Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Maryfiore    24/11/2021    0 recensioni
- Forse la vista di questo mare non valeva il prezzo di tutte le nostre anime. -
*
𝑊𝑜𝑢𝑙𝑑𝑛'𝑡 𝑖𝑡 𝑏𝑒 𝑛𝑖𝑐𝑒 𝑡𝑜 𝑡𝑎𝑘𝑒 𝑎 𝑤𝑎𝑙𝑘 𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑤ℎ𝑖𝑡𝑒 𝑠𝑎𝑛𝑑
𝐺𝑎𝑧𝑒 𝑎𝑡 𝑡ℎ𝑒 ℎ𝑜𝑟𝑖𝑧𝑜𝑛
𝑊𝑖𝑡ℎ𝑜𝑢𝑡 𝑙𝑖𝑣𝑖𝑛𝑔 𝑖𝑛 𝑓𝑒𝑎𝑟?
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Armin era sempre stato un bambino diverso. A differenza dei suoi coetanei, non gli interessavano i giochi di spada, le lotte o le corse a cavallo, preferiva di gran lunga rintanarsi in un angolino in disparte con un libro in mano. Amava i libri e credeva nel potere delle parole e dell'eloquenza.

Armin aveva gli occhi grandi, spalancati e attenti sul mondo, "occhi pericolosi" avrebbe detto qualcuno. Occhi curiosi e una mente affamata di conosceza erano elementi che spaventavano in una società come quella: una società ristretta, dalla vista altrettanto ristretta, che non andava più in là delle Mura colossali che circondavano le loro misere vite.
Armin era quel bambino che faceva continuamente domande, anche quelle che nessun altro osava pronunciare ad alta voce. Armin era odiato e sbeffeggiato dagli altri perché metteva in dubbio le loro certezze.

- E se le Mura non fossero abbastanza per proteggerci? Se un giorno crollassero? - aveva chiesto innocentemente una volta a un soldato della Guarnigione. - Cosa faremo? Dove andremo dopo? -

Gli era andata di lusso che fosse ubriaco.

Molti rimproveravano suo nonno, ordinando a quel povero vecchio di insegnare a suo nipote a "tenere chiusa quell'impertinente boccaccia"; neanche allora Armin aveva smesso di fare domande, però aveva cominciato a cercare di darsi le risposte da solo.

Armin era quel bambino che rubava i libri dai bidoni della spazzatura, e che vagheggiava di montagne di sabbia, continenti di ghiaccio, fiumi di fuoco e distese infinite d'acqua salata.

Il mare.

"Follia! Sacrilegio! Eresia!"

Perché avrebbe dovuto esistere una cosa come il mare? Perché avrebbe dovuto esistere qualsiasi altra cosa che non fossero i giganti, fuori dalle Mura? Perché sprecare tempo anche solo per chiedersi cosa esisteva o non esisteva fuori dalle Mura, quando l'obbiettivo principale di tutti era viverci dentro quanto più a lungo possibile?

- Fallo arruolare nel Corpo di Ricerca tra qualche anno - dicevano all'anziano tutore, - Così potrà andare là fuori e morire guardando i ghiacciai, i deserti e tutte quelle altre diavolerie di cui gli piace tanto parlare. Lui avrà finalmente realizzato il suo sogno e tu ti sarai liberato di una possibile passerella verso la forca. -

In effetti era già un miracolo che sia nonno che nipote non fossero ancora stati arrestati. Ma, in fin dei conti, chi avrebbe mai preso sul serio un ragazzino che ormai tutti concordavano nel considerare come pazzo? Un bambino, più che altro. E si sà, i bambini dicono tante cose di cui non sanno il significato.

Senza saperlo, la sua poca credibilità lo aveva salvato. Suo nonno gli aveva intimato di non farsi più vedere in giro con quel suo libro ("atlante", lo aveva chiamato) e di non parlare più di certe cose se non tra le mura di casa.

Armin sognava sempre, a occhi chiusi e a occhi aperti, e sognava in grande. Sognava di immergersi in quel mare fino alla testa e poi aprire la bocca per sentire il sale infiammargli il palato; sognava pesci argentati, coralli, pietre e conchiglie variopinte. Sognava di solcare le acque con una nave e guardare il confine tra il cielo e il mare all'orizzonte senza nessun ostacolo davanti a sé.

Senza Mura.

Armin ricordava che una volta suo nonno gli aveva portato in regalo dal mercato un oggetto bizzarro chiamato "acchiappasogni". L'aveva appeso sopra il suo letto e gli aveva detto che, quando avesse avuto troppi pensieri o sogni per la testa, l'acchiappasogni lo avrebbe aiutato, intrappolando nella sua rete quelli in eccesso. Il ragazzino aveva sorriso e aveva risposto che non gli serviva, che voleva annegare nel caos dei suoi sogni senza restrizioni e senza perdersene neanche uno. Ma alla fine aveva tenuto lo stesso il regalo sospeso sul letto.

Per tutta la vita ad Armin era stato detto di smetterla di sognare, perché i sogni non servono a niente e perché "tanto il mare non esiste".

Questo fino a quando non aveva incontrato Eren e Mikasa.

Dal loro primo incontro aveva capito che avrebbe amato quei due ragazzini più dei suoi libri e che avrebbe finalmente avuto qualcuno con cui condivedere i suoi sogni. Mikasa aveva dimostrato di tenere in gran conto le sue parole, considerandolo al pari di un adulto o di un insegnante. La corvina non era molto espressiva, ma i suoi occhi erano accesi di vivo interesse mentre Armin spiegava perché accadevano le pioggie e i temporali.

E poi c'era Eren, così diverso da lui...
Coraggioso, fiero e temerario, che non aveva paura di gridare quando subiva un'ingiustizia. Eren che si gettava nelle risse per difenderlo a spada tratta dai bulli, nonostante finisse sempre per prenderle di santa ragione più che darle.
Eren che ammirava estasiato le illustrazioni del suo atlante, tenendo le dita sollevate sulle pagine, come se avesse potuto toccare con mano quei posti con la sola forza del pensiero.

Eren, che parlava di animali in cattività, schiavi della loro prigione, e di libertà.

Quando Armin gli aveva mostrato il mare... allora sì che si erano capiti al volo! Il concetto di libertà di cui parlava Eren corrispondeva per lui all'immagine del confine imperscrutabile tra cielo e mare che aveva sempre immaginato. Era affascinato dal modo in cui Eren parlava della libertà e a quel punto la scintilla di un nuovo sogno era scoccata dentro di lui.

Armin non voleva più andare a vedere il mare: voleva andare a vedere il mare con Eren e Mikasa.

L'idea di come sarebbe stato lo teneva sveglio la notte e gli dava un motivo per continuare a vivere. Gli dava speranza. Una volta aveva sentito suo nonno dire che un uomo senza speranza è un uomo già morto. Dunque Armin decise che avrebbe custodito quel sogno gelosamente e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portarglielo via: sarebbe stato il centro della sua vita.

*

Il mare.

Eccolo finalmente! Più bello e più vasto di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Schizzi d'acqua salata gli bagnavano la pelle, le dita dei piedi affondavano nella sabbia bagnata e il fragore delle onde che s'infrangevano sulla costa era musica per le sue orecchie. L'orizzonte azzurro e sconfinato sembrava invitarlo a raggiungerlo, a corrergli incontro e a librarsi in volo sulle profondità dell'oceano insieme ai gabbiani. Teneva delicatamente adagiata tra i suoi palmi una conchiglia bianca, come il più prezioso dei gioielli.

A un tratto sentì il rumore dell'acqua e una presenza avvacinarsi dietro di lui. Quando distolse lo sguardo dalla conchiglia per incontrare gli occhi grigi di Mikasa sentì il petto gonfiarsi di gioia. Anche lei a piedi nudi, reggeva le calzature nelle mani e camminava sulla riva con un'andatura incerta e un po' goffa che non le apparteneva. E poi fece una cosa che lo lasciò di stucco: gli rivolse un sorriso.
Le volte in cui Armin aveva visto Mikasa sorridere in modo così aperto si potevano contare sulle dita di una mano, e quasi tutti le volte quei sorrisi erano rivolti ad Eren. C'era qualcosa in quel sorriso che le dipingeva un'espressione dubbiosa e apprensiva insieme... Era come se volesse assicurarsi che fosse felice.

Armin ricambiò il sorriso di riflesso.

"Sì, sono felice. Grazie. Garzie di essere qui con me", le gridavano i suoi occhi.

Tuttavia, osservandola meglio, Armin si rese conto che quella Mikasa era in realtà molto diversa da quella che conosceva, e si chiese come avesse fatto a non notarlo prima. Era chiaramente più grande della bambina dai lunghi capelli neri a cui era abituato: i suoi capelli erano più corti, il fisico diverso così come i lineamenti del viso. E quell'abbigliamento... nuovo ma a lui per niente sconosciuto.
Tutte quelle cinghie, l'imbracatura al busto e quei pezzi di metallo potevano servire solo a una cosa: movimento tridimensionale. Allungando lo sguardo oltre la corvina poteva vedere altre persone che non conosceva passeggiare, chiacchierare e scherzare sulla battigia. A terra, sulla sabbia, giacevano dei mantelli verdi, alcuni piegati ordinatamente e altri gettati lì alla rinfusa. L'inconfondibile stemma delle Ali della Libertà svettava sul retro di ogni indumento.

Corpo... di Ricerca?

Erano tutti soldati? Com'era possibile? Cosa ci faceva uno come lui in mezzo a loro?

Una strana sensazione di causa ignota gli scivolò lungo la spida dorsale, dopodiché il suo sguardo lasciò quello di Mikasa per tornare avanti. Lì dove prima c'era solo l'orizzonte, ora c'era Eren. Vestito con la stessa uniforme della ragazza, anche lui sembrava più grande. I suoi occhi verdi, che aveva sempre visto così brillanti e incandescenti di sentimenti, erano spenti... vuoti. Guardavano il mare senza davvero vederlo e sembravano persi in qualcosa di più oscuro e più grande che Armin non riusciva a comprendere.

Di certo non sembrava felice come avrebbe immaginato che sarebbe stato in un momento speciale come quello.

Provò a chiamarlo per nome, per dirgli che quello in cui stava poggiando i piedi era il mare e per chiedergli perché... perché non gioiva insieme a lui? Ma dalla bocca non gli uscì alcun suono e l'espressione di Eren era talmente fredda e indifferente da fargli paura.

Armin fece per prendergli una mano... solo per scoprirla sporca di un liquido cremesi. Si ritrasse spaventato.

Eren aveva le mani sporche di sangue.

Anche le sue mani erano sporche di sangue. La conchiglia che accarezzava con le dita nella mano sinistra era scomparsa, lasciando il posto a un cuore umano. L'acqua limpida ai loro piedi cominciò a tingersi di rosso e Armin non capiva se il sangue stesse gocciolando dalle mani di Eren o dalle proprie. Restò a guardare terrificato quello scenario mentre un'altra figura compariva lentamente nella sua visuale. L'uomo che si ritrovò di fronte era ancora più grande dei suoi compagni, ma non doveva avere più di vent'anni. Aveva degli strani segni rossastri che gli solcavano gli zigomi e la bocca piegata in un sorriso mesto. Quando un paio di occhi color del cielo incontrano i suoi, lo riconobbe: quegl'occhi gli appartenevano.

Eren e Mikasa scomparvero. L'uomo parlò e le labbra di Armin si mossero in sincronia con le sue.

- Forse la vista di questo mare non valeva il prezzo di tutte le nostre anime. -

Armin non ebbe tempo di rifelttere sul significato di quella frase: il mare di sangue si fuse con il cielo in una miscela di colori, forme e frammenti di volti sconosciuti che girava, girava e si mischiava come un caledoscopio impazzito. Se quello era il mare che lo aspettava allora non voleva più vederlo. Non aveva più senso volerlo.
Non aveva più senso sognarlo.

Armin.

Una voce lo stava chiamando da lontano.

Armin. Armin...

Armin! Oi, Armin! Ti vuoi svegliare o no?-

Armin scacciò via la mano che lo stava scuotendo con un mugolio inquieto.

- Alzati ti ho detto! - continuò la voce, il cui proprietario gli aveva appena strappato le coperte di dosso. - Ti abbiamo aspettato all'albero per più di un'ora e visto che non ti sei fatto vivo ci siamo... Mikasa si è preoccupata! E invece tu eri qui! A russare come se niente fosse! -

Il biondo sollevò il capo dal cuscino e mise a fuoco la faccia dell'amico.

- Oggi avevi promesso che ci avresti fatto vedere quel libro sui cetanci! -

- Cetacei... Eren. Non cetanci - mugugnò, con la testa ancora frastornata.

- Chi se ne frega! - sbraitò, - Avevamo un incontro e non ti sei presentato: ora ti toccherà fare gli starordinari per farti perdonare. Vieni con me subito! O giuro che ti butto giù da questo letto a calci. -

- Smettila di urlare, per favore. Mi scoppia la testa... -

Constatando che Armin sembrava davvero messo poco bene, Eren lo agguantò da sotto le ascelle e lo tirò giù da letto, privo di delicatezza, ma almeno senza calci.
Ancora incerto riguardo le sue condizioni di salute, gli schiaffeggiò leggermente le guancie per non fargli perdere coscienza. - Ehi! Non mi svenire! -

C'era una sincera nota di preoccupazione dietro quel tono brusco, ma Armin era troppo stordito per notarlo.

- Ho fatto un sogno assurdo... - disse.

- Ah sì? E che hai sognato? - gli chiese il castano, un po' per mettere alla prova le sue capacità cognitive, un po' perché era davvero curioso di sapere quale sogno lo avesse reso così disorientato. Non era raro che ad Armin capitasse di estraniarsi momentaneamente dalla relatà: la sue mente viaggiava ad una velocità diversa da quella degl'altri, e spesso prendeva il volo senza che se ne accorgesse, ma in quel momento... era come se fosse ripiombato in camera sua dopo essere stato via degli anni nell'ingoto. Sembrava a stento rendersi conto della sua presenza.

- Allora? - incalzò.

Armin aprì la bocca un paio di volte, per poi serrarla in un'espressione confusa. I pensieri da articolare che si erano dibattuti dentro di lui fino a pochi secondi prima erano improvvisamente spariti. Si sentiva come quando metteva piede in una stanza per cercare qualcosa e poi, appena entrato, dimenticava che cosa stesse effettivamente cercando.

- Non ricordo. -

Finalmente lo guardò negl'occhi, ed Eren si lasciò sfuggire un breve sospiro di sollievo.

- E allora che me lo dici a fare? - borbottò subito dopo. - Muoviamoci: Mikasa sta aspettando. -
Detto ciò lo afferrò per la collottola e iniziò a trascinarlo fuori dalla stanza, decretando che, se era ancora in grado di rispondergli e di stare in piedi da solo, allora stava benone.

Nel frattempo Armin stava pian piano riacquisendo consapevolezza del suo corpo, del tempo e dello spazio. Ciononostante non la smetteva di guardarsi in giro, aspettandosi di vedere una qualche rivelazione proveniente dal mondo onirico spuntare fuori da sotto i mobili. C'era qualcosa che avrebbe dovuto ricordare di quel sogno...

- ...Perché? - sussurrò, senza sapere a chi fosse rivolta la domanda.

Eren, che non aveva smesso di trascinarlo, impiegò pochi secondi a percorrere l'intera casa e ormai lo aveva condotto sull'uscio delle porta, dove Mikasa li accolse con un'espressione sollevata.

Già... era con Eren e Mikasa adesso: era quello il suo posto. Qualunque cosa fosse successa in quel sogno non doveva essere poi così importante se non lo ricordava. E poi, Eren aveva ragione, doveva mostrargli quel nuovo libro che aveva trovato in soffitta. C'erano descrizioni di una miriade di pesci diversi e di cui non avevano mai sentito parlare, come i delfini o le balene. Certo, ora sarebbe dovuto tornare in casa a prenderlo visto che Eren lo aveva trascinato via senza senza dargli il tempo di farlo prima. Lo avrebbero adorato!

Proprio così. Finché Eren e Mikasa erano al suo fianco, Armin avrebbe continuato a sognare il mare.

Andava tutto bene.

Nel frattempo, nella cameretta vuota, l'acchiappasogni dondolava sospinto dal vento al suo solito posto: un sogno pesante era rimasto impigliato tra i fili colorati della rete.

Un sogno che portava il peso di un mare rosso, fatto di sangue.
 

*

Wouldn't it be nice to take a walk on

some pure white sand

Gaze at the horizon

Without living in fear?

Wouldn't be sweet to watch the sun

curve down meets the waves?

And taste the ocean spray

And realize we'd been living as slaves

We've got to learn to get back, get back

But is it worth the price of our soul?

You know you had to kill her, kill her!

Oh, my dirty hands, it never fades

And if we get out, get out

I'll think about the price of our soul

We've got to learn to live free, live free

We'll live a life without barricades...

   
 
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