Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Maryfiore    24/11/2021    1 recensioni
Hanji Zoë è una che di parole ne usa troppe, e non sempre quelle giuste.
Levi Ackerman è uno che di parole ne usa poche, decisamente troppo poche per farsi comprendere.
Chiamare le cose con il loro nome è difficile. Distunguere tra affetto, compassione, stima e amore è difficile.
E alla fine succede che le parole giuste rimangono non dette, o dette troppo tardi.
*
Dal testo:
- Sei un bugiardo, Levi. Un bugiardo e un egoista - gli disse, camminando verso la porta con la tazza tra le mani.
Arrivata sulla soglia, si voltò per guardarlo negl'occhi.
- Ma sono contenta che tu sia vivo oggi. -
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Quando Levi conobbe Hanji capì immediatamente di aver a che fare un soggetto fuori dal comune.

Tutto in lei, dal modo in cui parlava a quello in cui pensava, era fuori dal comune.

I suoi capelli castani, alzati in una coda mezza sfatta, non vedevano -chiaramente- nè pettine nè sapone da almeno quattro giorni. Vestiva con un logoro camice da laboratorio da sopra alla divisa del Corpo di Ricerca e, per finire, un paio di occhiali pieni di quelle dovevano essere le sue impronte digitali stava in bilico sul suo naso leggermente adunco. Dietro le lenti aveva trovato due occhi color del mogano accesi di una curiosità inquietante. Quel tipo di curiosità di chi vorrebbe aprirti il petto per contare il tuo numero di costole.

Dall'aspetto sembrava una scienziata psicopatica. E, come Levi ebbe modo di apprendere in seguito, un po' lo era.

Durante il suo primo addestramento non aveva fatto altro che fissarlo. Se ne era stata col sorriso in faccia per tutto il tempo in cui lui aveva discusso con il suo Caposquadra su come impugnare o non impugnare le lame dell'attrezzatura. Lo fissava con divertimento ed entusiasmo, come se avesse appena scoperto una nuova specie animale.

- Non credo di essermi già presentata. Hanji Zoë! Soldato e ricercatrice al servizio del genere umano. -

- Levi - rispose apatico. Non osando toccare la mano offertagli.

- Sì, questo lo avevo capito - gli sorrise.

- Senti, come ti è venuto in mente di impugnare le lame in quel modo? Voglio dire, è geniale! La velocità di rotazione aumenta la forza dell'impatto e la profondità del taglio mantenendo all'incirca lo stesso asse di precisione, inoltre... -

Era irritante.

Talmente irritante che era passata per la mente di Levi l'idea di farla fuori insieme ad Erwin. Così. Solo per soddisfazione personale.

Ma poi Hanji aveva offerto ad Isabel una caramella alla frutta. Isabel. Che una caramella non l'aveva mai vista in tutta la sua vita.

E l'idea si dissolse come fumo al vento.

*

Levi si reputava una persona paziente. Hanji Zoë lo fece ricredere.

- Erwin! - ruggì spalancando la porta del suo ufficio.

- Dobbiamo parlare. -

Il Comandante Smith gli sorrise calmo.

- Certamente Levi. Tuttavia, devo chiederti di prenotare un appuntamento come tutti gli altri. -

- Noi parliamo ora. -

Detto ciò, sbatté la porta dietro le sue spalle e piantò i palmi sulla scrivania per attirare l'attenzione del suo superiore, il quale era rimasto tranquillo al suo posto con le mani incrociate.

- Assegnami a un'altra squadra - disse, facendo uso di tutto l'autocontrollo che gli restava.

- Non capisco. Qual'è il problema con la tua squadra? -

- Non posso lavorare con lei. -

Erwin alzò un sopracciglio. - Lei? -

Levi, spinto da un forte nervosismo interiore, iniziò a raccontare dell'assurda conversazione (durata fino alle tre di notte) sull'ipotetico metodo di riproduzione dei giganti.

- Per quanto continuiamo ad ucciderli, ce ne sono sempre di nuovi. Insomma, devono pur arrivare da qualche parte, no? - aveva detto Hanji.

- Sappiamo che non si accoppiano come gli altri mammiferi per l'evidente mancanza degli organi riproduttivi necessari. Avevo pensato alla partenogenesi, ma se così fosse dovrebbe nascere un mini gigante da ogni testa mozzata, e questo non è mai accaduto. -

La conversazione si era ben presto trasformata in un monologo che aveva ridotto il cervello di Levi in una poltiglia di informazioni una più aberrante dell'altra.

Le labbra di Erwin si deformarono nel tentativo di trattenere una risata.

- Ah. Stai parlando di Hanji. -

- È pazza! E io sono stufo di stare dietro ai suoi folli deliri mentre cerco di impedire che si faccia ammazzare in ogni cazzo di missione! -

- In teoria per quello c'è già Moblit. -

Levi parve non sentirlo.

- E poi cos'è questa storia di voler cattuare dei giganti vivi? Noi li uccidiamo i giganti! E non senza motivo! -

- Sì be'... quello è un discorso complicato. -

- E pazza - ribadì. - Si farà ammazzare. -

- Non ti facevo un tipo così apprensivo, Levi. Mi piacerebbe sapere da dove viene tutta questa improvvisa preoccupazione per la nostra cara Hanji. -

Il corvino contrasse la mascella e gli rivolse un'occhiata omicida.

Apprensivo io? Che muoia!
Per quanto mi riguarda Hanji può farsi masticare da un gigante quando vuole, ma nulla mi garantisce che non trascinerà qualcun'altro con sè! -

Erwin sospirò e poggiò il mento sulle mani.

- Levi - cominciò. - La mente di Hanji è contorta e non sempre è facile comprenderla, ma la sua intelligenza è straordinaria. La conosco, e ti assicuro che è molto più responsabile di quello che sembra. Sa badare a se stessa. -

- Non sembra proprio, visto che ha bisogno perfino di qualcuno che le ricordi di andare al cesso. -

- A volte si lascia prendere un po' troppo dal suo lavoro - ammise Erwin. - Ed è anche vero che a volte si lascia trasportare dalle emozioni. Per questo ho pensato che avreste funzionato insieme: saresti stato un ottimo contrappeso per i suoi eccessi istintivi. E poi diciamocelo, qualcuno deve pur dividere il carico con il povero Moblit. -

Per qualche minuto l'unico suono nella stanza fu quello del ticchettio dell'orologio a pendolo.

Poi Levi riprese parola.

- Toglimi una curiosità. Te li vai a cercare apposta questi individui? Non ti piacciono le persone normali? -

- Normali, dici... -

Erwin lo guardò. La sua espressione abbandonò il sorriso cordiale e si risolse in uno sguardo di intensa serietà.

- Vedi Levi - disse, - ogni volta che mi guardo in giro e dò un'occhiata alla gente normale, vengo preso da una terribile sensazione di sconforto. Al solo pensiero di lasciare nelle mani di qualcuno di loro la salvezza di centinaia di migliaia di vite, io rabbrividisco. -

Levi fissò Erwin senza dire niente, sapendo, dentro di sé, che aveva ragione.

- Questo mondo ha bisogno di persone anormali, persone che pensano fuori dagli schemi, persone come Hanji. Perché la normalità ci sta rendendo ignavi... e ciechi. -

Erwin si ricorsse dal suo stato riflessivo e, quando i suoi occhi si posarono su Levi, il sorriso tornò a illuminargli il volto.

- E poi chi è che decide cos'è normale? - disse con tono spensierato. - Per esempio, la tua mania per la pulizia non è che sia da considerare esattamente normale, rispetto al mio punto di vista. -

Il corvino era lì per lì per rivolgergli un insulto che nessuno avrebbe mai dovuto rivolgere a un proprio superiore, quando Erwin sventò la tragedia.

- Scusami, torniamo al punto - disse in fretta. - Non darti troppe pene per Hanji, cerca di andarci d'accordo piuttosto. Cerca di conoscerla. -

- Mi stai dicendo che quindi sono bloccato con la Quattrocchi? -

- Ti sto dicendo - riprese paziente Erwin, - Di darle un po' di fidicia. Tutto qui. -

- Ho imparato che non fidarsi è davvero meglio come dicono - disse a bassa voce.

- Levi, guardami. -

Erwin gli puntò gli occhi addosso e Levi avvertì quelle iridi azzurre scrutargli dentro. Si sentì vulnerabile.

- Se non imparerai a fidarti dei tuoi compagni, sarai tu a morire. -

*

Se c'era una cosa che Levi aveva imparato stando nel Corpo di Ricerca, era che Erwin aveva sempre ragione.

Accadde durante una missione di ricognizione appena fuori dalle Mura. Non era nemmeno una missione vera e propria, tanto è vero che non venne annoverata nell'elenco ufficiale. Doveva essere qualcosa di molto rapido, un semplice controllo di un'area già studiata.

Levi era stanco. In più doveva esserci qualcosa che non andava nel suo polso destro, perché era gonfio e doleva ad ogni minima rotazione.
Pioveva fitto da ore e la visibilità era scarsa, i vestiti fradici e pesanti rendevano i movimenti faticosi. Levi odiava la pioggia e i ricordi che portava. Le goccie fredde gettavano sale sulle ferite ancora fresche del cuore che aveva dimenticato di avere.

Levi era stanco. Il rumore della pioggia lo frastornava ed era difficile captare altri suoni.

Levi era stanco e non sentì le grida di avvertenza. L'unico segnale di pericolo fu il tremore del suolo sotto i suoi piedi. Il polso faceva male.
Levi aveva la pioggia negli occhi e nel cuore.
Un ritardo di pochi secondi.
I fili del movimento tridimensionale si tesero.
Qualcosa li aveva afferrati.

Levi si spostò veloce nel fango.

Posso farcela, posso abbatterlo se mi sbrigo, prima che i fili si spezzino...

Il polso faceva male, i fili si tesero e Levi finì schiena a terra. Ingoiò fango e acqua e il respiro gli si bloccò in petto per un momento.

Puoi ancora farcela, si disse.

In piedi, ordinò a se stesso.

In piedi...

Levi non sentì granché oltre il tonfo del corpo del gigante che crollava a terra senza vita.
Nè vide granché oltre il viso di Hanji chinato sopra di lui.

Fu come se il tempo si fosse fermato.

I capelli di lei erano zuppi d'acqua e gli gocciolavano in faccia, mentre il suo mantello fumava di sangue di gigante. Il suo viso era bianco dal freddo e il suo fiato affannato s'infrangeva contro il suo in una nuvola di condenza. Lo stava fissando preoccupata da dietro le lenti appannate.

- Levi. -

La sua voce gli rimbombò in testa come il suono di una campana.
Levi avrebbe voluto risponderle, ma tutto ciò che riuscì a fare fu tossire i rimasugli dei liquidi che gli ostruivano la gola.

Patetico...

Hanji sospirò di sollievo.

- Riesci a stare in piedi? -

- Sì... -

No.

Lei gli prese un braccio e se lo mise attorno al collo, mentre con la mano libera gli sostenne il fianco per aiutarlo a sollevarsi. Nell'operazione gli strinse il polso destro e a Levi si annebbiò la vista per il dolore.

- Hai rotto qualcosa lì dentro - decretò Hanji. - Frattura del radio, credo. In infermeria ti faranno aspettare giorni per una cosa del genere, te lo aggiusto io in un secondo appena arriviamo. -

- Mai più... - mormorò con rabbia. - Non accadrà mai più. Lo giuro. -

- Non devi scusarti. -

- Non mi sto scusando. -

La bruna non lo contradisse. Non appena intravide Moblit in lontananza alzò la testa e ordinò di preparare i cavalli, gridando per sovrastare lo scrosciare della pioggia.

- Starai dietro di me. Quindi preparati perché dovrai abbracciarmi per tutto il tragitto, che tu lo voglia o no. -

Si aspettava una frase del genere. Ciò che non si aspettava era il tono grave con cui lo aveva detto, quasi come una minaccia.

- Be'... almeno ora sei pulita. -

Era sicuro che stesse sorridendo, anche se non la vedeva.

Fu il primo scambio di battute di una lunga serie.

*

- Non voglio neanche sapere da quanti giorni non ti lavi. -

Non era la prima volta che una loro conversazione cominciava a quel modo.

- Ti parlo con il cuore in mano, Levi: se avessi tempo, mi laverei. Credemi. -

- L'igiene personale non è un'opzione, Hanji. -

- Sono d'accordissimo con te. -

- Tu ora la smetti di fare qualunque cosa tu stia facendo e vai a gettarti in una tanica di acqua e sapone. -

- E lo farò, lo giuro. Dopo. -

Adesso. -

- Levi! -

- Se non ci vai autonomamente, ti faccio perdere i sensi con un colpo al collo e ti ci trascino io stesso. -

Hanji alzò finalmente il naso dai suoi appunti e gli rivolse un'espressione scioccata.

- Dovrai passare sul mio cadavere! - dichiarò.

- Laverò il tuo cadavere se necessario. -

Entrambi presero la cosa troppo seriamente.

Quella pomeriggio si udiorno grida e strepiti negli alloggi e, dopo una strenua lotta da entrambe le parti, Levi ebbe la meglio. Poco dopo uscì dalla camera di Hanji con la donna priva di sensi caricata sulle spalle, senza curarsi minimamente degli sguardi sbigottiti di chi - allarmato dal baccano - aveva fatto capolineo in corridoio.

Quando Hanji riaprì gli occhi si trovava, effettivamente, in una tanica di acqua e sapone. Con tutti i vestiti bagnati appiccicati addosso.

Levi la osservava a braccia conserte e con aria di sfida dal bordo di legno.

- Non vogliamo che tutto questo si ripeta, vero? -

Hanji gli fece un gestaccio con la mano, ma rimase nell'acqua.

Levi imparò a disturbarla di meno e Hanji a lavarsi più spesso.

*

Levi diventò Capitano e potè crearsi una squadra sua, ma continuò ad andare e venire dalla stanza di Hanji per controllare che svolgesse correttamente le sue funzioni vitali.
Le cose erano meno disastrose di quello che pensava: a quanto pareva Moblit se la cavava meglio di lui.

Levi conobbe Petra, di diversi anni più giovane di lui e con una scintilla vitale negl'occhi che lui invidiava con tutto se stesso.
Sarà perché Hanji se ne stava sempre più spesso chiusa nel laboratorio o nell'ufficio di Erwin - a consegnare rapporti in tempi un po' troppo lunghi perché la cosa passasse inosservata -, sarà perché Petra gli ricordava Isabel...

Levi cominciò a soffrire di una solitudine che non pensava di temere, Petra divenne una fuga perfetta.

Iniziò presto a gradire la compagnia della ragazza.
Si fermavano a sorseggiare un tè insieme dopo cena e condividevano frammenti delle loro vite alla luce della luna.
Non sapeva di preciso se cercasse lei o solo quella scintilla calda che le ardeva dentro... ma poco importava.
Petra era gentile e amorevole come una madre: gli ricordava come ci si sentisse ad averne una. Gli ricordava tutte le cose piacevoli che esistevano al mondo.

Levi cadde tra le braccia di Petra più di una volta.

Fingendo di non vedere il viso di Hanji bagnato dalla pioggia che gli tornava alla mente più spesso di quanto avrebbe dovuto.

*

- L'hai amata? - gli chiese nel silenzio della cucina.

Non lo sorprese il fatto che sapesse. Era intelligente, proprio come aveva detto Erwin.

- Non lo so. -

Hanji annuì pensierosa, prima di versargli l'infuso caldo nella tazza e allungargliela sul tavolo.

- Provavo... affetto per lei. Credo. -

- Glielo hai mai detto? -

- Non c'è stato il tempo. -

- Bugiardo. -

Silenzio.

- Non aveva senso dirglielo, le avrei solo causato altro dolore. -

Hanji scoppiò in una risata amara.

- Sei fuori strada, Levi. L'unica cosa che volevi era risparmiare altro dolore a te stesso. Ma non ha funzionato, vero? Perché fa male lo stesso. -

Levi sentì la rabbia montargli dentro.

- Taci Quattrocchi. -

- No! Cosa pensi di aver risolto? Hai per caso tolto o aggiunto qualcosa alla sua breve vita in questo modo? Non hai fatto niente! Niente! Quando avresti potuto renderla migliore! -

- Non potevo darle illusioni, stupida! -

- Per quel poco che valeva, l'avresti resa felice! -

- Petra non aveva bisogno del mio affetto - le rispose a denti stretti.

- Invece sì! - ripeté stancante Hanji. - Invece si, invece sì... -

- Non potevo dirle qualcosa di cui non ero sicuro. Cos'è che avrei dovuto dirle esattamente? -

- Qualsiasi cosa! Anche solo "Ehi, sono contento che tu sia viva oggi"! -

Silenzio.

- Che c'è? Non rispondi più? -

- Non c'è stato il tempo. -

Hanji gli rivlose un verso di scherno.

- Sei un bugiardo, Levi. Un bugiardo e un egoista - gli disse, camminando verso la porta con la tazza tra le mani.

Arrivata sulla soglia, si voltò per guardarlo negl'occhi.

- Ma sono contenta che tu sia vivo oggi - disse.

Poi si chiuse la porta alle spalle e se ne andò.

*

Levi non avrebbe mai pensato di trovarsi a disagio in presenza di una come Hanji. Lei era quel tipo di persona che piaceva alla gente proprio per l'aurea di leggerezza che emanava e per la sua spiccata capacità di intrattenere una conversazione su praticamente qualsiasi cosa.
Invece negli ultimi giorni il corvino avava trovato particolarmente difficile parlarle: si erano girati attorno senza mai affrontarsi davvero, e quelle poche volte che avevano dovuto - per forza di cose - comunicare, lo avevano fatto con mezze frasi pragmatiche.

Non sapeva perché la cosa gli desse così fastidio, e il fatto stesso di non saperlo gli dava ancora più fastidio.

All'improvviso tre colpi rapidi,  intervallati da un quarto più deciso, dati sulla sua porta lo costrinsero a mettere da parte il libro che stava sfogliando con scarsa attenzione.

Era lei.

Solo lei bussava in quel modo.

Era di pessimo umore quella sera e già stava pensando a un modo per mandarla via, ma quando la vide il proposito scomparve.
Hanji aveva un'espressione sconvolta.
Le mani chiuse a pugno lungo i fianchi le tremavano, i suoi occhi erano spalancati e lucidi, il respiro frenetico.

Sembrava... spaventata? Arrabbiata? Non avrebbe saputo dirlo. Sta di fatto che, qualunque cosa stesse ribollendo dentro di lei, stava per esplodere.

- Hanji - la chiamò allarmato.

Lei non lo guardava nemmeno. I suoi occhi erano fissi in un punto indefinito davanti a sé. Vacui.

- Hanji! - la chiamò ancora, alzando la voce. - Hanji che c'è? -

Fece per scuotela per le spalle, ma lei gli afferrò le braccia a mezz'aria e strinse forte, attorcigliando in modo spasmodico le dita attorno ai lembi della sua camicia. Levi la lasciò fare, sperando che la sfogo l'aiutasse a tornare alla ragione.

Infatti fu così.

Dopo che le nocche le furono diventate esangui, Hanji lasciò la presa e parlò.

- Sono in linea di successione per diventare Comandante - disse con un filo di voce.

- Erwin mi ha nominata. -

L'affermazione lasciò il corvino ancora più confuso di prima. L'ipotesi che Erwin stesse considerando Hanji come suo successore girava tra i soldati già da tempo, dunque la notizia non lo stupì più di tanto. Tuttavia... non capiva perché avesse confermato la nomina proprio ora. Si trovavano in una situazione relativamente pacifica al momento: con la rinnovata legalizzazione del Corpo di Ricerca e la corona al sicuro sul capo della giovane, ma caparbia Historia.
Riflettendo su quest'ultimo pensiero, cominciò a intuire cosa ci fosse alla base della reazione di Hanji.

- È stato tremendo - gli spiegò, - Ha tenuto quel suo solito sorriso da idiota per tutto il tempo, mentre parlava come se stesse per morire. Di nuovo! -

- Ma non è così. Hanji, calmati. -

- Come gli è saltato in mente di scegliere me? Sono una frana con la burocrazia, lui lo sa. Tutti lo sanno! Non ho i nervi abbastanza saldi, ho zero capacità di persuasione, non sono carismatica, faccio terribili discorsi... sono letteralmente la scelta peggiore che potesse prendere! Perché me? Perché non te? Ti chiamano già "il soldato più forte dell'umanità"! -

- Hanji... -

La sua voce le rimbalzava contro senza raggiungerla. La cosa che più lo preoccupava era che mano a mano che Hanji andava avanti con il suo sproloquio disperato, le mani avevano ripreso a tremarle e con loro anche la voce. Vederla così gli faceva un effetto che non riusciva a spiegarsi, oltre a fargli venire un'improvvisa voglia di andare a cercare Erwin e dargli un pugno in faccia.

Con cautela le mise una mano dietro la schiena e la guidò in camera per evitare che qualcuno potesse assistere alla scena. Quando furono dentro Hanji si lasciò cadere sulla poltrona come una marionetta a cui hanno tagliato i fili.

- Erwin morirà - disse. - Erwin morirà e io sarò un pessimo Comandante. -

Levi le si inginocchiò di fronte e, con un gesto fermo ma delicato, le adagiò una mano dietro la nuca e portò la testa verso la sua spalla, in modo che potesse appoggiarvi la fronte.

- Smettila - le sussurrò tra i capelli. - Erwin non morirà, tu non prenderai mai il suo posto e andrà tutto bene. -

Cercò di mettere quanta più risolutezza possibile nelle sue parole per convincere sia Hanji che se stesso.

Non sapeva quanto si sbagliava.

Dopotutto... Erwin aveva sempre ragione.

*

Levi non riusciva a dormire.

Il che non era poi una novità visto che soffriva di insonnia da diversi anni. Il suo tempo effettivo di riposo oscillava dalle due alle tre ore di sonno, quattro se era fortunato. Quindi, teoricamente, non sarebbe riuscito a dormire a priori, nemmeno senza quel caos di urla e rumori molesti che echeggiava fuori ai corridoi. Caos in mezzo al quale era facile riconoscere la voce esaurita di Hanji.
Dopo un'altra buona mezz'ora, Levi decise di abbandonare definitivamente la poltrona su cui stava cercando di appisolarsi e di andare a controllore la situazione di persona. Si disse che lo faceva per il chiasso che lo infastidiva, ma in realtà, anche se non voleva ammetterlo, era seriamente preoccupato.

In quel periodo era difficile capire cosa passasse per la testa di Hanji.
La sua imprevedibilità aveva raggiunto livelli pericolosi: a volte dava l'impressione di volersi gettare giù da un dirupo per divertimento, altre dava l'impressione di voler prendere a testate una parete per disperazione.

Mettendo piede in corridoio incrociò uno dei diretti sottoposti di Hanji. Un giovane spigliato, dai capelli perennemente in disordine e una pazienza sconfinata. Dopo Moblit, Hanji aveva espressamente rifiutato l'idea di avere un altro assistente. Non avrebbe mai potuto instaurare con qualcun altro il rapporto di profonda amicizia e fiducia che aveva avuto con lui, ma a volte consentiva a quel ragazzo di portarle i pasti o di fare qualche piccola commissione per conto suo. Di lavorare insieme non se ne parlava neppure.

- Buonasera, Capitano Levi - gli disse il ragazzo rivolgendogli il saluto militare.

- Hanji? - chiese senza giri di parole.

- Nel suo ufficio. Ma... se mi permette, signore -  da qui proseguì abbassando gradualmemte la voce, - Io non andrei se fossi in lei. È piuttosto... - Si fermò un paio di secondi per cercare la parola più adatta. - Agitata. Più del solito. -

- Grazie, lo terrò a mente. -

Gli rivolse un cenno e lo congedò in fretta. Con il suo passo silenzioso e volce, arrivò all'ufficio del Comandante in pochi secondi.

L'ufficio tenuto da Hanji era molto diverso da quello tenuto da Erwin. Il pavimento era disseminato di libri, vecchi giornali, fogli di carta strappati o accartocciati, tazze da tè vuote e matite spezzate. C'era tanfo di chiuso, le finestre erano siggillate e le tende tirate. Probabilmente quella stanza non vedeva un raggio di luce solare da giorni.

La testa di Hanji era sotto la luce di una lampada ad olio. Se ne stava tutta curva sul bordo della sedia, con il naso schiacciato sulla distesa di pagine e pagine di appunti che coprivano la scrivania.

- Moblit! - strillò tutto ad un tratto, scattando con la testa in alto.

- Quante volte ancora devo ripetertelo, mh? Non andrò a dormire ora, scordatelo! Non ho bisogno di dormire. Dormire è per le persone che hanno un quoziente intellettivo nella norma, che non hanno abominevoli capacità analitiche fuori controllo. Non potrei mai dormire in un momento come questo. Troppi concetti da chiarificare, troppe domande ancora senza risposta, troppi pensieri, troppo... troppo. -

Levi sentì un moto di compassione nell'udire il nome con cui lo aveva chiamato. Un movimento delle labbra dettato probabilmente dall'abitudine.
Quando dopo averlo guardato meglio, lo mise a fuoco, parve tranquillizarsi leggermente.

- Ah. Sei tu - disse. - Credevo fossi... no. Nessuno. -

Il nome di Moblit aleggiava nella stanza insieme a quello di Erwin.

A volte restava ad ascoltarla parlare con il suo vecchio ritratto fuori dalla porta.

Non poteva biasimarla. Lui stesso era in una situazione simile. Stava vivendo con il peso di una scelta che tutti, Hanji compresa, non condividevano; e non c'era istante in cui non la mettesse in dubbio. In quei giorni, ogni volta che intravedeva Armin accampato davanti alle celle, gli capitava di pensare "Ti prego, diventa come lui, ti prego..."
Per poi rendersi conto di star scaricando le colpe delle sue azioni su un ragazzino che, in tutta quella storia, non aveva potuto avere nessuna parola.

- Che cosa c'è? - gli chiese Hanji con un sospiro.

La domanda lo distolse dai suoi pensieri.

- Da quanto tempo stai studiando quelle cartine? -

Non gli rispose.

- Dovresti riposare. -

- Da che pulpito la predica. -

- Hanji, per favore. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è un Comandante malato. La tua salute non è più solo la tua, adesso. -

Hanji si sollevò gli occhiali sulla testa e si portò una mano alla fronte. - Non posso riposare, Levi, non posso proprio. La discesa in quella cantina ci ha portati allo sbaraglio e ora nulla sembra avere più senso. Qualcuno deve trovare un senso a tutto questo. Io devo trovare un senso a tutto questo. Capisci? -

Come poteva non farlo?

Accasciata su quella sedia Hanji era l'immagine tipica del ferito di guerra. L'aria distrutta, il corpo pesante e un bendaggio approssimato che le copriva l'occhio sinistro. Ricordava un'Hanji molto diversa: un tale concentrato di energia che lo faceva sentire stanco solo a guardarla.
Levi capiva, ma non poteva lasciarla in quello stato.

Camminò verso di lei e le poggiò una mano sulla spalla.

- Ammazzarti di lavoro non servirà a niente - le disse, - Se tu tiri le cuoia su questa scrivania, non rimarrà più nessuno a studiare quelle carte e le famiglie non sapranno mai per che cosa hanno mandato a morire i loro figli fino ad oggi. -

Passò qualche minuto in cui Hanji si richiuse nella sua testa, poi diede un'ultimo sguardo alle carte sul tavolo e alzò la testa verso di lui.

- Sappiamo entrambi che nessuno dei due sarà in grado di dormire. Quindi... cosa proponi di fare? -

Mentre parlava si scostò i capelli dal viso. Levi aveva notato che era già la quinta volta che lo faceva. La lunga frangia che era solita portare separata ai due lati della testa era cresciuta così tanto che continuava a caderle davanti agli occhi.
Una strana idea iniziò a prendere piede nella sua testa.

- Alzati da lì Quattrocchi - ordinò.

- Pff, Quattrocchi. Forse volevi Treocchi. L'hai capita? Perché... sai, adesso ne ho uno in meno, quindi... d'accordo la smetto. -

Levi non riuscì a fare meno di sentirsi sollevato. Hanji aveva fatto una battuta. Una battuta di merda, ma pur sempre una battuta.

- Avanti, alzati. Che sembri un cane da pastore - le disse, senza dare altre spiegazioni.

Le prese per il polso e la trascinò in camera sua senza tante cerimonie.

- Siediti lì. - Le indicò uno sgabello poggiapiedi.

La bruna storse il naso. - Sono il tuo Comandante. Il minimo che dovresti fare sarebbe offrirmi la poltrona. -

- Lo schienale della poltrona mi è d'intralcio. -

Hanji fece come le era stato detto, e Levi la raggiunse poco dopo con un paio di forbici in mano, che vennero subito adocchiate in malo mado.

- Cosa? Adesso sei anche parrucchiere?-

- Zitta e ferma - disse. Le sciolse sbrigativo la coda e cominciò a districarle la chioma con le mani.

Hanji non obbiettò.
Si disse che infondo non aveva niente da perdere e che, tenendo conto del suo nuovo grado, la sua apparenza aveva un certo peso adesso. In fin dei conti Erwin era sempre stato l'emblema della perfezione, con la sua divisa impeccabile, il viso pulito e i capelli laccati. Sorpassò sulla fitta di dolore provocata da quel pensiero e si affidò alle attenzioni di Levi.
Senza volerlo iniziò ad abbandonarsi ai lenti e accorti movimenti delle dita di lui che scorrevano tra i suoi capelli. Il suono cadenzato delle forbici che tagliavano via le ciocche in eccesso era rilassante, soddisfacente quasi...
Si rese conto che avrebbe potuto restare lì per ore.

Si era instaurato un silenzio particolare tra di loro. Intimo, pensò, e la realizzazione le fece sentire caldo allo stomaco.
Ma Hanji aveva dentro di sé il bisogno perpetuo di riempire ogni tipo di silenzio; perché il silenzio era il male, era la morte e la obbligava a pensare.
Così Hanji parlò. E uccise qualunque cosa stresse crescendo nel suo stomaco in quel momento.

- Attento, eh - lo ammonì, sentendo le forbici vicino all'orecchio. - Altrimenti oltre che mezza cieca diventerò anche mezza sorda. -

Lui le pizzicò il lobo con le punte d'acciaio per dispetto, facendola sorridere un po'. Era dolce l'illusione di poter restare chiusi in quella stanza per sempre, dimenticare i libri del dottor Jaeger e far finta che il mondo fosse già finito fuori da quella porta.

- A proposito, dobbiamo anche cambiare quella benda - le disse, distraendola.

- Dobbiamo? Sei proprio sicuro di voler vedere cosa c'è sotto? Quando io l'ho visto per la prima volta volevo fare a pezzi lo specchio. -

Hanji non era una tipa facilmente impressionabile. In passato l'aveva letteralmente vista con il camice schizzato di sangue mentre - tutta fiera - reggeva in mano il molare di un gigante.
Aveva visto cose ben peggiori di un orbita insanguinata: sia come soldato che come scienziata.

- Hai visto cosa peggiori - disse Levi, esprimendo i suoi pensieri ad alta voce.

- È vero. Però ho odiato davvero quello specchio - gli rispose. - Era uno spettacolo agghiacciante. So di non essere bella, e non mi sono mai considerata tale, ma in quel momento... mi sono vista in faccia e mi sono sentita orribile.-

Levi avrebbe voluto dire che non era vero. Che era bella. Di una bellezza non convenzionale, non costruita e che catturava più occhi di quanti credesse. Che era bella anche se gli occhiali le scivolavano di continuo sul dorso pronunciato del naso, anche se vestiva quasi sempre come un uomo, anche con il corpo dilaniato da cento cicatrici e un'occhio sfregiato.

Invece l'unica cosa che riuscì a dire fu: -Tu non sei orribile, Hanji. -

Con un'esclamazione sorpresa, Hanji si girò verso di lui sfuggendo per un attimo alle forbici.

- Levi... - sussurrò a bocca aperta. -Potrebbe essere la cosa più carina che tu mi abbia detto. -

Levi si mostrò improvvisamente molto interessato alle mattonelle del pavimento.

- Ho finito, puoi alzarti - disse, cercando di liquidare la faccenda e spostare l'attenzione su altro.

- Aww, sei un timidone tenerone, Capitano Ackerman. -

- Tch. Dovevo rasarti a zero come Pixis.-

Hanji si incamminò ridacchiando verso la finestra per vedersi nel riflesso dei vetri. Non si poteva negare che Levi avesse fatto un ottimo lavoro.
In pochi minuti aveva con precisione sfoltito la frangia liberandole il campo visivo e l'aveva resa più simmetrica, il tutto lasciando intatta la lunghezza.

- Il tuo è un vero e proprio talento nascosto, Levi! Hai mai pensato di aprire un'attività? -

Non ricevendo alcuna risposta, Hanji si girò e lo vide armeggiare con garze e medicinali in un contenitore di latta.

- Ora mi fai vedere quell'occhio - esordì in un tono che non ammetteva repliche.

La bruna s'irrigidì.

- Devo... devo proprio? -

Levi colse il suo nervosismo e provò a scherzare. - Consideralo un compenso per il taglio di capelli. -

Lei non rise. Né diede alcun segno di volersi muovere da lì.

Il corvino ripose l'occorrente nella scatola e le si avvicinò con prudenza, camminando piano, come si fa davanti ad un animale selvatico per non farlo fuggire. Quando le fu a pochi centimetri di distanza, si fermò e la guardò serio.

Lasciò trascorrere qualche secondo, poi - con estrema lentezza - sollevò una mano verso il suo viso.

- No... -

La voce di Hanji le uscì fuori dalla bocca come un flebile lamento, ma la mano di Levi non deviò il suo percorso. Con le dita raggiunse l'attaccatura della benda, tirò verso il basso e, delicatamente, la fece scivolare via.

Oggettivamente parlando, la ferita era grave come gliela aveva descritta.

Grande all'incirca quanto il palmo di una mano, si estedeva fino a raggiungere la parte superiore dello zigomo sinistro.
Le traccie dell'ustione avevano reso la pelle ruvida e aggrinzita, a tratti rossastra lì dove la cicatrizzazione non era ancora avvenuta, mentre le palpebre erano cucite tra di loro da un filo da sutura ancora ben visibile.

Levi la sentì trattenere il respiro sotto il suo sguardo.

- Dì qualcosa, ti prego. -

Le sue dita idugiarono sopra la ferita senza toccarla, poi discesero a sfiorarle il lato sinistro del viso.

I loro sguardi incatenati e immobili in un limbo del tempo.

- Sono contento che tu sia viva oggi. -

   
 
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