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Autore: Joy    28/11/2021    2 recensioni
Prova a gettare indietro la testa per scrutare il cielo e scopre di non riuscirci.
È un peccato: le avrebbero fatto compagnia le scie dei razzi segnalatori sparati dalla legione, anche se ormai non avrebbero significato per lei alcuna salvezza.

[Scritta per l'Advent Calendar, gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia]
Genere: Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Moblit Berner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Joy Inblue

Fandom: Attack on Titan

Personaggi: Hange/Moblit

 

Scritta per l'Advent Calendar, gruppo facebook Hurt/Comfort Italia

 

 

Prompt: Camino acceso

 

 

 

 

 

Pure white

 

 

 

 

Stenta a tenere gli occhi aperti.

Le ciglia sono pesanti, incrostate di brina. Le solleva ancora una volta per scrutare la vetta della scarpata da cui è scivolata e l'unica cosa che riesce a vedere è bianco.

Non sa quanto tempo sia passato, sa che quando è caduta si sentiva accaldata, adesso invece le sembra di non avere più un corpo.

Prova a gettare indietro la testa per scrutare il cielo e scopre di non riuscirci.

È un peccato: le avrebbero fatto compagnia le scie dei razzi segnalatori sparati dalla legione, anche se ormai non avrebbero significato per lei alcuna salvezza.

L'unico che avrebbe potuto farlo, era quello in suo possesso, ma l'ha sparato da un tempo che non riesce più a quantificare, e osservato dissolversi lentamente sullo sfondo di un cielo plumbeo, senza che qualcuno abbia potuto vederlo o interpretarlo. Ormai è chiaro.

Chiude gli occhi e smette di lottare affinché si riaprano.

 

***

 

“...nge!”

“Hange!”

La voce capace di entrare nei suoi sogni è solo una.

Ed è parte di sé al punto da non riuscire a distinguerla dalla propria mente.

Non sa se è reale o se risuona solo nella sua testa.

“Hange!”

Qualcosa le sfiora la guancia; sente appena quel tocco, ma sembra troppo concreto per essere un sogno.

“Hange, svegliati!”

Una carezza tiepida e asciutta cala sulla sua fronte e scorre piano su tutto il viso; riconosce la ruvidezza della lana: porta via con sé i cristalli di neve bloccati tra le sue ciglia.

“Hange!”

Lo schiaffo che le colpisce la guancia, questa volta lo sente chiaramente.

Prova ad aprire gli occhi e la distesa di bianco che si aspettava di vedere, rimane in secondo piano rispetto alla sagoma sfocata sopra di lei.

“Non volevo farti male” si scusa prontamente Moblit, armeggiando sul collo della sua divisa. “Ma tu non dormire.”

Vorrebbe vederlo, ma non riesce a trovare contorni nitidi su quel volto.

Forse è solo un'allucinazione che lentamente scompare, lasciandole davanti agli occhi quel limbo bianco in cui si è persa.

Del resto, nessuno ha mai saputo spiegarle cosa avvenga nella mente umana al momento della morte.

“Hange! Rimani sveglia!”

Solleva di nuovo le palpebre a quel richiamo, le aveva chiuse senza neanche rendersene conto.

Le immagini sono, se possibile, ancor più confuse.

L'angolazione però è cambiata.

Quella coltre pregna d'acqua e neve che la teneva schiacciata a terra scivola dal suo petto, mentre due mani la liberano da una divisa che pesa più del solito.

“Qui” le dice la voce di Moblit. “Metti il mio cappotto, il tuo è fradicio.”

Le sue braccia non funzionano; le muove lui, finché non sono completamente avvolte nella stoffa.

Ed è il suo odore a farle tornare la voglia di respirare, prima ancora del calore che le esplode sulla pelle.

È quel sentore zuccherino dei frutteti bagnati dalla guazza serale, del mosto in fermentazione e del legno delle damigiane rosate dal vino. Quello in cui lui si rifugia sempre a fine missione, per cancellare la scia di sangue che non ha potuto impedire.

Incredulo di essere ancora vivo.

Come lei, ora.

Sbatte le palpebre, mentre il calore trattenuto dalla lana si trasferisce sul suo petto, e realizza di aver perso gli occhiali durante la caduta.

Nessuna dimensione sfocata e onirica l'ha inghiottita.

È solo l'alterata curvatura della cornea che la rende miope, a farglielo credere.

“Bevi questo” ordina Moblit, accostandole alle labbra una borraccia.

La mano su e giù per la sua schiena scalda più del liquido tiepido che finalmente libera le corde vocali dalla morsa del gelo.

“Mi hai trovata...” mormora, interrompendo l'oscillazione involontaria della testa contro l'incavo del suo collo.

“Certo che sì” le rispondono le labbra che sente sulla sua fronte, un istante prima che lui la sollevi tra le braccia per issarla sul suo cavallo, e lo inciti ad affrontare la bufera speronandogli i fianchi.

 

***

 

Sente il vento che fischia e i sobbalzi del galoppo sotto le sue cosce, ma non le proprie dita.

Le apre e le posa contro quel torace caldo, sotto il mantello che li copre entrambi.

Come fa con il viso.

E con tutto quello che può.

Si aggrappa a quel cuore saldo che batte con vigore, ricordandole che sono salvi e insieme.

Ancora una volta.

“Non dormire, Hange. Parlami.”

Cosa può mai dirgli?

Sa bene che non gli importa cosa dirà, sta solo cercando di tenerla cosciente il tempo necessario ad arrivare al distretto.

“La tempesta ha oscurato il sole e messo a nanna i giganti...” biascica scioccamente.

Il petto di Moblit vibra sotto la sua guancia.

“Forse sì” ammette. “Non ci avevo pensato.”

“Ma sei venuto a cercarmi lo stesso.”

Lui non replica. Hange però sente il suo cuore battere più forte, tanto che la gabbia dell'imbracatura sembra non poterlo contenere, e il braccio stringere con forza attorno alle sue spalle, mentre sprona la sua cavalcatura ad aumentare la velocità.

“Parlami ancora” dice semplicemente, dopo qualche istante di silenzio.

“Ho bisogno di te, Moblit” confessa alle pieghe della sua camicia, e sa già che fingerà di non ricordarlo, perché non è pronta a ciò che comportano quelle parole. Le pronuncia lo stesso, però: ne sente il bisogno. “Non sarei diventata quella che sono, senza di te. Sarei l'ombra di me stessa.”

E ascolta il cuore sotto le sue mani anticipare un battito, fermarsi un istante, per poi riprendere a battere in due tempi.

 

***

 

“Faccio preparare un letto nell'infermeria del quartier generale, vicecaposquadra Berner?”

“No Abel, me ne occuperò io. Fai portare altra legna, acqua calda e coperte di lana.”

 

Distingue le voci e sa che si trova al riparo e al caldo. Riconosce lo scoppiettare dei ciocchi nel camino, il lieve sentore di fumo e quello dolce del miele, non appena Moblit le spinge il bordo liscio del bicchiere tra le labbra.

“Bevi” le dice.

Ma per farlo dovrebbe scollare la fronte dal suo collo e non vuole: il calore della sua pelle la riporta a casa, di nuovo bambina.

Sente anche le dita tra i capelli, mentre liberano le ciocche dall'elastico che le lega, e un asciugamano caldo strofinarle la cute.

“Coraggio” insiste, avvicinando di nuovo il bicchiere alla sua bocca. “Me l'hai insegnato tu: prima si riscalda il paziente internamente e poi dall'esterno.”

L'hanno imparato insieme in realtà, vorrebbe correggerlo Hange, quando suo zio ha salvato il figlio di Peter Hoffmann dopo che si era rotto una gamba, trascorrendo la notte nel fosso dove era caduto, ma è ancora troppo faticoso parlare e comunque dubita che Moblit l'abbia dimenticato, considerato che l'aveva costretto a sdraiarsi nudo sotto le coperte con lei, per verificare se davvero due corpi potevano riscaldarsi più facilmente a contatto tra loro.

E lui era caldo come una fornace.

Caldo come lo è ora, mentre le impone quel latte e miele che le rinfranca la gola e innesca il brivido, che sa benissimo, essere il primo segnale di ripresa.

“Va bene” annuisce lui, altrettanto consapevole. “Adesso togliamo questi vestiti umidi e facciamo un bel bagno caldo.”

E nonostante la sicurezza con cui si sforza di tingere il tono, Hange sente le sue dita esitare mentre le aprono i bottoni sul petto.

“Puoi farlo, Moblit” riesce a dirgli attraverso il tremito che ha preso il sopravvento. “Hai il mio permesso.”

Lo sente sospirare, sa che ne aveva bisogno, anche se davvero non capisce il motivo di tanta reticenza; del resto nel corso degli anni, più volte hanno trascorso la notte insieme.

Ma forse, riflette, è proprio per quello.

Lui l'ha sempre amata senza toccarla, a meno che non sia stata lei a chiederlo, e sebbene lo stia facendo adesso non per diletto, ma per salvarle la vita, il suo consenso non è qualcosa che Moblit riesce a dare per scontato.

Entra in acqua con lei e Hange realizza che è nudo anche lui.

Forse è anche per questo che voleva il suo permesso, per agire come un medico non farebbe mai con il suo paziente.

A lei non importa, le piace sentire la sua pelle ed è troppo stanca per continuare a pensare.

“Hange” la chiama, massaggiandole le braccia e ogni parte del corpo che riesce a raggiungere. “Rimani vigile.”

L'acqua è solo tiepida, ma le fa dolere i muscoli intirizziti: le mani di Moblit carezzano via il formicolio fastidioso, riattivando la circolazione.

E più lui allontana il dolore dal suo corpo, più diventa difficile rimanere sveglia.

“Non dormire” la ammonisce ancora una volta, strizzandogli un panno intriso d'acqua calda sulla testa.

“So che non dovrei farlo” ammette lei, incapace di sollevare la nuca dalla sua spalla, “ma sono troppo stanca.”

“Parlami di quel libro che hai iniziato a decifrare” insiste, mentre la insapona con dita lievi.

“Non era un testo di medicina” sussurra, chiudendo gli occhi per evitare i rivoli d'acqua che le scendono sul viso. “Parla di curare il cuore in... un altro senso.”

Le dita di Moblit si fermano tra i suoi capelli.

“Oh” commenta semplicemente, quando si rende conto del significato di quelle parole. “Mi dispiace che non sia ciò che speravi.”

Solleva le spalle con noncuranza, perché sotto le dita di Moblit il suo corpo è tornato ad appartenergli e non gli interessa davvero di uno stupido libro che parla di come ritrovarsi attraverso i piacere coniugali.

Chiude gli occhi e sospira profondamente: “Posso dormire, ora?”

 

***

 

Il permesso di riposare lo ottiene solo dopo aver bevuto un'altra tazza di latte ed essere rimasta seduta di fronte al camino acceso avvolta in un pigiama e tre coperte, finché i suoi capelli non sono tornati asciutti.

Non si è lamentata: lei talvolta è un medico anche più severo.

E poi Moblit l'ha tenuta contro di sé per tutto il tempo e il suo abbraccio l'ha riscaldata più delle fiamme guizzanti del camino.

Registra distrattamente la voce, il rumore della porta che si apre e i passi di qualcuno nella stanza.

 

“Ho portato gli occhiali di riserva, come mi aveva chiesto, signore.”

“Grazie Abel, lasciali sul tavolo.”

 

Sapere che il mondo tornerà ad essere nitido e non più una distesa di macchie indistinte è un sollievo. Allunga la mano nella loro direzione anche se ha gli occhi già chiusi, e quella di Moblit l'avvolge nella sua.

“Domani, Hange” le sussurra contro l'orecchio. “Ora dormi.”

E l'ultima cosa che sente sono le sue braccia che la depositano sul materasso e non se ne vanno.

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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