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Autore: vento di luce    18/11/2021    16 recensioni
Una mattina di maggio, nel dipartimento di genetica molecolare e biologia cellulare nella città di Chicago i ricercatori sono, come sempre, al lavoro.
Fra questi Mirea, italiana, negli Stati Uniti da poco più di un anno.
Fra poco prenderà un treno diretto a Indianopolis per presentare, a un convegno, un suo studio. La prima esperienza in ambito internazionale.
Non appena si siede al suo posto sente la tensione, accumulata in mesi di duro lavoro, sciogliersi.
Guardando fuori dal finestrino ripensa a quando, semplice ragazza di provincia, prendeva il regionale per andare a Milano. Studiava scienze biologiche e non poteva permettersi una stanza in città.
Chiude le palpebre e si immerge in dolci ricordi, fino a quello impresso più di tutti nella sua mente.
Un venerdì di marzo dell’ultimo anno della laurea magistrale, durante il solito viaggio, a una di quelle fermate che conosceva a memoria, entrò nel suo vagone un uomo dalla statura imponente, con grandi occhiali scuri …
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.  



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Una mattina di maggio, nel dipartimento di genetica molecolare e biologia cellulare nella città di Chicago i ricercatori sono, come sempre, al lavoro.
Fra questi Mirea, italiana, negli Stati Uniti da poco più di un anno. Lascia il microscopio, fonte ogni volta di meraviglie, scrive le ultime annotazioni sul suo pc portatile, si toglie il camice bianco e saluta i colleghi.
Fra poco prenderà un treno diretto a Indianopolis per presentare, a un convegno, un suo studio. La prima esperienza in ambito internazionale.
Torna nel bilocale che ha preso in affitto insieme a una chimica australiana. Consuma un pasto veloce con un bagel alle verdure, si cambia d’abito e chiude il trolley che ha preparato la sera prima.
Chiama infine un taxi, destinazione Chicago Union station.
 
Non appena si siede al suo posto sente la tensione, accumulata in mesi di duro lavoro, sciogliersi. Giornate frenetiche fra i libri, il laboratorio e l’assistenza a uno dei suoi professori in un mondo dove, in particolar modo i primi tempi, non era stato facile ambientarsi.
Osserva fuori dal finestrino il paesaggio americano, ai suoi occhi così simile a quello italiano e ripensa al periodo in cui, semplice ragazza della provincia di Mantova, prendeva il regionale per andare a Milano.
Studiava scienze biologiche alla Statale e non poteva permettersi una stanza in città, a differenza di altri suoi colleghi. Un sacrificio però che non le era pesato perché aveva un sogno, fare la ricercatrice all’estero. E ricercatrice, in una carriera soltanto agli albori, lo è diventata davvero.
Chiude le palpebre e si immerge in dolci ricordi, le lezioni, il tirocinio, i pranzi a mensa, i pettegolezzi, fino a quello impresso più di tutti nella sua mente, un venerdì di marzo dell’ultimo anno della laurea magistrale.
 
In attesa del solito treno in ritardo, la colazione al bar con cappuccino e cornetto al cioccolato bianco, il suo preferito. Il viaggio poi scandito dallo sferragliamento delle ruote sui binari quando, a una di quelle fermate che conosceva a memoria, Cremona, entrò nel vagone gremito un uomo dalla statura imponente con grandi occhiali scuri, pantaloni con tasconi laterali, smanicato e zaino in spalla.  
 
Nel frangente in cui volse il capo verso di lei, la giovane sussultò.
Distolse lo sguardo e prese nella sua grande borsa una rivista scientifica.
Cominciò a leggere un articolo sulla biologia computazionale, la sua passione, ma non riusciva a concentrarsi, si sentiva osservata.
Era solamente una sua impressione?
Alzò la testa e le sembrò di scorgere, sul viso abbronzato di quello sconosciuto dalla mandibola volitiva, con poca peluria incolta, un sorriso.
In quel momento arrivò un messaggio sul suo smartphone.
Era Paolo, cugino di una compagna di università che la invitava di nuovo a uscire. Un bravo ragazzo per Mirea, proprio quello però era il problema. Nessuna emozione, nessun fremito le poche volte che aveva trascorso la serata con lui, in compagnia di altre persone.
E invece voleva sentire il suo cuore, il suo corpo bruciare.
Perché a ventiquattro anni non aveva provato tutto questo?
Assorta in vibrazioni di misterioso erotismo guardò ancora, di sfuggita, quell’uomo.
Erano quelle le sensazioni che cercava?
Sfiorandosi le labbra con un dito immaginò che quelle grandi mani accarezzassero le sue gambe, fino a salire sempre più su. Un vortice voluttuoso che le annebbiò la mente quando alla sua fermata, Milano Lambrate, tornò alla realtà.
Scese in tutta fretta dal treno e, durante l’abituale percorso a piedi, si chiese perché avesse pensato a simili follie.
Come poteva essere attratta da una persona di cui non conosceva nemmeno il volto?
 
Mirea riapre gli occhi e il paesaggio americano si fonde di nuovo con quello italiano.
Prende lo specchietto con sé dai tempi del liceo e osserva, dipinta sul suo viso, la maschera da efficiente ricercatrice che cela la sua natura più profonda.
Sospira e si abbandona ancora alle memorie.
 
Dopo quella volta sperò di rivedere quello sconosciuto e fantasticava spesso sul treno o la sera, prima di addormentarsi. Ma la sua parte razionale le diceva di lasciar perdere, che di sicuro non l’aveva notata e che forse non lo avrebbe incontrato mai più.
I giorni passarono e alla fine, impegnata con gli ultimi esami prima della laurea, non pensò più a quell’uomo.
Nelle settimane successive però sempre un venerdì mattina, in viaggio per incontrare il relatore della sua tesi, apparve una figura statuaria dietro una delle porte della sua carrozza.
Entrò e la ragazza trasalì.
Era proprio quello sconosciuto con gli occhiali scuri alla stessa fermata che, non appena la scorse, la raggiunse.
Mirea, a quella vicinanza, sentì che per alcuni istanti le mancò il respiro, inebriata da calde note di sandalo. Tutto quello che aveva soffocato nella sua anima stava riemergendo.
Perché fra i diversi posti liberi, cosa che accadeva di rado, si era seduto proprio davanti a lei?
Ipotizzò che quell’uomo, terribilmente più attraente di quanto ricordasse, dovesse avere poco più di quarant’anni.
Stava ben poggiato allo schienale, le gambe divaricate e la ragazza, a tanta naturalezza, si strinse le dita di una mano. Prese poi il suo smartphone e fissò lo schermo, percependo quello sguardo addosso.
Era ancora una sua impressione?
Fantasie iniziarono di nuovo a pervadere la sua mente e, più cercava di reprimerle, più divenivano vivide.
Immaginò di sedersi sulle ginocchia di quello sconosciuto, di accarezzare il suo torace muscoloso e, levandogli gli occhiali, di assaporare le sue labbra sottili.
 
 
“ Ti dispiace se apro? ”
Al suono di quella voce grave, Mirea si ridestò sussultando.
Vide l’uomo tenere una tendina in mano.
Stava parlando proprio con lei?
Stordita, fece solamente un cenno con la testa.
“ Viaggi spesso su questa tratta? ”, disse l’altro passandosi una mano tra i folti capelli scompigliati.
“ Si ”, rispose solamente la ragazza.
“ Io qualche volta per lavoro. Tu? ”
“ Vado all’università, sono una studentessa. ”
“ Una studentessa ”, ripeté lo sconosciuto e sorrise.
A quel sorriso Mirea si sciolse.
“ Ti piace l’estate? Io amo andare al mare fino a ottobre, novembre ”, continuò l’uomo distendendo un poco le lunghe gambe. Senza volerlo, sfiorò un piede della ragazza che, percorsa da un brivido, disse:
“ Mi da fastidio il sole, ho la pelle chiara. ”
Non appena pronunciò quelle parole, si grattò una tempia.
Che sciocchezze stava dicendo?
Si toccò una guancia accaldata e incollò lo sguardo fuori dal finestrino in quei momenti di tensione, palpabili, che sentiva di non poter sopportare oltre.
“ Se ti va possiamo vederci qualche volta ”, esclamò l’altro d’improvviso, infrangendo quel silenzio.
Mirea, immobile, non riuscì a dire niente.
Stava naufragando nel suo tumulto interiore quando, proprio in quel frangente, il treno giunse alla sua fermata. Senza dare tempo allo sconosciuto di aggiungere altro, lo salutò con un lieve movimento del capo e andò via con il cuore in gola, senza più voltarsi.
Soltanto nei giorni seguenti metabolizzò quanto accaduto.
Perché si era comportata in quel modo?
Alla fine pensò che era inutile tormentarsi. Lo avrebbe incontrato ancora e allora avrebbe accettato il suo invito.
Era solo questione di tempo.
Così, ogni venerdì, iniziò a preferire dei vestiti al ginocchio ai comodi jeans.
 
 
Ma arrivò il giorno della laurea, che Mirea conseguì con il massimo della votazione e di quell’uomo nessuna traccia. Lo pensò spesso nelle notti estive, in attesa di progettare il suo futuro.
Faceva il personal trainer, il militare?
Avrebbe voluto chiedergli tante cose, non sapeva niente, nemmeno il suo nome.
Una cosa però sapeva, che avrebbe fatto l’amore con lui come non aveva mai fatto con nessun altro, persa nei suoi occhi che avrebbe tanto desiderato vedere.
L’avrebbe rincontrato?
 
Alle porte dell’autunno, dopo il meritato riposo, Mirea trovò lavoro in un laboratorio di analisi nella sua città. Un buono stipendio, una nuova cerchia di amici, qualche sfizio. Ma l’aspirazione di formarsi oltreoceano, di imparare le lingue, di conoscere il mondo era parte di sé e quel quotidiano, a mano a mano che il tempo passava, la stava opprimendo sempre di più.
Alcuni mesi dopo, mentre stava effettuando un’indagine microbiologica, ricevette una mail. Nel leggerla le tremarono le gambe. La prima fase del processo che la portò, passaggio dopo passaggio, all’ammissione a un dottorato di ricerca in una delle prestigiose università che aveva contattato tempo prima.
Organizzò tutto il prima possibile superando qualsiasi ostacolo burocratico e fra documenti, bagagli e saluti, si trovò all’aeroporto di Milano Malpensa per prendere un aereo diretto negli Stati Uniti.
Così era iniziata la sua nuova vita.
 
Mirea guarda il suo orologio da polso e torna al presente. Fra mezz’ora sarà a Indianopolis. Sfoglia un giornale per ingannare l’attesa, fino a quando apre la porta della sua camera d’albergo.
Disfa in parte la valigia e si concede un bagno alla fragranza di rosa, con tanta schiuma. Scruta poi, davanti a uno specchio, il suo corpo nudo. Indossa una sottoveste con una vestaglia di seta abbinata e, davanti a una grande finestra, contempla il panorama.
Un senso di vuoto la pervade.
Cosa ci fa lì da sola?
Si siede su una poltrona di pelle bianca e ordina la cena in camera. La stanchezza inizia a farsi sentire e l’indomani sarà una lunga giornata. Dopo aver mangiato un sandwich di filetto di maiale impanato assapora, sul letto, una fetta di sugar cream pie. Tanti pensieri le passano per la testa e infine si addormenta.
La mattina seguente sceglie, fra i diversi abiti che ha portato, un sensuale tubino nero con giacca e décolleté. Adorna i lunghi capelli castani con un fermaglio di perle, trucca il volto con delle tonalità rosate ed è pronta.
Scende per la colazione e, sorseggiando del succo d’arancia ripassa, sul suo pc portatile, il discorso cha ha preparato.
Raggiunge poi, a piedi, la sede del congresso distante duecento metri. Mentre una delle hostess alla reception verifica il suo nominativo, si guarda intorno con ammirazione. Anche lei è li, tra quegli scienziati provenienti da tutto il mondo e fra poco prenderà la parola.
Mette al collo il suo badge, prende cartellina e opuscoli vari e si dirige, incrociando qualche sguardo interessato, verso uno spazioso corridoio. Osserva i tanti poster scientifici esposti e uno, riguardante le proteine umane, la colpisce. Si avvicina e prova un pizzico di orgoglio, l’autore è un biochimico italiano.
Si immerge nella lettura quando, a un tratto, avverte un profumo familiare.
Si gira e vede, davanti a lei, un uomo alto con un completo elegante, una ventiquattrore in mano, il volto rasato, i capelli ben pettinati e le iridi di una particolare tonalità di grigio.
“Interessante?”, le dice e sorride.
La ragazza si perde in quegli occhi.
Guarda il suo badge e schiude le labbra.
Finalmente conosce il suo nome.
 
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