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Autore: Aerika S    02/09/2009    1 recensioni
Per precedere Cloud & company, i Turk della metropoli arrivano troppo presto nella piccola Gongaga e sono costretti… ad aspettare. [ingame; rating fondamentalmente dovuto al linguaggio X3]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elena, Reno, Rude
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Welcome to Gongaga



Cloud pestò l’acceleratore, facendo turbinare invano le ruote posteriori della buggy e facendo sì che in cielo si aprissero lunghi pennacchi di pallida sabbia gialla. Quando spense il motore, l’auto ricadde a terra più in basso di prima.

“Capellone, ma tu sei un mito. Ci hai appena affossato ancora di più.” berciò Barret.

Cloud si accasciò sul sedile del guidatore e ribatté, stizzito: “Ehi, Dio mi ha detto che questo coso poteva andare dovunque! Non so perché non riesca a uscire da questa sabbia.”

“Forse riusciremmo a muoverci se Barret scendesse e spingesse,” intervenne Cait Sith.

“Forse riusciremmo a muoverci se ficcassimo un gatto sotto la ruota per aumentare la trazione.”

“Uh, Barret,” si affrettò a correggere Tifa, “Forse intendevi la roba della lettiera per gatti. Si mette quella per aumentare la trazione.”

Barret incrociò le braccia e sfidò tutti gli altri a mettere in dubbio quello che aveva detto. Nessuno raccolse. Non volendo attirare l’attenzione sul fatto che la sua specie si potesse annoverare tra i felini, Red XIII si raggomitolò in un angolo e lo rimpianse immediatamente. Parte dell’ultima lotta di Yuffie contro il mal di movimento gli si appiccicò alla pelliccia.

Un ringhio gli conquistò una docile scusa dalla ninja, che riprese rapidamente la propria posa di viaggio standard inginocchiata sul tappetino con la testa tra ginocchia. Anche se non si stavano davvero muovendo, i confini chiusi del veicolo aggiungevano un tocco di claustrofobia che incrementava la sua nausea a un ritmo esponenziale.

“Che ne dite di scendere tutti a spingere?” suggerì allegramente Aeris, forse perché sapeva che Cloud non le avrebbe mai permesso di partecipare ad un lavoro manuale.

“Possiamo provare,” convenne Cloud. “Ma Aeris, tu rimani qui. Potremmo aver bisogno di te per manovrare l’auto.”

Uscirono tutti in un lampo. Prima fossero riusciti a liberare il veicolo prima si sarebbero rimessi in viaggio. Inoltre, grazie a Yuffie l’atmosfera non era più il massimo. Aeris scivolò al volante e si assicurò di tenere la portiera ben aperta – per meglio comunicare con gli altri, s’intende. Mentre scendeva Red vide la Cetra sollevare in aria un pugno di vittoria, e si ritrovò a pensare che la ragazza fosse più scaltra di quanto non desse a vedere.

Cinque “Oooh…” e un egual numero di “… Issa!” riuscirono soltanto a far dondolare la buggy avanti e indietro.

Cloud capitombolò sulla sabbia, esausto. “A quanto pare non arriveremo molto presto a quella città segnata sulla mappa.”

“Uh, già. Così sembra.” disse Cait Sith. Per essere un gatto imbottito che cavalcava un moguri meccanico sembrava terribilmente preoccupato.



[RAPPORTO SUL CAMPO DELLA SHINRA]

[AGENZIA: Turk]

[AGENTE SUL CAMPO: Elena]

[DATA/ORA: 2 Maggio, XXXX / ore 17:00]

[STATO DELA MISSIONE: Adoperando i consigli della nostra fonte, ho inseguito, assieme ai miei colleghi Reno e Rude, i membri del gruppo terroristico che porta il nome di AVALANCHE fino alla piccola cittadina di Gongaga. Reno e Rude sono attualmente impegnati nella raccolta di dati per l’intelligence]

Elena guardò il foglio e si accigliò. Raccolta di dati o accumulo di dati? Quale dei due termini suonava più ufficiale? O era il fatto che ci fossero il nome di Reno e la parola intelligence nella stessa frase a rendere il tutto troppo poco credibile?

Elena ridacchiò fra sé della propria battuta. Reno era un Turk a tutti gli effetti, certo, ma non era per nulla capace di seguire le procedure standard. Il rapporto che stava stilando lei ne era un esempio. Rude era il Turk più anziano tra loro; avrebbe dovuto scriverlo lui. Ma non avevano neanche fatto in tempo ad arrivare che Reno aveva trascinato Rude in un’escursione in paese insieme a lui e l’avevano lasciata indietro. Avevano anche aggiunto che se le piacevano tanto le regole era liberissima di occuparsene.

Lei era esplosa. Gridare loro il paragrafo e il comma che delineavano con chiarezza le mansioni di Rude mentre si allontanavano non era servito a far cambiare loro idea neanche minimamente! L’avevano abbandonata, l’avevano respinta come una pivellina rompipalle. E lo era, per carità, ma era diventata la migliore in accademia proprio grazie a quell’attenzione extra ai dettagli che metteva in tutto quello che faceva, e quell’onore meritava rispetto, no?

Almeno in parte, tuttavia, credeva di aver compreso cosa ci fosse sotto. Reno doveva sentirsi minacciato dalla sua intelligenza. C’erano uomini che proprio non riuscivano a reggere le donne più in gamba di loro. Era questo il suo problema. Ma non tutti erano così. Tseng apprezzava i suoi sforzi. Una volta gliel’aveva detto. E le aveva offerto delle critiche costruttive, molto diverse dagli abusi sarcastici dei suoi colleghi Turk. Non c’era da stupirsi se Tseng aveva scalato le vette dell’organizzazione.

Fanculo Reno! Fanculo Rude! pensò. Tanto erano solo dei semplici lacchè. Se il capo credeva in lei non aveva bisogno di altro. Quando tornò al rapporto, un altro nome si incollò alla parola ‘fanculo’, e un largo sorriso soddisfatto si fece strada sulle sue labbra mentre scriveva…



Che la maggior parte delle cose che riportò fosse pertinente alla missione va detto. Ma l’impiegato che un giorno avrebbe letto il rapporto avrebbe pensato che Elena aveva descritto con più foga del necessario i “virgulti”, i “tumuli”, le “bacche”, i “tronchi” e il “duro, durissimo suolo” che costituivano la geografia di Gongaga.



“Sì. Okay. Dov’è il resto?”

“Non c’è nessun resto, Reno.”

“E’ solo un quarto d’ora che giriamo. Questa città non può essere composta solo da cinque case e un cimitero.”

“Se si esclude il reattore Mako rovinato, ho contato dodici residenze permanenti, sette temporanee, due strutture commerciali e un centro sanitari comunitario.”

“Un centro cosa?”

Rude girò di scatto la testa in direzione di due piccole baracche che si ergevano ai confini del paesino.

Reno si passò una mano tra i capelli rossissimi. “E quelle cosa cazzo dovrebbero essere?”

“Dei bagni all’aperto.”

“Dei cessi all’aperto? Mi prendi per il culo?” Ovviamente il gioco di parole non era voluto. Reno non era il tipo da giochi di parole.

Rude fece segno di no. Non lo stava prendendo per il culo.

“Questa gente aveva un reattore Mako e continua a cagare dentro un buco scavato nel terreno?”

Rude fece segno di sì. Era così che funzionavano i bagni all’aperto.

“Cazzo. Ora capisco perché qui non ci vive nessuno.” Poi un pensiero cupissimo e inquietante gli attraversò la testa. “Uh, se quei perdenti non si fanno vedere presto e noi rimarremo bloccati qui per un po’, non dovremo mica…” Non riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce.

“Sarà un’esperienza, Reno. Potrai raccontare ai tuoi nipoti di com’era ai vecchi tempi.”

“Sì, perché i bambini vanno pazzi per le figure di merda del nonno.”

Reno riprese a camminare, orripilato. Rude diede un’altra occhiata alle baracche da dietro le lenti nere. Sì, sarebbe stata un’esperienza. Solo una che personalmente non avrebbe voluto vivere, a dispetto delle rassicurazioni distaccate che aveva fatto a Reno.

Per sua fortuna, Rude era una persona molto controllata. Un paio d’ore per lui non erano niente. Se la cosa fosse durata di più, Rude era anche un ottimo corridore. Quella casa sulla costa distava solo qualche miglia. Era grande, aveva un aspetto piuttosto moderno e, dettaglio ancora più importante, nei dintorni non c’erano minuscole catapecchie complete di mezzelune intagliate sulle porte.



[ore 18:00]

[L’AVALANCHE deve ancora fare la sua comparsa a Gongaga. Abbiamo ispezionato il paese e segnato sulla mappa tutte le entrate e le uscite. Posso concludere solo che i nostri obiettivi siano stati trattenuti. Continueremo a sorvegliare la città. Al momento corrente stiamo tentando di procurarci delle scorte. Stiamo incontrando una certa resistenza.]

“Come cazzo è possibile che abbiano già chiuso?! Sono le sei. Sono le sei, porca troia!”

“Hai sentito il padrone del negozio, Reno. Per un paesino come questo è notte inoltrata.” ribatté Rude, eternamente calmo.

Dal canto suo Reno continuò a maledire Gongaga, trasformandosi già che c’era in un raccoglitore virtuale dei sinonimi delle parole “paesino” e “zappaterra”.

Elena non prestò attenzione alle sue lagne. Lei aveva il suo kit personale di sopravvivenza fornito di tutto punto. Se Reno si fosse organizzato per tempo non si sarebbero nemmeno trovati nelle condizioni di dover cercare un negozio. Diede qualche pacca affettuosa alla valigetta di cuoio nero che conteneva gli oggetti raccomandati nelle dosi raccomandate. Quella situazione avrebbe potuto rivelarsi l’opportunità ideale per impartire a Reno una lezione sull’importanza della preparazione. Già si immaginava la scena: una delle bestie locali tramutava Reno in una rana intonando una delle sue nenie mentre lei gironzolava sullo sfondo sbandierando un Maiden’s Kiss che non avrebbe usato finché il gracidare di qualcuno non le avesse dato ragione.

Le sue riflessioni furono interrotte dall’ennesimo brontolio. Stavolta proveniva dallo stomaco di Reno, che sembrava quasi aver paura di parlare. “Fatemi indovinare. Tutti i ristoranti della zona chiudono alle tre del pomeriggio.”

“Il ristorante, Reno,” rispose Rude. “Non c’è nessun plurale.” Indicò poi un piccolo edificio che, e nessuno se ne stupì, aveva appeso ad una finestra il cartello che ne segnalava la chiusura.



[ore 18:30]

[Abbiamo completato la nostra ricognizione. E’ stato un processo rapido, dal momento che nessuno ha risposto alla porta.]

“Scusate,” iniziò Reno, “ma se tutti vanno a letto entro le sei e mezza, perché questa città è così spopolata?”

“L’elevata età media degli abitanti del paese unita alla mancanza di un’assistenza medica adeguata impedisce a questa città di accrescere la propria popolazione sia per vie naturali, e cioè attraverso una stabile natalità, sia con metodi artificiali, mediante l’immigrazione.” recitò Rude.

“Grazie, Mister So-Tutto-Io,” cantilenò Reno in risposta, senza neanche un pizzico di gratitudine. A bassa voce, aggiunse, “o dovrei chiamarti Elena…”

L’eccellente udito di Elena colse l’offesa, ma la sua professionalità mise a freno una possibile reazione. Lamentarsi non l’avrebbe aiutata a portare a termine la missione, e nonostante l’AVALANCHE non fosse ancora apparsa loro avevano ancora un lavoro da compiere. “Forse dovremmo rivedere un’altra volta la nostra strategia. Non fa mai male essere preparati.” Recapitò un’occhiataccia a Reno, speranzosa di cominciare la lezione prima del previsto.

“Davvero, Elena?” Reno le rivolse un sorriso brioso. “Io invece ero convinto che infilarti un bastone appuntito su per il culo quando straparli delle tue regole e della tua metodologia potrebbe rivelarsi un pochino doloroso, tu no?”

Rude evitò deliberatamente di farsi coinvolgere nella scaramuccia che seguì tra la forza dell’ordine e quella del caos. Non gli piacevano le zuffe infantili. Piuttosto, aveva concentrato tutta la propria attenzione su un mostriciattolo che si era azzardato fino al limitare del paese ‘abitato’. Dall’assenza di piumaggio colorato intuì che non apparteneva alla varietà velenosa delle rane mutanti. Anche se era stato Reno a lamentarsi della fame, Rude non era immune al bisogno di una buona cena. Toccò con un dito la fire materia incastonata nel bracciale protettivo nascosto dalla manica blu.

Al sangue o ben cotto?, si chiese. Ma prima che potesse prendere una decisione, uno strillo indignato di Elena fece scappare la sua preda tra i cespugli. Rude non ce la faceva più. “Sapete, se aveste tenuto le vostre dannatissime bocche chiuse avrei potuto procurarci un po’ di cibo. Ma no, voi dovevate litigare, e così si è spaventato.”

“Rude, ma cosa vai blaterando? Per caso è passato di qui uno del ristorante?” Reno era nato ed era stato quindi cresciuto e addestrato entro i confini di Midgar. Lì c’erano due o tre ristoranti ad ogni strada. A volte, come nel caso di un qualche locale particolarmente famoso, lo stesso ristorante addirittura due edifici. Per lui, cacciare voleva dire acciuffare un fuggitivo della Shinra.

Ma Elena era di Kalm, un paese sostanzialmente sottosviluppato rispetto alla prosperosa metropoli che aveva dato i natali a Reno. E per quanto fosse anni luce più avanzata rispetto a Gongaga, occasionalmente gli abitanti di Kalm dovevano fare affidamento sulla selvaggina ruspante per riempire la pancia. Elena scrutò il cespuglio in movimento che celava la preda. Un incantesimo di fuoco avrebbe incendiato l’erba secca circostante e probabilmente abbrustolito la bestia; uno di tuono l’avrebbe disintegrata; uno di ghiaccio l’avrebbe congelata rendendone impossibile la cottura in tempi brevi; uno di terra avrebbe potuto schiacciarla.

Vada per Confu, allora,
si disse, prudente. Facciamola volteggiare su se stessa mentre io mi ci avvicino in tutta tranquillità e la catturo. Reno e Rude ne rimarrebbero tanto impressionati.

E lo sarebbero stati davvero, se solo quella maledetta creatura non fosse stata protetta da un reflex. Elena si accorse del luccichio dello scudo protettivo proprio mentre la luce dell’incantesimo le lasciava i polpastrelli, ma era già troppo tardi. Non poté far altro che scansarsi dalla traiettoria della magia rimbalzata.

Beh, forse avrebbe anche potuto avvertire Reno. Rude riuscì a schivarlo, ma il Turk dai capelli rossi fu investito in pieno dall’aura magica.

Elena e Rude si raggrupparono, pronti a far tornare Reno in sé con un Remedy o una rapida botta in testa.

“Dove mi trovo?” chiese Reno, sognante. “E voi, brava gente, chi siete che portate vestiti tanto azzimati? Oh, ma che villaggio pittoresco! Tutta questa vegetazione lussureggiante, queste rustiche dimore… È così accogliente! Ah, cosa darei per poter respirare quest’aria fresca per sempre!”

“In nome di Bahamut, Elena! Quanto cazzo l’hai fatto potente quell’incantesimo?” urlò Rude.

“Le magie si rinforzano sempre quando vengono riflesse,” replicò lei timorosamente.

“Ohibò, Fratello Albero! Ma come siamo alti e frondosi!”

Rude scosse il capo, disgustato. “Non ho alcuna intenzione di sprecare un Remedy per una cosa del genere. E se continua a farneticare così, mi vedo costretto a dargli un pugno.”

“Shhh, ascoltate il canto degli uccelli. Cip cip cip! Che uccellini felici!”

Elena diede il proprio assenso. “Fa’ in fretta. Ti prego.”

Così Reno non arrivò mai a decantare pienamente il suo apprezzamento alla vita per avergli donato la luce di Fratello Sole e l’incantevole bagliore di Sorella Luna. Il pugno di Rude lo interruppe sulla parte dei raggi di purissimo amore dorato.



[ore 06:00]

[L’AVALANCHE deve ancora arrivare. Io e Rude abbiamo passato la notte di guardia, invano. Reno… si sta riprendendo da un incidente.]

Reno si svegliò sulla fredda terra di Gongaga con un occhio nero e una guancia pulsante. Non sapeva bene perché e come avesse fatto a ritrovarsi in quelle condizioni, ma era molto più sicuro di non volerlo sapere. Elena e Rude lo studiarono con aria assonnata.

“Non ci sono ancora, eh?”

“No, Reno,” disse Elena. “E francamente la loro lentezza sta cominciando a darmi sui nervi.” Poi si alzò e stiracchiò i muscoli stanchi. “Potete rimanere voi due ad aspettare il loro arrivo? Io vado a controllare il ristorante.”

Vedere Elena lasciare la sua postazione tanto volentieri lo stupì, ma non fece una sola battuta al riguardo. Chiunque l’avesse colpito, l’aveva colpito maledettamente forte, ed era troppo intontito al momento per rischiare che fosse stat lei. Però le chiese di portare una ciambella o due. Rude borbottò i propri dubbi circa l’esistenza delle ciambelle nel paese.

Rude era chiaramente pronto ad addormentarsi da un momento all’altro, perciò Reno fece sua la responsabilità di avviare una conversazione. L’ultima cosa che voleva era montare di vedetta da solo. Con Elena a distanza di sicurezza, si sentiva libero di affrontare un argomento che gli aveva pizzicato la mente dal giorno della distruzione della torre del Settore 7.

“Allora, Rude, fra tutte le ragazze dell’AVALANCHE… Chi ti piace?”





NdT (youffieh): LOL. Questa storia è la prova che si può ridere dei Turk senza snaturarli e renderli completamente stupidi e piatti. Capito, Nomura? :D *compilationhaterconvinta*
Grazie a Frannie per la correzione e e per avermi impedito di alzare il gomito con le squallide battutine a doppio senso che una parte molto pericolosa di me voleva aggiungere XD
   
 
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