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Autore: montespan    15/11/2021    0 recensioni
Lucrezia (omaggio a Lucrezia Borgia) ha trentatré anni e un giorno il suo mondo le crolla addosso. Drogata di lavoro e ambiziosa, ferita nell'orgoglio, riuscirà ad arrivare dall'altra parte, non senza riconoscere i propri errori. Ispirato all’ultimo visual-album di Beyoncé, Lemonade (2016).
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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È una fortuna che vi amiamo

(Cenere alla Cenere, Polvere alle Amanti)  

Settembre 2020-Agosto 2021



“La regola d’oro è negare sempre, anche se ti trova con il cazzo dentro una a pecora.”
(Se scrivessi nome e cognome dell’autore infrangerei la sua privacy quindi scriverò solo: un uomo per cui non nutro la minima stima)
 


Appena la regina 

vide da un’alta torre biancheggiare la luce 

e allontanarsi la flotta a vele spiegate, e il lido 

deserto e il porto vuoto, senza più marinai, 

si percosse il bel petto con le mani, furente, 

tre volte, quattro, si strappò i biondi capelli: 

“O Giove – disse – Enea se ne andrà, uno straniero 

si sarà preso gioco impunemente di me 

e del mio regno?  

Se è scritto nel destino che quell’infame tocchi 

terra ed approdi in porto, se Giove vuole così, 

se la sua sorte è questa: oh, almeno sia incalzato 

in guerra dalle armi di gente valorosa, 

e implori aiuto e veda la morte indegna dei suoi, 

né, dopo aver firmato un trattato di pace 

iniquo, si goda il regno e la desiderata 

luce, ma muoia, in età ancora giovane, 

rimanga insepolto su un’arida sabbia! 

Questo prego, quest’ultima voce esalo col sangue. 

Infine voi, miei Tiri, perseguitate la stirpe 

di lui, tutta la sua discendenza futura 

con odio inestinguibile: offrite questo dono 

alla mia povera cenere. Nessun amore ci sia 

mai tra i nostri due popoli, nessun patto.  

Io maledico, e prego 

che i lidi siano nemici ai lidi, i flutti ai flutti”. 

Allora Didone, tremante, esasperata 

per il suo scellerato disegno, volgendo 

attorno gli occhi iniettati di sangue, le gote sparse 

di livide macchie e pallida della prossima morte, 

irrompe nelle stanze interne della casa 

e sale furibonda l’alto rogo, sguaina 

la spada dardania, regalo non chiesto per simile scopo. 

Dopo aver guardato le vesti lasciate da Enea 

e il noto letto, dopo aver indugiato un poco 

in lacrime e pensieri, si gettò su quel letto 

lunga distesa e disse poche, estreme, parole: 

“Moriamo senza vendetta – riprese – Ma moriamo. 

Così, anche così giova scendere alle Ombre. 

Il crudele Troiano vedrà dall’alto mare 

il fuoco e trarrà funesti presagi dalla mia morte.” 

Tra queste parole le ancelle la vedono abbandonarsi 

sul ferro e vedon la lama spumante di sangue, 

vedono sporche di sangue le mani. 

Eneide, Libro VI, Virgilio, in traduzione di Gianluca Trotta

 

Li chiamano stupidi. Capiscono quello che si dice meglio di quanto noi non si capisca loro. Capisce tutto quel che vuole. Vendicativa anche. Chi sa che cosa le sembro io. 

Alto come una torre? No, mi salta benissimo. 

- Ha paura dei polli, lei, disse canzonatorio. Paura dei Pìopìo. Mai visto una miciolina così sciocchina.   

Crudele. La sua natura. Curioso che i topi non stridono mai. Sembra gli piaccia. 

- Mrkrgnao! disse forte la gatta. 

Ulysses, Episodio IV: Calypso, James Joyce 

 

Dove vai, quando vai via in silenzio?

Mi ricordi mio padre, un mago, capace di esistere in due posti allo stesso tempo.

Come da tradizione per gli uomini della mia famiglia, torni a casa alle 3 di notte e mi menti.

Che fortuna. Che dannata maledizione.

Lemonade, Beyoncé

 

I harassed you while in Paris:

“Please come back to Rome, 

You make it home.” 

Please pick up the phone, pick up the phone […]

I apologize to all the women whom 

I toyed with your emotions, cause I was emotionless […]

Like the men before me

I cut off my nose to spite my face, 

I never wanted another woman to know something about me that you didn’t know.  

4:44, JayZ 

 

PARTE PRIMA 

 

I.

Trentatré. Trentatré anni, li aveva compiuti due giorni prima.

Ancora il buio l’avvolgeva ma riusciva a vedere la sagoma della sveglia e l’ora che risplendeva di un verde smeraldo nel buio.

Trentatré anni. Se li sentiva? Li dava a vedere? 

Le otto e venticinque. Presto. Bocca secca. 

Si voltò alla propria sinistra e lo vide disteso sul lato opposto, le spalle che si muovevano impercettibilmente seguendo il ritmo del respiro ancora addormentato.

Tornò a voltarsi verso la sveglia, allungò una mano per afferrare il telefono. Nessun messaggio. Bene.

Aprì le finestre della cucina con cautela, senza fare troppo rumore, non gli piaceva svegliarsi presto. Lasciò che l’aria mattutina di un giugno stranamente grigio e piovoso entrasse nella stanza, si versò un bicchiere d’acqua fresca e se la portò alle labbra. Un sorso, due. Già finito.

La doccia fu veloce. La luce del mattino inondava il bagno. Le piaceva. La cura della pelle fu meno veloce, ma pratica ed efficace. Non era avvezza alle cose pratiche, la annoiavano. Quella forse era una delle poche eccezioni. Lucrezia era una creatura di procedimenti mentali. 

 

II.

Era una strana giornata, piovosa, nonostante fosse già metà giugno. Beh, lei doveva lavorare comunque, quindi. Aprì il computer alla pagina principale del museo di provincia di cui era direttrice, mentre seduta al tavolo della cucina ascoltava il rumore dell’acqua della doccia che scorreva, e immaginando il logo della loro prossima mostra, con il nome dell’organizzatrice in evidenza da qualche parte, Lucrezia Ferrara “Tra Milano e Parigi: Leonardo da Vinci”. 

Lui emerse dal bagno con indosso l’accappatoio, e le lanciò un’occhiata breve mentre diceva: “Già a lavoro?” Poi tornò nella camera da letto senza attendere risposta.

Lucrezia guardò l’orologio appeso alla parete. Le otto di domenica mattina. Non era mai troppo presto per iniziare a lavorare, soprattutto quando doveva ancora accaparrarsi la Dama con l’ermellino. Il sospiro risuonò per la cucina silenziosa mentre si guardava intorno, la tavola apparecchiata di bianco, il latte, il tè, le fette di pane, la marmellata alla fragola. Mise in bocca una fetta e subito dopo bevve un sorso di tè. Non distolse lo sguardo dallo schermo del computer, passando a controllare le nuove e-mail, nella speranza di trovarne una proveniente dal suo contatto alla Pinacoteca di Brera.

 

III.

I conti non tornavano, le sue entrate erano pericolosamente inferiori alle spese, continuamente. E le bollette toccavano a lei più del normale, così come il pieno della macchina. Non si erano sposati, non avevano certo la comunione dei beni, eppure, in quel momento, quei piccoli problemi economici la stavano portando ad un passo dal capire quale fosse la ragione per cui, da qualche tempo a quella parte, molti tasselli non trovavano il posto giusto nel puzzle della loro relazione.

Si era accorta del fatto che lui spendeva molto di più di quanto guadagnava, e il pensiero del perché non l’aveva mai tormentata, finché non trovò, nella giacca scura che stava portando in lavanderia, lo scontrino di un ristorante che doveva certamente essere il più costoso di Roma, almeno da quanto sembrava a giudicare dal prezzo riportato.

Roma. Venticinque novembre 2021.

Cosa aveva fatto lui in quel periodo? All’inizio non lo ricordò. Erano passati solo sette mesi, ma lei non ricordava esattamente. Ormai da più di un anno Lucrezia era stata impegnata notte e giorno nelle trattative con i responsabili dei musei più importanti di Francia e Lombardia per cercare di convincerli a concederle i quadri originali di Leonardo prodotti verso fine della sua carriera, sperando di poterli esporre nel museo di provincia che aveva da poco cominciato a dirigere, in modo da utilizzare al meglio i fondi che straordinariamente l’Europa aveva concesso ad un progetto a cui lei e i suoi colleghi avevano partecipato, nel contesto della rivalutazione dei musei provinciali laziali. Non aveva certo avuto il tempo di accompagnarlo a Roma o di dare tanto peso a quel viaggio, in quel periodo d’intenso lavoro. 

E allora ricordò. 

Il viaggio organizzato per la fiera della pellicceria. Non aveva idea che lui avesse clienti talmente facoltosi da doverli accompagnare proprio in un locale così costoso ed esclusivo. E se non ricordava male, ora che ci pensava, aveva cominciato a viaggiare nella capitale molto più spesso negli ultimi sette mesi o giù di lì per ragioni meno importanti della fiera della pelliccia di Roma. Se fino a quel momento lui aveva privilegiato i propri contatti del centro-nord Italia, ultimamente si era spostato su Roma, ma il cambiamento era stato talmente lento e progressivo che non le aveva dato nell’occhio, fino ad allora. Finché non si era ritrovata quel piccolo pezzo di carta tra le mani. Il mercato della pellicceria di Roma doveva star esplodendo, a quanto pareva. Conservò lo scontrino nel portagioie, e da allora cominciò a chiuderlo a chiave.

 

IV.

 “Non è fantastico? Alla fine ce lo fanno avere!”

Lui finì di abbottonare la camicia, aggiustando leggermente i polsini e rispondendo con un moderato entusiasmo che a Lucrezia sembrava sincero. 

“Finalmente La dama con l’ermellino è nostra,” Il suo volto si aprì in un sorriso raggiante che parve illuminare tutta la stanza, “almeno per i sette mesi della mostra.” Concluse spegnendo lo schermo e poggiando l’apparecchio su un mobile della camera da letto. 

Lucrezia gli si avvicinò da dietro e si alzò sulle mezze punte per posargli un bacio sul collo. 

“E questo profumo?” Lucrezia usò un tono interrogativo facendo una smorfia; non le era mai piaciuto particolarmente, anche se andava molto di moda e lui lo metteva quando doveva andare in luoghi che non considerava uno spreco. 

“Non avrai esagerato con il profumo?”

“Macché,” rispose lui.

Lucrezia alzò gli occhi al cielo tornando poi con lo sguardo sul riflesso del volto di lui nello specchio che troneggiava sulla parete al lato opposto della finestra. 

“Lo metto spesso e non ti sei mai lamentata”, aggiunse lui, voltandosi e dandole un bacio a stampo, per poi girarle intorno e prendere l’orologio poggiato sul comodino. 

Lei lo osservò, la mente vuota. In men che non si dica lui aveva già la giacca indosso e si stava dirigendo verso la porta. 

Profumo. Comprato alcuni mesi prima. Leggermente esagerato, come se dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno. 

“Che fai? Rimani lì?” Chiese lui dal corridoio, voltandosi verso Lucrezia, che allora si riscosse. 

“Vai, vai. Devo scrivere a un collega per iniziare a pianificare i preparativi per l’arrivo del quadro. Buon viaggio.” 

 

V.

 Era stato un errore da novellini. Non cancellare la cronologia. Ogni adolescente arrapato che si rispetti ormai sapeva che dopo aver visto un porno sul proprio computer doveva cancellare la cronologia, eppure lui, dopo trent’anni di vita da post-millennial, non aveva ancora imparato.

Eppure quello non era un porno. Aveva forse la potenzialità di essere molto peggio.

Lucrezia allontanò il portatile da sé facendolo scivolare sul letto come se l’avesse bruciata. Era inorridita e ammirata allo stesso tempo.

Lo schermo presentava varie immagini, tra cui quella dell’esterno di un attico dalle mura apparentemente antiche ma ben conservate, quella di un interno ben arredato, con gusto, piuttosto moderno, ma non asettico; eppure il testo che si poteva leggere tra un’immagine e l’altra riportava una serie di descrizioni sottilmente allusive, pur senza essere viscide come si sarebbe aspettata, che esaltavano le capacità, l’arguzia e il fascino di una donna mora ed elegantemente sensuale. Una donna che a quanto sembrava da quel piccolo pezzo di carta che aveva trovato precedentemente nella tasca del cappotto di lui, valeva circa trecento euro di cena in uno dei locali più à la mode della capitale. Sul sito, invece, i prezzi per un’intera serata e relativo afterparty non erano specificati. Che parlare di denaro lo facesse ammosciare? Oh, ma certo, era considerato volgare tra i bravi borghesi parlare di denaro, ma non andare a puttane, evidentemente. 

Insomma, queste informazioni monetarie non venivano riportate nella parte finale del testo che faceva mostra di sé su una delle pagine del sito alquanto professionale che quella donna si era fatta realizzare. Inoltre le sembrò alquanto strano che una prostituta d’alto borgo, perché era questo che si nascondeva sotto l’ipocrita etichetta di Escort, si fosse fatta realizzare un sito all’apparenza così ricercato. 

Come si chiedeva la progettazione di un sito web che pubblicizzasse un’attività di prostituzione? Con la stessa nonchalance con cui lui se la scopava? Era legale almeno? Non avrebbe mai pensato di doverselo chiedere. 

Ma ciò che aveva attirato la sua attenzione era stata un’immagine che il sito mostrava insieme a quelle di scorci di ciò che sembrava un sofisticato attico romano, un’immagine raffigurante un enorme terrazzo, circondato da piante verdi lussureggianti e il cui perimetro era decorato da colonne di medie dimensioni nell’antico stile della capitale, a ricordare i confini di un peristilio; a questo lo associava la sua mente di storica dell’arte.

Che tocco di classe, per una puttana. 

Ma poi ebbe l’intelligenza di correggersi mentalmente, non era verso quella donna che doveva dirigere quell’emozione ancestrale che le imperversava nelle viscere. Un’alta marea, di un liquido nero e vischioso. Le stava risalendo dentro, lo sentiva risalire su, su, dall’esofago fin nella gola, dove il nodo bruciante di quella materia oscura e vischiosa come pece premeva per uscire, in un grido che desiderava avrebbe squarciato la sua stessa gola e tutto ciò che la circondava: furia, cieca e senza fondo.

 

 Juntos nos podríamos condenar

Cometámos una tragedia

Si esto es condena, hagámolo en secreto

Rapemos las rodillas en el cemento

 

Insieme potremmo condannarci

Commettiamo una tragedia

Se questa è una condanna, facciamolo in segreto

Feriamoci le ginocchia sul cemento

Delito, Nathy Peluso

 

VI.

Lui era ancora a Roma quando Lucrezia aveva cominciato a setacciare tutte le sue email cercando qualunque traccia di conversazione con quella donna. Ovviamente non aveva trovato niente. Uno scontrino di un ristorante di lusso e una ricerca sul computer non erano abbastanza per essere certi di niente, ma perché andare a cercare informazioni su una prostituta d’alto borgo se non si era intenzionati a fare niente? Una fantasia, nella migliore delle ipotesi. E anche in quel caso, Lucrezia era pronta ad accettare che lui immaginasse di praticare le sue fantasie con un’altra donna, fantasie che forse non aveva osato neppure confessarle, con una donna che sembrava una Venere mora e il suo completo opposto? Ma come potevano essere semplici fantasie se lui passava sempre più tempo, sempre più spesso, a Roma, quasi ogni mese per “impegni di lavoro”?

Lucrezia sentì la necessità di fare qualcosa, qualunque cosa, per togliersi il dubbio o avrebbe ceduto all’istinto di ficcarsi due dita in gola.

Guardò l’orologio. Le quattro del pomeriggio. Lui sarebbe tornato venerdì. Aveva il tempo di contattare la donna. E fare cosa? Dirle che era la compagna di un uomo che probabilmente era stato con lei e che voleva averne la certezza? E allora cos’avrebbe risolto? Cosa avrebbe fatto? Lo avrebbe lasciato? Si sarebbe ritrovata sola a trentatré anni dopo averne passati dieci con un uomo che credeva di conoscere e che forse non aveva mai conosciuto veramente. Forse sarebbe stato un bene ricominciare da capo senza di lui, forse si sarebbe concentrata ancora di più sulla sua carriera, ma in tutta sincerità lo stava già facendo, non era mai stata il tipo da lasciare che un uomo la distogliesse da quello che voleva ottenere. Probabilmente sarebbe stata più felice da sola, almeno per un po’. In realtà forse non era altro che un’ignorantella in quanto a conoscenza della natura umana, nonostante tutte quelle nozioni mnemoniche che aveva accumulato negli anni e che l’avevano portata dov’era adesso, ad aspirare ad un incarico alla Pinacoteca di Brera se tutto fosse andato come previsto con la mostra su Leonardo da Vinci. 

Quindi alla fine, che fare? Era abbastanza infantile e vendicativa da volersi mettere in contatto con la donna che potenzialmente il suo compagno si scopava a pagamento, e che pagamento profumatissimo. 

Ma a cosa l’avrebbe portata tutto questo? Evitò di darsi una risposta, lasciandosi andare ad un’ondata di sospetto e paura e risentimento.

 

Sí, soy presa de esta mala decisión

con la navaja al corazón

no puedo ya más curarlo

 

Sì, sono prigioniera di questa decisione sbagliata.

Con una lama sul cuore,

Non posso più curarlo.

Delito, Nathy Peluso

 

VII.

Quindi era vero. 

Le era costato un bel po’ contattare la donna, ingoiare momentaneamente il rospo e la stizza per il fatto che probabilmente era stata tradita, e conquistare la fiducia della donna fino a farsi raccontare se effettivamente lui l'avesse contattata, se si fossero visti, se la cosa fosse continuata fino ad allora. 

Lui nel frattempo era tornato dai suoi tre giorni nella capitale e questa volta era stata Lucrezia a nascondere le proprie conversazioni con la prostituta.

Da circa sette giorni fingeva di avere tutto sotto controllo, ma la verità era che non riusciva a sopportare che lui avesse messo e probabilmente mettesse ancora il sesso sopra ogni cosa, anche sopra il proprio orgoglio e la propria integrità, e che fosse stato pronto a degradarsi pur di ottenere un'ora di piacere, persino nello squallore, anche se solo morale. Perché in effetti non era certo in uno squallido appartamento che se l’era scopata, a giudicare dalle poche immagini dell’attico che aveva visto. 

Aveva passato del tempo con lei nei luoghi più ricercati di Roma prima di scoparsela, probabilmente l’aveva persino esibita come un trofeo pagato a caro prezzo invece che guadagnato, aveva avuto un assaggio della bella vita romana in quei pochi giorni al mese che aveva passato in compagnia di quella donna, e l’aveva scelta estremamente bella, elegante, ma soprattutto intelligente.

Forse quella era la cosa che la feriva maggiormente, perché nemmeno in quello poteva dirsi superiore alla donna, che lui aveva scelto con cura, non sulla scia di un istinto, anche se neppure in quel caso la rabbia che provava sarebbe stata minore, bensì con cognizione di causa. 

Quindi, alla fine della fiera, Lucrezia non riusciva a sopportare che lui fosse stato disposto a mettere da parte lei per un'altra, e a caro prezzo. Già, il prezzo. L'ennesima parte di ciò che rendeva il tutto ancora più squallido e patetico. 

Eppure, Lucrezia era orgogliosa e crudele ed egoista a modo suo. Desiderava che lui la amasse sopra ogni altra, che l'adorasse, che la venerasse perfino. Ed era evidente da quello che era accaduto che ciò non era possibile, perché lei non se lo meritava.

 

VIII.

Non era riuscita a fare sesso con lui per più di un mese. La cosa stava cominciando a infastidirlo. A Lucrezia non poteva fregare di meno. 

Un bacio lento la faceva bagnare e le faceva venire il voltastomaco. Una mano che esplorava la sua coscia al ritorno da una cena di lavoro, le faceva venire la pelle d’oca, eppure il pensiero che quelle stesse dita avessero sfiorato un’altra, fossero state dentro un’altra, l’avessero fatta venire, forse, se lei non aveva finto, la faceva bruciare, non più di passione, bensì d’ira. Non sapeva cosa la facesse incazzare di più, se la possibilità che lui fosse talmente egoista da pensare solo al proprio piacere fregandosene di far venire quella donna o la possibilità che a lui importasse tanto di lei da impegnarsi per farla godere, per compiacere il proprio narcisismo; ma in ogni caso non c’era una risposta giusta, perché la risposta giusta implicava non scoparsi un’altra donna alle sue spalle.

Quindi Lucrezia lasciava che lui l’accarezzasse e successivamente si ritraeva. 

Rimaneva in silenzio quando lui le chiedeva cosa avesse, poi sorrideva e rispondeva quello che avrebbe risposto ogni donna orgogliosa, e forse anche psicopatica, sull’orlo di una crisi di nervi: “niente.” 

Poi finiva di darsi una lozione idratante per il corpo come era sua abitudine fare ogni sera prima di andare a dormire, fingendo di essere troppo stanca, e allora lui smetteva di baciarla sul retro del collo dopo aver spostato i capelli da un lato per farsi spazio. Se lui allora iniziava a toccarsi, Lucrezia fingeva di dormire, ma anche quello la faceva incazzare, quindi andava in bagno e combatteva con tutte le sue forze l’istinto di ficcarsi due dita in gola, anche se avrebbe vomitato solo succhi gastrici, così poco era quello che mangiava ultimamente. Da quando aveva parlato con quella donna il suo cervello era una macchina in costante movimento e l’appetito era sparito come per magia.

 

Who the fuck do you think I is?

I smell that fragrance on your Louis knit boy

Tonight I’m fucking up all your shit, boy

When you hurt me, you hurt yourself

Try not to hurt yourself

When you love me, you love yourself

Love God herself

I am the dragon breathing fire

Beautiful man, I know you lying

I am not broken, I'm not crying, I’m not crying.

 

Chi cazzo credi che io sia?

Lo sento quel profumo sul tuo maglione di Louis Vuitton

Stasera te lo faccio vedere io.

Quando mi fai del male, fai del male a te stesso,

Cerca di non farti del male.

Quando mi ami, ami te stesso

Ami Dio stesso/a

Sono io il drago che sputa fuoco

Bell’uomo, so che menti

Non mi hai spezzata, non sto piangendo, non sto piangendo.

Don’t hurt yourself (in Lemonade), Beyoncé

 

IX.

Aveva speso l’equivalente di mesi e mesi di stipendio nel prenotare la suite Picasso dell’Hotel de Russie per una notte soltanto. 

Ovviamente a lui non aveva detto niente. Se lui aveva il diritto di spendere migliaia di euro per quello che ormai lei sapeva e che la nauseava a tal punto da cercare di non pensarci neanche -povera illusa, ci pensava tutti i giorni, centinaia di volte al giorno-, allora Lucrezia poteva spendere quello che guadagnava in mesi e mesi di lavoro per una notte all’Hotel de Russie.

Lui era partito solo due giorni prima. Un bacio a stampo si era trasformato in uno lento e languido, e lei si era sentita eccitata e anche piena di repulsione al tempo stesso all’idea di quello che aveva fatto lui, che avrebbe fatto in quei giorni nella capitale e di quello che avrebbe fatto lei stessa.

Lucrezia aveva preso il treno da Tivoli per Roma Termini. Una volta arrivata aveva preso un taxi e si era fatta portare davanti all’entrata dell’hotel, con sé solo un trolley, un beauty e la propria borsa.

Dopo aver fatto il check-in, sentendosi impacciata e fuori luogo ma reprimendo quella sensazione in maniera talmente magistrale da sembrare quasi altezzosa, si diede mentalmente della patetica per aver voluto emulare lo stile di vita che probabilmente lui aveva avuto con quella donna per mesi e mesi durante i suoi “viaggi di lavoro”. 

Si sentì sull’orlo di una crisi di nervi e prima di lasciarvisi andare, si fece portare i bagagli in camera, per poi uscire subito dopo. 

La vista della suite Picasso poteva aspettare. Aveva intenzione di viziarsi. Viziosa, come lui. Stupida, come sé stessa. Avrebbe potuto spendere tutto il denaro che aveva negli oggetti più lussuosi, frivoli e inutili del mondo, ma questo non l’avrebbe fatta sentire meno indesiderabile, noiosa e convenzionale, quando invece voleva sentirsi potente e inarrivabile e non solo bella da togliere il respiro, ma di una bellezza ammaliante e decadente e dal fascino oscuro, come oscuro era tutto il suo mondo da ormai qualche mese a quella parte.

Da La Perla erano stati gentili. Ne era uscita con un due pezzi di lingerie rosa antico in seta da quasi mille euro, ma d’altra parte si era preparata per mesi per questo. Aveva un’unica idea ben chiara in mente, soddisfare tutti i propri desideri più frivoli per quel fine settimana, ma non aveva ancora chiara la cosa più importante: come comportarsi con lui. Non ne aveva idea. Mesi e mesi aveva passato a soppesare il tradimento, come questo l’aveva fatta sentire, senza decidersi sul da farsi.

Tornata in albergo, si era tolta i vestiti rimanendo in intimo e aveva preso una bottiglia di vino della suite per poi tornare nel bagno e riempire la vasca. Poi aveva preso un bicchiere, aveva versato il liquido rosso fino a riempire circa metà del calice e se l’era portato in bagno insieme alla bottiglia. 

Un’intera bottiglia di vino era finita molto prima di quanto sarebbe stato opportuno. Aveva iniziato a bere ancora prima di infilarsi nell’acqua calda della vasca, ancora prima di versarvi dentro il sapone. Di fronte allo specchio del bagno, lo sguardo fisso nel proprio riflesso, aveva preso in mano il calice di vetro in cui risplendeva il liquido cremisi sotto la luce artificiale del bagno e se l’era portato alla bocca. Aveva contemplato il proprio riflesso con occhio critico, le labbra sottili, le ciglia folte, le clavicole sporgenti che si allungavano fino alle spalle, i capelli biondi che vi ricadevano sopra. Erano tutte qualità che le piacevano del suo corpo. Ma ovviamente non erano abbastanza.

Prese l’ennesimo sorso di vino dal calice, poi si tolse anche il reggiseno e le mutandine. Entrò nella vasca con il bicchiere ancora in mano e quando fu seduta, di nuovo bevve un lungo sorso prima di reclinare la testa a sinistra, il braccio che reggeva il bicchiere era in parte poggiato sul bordo della vasca e in parte sporgeva oltre, a mezz’aria.

Stranamente non le veniva da piangere. La rabbia stava ancora avendo il sopravvento. Non era in grado di impedirsi di pensare di non essere stata abbastanza per lui, tanto da sentire il bisogno di pagare per del sesso probabilmente fenomenale e perversamente bello e squallido al tempo stesso, il tutto all’interno di una cornice di lusso, tra ristoranti alla moda e fiumi di champagne e attici nel centro di Roma. 

Se lui l’avesse scopata come una prostituta qualsiasi, in uno spazio buio dove non c’è spazio per la bellezza e per nient’altro se non lo squallore di un atto animalesco, tra l’altro non frutto del desiderio di entrambi ma come sola merce di scambio, se non avesse ricercato una donna raffinata ed elegante e intelligentemente seducente, come Lucrezia aveva potuto constatare, sarebbe stato meno doloroso per lei? Avrebbe fatto meno male sapere che si era scopato una donna qualsiasi, senza guardarsi indietro o pensarci due volte, senza ricercare quell’atmosfera di lussuosa raffinatezza per cui aveva ben pagato e che provava come non fosse stato il tradimento di una notte ma un tradimento voluto, desiderato, pianificato e ripetuto con una donna che era tutto quello che Lucrezia non era e che probabilmente gli aveva offerto tutto quello che Lucrezia non gli aveva dato o non gli aveva voluto dare?

Avrebbe fatto meno male se lui si fosse scopato un’altra donna qualsiasi? 

Un’altra donna qualsiasi. 

Un’altra donna. 

Lui si era scopato un’altra donna. 

Lui le aveva preferito un’altra.

Qualsiasi che fossero le variabili, avrebbe fatto male comunque. 

E di nuovo, Lucrezia era all’apparenza una donna misurata, composta, che sapeva quando era giusto giungere ad un onesto compromesso. Eppure dentro, dentro di lei c’era una piccola creatura possessiva, egocentrica, cerebrale, maniacale, a tratti irrazionale, con una vena perfino maligna quando il suo orgoglio lo richiedeva, che soffriva le pene dell’Inferno nel vedersi sminuita, messa in disparte rispetto ad un’altra. 

Lui le aveva preferito un’altra. 

E quella sofferenza la eccitava e la repelleva al tempo stesso, come un gioco di masochismo con sé stessa e con la sua autostima. 

Sapeva di non essere abbastanza, non abbastanza bella, non abbastanza intelligente, non abbastanza arguta, non abbastanza affascinante, perfino non abbastanza debosciata quando la situazione lo richiedeva. 

Eppure voleva essere abbastanza per lui. Lucrezia voleva che lui la preferisse a qualsiasi altra, voleva essere la sola a catturare il suo sguardo tra una folla di mille donne affascinanti in una stanza, ma il fatto che si fosse scopato un’altra non faceva che confermare le sue convinzioni riguardo sé stessa. E non importava quanto avesse mangiato e vomitato, quante volte si fosse messa le dita in gola, non sarebbe cambiato niente: Lucrezia sarebbe rimasta la stessa creatura invidiosa, lui sarebbe rimasto l’oggetto del suo desiderio e odio, l’altra sarebbe rimasta la versione affascinante e spregiudicata che Lucrezia non poteva e forse non voleva essere. Perché la verità era che se per essere l’unica per lui avesse dovuto fare ciò che non la rendeva felice, allora forse non ne valeva la pena. Fu solo allora che le lacrime cominciarono a rigarle il viso.

 

Insieme potremmo condannarci,

Commettiamo una tragedia.

Con una lama sul cuore,

Non posso più curarlo.

Siamo un omicidio alla ragione.

Balliamo come fosse un delitto.

Balliamo come fosse un delitto.

Balliamo come fosse un delitto.

Delito, Nathy Peluso

 

 

Dolore sedato dall’orgasmo. 

Orgasmo intensificato dal dolore. 

Dio era nella stanza quando l’uomo disse alla donna 

“Ti amo così tanto 

Avvolgi le tue cosce attorno a me 

Fammi entrare, fammi entrare, fammi entrare.” 

A volte, quando lui aveva il suo capezzolo in bocca, 

Lei sussurrava “Oh mio Dio”.  

Anche quella è una forma di adorazione.  

Grief Has Its Blue Hands In Her Hair, Warsan Shire 

X.

Perdita 

 Lucrezia si ritrovò distesa nella vasca ormai asciutta. 

Dopo il bagno, aveva asciugato via le lacrime e aveva fatto scivolare via l’acqua dallo scarico per poi dirigersi nella camera da letto ed indossare la lingerie che aveva acquistato quel pomeriggio. Si era truccata con cura difronte allo specchio, un ombretto semplice, del mascara nero corvino e un rossetto rosso scuro. Si era truccata canticchiando le canzoni che più la aiutavano a sfogarsi, e quando finalmente aveva completato l’opera, ripetendosi che era un trucco troppo ben fatto per sprecarlo con le lacrime, aveva preso un nuovo sorso di vino dal calice. Il bordo si era sporcato di rossetto. Per precauzione, aveva comunque portato con sé dei fazzoletti. Era stato allora che si era distesa nella vasca ormai asciutta. 

Un quarto d’ora dopo, la bottiglia di rosso giaceva dimenticata sul pavimento del bagno accanto alla vasca. Il calice ormai quasi vuoto, invece, era poggiato sul marmo del doppio lavandino. Le lacrime le rigavano il viso, correndo lentamente giù fino al mento. Dietro le palpebre chiuse immaginò capelli biondo scuro stretti tra le sue mani, un collo bianco coperto da un velo di barba, mani ruvide abituate a spostare quadri che la toccavano. Non avrebbe pensato a lui mentre si toccava. Avrebbe pensato a, com’era che si chiamava? Lorenzo. Ventisei anni, biondo, zigomi alti e fisico snello. Era coinvolto nell’allestimento della mostra la cui organizzazione era iniziata da poco. Forse Lorenzo era troppo giovane per lei, ma non per le sue fantasie. Almeno quelle di Lucrezia sarebbero rimaste tali nella sua mente. Non si poteva dire lo stesso di quelle di lui.

Una mano scese lungo il suo ventre e poi sotto le mutandine. Si bagnò lentamente ma inesorabilmente, pensando di inginocchiarsi di fronte al giovane uomo, di aprirgli lentamente la cintura. Avrebbe prodotto quel rumore di metallo che riusciva ad eccitarla al solo udirlo, come fossero i campanelli dell’esperimento di Pavlov? Immaginò di leccarlo prima con la lingua, lentamente, per poi prenderlo tutto in bocca. Lorenzo l’avrebbe presa per i capelli e l’avrebbe guidata piano ma con fermezza su e giù lungo la sua asta, finché lei non l’avrebbe portato sul punto di venire; allora si sarebbe tirata indietro e se lo sarebbe fatto mettere dentro da dietro, prendendolo in profondità, sentendo i suoi fianchi sbattere contro i propri con un ritmo rapido e senza sconti. Lucrezia avrebbe aperto gli occhi combattendo il piacere che la portava a chiuderli per osservare l’espressione di godimento ma anche di fatica sul volto di Lorenzo, un’espressione riflessa nello specchio mentre la piegava contro il bordo di una vasca immaginaria che corrispondeva a quella in cui si trovava in quel momento. 

Con l’indice di una mano sfioró più rapidamente il proprio clitoride mentre immaginava ancora di essere scopata bruscamente da dietro, i propri gemiti a fondersi con quelli del giovane uomo della sua fantasia. Ormai aveva cominciato a spingere due dita dentro di sé mentre con l’indice continuava a stimolare il clitoride. Seguendo l’impeto della sua fantasia si mise in ginocchio, appoggiando il proprio corpo contro la parete della vasca. Lorenzo l’avrebbe piegata in avanti prendendola per i capelli con una mano e per un fianco con l’altra; allora lei si sarebbe voltata per osservare il proprio corpo e quello di lui, il corpo teso mentre si spingeva dentro di lei con forza,  i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte ad incorniciare un’espressione—

Improvvisamente spalancò le palpebre trovando dinanzi a sé, nello specchio del bagno di fronte alla vasca, un’immagine patetica e decadente, una donna dai capelli biondi ormai arruffati, con le dita ancora dentro di sé, sotto le mutandine, il laccetto della parte superiore della lingerie ormai scivolato lungo la spalla sinistra a lasciare un seno quasi scoperto, il mascara scuro ormai sbiadito intorno agli occhi rigati di lacrime: la propria immagine riflessa nello specchio.

La superficie dura della vasca asciutta sotto le sue ginocchia faceva male quasi quanto quello che provava dentro all’idea che nemmeno nelle sue fantasie poteva liberarsi dal pensiero di lui. Lui che invece aveva messo in pratica le proprie di fantasie con un’altra donna. Persino l’immagine di un giovane biondo e perfetto che la scopava come le piaceva si era trasformata in quella di lui. Lui, con la mascella squadrata e le labbra carnose e gli occhi scuri. Lui che l’aveva amata e l’aveva ferita e la faceva infuriare e le faceva male e la faceva bagnare. Comunque, la faceva bagnare, anche se non aveva dato sfogo a quella eccitazione nei mesi precedenti, troppo presa dal crogiolarsi nella propria rabbia. Ma soprattutto, rifletté Lucrezia, doveva essere incazzata con sé stessa perché nonostante quello che lui aveva fatto, in quel momento, la rabbia che ancora provava e che aveva accudito come un cucciolo di drago nei mesi precedenti non le aveva impedito di tramutare l’immagine di un giovane uomo perfetto in quella di lui mentre si masturbava. Era un qualcosa di masochistico, chiaramente.

La mano sotto le mutandine si era fermata nel momento in cui aveva aperto gli occhi, colta di sorpresa dal modo in cui la sua mente aveva tramutato l’immagine di Lorenzo in quella di lui, ma Lucrezia si rese comunque conto di non aver mai provato niente del genere; aveva riconosciuto come la sofferenza d’un tratto sembrasse intensificare il piacere. E non era una sofferenza fisica, bensì emotiva. Lucrezia era sempre stata una creatura cerebrale, dopo tutto.

Non riuscì ad impedirsi di percorrere con lo sguardo la propria immagine riflessa nello specchio, il proprio viso e il proprio corpo, intenta ad osservarne i difetti nascosti dal completo di La Perla, quei difetti che forse lo avevano portato a decidere di scoparsi un’altra, a provare un’esperienza nuova e opulentemente libertina nella capitale.

Le sue dita sotto le mutandine tornarono di nuovo a muoversi dentro e fuori di lei mentre con l’indice tornava a bagnare e sfiorare il clitoride.

Dove l’aveva portata di preciso prima di scoparsela? 

L’aveva esposta al suo braccio come un gioiello prezioso anche di fronte ai propri clienti? O in privato, solo nei locali e ristoranti più esclusivi di Roma? 

Dove l’aveva scopata di preciso? Solo in quell’attico romano? 

Come l’aveva scopata di preciso?

Cosa le aveva fatto di preciso?

E lei cosa gli aveva fatto di preciso?

Semplice petting e sesso orale? Soixante-neuf? Sesso anale? Sesso a tre, magari? Sesso da ubriachi o sotto effetto di erba o droghe di qualche genere? Sesso su un divano, su un letto, nella doccia, su un’ottomana?

Lucrezia si pentì di non averlo chiesto alla donna. A che scopo, non lo sapeva nemmeno lei, forse sempre per trarne quel piacere masochistico di cui sopra.

Le sarebbe piaciuto farlo su un’ottomana. Invece non aveva mai amato molto farlo nella doccia, era un posto pratico per lei, dove lavarsi e basta, e non trovava sexy mostrarsi mentre si lavava. Invece trovava sexy stuzzicarlo, scoparlo con spinte sinuose, con i palmi piantati sul suo petto, o portando le mani dove i loro corpi si congiungevano per stimolare lui o sé stessa, o portando un avambraccio sotto il suo collo simulando l’asfissia, il che la faceva sentire in controllo, in capo al mondo. Vederlo godere sotto di lei mentre lo scopava o mentre gli scopava la bocca, la faceva sentire potente, adorata, sopra ogni altra; vederlo godere dentro di lei, dietro di lei, sentirlo mentre la scopava lentamente o rapidamente, la faceva sentire usata, risalendo a quella parte recondita di lei che voleva sentirsi così, solo in certi momenti, finché non veniva, in preda alla sottomissione o alla dominazione, a seconda dei casi.

Proprio mentre i ricordi di Lucrezia con lui si fondevano con le fantasticherie riguardanti ciò che lui e quella donna avevano fatto insieme in quei mesi di “viaggi di lavoro”, Lucrezia venne silenziosamente e dolorosamente, le palpebre chiuse, il respiro affannato, per poi scivolare lentamente di nuovo dentro la vasca vuota. Rimase inginocchiata accanto al bordo della vasca per qualche minuto, riprendendo fiato, quando improvvisamente sentì il suono del proprio cellulare nell’altra stanza. Corse a prenderlo, abbandonato sul letto.

Era lui. Non rispose. Continuò a guardare il suo nome sullo schermo finché non smise di suonare.

Aspettò qualche attimo.

Ho una sorpresa per te, scrisse poi in un messaggio. Via del Babuino, 9, 00187, Roma. Chiedi della Suite Picasso, sanno già che ti sto aspettando.

Le sette di sera. Chissà quanto ci avrebbe messo ad arrivare. Dipendeva da quanti impegni aveva quel giorno, se aveva una cena di lavoro per davvero, se doveva incontrare l’altra donna o se l’aveva già vista, già scopata.

Decise di inviargli un incentivo.

Girò un brevissimo video inquadrandosi allo specchio del bagno mentre rapidamente faceva scivolare giù la spallina del capo di lingerie lungo la spalla mostrando brevemente un seno per poi tornare a coprirlo con la seta rosa antico.

Lui le rispose con due punti interrogativi, ma lei non aggiunse altro.

Non gli ci volle molto per raggiungerla dopo quello.

 

XI.

I'm a man with pride, you don't do shit like that

You don't just pick up and leave, and leave me sick like that

You don't throw away what we had, just like that

I was just fuckin them girls, I was gon' get right back

They say you can't turn a bad girl good

But once a good girl has gone bad, she is gone forever

And more forever

Shit I gotta live with the fact I did you wrong forever.

 

Sono un uomo orgoglioso, non puoi comportarti in questo modo

Non puoi decidere di andare via e lasciarmi solo in questo modo

Non puoi gettare via tutto quello che avevamo così

Me le scopavo e basta, ma sarei tornato da te

Dicono che non puoi trasformare una ragazza cattiva in una buona

Ma una volta che una ragazza buona è diventata cattiva 

è finita per sempre,

e soprattutto devo accettare di averti fatto del male.

Song Cry, JayZ

 

Bussò alla porta due volte.

Quando Lucrezia gli aprì, lui aveva un sorriso del tutto sorpreso sul volto. 

“Quand'è che hai organizzato questa cosa?” Chiese squadrandola da capo a piedi. 

Una parte di lei temeva che la ritenesse esagerata. Lucrezia zittì quella parte di sé.

“Qualche mese fa. Cinque o sei, non ricordo bene.”

Lui alzò un sopracciglio.

“Ho interrotto qualcosa? Eri con qualche cliente importante?”

“No.” Si limitò a rispondere lui. Poi la prese per i fianchi e la baciò.

Non persero tempo. 

Lucrezia gli sbottonò la camicia e lo portò in camera da letto. Gli aprì la cintura, la zip dei pantaloni. Aveva ancora l’odore di lei addosso e non se ne rendeva nemmeno conto. 

Lo fece sedere sul letto e si mise sopra di lui, continuando a baciarlo.

“Hai bevuto?” Chiese lui allontanandosi dalle sue labbra.

“Certo.” Rispose lei tornando a baciarlo, incurante del rossetto ormai sbiadito. Poi fu tutto molto lento e doloroso e bellissimo.

Lucrezia lo stava cavalcando lentamente da almeno una ventina di minuti. Si leccò due dita e si toccò. Lui fece per tirarsi a sedere con l’intento di baciarla e scoparla più forte, ma lei lo fermò con una mano sulla spalla, facendolo tornare disteso sotto di lei e riportando le dita su di sé, a toccarsi sempre più velocemente. 

Venne ad occhi chiusi, senza accorgersi che lui la stava guardando. 

Quando aprì di nuovo gli occhi, ansimante, vide il soffitto. Riprese fiato per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo su di lui, che aveva le mani ancora sui suoi fianchi. Non era venuto.

“Scopi così anche con lei?” Lo disse mentre ancora aveva il fiato corto. Lucrezia lo squadrò dall’alto.

Lui all’improvviso la guardò stranito, d’un tratto smise di ansimare e l’attimo dopo aggrottò le sopracciglia con fare da prima confuso e subito dopo preoccupato.

“Volevi qualcuno che ti scopasse come una prostituta? Beh, guarda un po’, ho preso anche una fottuta camera d’albergo.” Finì lei con uno sbuffo di risata. Presto la sua espressione tornò seria e un velo di furia le luccicò negli occhi mentre gli poggiava un palmo sul petto e tornava a muovere il bacino sinuosamente.

“Ma che…?” Iniziò lui, cercando di mettersi a sedere.

“Non disturbarti a negare, lo so.” Lucrezia lo fermò prima che potesse continuare, afferrandogli un polso con una mano e spingendolo contro materasso mentre ancora lo prendeva dentro. 

“Te la sei scopata ogni fottuta volta che partivi, brutto figlio di puttana.” Prima che Lucrezia potesse afferrargli anche l’altro polso, lui si liberò facilmente dalla sua presa, come se le avesse solo concesso di tenerlo fermo fino a quel momento. Cercò di tenerla ferma per i polsi e gli avambracci mentre lei continuava a dimenarsi per toccarlo, afferrarlo o picchiarlo.

“Sei uno stronzo! Te la sei scopata tutto il tempo, hai ancora il suo profumo addosso e nemmeno ti sei preso il disturbo di nasconderlo. Chissà cosa ci hai fatto, e poi hai anche il coraggio di venire da me con il cazzo in tiro!” Lucrezia riuscì a liberare una mano solo per un secondo e la batté contro il suo petto, ma sapeva che non gli aveva fatto niente, quindi cercò di graffiarlo, ma lui le afferrò di nuovo il polso e riuscì a tenerla ferma.

“Va bene, volevi una puttana, ora ce l’hai, prova a lamentarti, stronzo!” Lui vide il fuoco della sua rabbia incendiare il suo sguardo e quasi pensò che gli avrebbe sputato in viso. 

“Stai ferma! Ma sei impazzita?! Parliamone!” Le afferrò gli avambracci con tutta la forza che aveva, che gli sarebbe servita tutta per tenere a bada la sua furia, e allora, con un movimento veloce ma non agile per via del suo peso sopra di lui, ribaltò le loro posizioni, mettendola con la schiena contro il materasso e uscendo da lei.

“Ah sì, dammi anche della pazza, certo. Adesso ne vuoi parlare, eh? Brutto—figlio di puttana,” ansimò Lucrezia, continuando con il suo turpiloquio, mentre cercava invano di liberarsi dalla stretta di lui sui propri avambracci, “Adesso ne vuoi parlare? Dopo mesi che te la scopi, adesso ne vuoi parlare!” Disse con un sarcasmo velenoso, “Io invece voglio solo scoparti, d’altra parte non sei venuto, suppongo che con lei non capiti mai. Non posso mica essere da meno? Che faccio, prendo una suite, spendo una fortuna da La Perla per essere una puttana migliore della migliore, e poi non ti faccio nemmeno venire?” Lucrezia si sporse verso di lui con l’intento di catturare il suo labbro inferiore tra i denti, ma lui si ritrasse con espressione disgustata. 

“Adesso basta, smettila!” Le disse lui riuscendo finalmente a fermare le braccia di lei a mezz’aria. “Non lo vedi che sei ridicola. Volevi fare una scena madre? Va bene, l’hai fatta. Adesso parliamone come persone adulte.”

Sulle labbra di Lucrezia spuntò un sorriso sarcastico mentre rispondeva con una calma che contrastava con tutta la furia che aveva dimostrato fino a solo qualche secondo prima.

“Ah, adesso non vuoi più scopare, ma guarda. Sì, parliamone, parliamo di come te la scopi da mesi, del fatto che sei un egoista di merda a cui non frega un cazzo dei sentimenti degli altri.”

“No, senti, ascolta, non so come tu sia venuta a saperlo ma… era solo sesso, non è significato niente, te lo posso giurare su quello che vuoi. Davvero, era solo sesso, questo non cambia quello che provo per te. Io amo te.”

Lui sembrava serio come la morte; Lucrezia si sorprese di quanto potesse sembrare serio nel professare il suo amore per lei dopo aver passato tutto il pomeriggio a scopare con un’altra.

“E te la sei scopata tutto il pomeriggio prima di capire che ami solo me?”

“Hai ragione, sono stato uno stronzo ma era solo sesso, come te lo devo dire. Amo te. È per questo che sono venuto qua.”

“Sei venuto perché ti ho lasciato intendere che volevo scoparti in una camera d’albergo o perché mi ami?”

“Perché ti amo.” Lei lo guardò con un sorriso sarcastico mentre lui si correggeva. “Per tutte e due le cose. Ma è te che voglio.”

“Mi avresti mai lasciato se non lo avessi scoperto?”

“No! Io amo te, perché avrei dovuto lasciarti?!”

“Quindi vuoi lei, ma vuoi anche me.” Lucrezia strattonò un braccio per liberarsi dalla presa di lui mentre si metteva a sedere per poi alzarsi in piedi e dargli le spalle. “Fammi capire, volevi una puttana o una compagna o tutte e due? Volevi una compagna che ti scopasse come una prostituta?” Disse voltandosi poi di nuovo verso di lui, ancora seduto in ginocchio sul letto. “Anzi, non rispondere. Che schifo.”

“Non è così,” disse lui, cercando di apparire calmo. “Non è così. Voglio te, quello era solo sesso, come te lo devo dire?!”

“Una compagna non ti bastava, dovevi cercare qualcuna che te la desse fuori di casa. Che c’è, il nostro letto ti annoiava? Io ti annoiavo? Troppa posizione del missionario?”

“Scherzi?”

“Certo che scherzo, stronzo. Scopro che mi tradisci da mesi, con una prostituta tra tutte, e poi non ti posso nemmeno prendere per il culo? Dopo che tu mi hai preso per il culo per mesi, dicendo che partivi per lavoro?”

Lui si alzò in piedi, riallacciandosi i pantaloni, e si avvicinò a Lucrezia con fare titubante.

“Queste sono cattiverie e non sono da te.”

“Che ne sai di cos’è o non è da me? Pensi di conoscermi così bene? Anche io pensavo di conoscerti, e invece viene fuori che sei un miserabile stronzo.”

“Va bene, ho sbagliato ma non c’è bisogno di offendere in questo modo.” Continuò lui, iniziando ad arrabbiarsi. Cercò di prenderle le mani e di calmarla, senza successo, mentre lei evitava la sua presa e si voltava iniziando a mettere i piccoli oggetti che aveva comprato quel pomeriggio nelle rispettive buste. Un profumo, qualche cosmetico, una spazzola.

“Almeno abbassa la voce, ti sentirà tutto l’hotel.”

“Che mi sentano! Dopo nove anni insieme mi fai questa bastardata.” Si voltò di nuovo verso di lui, dando le spalle allo specchio. “Certo che la potevi trovare almeno consenziente.” Fece con tono sprezzante cominciando a spintonarlo. “Che c’è, senza pagare non sei più in grado di trovare chi te la dia? E io chi sono? Quella stronza che ti sei preso per essere sicuro di non rimanere mai a corto di figa mentre, quando hai voglia di variare, vai a pagamento?”

“Va bene, hai ragione, sono stato un coglione, ma se solo mi dessi il tempo di…Non ti volevo fare del male.”

“Bel modo di dimostrarlo!” Gridò Lucrezia spintonandolo improvvisamente mentre lui retrocedeva iniziando ad evitare con successo i tentativi di lei di picchiarlo e graffiarlo.

“Va bene, sei arrabbiata, ma smettila di spingermi.”

“Ti sei appena scopato una prostituta e poi sei venuto a scopare con me come se niente fosse; io ti spingo quanto voglio, stronzo!” Lucrezia sottolineò quell’affermazione lanciandosi a due mani contro le spalle di lui, che si ritrasse e cercò di nuovo di tenerla ferma per gli avambracci.

“Non mi spingere!” Disse lui ritraendosi ed evitandola con successo. “Stai ferma!”

Nella confusione e nella lotta Lucrezia lo colpì a mano aperta in pieno viso e a distanza di mezzo secondo lui le restituì uno schiaffo col dorso della mano, con una forza tale che la fece scaraventare a terra. Lucrezia finì distesa e cercò di attenuare il colpo appoggiandosi sui palmi delle mani, le braccia distese davanti a sé. 

Calò il silenzio e Lucrezia si toccò il labbro inferiore in cerca di una ferita che fortunatamente non stava sanguinando molto. Trattenne le lacrime di rabbia più che di dolore, avrebbe preferito il suicidio che versare una sola lacrima davanti a lui, soprattutto in quel frangente. 

Lui era rimasto per un attimo attonito, e poi si era passato una mano tra i capelli con fare nervoso.

“Ti avevo detto di non spingermi.” Le disse calmo. “Scusami, non l’ho fatto a posta.”

Lei si morse l’angolo sanguinante della bocca per leccare via il poco sangue che ne stava fuoriuscendo. Allora, lanciandogli una sola occhiata cupa e scocciata, Lucrezia si mise in piedi mentre gli diceva: “Torna a casa, prendi le tue cose e vattene. Quando tornerò non ti voglio trovare.”

XII.

Madre carissima, lascia che erediti la terra,

insegnami come farlo implorare,

lascia che ripari agli anni in cui ti fece attendere.

Lui piegava il tuo riflesso?

Lui ti faceva dimenticare il tuo nome?

Lui ti convinse che era un Dio?

Ti mettesti in ginocchio?

Sto parlando di tuo marito o di tuo padre?

 

Papà mi teneva tra le braccia

Mi diceva di essere forte,

Mi diceva che quando non ci sarebbe stato più, avrei dovuto fare questo:

“Quando il pericolo arriva in città 

e arrivano uomini come me,”

mio padre disse “spara”, mio padre disse “spara”.

Mio padre mi ha avvertito sugli uomini come te.

Mi disse “Si sta prendendo gioco di te.

Quando il pericolo arriva in città 

e arrivano uomini come me,”

mio padre mi disse “spara”, mio padre mi disse “spara”.

Daddy Lessons (Lemonade), Beyoncé

 

Le immagini erano poche e sfocate, rarefatte. 

Una pochette nera contenente solo un rossetto rosso, coperta di paillettes nere, abbandonata sotto al sedile posteriore dell’auto. Strano. Sua madre non si truccava. Lei era troppo piccola per truccarsi. Non le disse mai di averla trovata. Dove l’aveva messa? L’aveva presa? L’aveva gettata? L’aveva tenuta? Che ne aveva fatto?

Cosa?

Occhi lucidi, lacrime mai viste prima, la sua espressione strana e nuova e sorpresa, riflessa nello specchio del piccolo bagno di casa. 

Cosa? 

Era la prima volta che la vedeva piangere, forse? Non ricordava. 

Perché piangeva? Aveva qualcosa nell’occhio

Lui dov’era? Ma certo, era lì con loro. Era lui che le aveva risposto.

Forse aveva davvero qualcosa nell’occhio.

Forse piangeva solo perché avevano litigato. 

Forse suo padre non aveva mai tradito sua madre. 

Ma certamente lui era andato a puttane prima di conoscerla. Nessuna donna lo voleva. E rovesciando un detto di quel misogino di suo nonno, “La donna è cacciatrice e l’uomo ne ha bisogno.”

 

XIII.

Lucrezia vagabondò per Roma per un’ora sperando che il tempo gli fosse bastato per rivestirsi e lasciare l’albergo. Se lo immaginò tornare a casa, una mezz’ora di macchina appena, chissà che stava pensando, se lo immaginò prendere le sue cose e tornare da mammina. O prendere una stanza da qualche parte. Aveva fatto bene a dirgli di lasciare l’appartamento? E lui, l’avrebbe fatto? O lo avrebbe trovato lì ad aspettarla per discutere di nuovo? E lei questa volta lo avrebbe ascoltato, se così fosse stato? Poi per l'ennesima volta se lo immaginò scopare con quella donna nel suo attico romano, lei che lo prendeva in bocca, lui con le gambe di lei avvolte attorno ai propri fianchi, lui che la toccava, che la baciava. 

Le venne un urto di vomito.

Nel suo vagabondare per il centro della città, d’un tratto si ritrovò ad osservare la propria immagine riflessa nella vetrina di un negozio; i manichini, vestiti degli abiti opulenti e bellissimi di Dolce e Gabbana, parevano prendersi gioco di lei con la loro magrezza e la loro perfezione. Si guardò con occhi vitrei. Riflessa sul vetro la osservava di rimando una donna dagli zigomi alti, i capelli arruffati dal vento e l’angolo del labbro inferiore arrossato dove lui l’aveva colpita. Anche lei gliene aveva date tante.

Verde era il colore dei suoi occhi, come l’insegna del Green Cricket, il club in cui Lucrezia l’aveva portato al loro quinto appuntamento, dopo un pomeriggio passato a passeggiare per le vie di Ostia Antica. Si ricordò della pioggia primaverile che li aveva sorpresi all’uscita, per cui erano tornati a casa di lei bagnati fradici, dove avevano scopato per tutto il fine settimana.

Era stato uno dei fine settimana più memorabili della sua vita. Una passione recente, ancora non amore, forse molto meglio per questo. 

Quando si era resa conto di essere davvero innamorata, allora aveva capito cosa significava quel ti amo che lui le aveva detto molto prima di quanto non glielo avesse detto lei. Era stato imbarazzante dirgli che ancora non era sicura di essere innamorata, attratta sì, ma non innamorata. Eppure lui era stato più paziente di quanto lei non avrebbe creduto. 

Anche quando Lucrezia aveva abortito, senza prima parlarne con lui, senza nemmeno dirgli che era incinta, quando lui era venuto a saperlo non si era arrabbiato, o non aveva mostrato rabbia per il fatto che lei gli avesse tenuto nascosto tutto. Non aveva detto niente. Era rimasto in silenzio e solo alla fine le aveva detto che avrebbe potuto dirglielo. Lucrezia pensò di nuovo che lui era stato davvero paziente, incredibilmente paziente, troppo paziente. 

E poi pensò che alla fine gliel’aveva fatta scontare. 

Un tradimento per un tradimento.

Lucrezia aveva voluto che tutto della loro relazione fosse anticonformista, per non diventare una di quelle coppiette sposate che alla fine cadevano nella più totale convenzionalità, così che poi uno dei due finiva per cercare divertimento altrove. 

Convivevano, non si erano sposati, lei non aveva voluto figli che la distraessero dal lavoro e infierissero sul suo corpo e anestetizzassero la coppia al divertimento e alla spensieratezza e alla passione; eppure la minaccia più comune a tutti i matrimoni si era realizzata comunque, paradossalmente, nonostante il loro non fosse un matrimonio.

In un battito di ciglia Lucrezia era tornata al presente. Il riflesso sulla vetrina mostrò come un venticello freddo avesse fatto svolazzare un ciuffo di capelli biondi oltre la sua spalla. 

Si passò una mano sugli occhi e si diresse di nuovo verso l’hotel.

 

“Senti, ragazzo, le donne ti garantiscono il sesso perché sono programmate per irretirti e farsi fecondare.

 Poi non esisti più. 

Lo capisci durante il parto. 

Durante il parto, dalle sue gambe esce la testata nucleare che distrugge ogni cosa. 

Per prima cosa la caverna meravigliosa dove mettevi l’uccello, non riavrà mai più la sua forma; e mentre maledice il tuo nome e chiede l’epidurale, capisci che non sarà mai più una donna sexy. E da allora quell’animaletto diventerà il centro dell’universo. 

Sono tutte così. Te lo dico io che ho avuto 5 divorzi.”

Un misogino 

 

XIV.

Come avevano deciso, Lucrezia dormì a casa le notti seguenti, andando via nel pomeriggio per dargli il tempo di prendere alcune cose, mentre lui aveva preso una stanza da qualche parte a Tivoli. Lui aveva cercato di farla parlare di nuovo, di scusarsi, di spiegare, ma Lucrezia non era ancora pronta a lasciar andare la propria rabbia. L’aveva cullata tra le braccia della propria mente per mesi come un cucciolo di drago, poi l’aveva lasciata sfogare, ed ora era ancora reticente a lasciarla volare via. 

Dopo qualche settimana di completo silenzio da entrambe le parti, lentamente la rabbia si era trasformata in qualcos'altro, qualcosa di poco definito, tra il risentimento e qualcosa di simile alla rassegnazione, e finalmente un pomeriggio riuscirono a parlare. 

Il caffè di lui era freddo sul tavolo quando Lucrezia attraversò la soglia del locale.

 

Do you remember being born?

Are you thankful for the hips that cracked? 

The deep velvet of your mother, and her mother, and her mother?

There is a course that will be broken.

 

Ricordi quando sei venuto al mondo?

Sei grato per il bacino che si incrinò?

Il velluto profondo di tua madre, e di sua madre prima di lei, e di sua madre prima di lei?

In esso c’è una maledizione che verrà spezzata.

 

PARTE SECONDA

Pax Augusta

 

Con l’espressione Pax Augusta s’intende il periodo di pace vissuto da Roma a partire dal momento di transizione da Repubblica a Impero. Ottaviano Augusto aveva posto fine alle guerre civili con la sua vittoria su Marco Antonio e Cleopatra nella Battaglia di Azio (31 a.C.), e aveva rappresentato simbolicamente l’inizio di questo periodo di pace chiudendo le porte del tempio di Giano, che erano rimaste ininterrottamente aperte per secoli e la cui apertura indicava a Roma l’inizio dello stato di guerra. 

Questo periodo, la pax augusta, non poteva tuttavia essere garantito solamente dall’autorità di Augusto. Si dovevano rimuovere definitivamente i motivi di conflittualità interna allo Stato romano che avevano portato a un periodo di sanguinosissime guerre civili durato oltre un secolo (dal 133, tribunato di Tiberio Gracco, al 31 a.C., battaglia di Azio). 

Definizione modificata e ripresa dall’Enciclopedia Treccani

Him:

Why do you consider yourself undeserving? Why are you afraid of love? You think it's not possible for someone like you, but you are the love of my life. 

 

Her:

I'll give you time to prove that I can trust you again. 

You are the magician: 

Pull me back together again the way you cut me in half, 

Pull the sorrow from between my legs like silk,

 knot, 

after knot,

after knot.

Lemonade, Beyoncé

 

You have to acknowledge the pain, let that person have their say

you have to get on the mattress and really be honest, no matter how many times

it takes time 

it’s hard

 it’s very difficult to hear 

difficult to listen to that sort of pain 

and you just have to be strong enough to go through that

 because on the other side it’s beautiful.

JayZ, Interview with the CNN

 

I. Devi biasimare solo te stesso, che peccato tu abbia perso il gioco che tu stesso mi hai insegnato

Erano una coppia fallita? Lucrezia si chiese se non fosse meglio mettere fine alla loro relazione subito e togliersi il cerotto. Una relazione di nove anni, terminata con un albergo, un letto, una scopata, e un’infinità di menzogne; non sapeva quale fosse la più grave. Tre settimane di silenzio erano abbastanza per avere una conversazione civile con la persona che ti aveva tradita e che in qualche modo anche tu avevi tradito, persino per prima?

Se da quella conversazione avuta dopo tre settimane di assoluto silenzio si fosse mostrata tanto intransigente quanto era solitamente, la loro relazione sarebbe finita in quel momento. Lui sarebbe tornato a prendere gli ultimi, minimi oggetti che aveva lasciato nell’appartamento e sarebbe tornato in casa dei suoi genitori, si sarebbe organizzato per affittare un nuovo appartamento e alla fine forse ne avrebbe comprato uno nuovo, con il denaro che lei gli avrebbe dato per riscattare la parte di lui dell’appartamento che avevano condiviso e che avevano acquistato a metà. Forse non si sarebbero più rivisti, lei era abituata a dare poche seconde possibilità e a chiudere definitivamente le relazioni che si mettevano male, di qualunque tipo si trattassero, non solo amorose. 

Forse lui avrebbe trovato una donna che lo avrebbe reso felice, a cui non avrebbe avuto bisogno di nascondere niente, se non il fatto di essere il tipo d’uomo che andava a prostitute, una donna con cui forse non avrebbe neppure avuto bisogno di frequentare prostitute d’alto borgo, una donna con cui non avrebbe dovuto sopportare la monotonia della relazione, una donna che lo avrebbe sempre fatto sentire sulla cresta dell’onda, senza la necessità di passare quasi tutti i fine settimana fuori casa con una scusa qualsiasi, una donna con cui forse non avrebbe dovuto fingere di non volere figli per assecondare l’assurda idea per cui solo l’assenza di figli era il precetto ineludibile per far durare una relazione il più a lungo possibile senza cadere nella noia o nel tradimento.

Forse, se lei fosse stata intransigente come sapeva essere con chiunque, se avesse riversato su di lui tutto il risentimento che provava nei confronti di coloro che riteneva colpevoli di un’ingiustizia biologica inevitabile, forse allora le loro strade si sarebbero separate per sempre.

Invece, dopo averlo raggiunto in quel caffè del centro, vedendolo seduto ad un tavolo riservato, lo sguardo basso rivolto al contenuto della tazza che si era sollevato su di lei proprio mentre lei apriva la porta ed entrava nel locale, Lucrezia si era ritrovata ad essere più diplomatica di quanto era solita essere. 

Appena lo sguardo di lui si era sollevato su di lei, Lucrezia era stata colta da una sensazione al limite tra l’ansia del dover prendere una decisione e un fremito interiore nel rivederlo dopo tre settimane di completo, agghiacciante silenzio; un silenzio che aveva celato un’ostilità che avrebbe potuto ben rivaleggiare con quella tra il blocco Occidentale ed Orientale della guerra fredda.

Ormai erano i primi di luglio e il caldo non poteva più essere evitato, ma Lucrezia aveva sentito un gelo dentro da far stridere le sue ossa di dolore nei giorni che l’avevano separata da quell’incontro, perché non sapeva cosa gli avrebbe detto e soprattutto perché non aveva idea di cosa le avrebbe detto lui. Cosa gli era passato per la testa in quelle tre settimane, a parte i vari tentativi di scusarsi, di rimediare, le professioni d’amore e di cambiamento nei messaggi e le telefonate perse.

Lo salutò con disinvoltura, sedendosi al tavolo. Improvvisamente sentì la mente vuota e l’animo pervaso dallo stesso tremore che sentiva rombare nel petto. Volevano salvare quella relazione? Lucrezia non ne era sicura. Nove anni insieme gettati al vento? La parte più maligna ed egoista di sé ritenne che lui stesso fosse il responsabile della fine della loro relazione, che non stesse che raccogliendo ciò che aveva seminato, eppure un’altra parte di lei, recondita e ben celata a sé stessa, sapeva che la prima picconata alla loro relazione l’aveva data lei. 

Lui rispose al saluto di Lucrezia con un sorriso titubante che le ricordò per contrasto quello felice che le aveva rivolto sulla soglia della camera d’albergo tre settimane prima. Che giochino squallido. Era stata squallida, come lui, nel rinfacciargli tutto a quel modo, in una cornice falsa e opulente dell’Hotel de Russie forse simile a quella in cui lui si era scopato l’altra. Lui, invece, non le aveva rinfacciato niente, non la menzogna, non la mancanza di fiducia né di comunicazione. Eppure aveva trovato il modo di farla soffrire, dopo, forse senza nemmeno rendersi conto di quello che stava a monte. Lucrezia zittì la propria coscienza come l’aveva zittita per tanto tempo. Perché lei lo aveva tradito e lui l’aveva tradita. Modi diversi, stesso risultato. E in quel momento, mentre si ritrovavano seduti al lato opposto di un piccolo tavolo in un anonimo caffè poco affollato, l’espressione di lei e quella di lui sembravano rimirarsi nello stesso specchio.

Voleva finirla lì? Se l’avesse voluto, non si sarebbe neppure presentata all’appuntamento. Ma cosa voleva non lo sapeva neppure lei. Dimenticare, andare avanti, essere felice. Con lui o senza di lui ancora non lo sapeva. In fin dei conti era una cosa semplice, amare ed essere amati. Essere ricambiati. Il difficile era imparare a non farsi male a vicenda.

 

II. Quindi credi di saper amare una donna

Le lancette dell’orologio segnavano le dieci e cinque minuti. Il ticchettio dei secondi la infastidiva, ma Lucrezia tornò subito a posare lo sguardo sulla figura bionda della terapista seduta su una sedia di fronte a loro.

Lucrezia accavalló le gambe con fare distratto mentre la donna, sulla cinquantina, qualche ruga qua e là a segnarle lo sguardo, introduceva gli obiettivi delle loro future sedute. 

Voltò la testa dirigendo lo sguardo verso la figura di lui, osservandolo mentre lui, seduto al suo fianco sul divanetto e intento ad osservare con fare volutamente attento la terapista. 

Quindi verremo ai motivi per cui vi siete rivolti a me… vi chiederó perché volete continuare a stare insieme. 

Lucrezia si chiese se fosse possibile salvare una relazione dopo un tradimento o se fossero destinati a vivere con quel risentimento tra di loro per sempre. Quindi fu quello che chiese.

La terapista sembrò presa in contropiede, forse rendendosi conto che la sua cliente aveva si e no ascoltato metà di ciò che lei aveva detto fino a quel momento.

“Se la coppia lo vuole davvero, ci sono casi in cui si può superare un tradimento, anzi il tradimento può persino far realizzare alla persona che ha tradito quanto davvero tiene alla persona che era sul punto di perdere. Ma nessuno ha la sfera di cristallo, dipende tutto da quello che volete voi.”

“Voglio che continuiamo a stare insieme, su questo non ho dubbi.” S’intromise lui, il tono calmo ma fermo. Il suo sguardo era rivolto alla terapista, ma la frase era decisamente rivolta a Lucrezia.

“Credi di sapere come si ama una donna?” Chiese Lucrezia a bruciapelo, voltandosi di scatto con tutto il corpo verso di lui, le braccia incrociate al petto e le mani infilate sotto i gomiti, lo sguardo corrucciato.

Lui rimase interdetto per un attimo, lo sguardo fisso in quello di Lucrezia, prima di chiedere in tono interrogativo e sorpreso: “Cosa?”

“Ho detto, credi di sapere come si ama una donna?”

“Io... credo di sì.” Rispose immediatamente, per poi correggersi, “In che senso?”

Lucrezia sbuffò una mezza risata cercando di sopprimerla affinché non sembrasse troppo strafottente. “Intendo, amare una donna per davvero, non intendo solo il sesso ma la capacità di mostrare rispetto, per noi, per quello che siamo, per i momenti bui, per le difficoltà che incontriamo tutti i giorni, per le insicurezze che ci vengono inculcate, per le ingiustizie--”

Lui la interruppe con tono improvvisamente irritato, abbandonando quella disposizione d’animo remissiva che aveva dimostrato fino ad allora. “Tu non vuoi un uomo che sappia come amare una donna, non vuoi qualcuno che ami te semplicemente, tu vuoi qualcuno che ti ami come nessuno ha mai amato nessun altro, vuoi qualcuno che ti dimostri che è possibile amare senza soffrire, qualcuno che smentisca quello che hai sempre pensato sugli uomini, che smentisca gli stereotipi di cui tu ti senti prigioniera. Non vuoi che io sia un uomo che sa amare davvero una donna, vuoi che io sia l’uomo perfetto che conferma la regola sulla cattiveria degli altri uomini, di cui tu ti sei convinta. Beh, io non sono quell’uomo, non sono perfetto, sbaglio anche io, e sai una cosa? Non sei perfetta neanche tu, perché nemmeno con un uomo che ti ama sinceramente sei contenta. La verità è che ti senti soddisfatta solo quando stai male. Non è per questo che hai abortito senza dirmelo? Perché volevi soffrire, sentirti una vittima? E ora non nascondere che una parte di te ci gode ad essere davvero la vittima del tradimento.”

“Non osare credere di sapere perché ho abortito. Non osare. C’è già chi mi deve psicanalizzare in questa stanza e non sei tu.” L’espressione di Lucrezia non tradiva alcun sentimento se non l’offesa. “E di tutto quello che credi di sapere, su una sola cosa hai ragione, sei ben lontano dall’essere l’uomo perfetto.”

“Capisco che tu sia furiosa per quello che è successo e hai tutte le ragioni per esserlo, ma io sono pronto a mettermi in discussione davanti ad un’estranea per mettere a posto le cose. Tu sei in grado di farlo?”

Lucrezia alzò gli occhi al cielo, cercando di dimostrare sarcasmo, eppure non riuscì ad impedirsi di portarsi le mani agli angoli degli occhi, per reprimere le lacrime che li bagnavano e che minacciavano di fluire libere. 

La psicologa prese finalmente la parola. “Non mi aspettavo di cominciare con le discussioni fin dalla seduta introduttiva, ma direi che questo è un discorso interessante da poter riprendere nella prossima seduta. Giovedì prossimo alle undici va bene?”

La porta dell’appartamento si chiuse dietro le loro spalle. Si guardarono per qualche secondo mentre un silenzio imbarazzante si estendeva tra di loro. Lucrezia allora iniziò a cercare le chiavi della macchina nella borsa, mentre lui estraeva il telefono dalla tasca. Si voltarono le spalle quasi nello stesso momento e ognuno si diresse verso la propria auto, prendendo strade separate.

 

III. Man, you’re not involved, let the vagina have a monologue - Il n’y a que Kate Moss qui est éternelle

“Io l’ho scoperto… non è importante come l’ho scoperto, fatto sta che mi tradiva da quasi un anno con la stessa donna. Una prostituta. Non oso pensare quanti soldi gli sia costata in tutti quei mesi, ma di sicuro parecchi. Spero ne sia valsa la pena.” Fece con aria sarcastica. “Io, ecco io, all’inizio sono rimasta sorpresa, perché non me lo aspettavo. Mi sembrava che andasse tutto bene tra noi, quindi quando l’ho scoperto, all’inizio mi è crollato il mondo addosso. Poi ho cominciato a fare delle ricerche su chi fosse lei di preciso, com’era, com’era fisicamente intendo, ho scoperto che era una escort d’alto borgo e quando ho avuto la conferma del fatto che era decisamente bella, mi sono sentita…” Lucrezia si prese un attimo per racimolare le idee per poi continuare, “Mi sono sentita messa da parte, credo, e noiosa e scialba e incredibilmente gelosa. Insomma, mi sembrava di aver fatto tutto quello che potevo per non diventare la donna noiosa che lasci a casa per andare a divertirti con un’altra. Mi sono sentita orribile, non all’altezza.” 

“Non ti sei sentita all’altezza di cosa?” La psicologa non stava prendendo appunti, ma era evidentemente interessata a quello che sarebbe emerso dalla risposta a quella domanda.

“Non mi sono sentita all’altezza di lei, dell’altra, perché ho avuto modo di vedere che è davvero molto bella, o almeno di una bellezza diversa dalla mia. Non voglio dire che mi sento brutta fisicamente, credo di essere abbastanza bella, ma di una bellezza convenzionale, contenuta, di una persona che si lascia andare poco. Per questo mi sono sentita inferiore rispetto a lei, all’altra intendo, perché da quel poco che sapevo, la percepivo come una bellezza oscura e conturbante e che in qualche modo era stata capace di portarmelo via. Voglio dire, era tanto meglio di me che lui l’aveva preferita a me. Ho avuto il desiderio orribile di essere come lei, non una prostituta ovviamente, ma più disinibita, di avere quella sensualità decadente che ti fa pensare a una candela accesa che si riflette su uno specchio barocco. Non tanto per lui, ma per sé stessa, per il mio orgoglio, per sentirmi desiderata e non messa da disparte.”

“Prima hai detto che non ti aspettavi il tradimento ma anche che avevi cercato di evitarlo. Perché? Credevi che prima o poi ti avrebbe tradito comunque?”

“No, non lo credevo. Io… credo di aver avuto la sensazione che--che se non fossi stata abbastanza o all’altezza o chessòio, lui avrebbe potuto provare interesse per qualcun’altra. Sì.”

“Che intendi con essere abbastanza?”

“Il fatto che lui mi abbia tradita non mi ferisce semplicemente perché ha sentito il bisogno di andare con un’altra, ma proprio perché ha riaperto un dubbio su me stessa, sul mio valore intendo. È qualcosa che non ho mai risolto completamente e che credo non risolverò mai.” Aveva lo sguardo rivolto verso la figura della psicologa mentre continuava, rivelando un segreto che aveva sempre celato a chiunque, fino ad allora. “Quando avevo circa sedici anni, ho avuto gravi problemi di autostima che mi hanno portato a soffrire di bulimia. Quando sono venuta a sapere dei tradimenti e nei mesi successivi in cui mi sono tenuta per me il fatto che sapevo la verità, ho avuto più volte la tentazione di vomitare. Non l’ho mai fatto, ma a volte mi chiudevo in bagno per osservare se le clavicole si vedevano abbastanza, se le cosce erano abbastanza magre e quando pensavo a cosa potesse averlo spinto a scoparsi un’altra, mi dicevo che non ero abbastanza, non abbastanza magra, abbastanza bella o disinibita o sicura di me. A volte ho fatto delle docce fredde per impedirmi di indurmi il vomito, ma alla fine ce l’ho fatta. Non ho ceduto all’impulso.”

Sentiva gli occhi di entrambi addosso e un calore sulle guance. Erano lacrime. Fu la voce della terapista a riscuoterla dal flusso di coscienza in cui era caduta, quando le chiese perché credeva di non essere abbastanza.

“Beh, il fatto che si sia scopato quella specie di modella dovrebbe esserne una conferma.” “Perché credi che la bellezza sia così importante? Potrebbe essere andato con quella donna per altri motivi che non dipendono dal tuo “non essere abbastanza bella o disinibita”.”

La donna seduta sul divano non sembrava convinta, sembrava aver sentito appena quella frase.

“Beh, si tende ad evitare di dirlo ma chi è bello viene privilegiato in tutti i campi, e io cerco di fare del mio meglio da questo punto di vista, ma lo spettro della bulimia è sempre dietro l’angolo. E non riesco a capire… dentro di me non volevo dargli motivo di scopare con un’altra ma è successo comunque, e non riesco a capire… non riesco a capire perché, cosa ho fatto di sbagliato. Mi sembrava che il sesso fosse bello, non ci siamo sposati, conviviamo, non mi sembrava che ci fosse eccessiva monotonia o routine nel nostro rapporto. Non voglio figli, credo che una coppia stia meglio senza, credo che sia importante per me, per la mia indipendenza, per la mia natura un po’ egocentrica, per il mio corpo e per mantenere quel minimo di bellezza che mi è necessaria per non crollare, eppure... 

“La bellezza non è eterna e se ti basi solo su quella per tenere in piedi una relazione non andrai molto lontana.” La voce di lui risuonò lontana alle orecchie di Lucrezia, nonostante fosse a pochi centimetri da lei, dall’altro lato del divano, tanto era stato il tempo in cui aveva parlato ad una stanza silenziosa.

“Giusto, e in ogni caso non ti devi colpevolizzare,” intervenne la psicologa a calmare gli animi, “ci sono molte cose in quello che hai detto che vedremo di capire meglio. Mi sembra di capire che in parte tu abbia delle convinzioni che influiscono sulle dinamiche disfunzionali della coppia. Percepisco una certa mancanza di autostima, come hai detto anche tu-”

“Sì, ma provo anche rabbia; vorrei avere io il potere di farlo sentire come si sentiva con quella donna, e anche meglio.” Il suo sguardo si era improvvisamente rivolto verso il basso, fisso sulle sue mani conserte. “E credo di vergognarmi anche di questo.”

 

III. Kept his dick wet

Non ha perso tempo dietro ai rimpianti

ha tenuto il cazzo in caldo

con la sua solita scommessa sicura.

Amy Winehouse, Back to Black

 

I left my girl back home

I don’t love her no more

And she’ll never fucking know that 

These fucking eyes that I’m staring at.

Let me see that ass, 

Look at all this cash 

And I emptied out my cards too 

Bring your love, baby, I could bring my shame, 

Bring the drugs, baby, I could bring my pain 

I got my scars right here

Listen, ma, I’ll give you all I got

Get me off of this, I need confidence in myself

The Weeknd, Wicked Games

 

“Non credo di averlo fatto molto consapevolmente la prima volta. Voglio dire, di cercare qualcun'altra con cui andare a letto. Non è stata una decisione calcolata, ho agito d’impulso, è stata una concatenazione di cose. Ho solo preso i contatti con lei, sono partito, ci ho parlato brevemente, non l’ho portata neanche da qualche parte a cena, la prima volta--invece quelle successive abbiamo cominciato ad incontrarci in un ristorante di Roma. Insomma quella prima volta ci ho solo fatto sesso. È sempre stato solo sesso, non.. non c’era niente di sentimentale dietro, e non l’ho fatto perché non amavo piu Lucrezia, questo lo voglio mettere subito in chiaro.”

Sembrava confuso, persino da sé stesso. Sembrava che non riuscisse a trovare le parole neppure per raccontare com’era andata, tantomeno per cercare di esprimere da dove fosse provenuto quell’impulso a cercare un’altra donna; continuava solo a ripetere che era stato un errore dettato dal sesso, non dalla mancanza di amore. 

Dopo averla tradita per la prima volta, si era sentito male da morire, o almeno così diceva, aveva evitato di pensarci durante tutto il giorno successivo, andando a lavoro, perdendosi nelle necessità della vita pratica di un rappresentante, e a fine giornata, essendo lui ancora a Roma per il solito “viaggio di lavoro” e lei ancora a Tivoli, a casa loro, l’aveva sentita al telefono. Lui aveva cercato di parlare con calma, senza tradire alcuna emozione fuori dal normale o dal consueto che potesse insospettirla, aveva cercato di rivolgersi a lei come se nulla fosse accaduto, eppure gli era sembrato che lei fosse riuscita a sentire nel tono della sua voce che stava mentendo, come se lei potesse percepire dal modo in cui parlava, in cui respirava, in cui il suo cuore batteva un po’ più forte, che lui aveva mentito su tutto, come se fosse sul momento di scoprirlo da un momento all’altro. 

Era il senso di colpa, che serpeggiava dentro di lui, represso ma strisciante, un serpente in seno sul punto di risalire verso la superficie. Eppure era solo un timore infondato il suo, perché sarebbe andato avanti per mesi con quella menzogna a premergli sul petto, prima che lei se ne fosse resa conto. 

E dunque in quel frangente, Lucrezia non si era accorta di niente, perché anche se il battito del cuore di lui gli pareva rivelatore della sua bugia, era una rivelazione che solo lui era in grado di udire. Nei giorni successivi, quando era tornato a Tivoli, il senso di colpa si era lentamente attenuato e vedendo che Lucrezia continuava ad allontanarsi lentamente da lui, l’aveva tradita di nuovo. Questa volta il senso di colpa era arrivato in ritardo e si era affievolito più velocemente, come avrebbe fatto ogni altra volta in cui l’avrebbe tradita. 

Mentre lui aveva degli orari più o meno stabili, che potevano variare di poco, lei aveva cominciato a rimanere in ufficio fino a tardi, tornando a casa appena in tempo per l’ora di cena, ossessionata dall’idea dover lavorare il doppio di chiunque altro nel suo dipartimento per riuscire ad allestire la mostra che le avrebbe aperto le porte della direzione di musei più rinomati. Pregustava già la soddisfazione di una mostra dal successo travolgente, e l’unico proposito, quello di ottenere un incarico di rilievo presso la Pinacoteca di Brera di Milano. 

Allora, quando lui si era ritrovato sulla strada per Roma, diretto per l’ennesima volta verso quell’attico che l’avrebbe visto scoparsi l’altra donna tutta la notte in un letto pulito ancora per poco, e poi nel salotto, contro il ritratto di un’anonima donna ottocentesca vestita di nero-- l'aveva vista sulla copertina di un libro in francese di Lucrezia? Gli sembrava, non ricordava di preciso --e forse anche contro il lavandino del bagno mentre la donna tentava invano di finire di rivestirsi, allacciarsi il vestito, mettersi il profumo prima di uscire a cena, una parte di lui gli aveva fatto credere che forse era solo preoccupato all’idea di doversi trasferire per seguire Lucrezia a Milano, se lei avesse riscosso il successo che sperava con la mostra, come lui tra l’altro si aspettava.

Eppure non era davvero preoccupato di un potenziale trasferimento, il suo lavoro di rappresentante non gli impediva di trasferirsi in Lombardia, tutt’altro, avrebbe potuto ampliare il suo raggio d’azione. 

In ogni caso quella falsa preoccupazione sarebbe svanita insieme al ricordo di Lucrezia una volta superata la soglia dell’attico, una volta che l’altra donna gli si fosse parata di fronte in uno dei suoi abiti neri o verde scuro, una volta che lo avesse accolto nel salotto, facendolo accomodare sul divano, una volta che gli si fosse seduta accanto, gli avesse offerto da bere, gli avesse mostrato la droga. Lui avrebbe finto di non volerla, solo per un attimo, ma appena lei se la fosse portata alla bocca, ponendo la pastiglia tra le labbra, accavallando le gambe in quel modo che gli faceva andare il sangue da tutt'altra parte rispetto al cervello, lui l’avrebbe presa volentieri con le sue di labbra, in un bacio bagnato.

Lucrezia aveva ascoltato le sue parole con lo sguardo fisso su una macchia nel pavimento, perso nel vuoto. Quando lui ebbe finito, Lucrezia gli chiese se fosse stato tanto insoddisfatto della loro vita sessuale. Lui rispose semplicemente di no, non aveva voluto sopperire a una mancanza di sesso nel loro rapporto.

Eppure aveva cercato del sesso altrove.

“Allora perché l’hai fatto, per mesi? Evidentemente io non ero abbastanza bella, non ti bastavo--”

“Lascialo rispondere,” intervenne la terapeuta a fermare quella che sembrava la fonte di un fiume in piena.

“Non sono stato con lei solo perché era bella ma per come mi faceva sentire. Era solo sesso, è vero, non me lo rimangio, ma lei mi faceva sentire voluto e importante e capito.”

“E io non ti facevo sentire così?” 

“In quel periodo eri sempre impegnata con il tuo lavoro e dovevi preparare l’allestimento della mostra che avrebbe fatto decollare la tua carriera. Io non avevo niente da condividere con te che mi facesse sentire… preso in considerazione e capito e io dovevo capire--”

“Cosa? Cos’è che dovevi capire?” Il tono di Lucrezia era in bilico tra la furia e l’incredulità.

“Come stavo, dopo la questione dell’aborto.”

“E andare con una troia ti ha aiutato a capire qualcosa?” Fece Lucrezia con rabbia e stizza del tutto malcelate.

“Andare con quella donna non è stata certo una soluzione, ma, e mi vergogno a dirlo, mi faceva sentire preso in considerazione. Era solo sesso, davvero, ma lei ascoltava quello che avevo da dire. Con te, dopo l’aborto, ti sei chiusa, non potevo affrontare l’argomento, mi evitavi. E poi abbiamo smesso di parlare, almeno i primi mesi dopo, ed è stato allora che è cominciata la faccenda con l’altra donna.”

“Io non--io pensavo fosse una storia chiusa. Avevamo deciso di non parlarne.” 

“Tu non ne volevi parlare.”

“Perché non c’era niente da dire.” 

“No, perché tu non volevi sentire cosa avevo da dire io.” 

Lucrezia corrugò la fronte mentre rispondeva, “Non è vero, io non volevo un figlio e basta. Non voglio figli. Te l’ho sempre detto questo. Cos’altro ci sarebbe stato da aggiungere che non ci fossimo già detti prima che io restassi incinta?”

“Avresti almeno potuto mettermi al corrente della situazione, ma non ti interessava la mia opinione, altrimenti mi avessi detto che eri incinta e che volevi abortire.”

Vi fu un silenzio disarmante mentre Lucrezia veniva inesorabilmente messa di fronte all’errore che non aveva voluto riconoscere, benché ne fosse sempre stata al corrente, prima di compierlo e dopo averlo compiuto. Aveva voluto abortire e non avrebbe dato a nessuno la possibilità di convincerla del contrario, della possibilità, del fatto che avrebbe potuto tenere quel bambino. Bambino, che pensiero assurdo. Improvvisamente, Lucrezia rispose mettendosi sulla difensiva. 

“Ma dai, adesso è colpa mia? Perché ho voluto abortire mi sono meritata di essere trattata in questo modo?! È il mio corpo, è la mia vita, è una mia decisione. Avevo il diritto di fare quello che meglio credevo. E credo ancora di aver fatto il meglio per me.

“Ma avevi il dovere di dirmi quello che stava succedendo, di mettermi al corrente; invece hai voluto fare tutto da sola. Non è così che dovrebbe funzionare una coppia.”

“Non--non era una tua decisione da prendere, era mia, e niente che tu potessi dire avrebbe potuto farmi cambiare idea. È stata la decisione più semplice della mia vita, non volevo e non voglio figli. Punto. Quindi perché avrei dovuto dirtelo?”

“Te lo ripeto: perché non puoi fare tutto da sola, siamo in due. E tra parentesi, non avrei cercato di farti cambiare idea, se è quello che credi.”

Di nuovo tra di loro si estese un silenzio carico di non detto. Sembrava una condizione inevitabile.

A quel punto prese la parola la psicologa. “Lucrezia, perché senti il bisogno di stare così sulla difensiva? Perché credi così fermamente di dover fare tutto da sola?”

Lucrezia sembrò rifletterci un po’, lo sguardo che passava da un oggetto all’altro sulla libreria della psicologa. “Io… io credo di essermi vergognata. Perché mi ero messa nella posizione di dover abortire. Da un lato non volevo dirglielo perché non sapevo cosa mi avrebbe detto e dall’altro non volevo… mettermi nella posizione di perderlo, non volevo diventare ancora più noiosa e convenzionale: sono già la direttrice di un museo, vivo per il lavoro e per la ricerca. Non voglio diventare una mammina noiosa. Non sono fatta per avere figli.”

“Perché cosa c’è di tanto negativo nell’avere un figlio?”

“Beh tanto per cominciare un figlio ti rovina il corpo, la carriera e la relazione. Non lo voglio. Un figlio lascia dei segni indelebili che non vanno più via: sbalzi di peso, sbalzi di umore, il parto ti divide letteralmente in due e non sei più quella creatura sensuale e desiderata che eri prima. Insomma dopo che hai avuto un figlio non sarai mai più quella di prima. Diventi convenzionale, noiosa e grassa e scialba e allora puoi davvero biasimare tuo marito se si trova un’altra e lo perdi?” E qui il suo sguardo si fece lontano, come immerso nel passato, nel passato di qualcun altro. “Ma non è tanto il perderlo il problema, quanto il fatto che perdi quello che avevate insieme prima: la spensieratezza, il conturbante, il fascino, la sensazione di essere solamente voi due e che vi bastate a vicenda. E il pensiero di perdere tutto questo è altamente disturbante, soprattutto se sei abituata a vomitare per gestire il tuo senso di colpa e di inadeguatezza.”

“Hai parlato di “perdere tuo marito”, ma voi non siete sposati. Durante le prime sedute l’hai detto tu stessa di non esserti mai voluta sposare. Dove credi di aver imparato questo schema di pensiero? In famiglia?”

“Probabile. Credevo che per essere felice nella vita di coppia sarebbe bastato evitare il matrimonio e i figli e fare del mio meglio per rimanere attraente, ma non è bastato. Alla fine l’ho perso comunque, nonostante tutto il mio impegno per evitarlo.”

“Siete qui per mettere a posto le cose. Ancora non l’hai perso.”

 

IV. Mama’s just a little girl - We’re all screwed cause we never had the tools

Alle undici e qualche minuto, Lucrezia era di nuovo seduta sul divanetto della psicologa. Lui era seduto dalla parte opposta del divano.

“La settimana scorsa abbiamo parlato del tuo passato di bulimia, che è riaffiorato dopo quello che è successo. Per capire come questo influisca sulla vostra relazione disfunzionale dobbiamo capire da dove viene, quindi sarebbe importante parlare  della tua famiglia.” 

“La mia famiglia… la mia famiglia è stata abbastanza convenzionale fino ai dodici, tredici anni, quando mio padre ha lasciato mia madre intendo, e i conflitti tra me e lui sono aumentati. Non ho mai avuto un rapporto particolarmente idilliaco con lui, nemmeno facile se è per questo. Lui, mi ha sempre spinta a dare il massimo, e lo ringrazio per questo da un lato, perché mi ha insegnato a lavorare sodo per ottenere quello che voglio, ma diciamo che non era in grado di motivarmi nella maniera giusta. Mi spingeva a dare sempre di più ma credo che non mi abbia mai rivolto una parola d’apprezzamento per quello che ottenevo. Facevo solo il mio dovere e questo doveva bastare. Credo che sia per questo che ancora oggi sono tanto ossessionata dal successo lavorativo.”

Perfezionista. Passò nella mente di tutti e tre i presenti.

“Beh, dopo avermi insegnato che non facevo mai abbastanza, che non non meritavo gratificazione per quello che facevo bene perché era solo il mio dovere, mio padre ha lasciato mia madre. Credo di aver avuto quattordici anni quando è successo. Mamma è sempre stata una figura piuttosto assente e remissiva nella mia vita. All’inizio era sempre fuori per lavoro, faceva le pulizie negli ospedali, e quando tornava era succube di mio padre. L’ha sempre trattata come se fosse anche la sua donna delle pulizie invece che sua moglie. Ci ha fatto una figlia, l’ha sfruttata fintanto che era giovane e poi quando se n’è stancato ha cominciato a tradirla. La tradiva fin da quando ero molto piccola a dire il vero, ma l’ho capito solo quando sono stata abbastanza grande da rendermi conto che andava letteralmente con chiunque, donne belle o brutte non importava, bastava che non fossero mia madre. Alla fine ha abbandonato lei e me. L’ho odiato per questo e forse lo odio ancora. 

Ho un ricordo sfocato di quando avevo otto o nove anni credo. Avevo trovato una pochette ricoperta di paillettes nere con dentro un rossetto rosso, sotto il sedile della macchina di mio padre. All’inizio non le ho dato importanza, ma quando sono diventata più grande quel ricordo mi tornava in mente spesso e ho supposto che fosse di una donna con cui tradiva mia madre, anche se non ne ho mai avuto la certezza. 

Credo che alla fine questo mi abbia insegnato una lezione, che quando ti sposi e fai figli smetti di essere una donna interessante e sensuale. Anche volendo, dopo un parto sei letteralmente spaccata in due, devi portare i punti, non puoi fare sesso. E lui evidentemente non era il tipo d’uomo interessato alla salute fisica o ai sentimenti di mia madre, era più interessato ad avere qualcuno che gli tenesse in caldo il cazzo. Scusi la volgarità.

Non ci parlo da quando avevo diciott’anni, da quando ho smesso di dipendere da lui e dal suo assegno di mantenimento. Da ragazza ho sempre cercato di evitare relazioni con persone che potessero rivelarsi come mio padre, e che avessero il potere di ferirmi. Poi quando l’ho incontrato,” e qui si voltò verso di Lui, al suo fianco, per lanciargli un’occhiata rapida che facesse intendere alla terapista a chi si stesse riferendo, “ho sempre voluto evitare il matrimonio. Avevo troppa paura che finisse come quello dei miei genitori. Volevo che la nostra relazione non fosse convenzionale. Speravo che così avrei evitato tutte quelle delusioni e tradimenti che aveva vissuto mia madre. E ovviamente non avere figli era una condizione necessaria per non finire come lei. Insomma, non li ho mai voluti, sono troppo egocentrica per volerli: non volevo prendermi cura di nessuno che non fosse me stessa o lui.”

“Sai che non tutte le donne perdono la loro sensualità e indipendenza dopo aver avuto un figlio, vero?” Intervenne la terapista.

“Beh, preferisco non rischiare.” 

Ci fu un attimo di silenzio.

“Credi che sia stato questo che ti ha spinta ad abortire?”

“No. Io… no. Io davvero non volevo e non voglio figli. Però, sì, cioè, ovviamente non volevo neanche finire come mia madre: essere la donna che fa un figlio, che non può più scopare per mesi e che diventa noiosa e scialba e che ti spinge a trovarti un’altra. E poi mio padre è sempre stato così… impossibile da soddisfare. Non ero mai...non ero mai abbastanza e l’unica cosa che sentivo era che se non avessi fatto il meglio che potevo, se non fossi stata il più vicino possibile alla perfezione, non mi sarei meritata il suo amore.”

“Non hai bisogno di essere perfetta per meritare di essere amata.” 

“Allora perché ti sei scopato una puttana che sembrava una specie di modella per mesi?”

“Questo non c’entra con il tuo valore.” La psicologa intervenne giusto in tempo per salvarlo da una risposta che non era ancora in grado di darle. 

Perché l’aveva fatto?

Invece si era ritrovato a parlare della propria famiglia, una madre e un padre normali, una sorella, degli zii che gli avevano fatto quasi da genitori, quando entrambi i propri erano stati troppo occupati con il lavoro. I suoi genitori avevano divorziato di comune accordo, nessuna battaglia legale, nessun problema. Oltre a questo, niente di sconvolgente. Non aveva un padre o una madre particolarmente assenti o non amorevoli. Non aveva alcun complesso. Niente poteva giustificare il suo comportamento.

“Da quello che mi dite, sembra che entrambi siate cresciuti in un ambiente che non vi ha insegnato a riconoscere o a gestire una forma funzionale di amore e di coppia. Non è stata colpa di nessuno, semplicemente eravate come--privi degli strumenti necessari ad instaurare una relazione sana, quelli che si apprendono in famiglia.” continuò la terapista, “ma siamo qui per cercare di rompere i meccanismi disfunzionali della vostra.”

All’uscita dell’appartamento, prima che Lucrezia potesse dargli le spalle e salire in macchina, lui tornò sull‘argomento: “Dicevo sul serio prima. Non devi essere perfetta per meritare di essere amata.”

Lei pensò di nuovo alla risposta che gli aveva dato solo qualche minuto prima, ma non pronunciò quelle parole.

“Vuoi scopare?” Si limitò a dire.

“Sei arrabbiata, meglio di no.”

“Se vuoi scopare sali in macchina.” Si limitò a dire lei aprendo lo sportello posteriore della propria macchina ed entrando al suo interno. Mettere a nudo i propri sentimenti così, le aveva fatto venire voglia di mettere a nudo anche il proprio corpo, nonostante una rabbia sorda fosse sempre lì, incisa nel petto.

Lui non la seguí.

 

V. Close your eyes and let the world paint a thousand pictures, one good girl is worth a thousand bitches - Sleeping every night next to Monna Lisa, the modern version with better features

Come si era sentito? Era forse ridicolo ed eccessivo da dire, soprattutto in quel frangente, ma sì, credeva di essersi  sentito tradito. Lei non si era nemmeno presa il disturbo di dirgli che aveva intenzione di abortire. Eppure, inconsciamente, aveva represso quel risentimento che non si era dato il permesso di provare. Le era stato vicino durante i postumi dell’aborto volontario, più forti di quanto Lucrezia non si fosse aspettata e che l’avevano colta di sorpresa. Si era voluto assicurare che lei stesse bene, non solo fisicamente. D'altronde era durata poco la visita al pronto soccorso, quella notte, dopo che l’aveva sorpresa in bagno in preda alla paura per un sanguinamento più forte del normale, che non poteva essere scambiato per una semplice mestruazione. 

Erano i residui, solo un po’ più numerosi, di un aborto, niente di grave, niente di cui preoccuparsi, gli avevano detto nel pronto soccorso. 

All’inizio aveva creduto che si fosse trattato di un aborto spontaneo, non ci capiva più niente, non sapeva nemmeno che Lucrezia fosse incinta, né da quanto, né perché non gliel’avesse detto. E allora quando si erano ritrovati da soli, nella piccola stanza del pronto soccorso che gli era parsa quasi claustrofobica in quel momento, Lucrezia non aveva più potuto tenere il segreto. Gli doveva una spiegazione. Non era stato un aborto spontaneo. 

Quella mattina, dopo essersi svegliata, vestita, truccata, dopo aver preparato la borsa per il lavoro, invece di andare in ufficio si era recata in ospedale per eseguire un aborto volontario. Poi, qualche ora dopo, era andata in ufficio e aveva continuato la propria giornata come se nulla fosse successo. Era uscita dall’ufficio verso le sei, aveva pagato le bollette, aveva fatto una piccola spesa, e a fine giornata era tornata a casa. Aveva preparato la cena, avevano mangiato insieme, avevano visto un film ed erano andati a letto. Erano entrambi troppo stanchi dal lavoro per avere la minima intenzione di toccarsi a vicenda, quindi Lucrezia non aveva nemmeno dovuto trovare una scusa da propinargli per non farlo, dato che l’aborto le avrebbe impedito di fare sesso per qualche tempo. 

I giorni successivi, lui non aveva mostrato segni di rabbia né di risentimento per quella mancanza di comunicazione. Le era voluto stare vicino, sia mentalmente che fisicamente, aveva messo lei e la sua salute sopra la propria rabbia. Tuttavia lei non glielo aveva permesso. Si era isolata, gettandosi a capofitto nel lavoro, rientrando a casa la sera appena prima dell’ora di cena, per parlargli il meno possibile. E all’inizio era andato bene a entrambi, non parlarne. Poi le cose erano degenerate. Lei non aveva avuto bisogno di sostegno. La sua era stata la decisione più facile che avesse preso in vita sua, come ripeteva sempre durante le sedute dalla psicologa. Aveva scelto di abortire senza alcun ripensamento o rimorso. E lui era stato tanto impegnato ad assicurarsi che lei stesse bene, all’inizio, da non rendersi conto che era di sé stesso che avrebbe dovuto preoccuparsi. Per lui sarebbe stato indifferente avere o meno un figlio. Non avrebbe provato a convincerla a tenerlo, eppure, sì, aveva provato rabbia. Aveva soltanto voluto che lei lo avesse messo al corrente della questione, della sua decisione, essere reso partecipe di quello che le succedeva, che la riguardava, e che riguardava anche lui, ma lei lo aveva escluso. Non era una scusa per averla tradita con una donna di cui non gli importava niente. Era solo così che si era sentito e, più o meno inconsciamente, la rabbia repressa si era manifestata come aveva fatto. Ma voleva lei, o almeno così diceva. 

E la parte masochista di Lucrezia, che, come aveva implicitamente dato a intendere lui durante la loro primissima sessione di terapia, apprezzava la propria sofferenza come se questa rendesse più tangibile e reale e insopportabilmente penetrante l’amore che provava, desiderava disperatamente credergli.  

Se solo avesse saputo credergli. Non hai bisogno di essere perfetta per meritare di essere amata.

 

Epilogo

My mascara running (red lipstick smudged)

C’era qualcosa di profondamente opulente nel modo in cui Lucrezia si stava vestendo. La superficie cristallina dello specchio a tutta parete rifletteva la luce dorata dell’illuminazione artificiale, dando l’impressione di una stanza più grande di quanto non fosse in realtà e mostrando il gesto con cui Lucrezia chiuse la cerniera della gonna sopra al ginocchio.

Si voltò di lato per osservare la propria silhouette fasciata dalla gonna attillata, rosso vinaccia, e dalla maglia nera da cui era impossibile non intravedere il corsetto nero che indossava sotto, il tutto celato da una giacca scura. 

Successivamente, diede le spalle allo specchio per prendere gli orecchini che aveva riposto tempo prima nel portagioie. Allora, li guardò risplendere di un rosso cremisi sotto la luce dorata e le sue labbra già truccate di rosso si estesero in un piccolo sorriso soddisfatto. 

Si avvicinò di nuovo alla superficie riflettente dello specchio per guardarsi un’ ultima volta mentre indossava gli orecchini. Finalmente, si passò un’ultima volta la spazzola tra i capelli biondi e si ritenne pronta. Le décolleté nere erano straordinariamente scomode ma erano anche ciò che elevava il complesso di quell’immagine che lo specchio le restituiva.

Lanciando un ultimo sguardo a quell’ensemble si ritrovò a sorridere sottilmente, un sorriso felino. Era il suo vestito prediletto; lo indossava nelle occasioni in cui si sentiva più fatale. Il suo sguardo ambrato divenne luccicante di delizia al pensiero che lui glielo avrebbe tolto quella notte.

****

Quella sera non fu come una delle tante. Passò così piacevolmente che quando rientrarono a casa, non le parve nemmeno così tardi. Sarebbe rimasta a chiacchierare e a sorseggiare qualcosa per ore con lui, ma le chiacchiere non erano quello che lui voleva da lei quando entrarono nel salotto, e nemmeno lei.

Lucrezia prese da bere mentre lui si sedeva sul divano di velluto verde e quando gli ebbe passato un bicchiere, si mise seduta al lato opposto del divano, bevendo un sorso dal proprio bicchiere, accavallando le gambe il cui colore traspariva pallido, due raggi di luna sotto la luce artificiale della stanza.

Lui sorseggiò brevemente il contenuto del bicchiere, imitando il gesto di Lucrezia di rimando. L’attesa era durata abbastanza.

Un bicchiere poggiato sul tavolo di fronte a loro, una mano a sfiorare la sua carne pallida, a risalire lungo la sua coscia. Le labbra di lei a pochi millimetri dall’orecchio di lui, un bacio leggero poggiato nello spazio sensibile tra il collo e la nuca, sulla giugulare e finalmente sulle labbra. Un sorriso leggero, da cacciatrice.

Si era tolta gli anelli, li aveva poggiati sul tavolo da caffè e poi era scesa tra le gambe di lui, strisciante come il serpente nel giardino dell’Eden. Le mani affusolate scivolarono sulle cosce di lui; un bottone che veniva slacciato, una zip che veniva abbassata, risuonarono nel silenzio della stanza come spari di un fucile.

Poi furono solo gemiti e imprecazioni e preghiere.

Quando seppe di averlo portato dove voleva lei, Lucrezia si alzò con disinvoltura, prese in mano il bicchiere che lui aveva poggiato sul tavolo e ne bevve appena un sorso. Di nuovo, un sorriso felino le si dipinse sul volto, mentre lanciava un’ultima occhiata al viso ansante di lui, ancora preso dall’eccitazione insoddisfatta, prima di voltarsi e dargli le spalle.

Abbassò la cerniera della gonna, lasciando che cadesse sul pavimento. Si tolse la maglia con un gesto fluido che fece flettere le sue scapole magre, catturando la luce bianca della stanza come le spire di un serpente sotto un raggio di luna. Allora si diresse silenziosamente verso la camera da letto.

Questa volta, lui la seguì.

 

Abbiamo trovato la verità sotto le nostre bugie

E il vero amore non deve mai nascondersi

Abbiamo visto le nostre cicatrici e baciato i nostri crimini

Il nostro amore è stato più forte del nostro orgoglio

Oltre la mia oscurità, tu sei la mia luce

Sei tutto ciò che voglio, nessun altro

Noi, insieme, ricordo un dolce amore, per tutta la notte.

 

All Night (in Lemonade), Beyoncé

 

“I had my ups and downs

but I always found the inner strength to pull myself up.

I was served lemons,

but I made lemonade.

 

Ho avuto i miei alti e bassi

ma ho sempre trovato la forza interiore per rialzarmi.

Mi sono stati serviti limoni

ma ne ho fatto limonata.

Ms. Hattie White, JayZ’s grandmother

 

Citazioni modificate e liberamente ispirate al film Lemonade, Beyoncé

 

FINE

   
 
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