di generale delle armate Scarafonnen, Rubik scese presso il centro militare, per incontrare i comandanti di legioni. Prima di sbarcare dalla navicella, il Bestione respirò a fondo e ripassò mentalmente i suoi doveri. Doveva stare attento a non farsi mettere i piedi in testa e chiarire che aveva lui il comando supremo dell’operazione.

   A dispetto del nome, Saludos Amigos era un mondo inospitale. Il suolo era grigio e pietroso, senza un filo d’erba. Basse nubi plumbee velavano il sole, lasciando filtrare solo una tenue luminosità diffusa. In questo panorama ferrigno si ergeva la base militare, racchiusa nelle spesse mura; ma le legioni erano già schierate fuori, pronte a imbarcarsi. Migliaia di Sardonen attendevano inginocchiati, perfettamente immobili. Una pioggia gelida e insistente li sferzava, ma nessuno di loro tremava, nessuno si lamentava. Erano stati temprati per resistere a ben altro. I sacerdoti passavano tra loro, marchiandoli in fronte col sangue dei prigionieri, prima che i caschi celassero del tutto i loro volti rudi. Davanti alle legioni si levava una torretta solitaria, sulla cui cima il cappellano militare recitava un cupo e interminabile mantra.

   «Ehm ehm ba-miil, uhm bara-mill, ehm beregnem, uhm bolognil bol-bol. Baraum gne-gne, ehm til gnu-gnu, im tim el ugnum, eul ehm gne-gne. Bruum cough cough, ehm...» salmodiò il cappellano, con la mano levata in gesto benedicente, sotto lo sguardo attento e fisso dei Sardonen.

   «Notevole» commentò Rubik, accostandosi al comandante di legione. «Devono essere parole potenti, di grande ispirazione per le truppe. Che cosa significano?».

   «Assolutamente nulla. Il cappellano si sta solo schiarendo la voce» spiegò il legato imperiale. «Sapete, qui piove quasi tutto l’anno e non ci danno sciarpe, quindi sono frequenti le infreddature. Tra un attimo comincerà il predicozzo. Finito quello, potremo andare».

   «Benissimo... ma ricordate che il comando dell’operazione è mio!» rivendicò Rubik. «Voi legati dirigerete le vostre legioni, ma farete rapporto a me. È il volere dell’Imperatore».

   «Certo» fece il graduato, condiscendente. «Vostra la responsabilità... vostra la gloria in caso di trionfo... e vostra l’infamia in caso di sconfitta» ammonì.

   «Non ci saranno sconfitte; non stavolta» assicurò lo Scarafonnen, duro in volto. «Abbiamo predisposto ogni cosa, previsto ogni contromossa. La Casa Formaldeides è pronta a cadere».

 

 

-Commento:

   Come i conoscitori di Dune avranno notato, ho deciso di fondere i due istruttori militari di Paul (Duncan Idaho e Gurney Halleck) in un solo personaggio, che ho chiamato Duncan Ohio. Ciò si deve al fatto che la mia parodia è una versione estremamente riassunta della storia, per cui molti personaggi secondari sono fatalmente eliminati, o fusi in uno solo come in questo caso. Del resto Duncan e Gurney avevano già dei ruoli simili (sebbene il primo fosse più amichevole e il secondo più severo, almeno nei film).

   La parentela fra gli Atreides e gli Harkonnen, e in particolare il fatto che il Barone Harkonnen sia padre di Lady Jessica e quindi nonno di Paul, non è presente nel romanzo originale di Dune. Viene rivelata solo nella saga prequel Il preludio a Dune, scritta da Brian Herbert e Kevin J. Anderson sulla traccia degli appunti lasciati da Frank Herbert. Io però ho deciso di esplicitare tale parentela fin da subito, avendo in mente di scrivere un solo racconto-parodia. Del resto, essa contribuisce a spiegare come mai gli Harkonnen non uccidano subito Jessica e Paul.

   Nel romanzo originale Paul riconosceva e fermava il Cercatore Assassino, indovinava da sé il modo giusto d’indossare la tuta distillante, e ovviamente non era la causa dell’incidente alla Mietitrice. Nella mia parodia mi sono divertito a renderlo più goffo, oltre a inserire la gag ricorrente di lui che, pur essendo il figlio del Duca, viene bistrattato da tutti. Ma come viene spesso ripetuto nella storia originale, “il Dormiente deve svegliarsi”; e sarà un brusco risveglio...

 

   
 
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