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Autore: 0421_Lacie_Baskerville    02/12/2021    0 recensioni
Riusciva quasi a sentirli, correre nell’aria e bisbigliare nelle sue orecchie: Come ho fatto a non accorgermene? Sono stati i suoi genitori. Se non l’avessi lasciata bere…se non avessi insistito perché uscisse… Se non l’avessi baciata…
[cronologicamente si incastra fra Brave Children e Dark Drem]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Hero who will save you

 
Il caldo di luglio era soffocante e filtrava dalla portafinestra lasciata aperta, insieme ai raggi dorati del sole pomeridiano, andando a scontrarsi con l’aria fredda del condizionatore.

Quel ronzio era l’unico suono che sentiva chiaramente nella cucina luminosa. Le voci dei suoi fratelli erano lontane e soffocate. Stavano litigando per un videogioco nella stanza accanto e se non avessero smesso sarebbe dovuta andare lei, ad occuparsene.

Solo che così facendo, non avrebbe potuto nascondersi al suo sguardo.

Non aveva il coraggio di alzare il capo, Laila, continuava a tenere lo sguardo basso e fisso sulle pagine a quadretti. I capelli erano caduti sul ripiano del tavolo e le nascondevano il viso, formando onde sinuose sulle sue braccia segnate da lividi scuri e giallognoli.

 L’inchiostro blu si era sbavato là dove le sue lacrime erano cadute a inumidire la carta. Avrebbe dovuto scusarsi con Arata più tardi, per avergli rovinato la pagina con i compiti. Tanto più che erano venuti perfetti. Il suo fratellino prometteva di diventare un piccolo asso della matematica, un giorno non troppo lontano e questo la riempiva di orgoglio.

≪ Oi Laila ≫ la chiamò Katsuki, la voce atona, facendole correre un brivido lungo la spina dorsale. ≪ Cosa cazzo ti è successo? ≫
Il respiro sulle sue labbra tremanti si spezzò.

Non esisteva un modo semplice in cui avrebbe potuto dirglielo, né un modo per evitarlo. Aveva solo sperato che la credesse davvero malata di varicella e le lasciasse il tempo di guarire, ma erano passati solo pochi giorni e lui era lì.

Era venuto a vedere perché era sparita.

 Forse era venuto per parlare di quella sera, quella maledetta sera in cui lei aveva finalmente trovato il coraggio di farsi avanti, dopo un’intera vita in cui l’aveva sempre e solo inseguito, sfidato e contrastato. In cui si era limitata a guardarlo, chiusa nella bolla della loro amicizia.

≪ Perché sei venuto qui? ≫ sussurrò, senza alzare la testa. ≪ Ti avevo detto di non venire. ≫

≪ Hai detto che avevi la varicella, ma non era possibile. L’abbiamo passata entrambi a sei anni. ≫ replicò lui, muovendo un passo dentro la stanza. ≪ Chi cazzo te li ha fatti quelli, uh? Sono stati quegli stronzi dei tuoi? ≫

Laila sussultò, la mano scivolò a coprire il grosso livido sul braccio. Un’intenzione sciocca e vana, dal momento che segni come quello li aveva sparsi un po' per tutto il corpo. Erano la sua punizione per aver bevuto, per essere stata tanto arrogante da pensare di poter disporre della propria vita come voleva. Per aver pensato di poterlo avere. Lui. Il suo amico d’infanzia, la persona che conosceva da tutta una vita e che aveva sempre desiderato raggiungere.

≪ P-per favore, chiudi quella bocca. ≫ sussurrò lei, sentendosi tremare sotto quello sguardo rubino. ≪ Non puoi capire…tu non… ≫ La voce gli si
spezzò in gola. Strinse il braccio tanto forte da sentire un guizzo di dolore risalirgli lungo l’arto. ≪ Faresti meglio ad andare, Kacchan. ≫
Da quando Hiro l’aveva fatto entrare, non si era mosso.

Stava in piedi sotto l’arco, con i pugni serrati lungo i fianchi e gli occhi rossi fissi su di lei. Immobile. Non era la prima volta che le vedeva addosso quei segni, anche se mai così tanti ed evidenti, ma adesso i suoi sospetti erano diventati certezza.

≪ Non dire stronzate. ≫ replicò lui bruscamente. ≪ Da quanto tempo va avanti questa storia? Perché cazzo non me l’hai detto?! ≫

Era insopportabile. Quella situazione, la sua presenza e i pensieri che si rincorrevano dietro i suoi occhi. Riusciva quasi a sentirli, correre nell’aria e bisbigliare nelle sue orecchie: Come ho fatto a non accorgermene? Sono stati i suoi genitori. Se non l’avessi lasciata bere…se non avessi insistito perché uscisse… Se non l’avessi baciata…

I palmi tremanti premettero contro il piano del tavolo, mentre si alzava. Doveva fuggire, andarsene da lì e nascondersi dalle sue domande. Se fosse riuscita a infilarsi in cucina, avrebbe potuto imboccare la porta e nascondersi.

Non era un gesto coraggioso e detestava l’idea di farlo, ma non sapeva come altro sfuggire alla situazione.

 ≪ Ti verso un bicchiere di limonata, ti va? ≫ gli domandò, cercando di assumere un tono normale. Solo che era impossibile. La voce le uscì bassa e incerta, leggermente acuta. Tutta l’ansia e la paura che se la stavano mangiando viva, si intravedevano sotto la superficie. ≪ L’ho appena preparata. È venuta molto bene. ≫

≪ Non voglio una dannata limonata, voglio sapere che cazzo ti è successo. ≫ replicò lui, brutale. ≪ Smettila di girarci intorno e guardami quando ti parlo! ≫

Laila trasalì, dandogli le spalle. Era arrivato in un pessimo momento. Se avesse saputo che sarebbe venuto a trovarla si sarebbe premurata di indossare un vestito che le coprisse le spalle e le braccia, nascondendo i lividi che le dipingevano la pelle chiara di pennellate di viola e giallo.
Era una sciocchezza però, perché se l’avesse saputo, non gli avrebbe mai aperto la porta.

≪ Ti prendo della limonata, Kacchan. ≫ ripeté, affrettandosi verso la cucina accanto. Era quasi riuscita a sfuggirgli, quando lui la raggiunse e l’afferrò per un braccio. La sua stretta salda le fece risalire un guizzo di dolore lungo l’arto. Il respiro le morì sulle labbra e il cuore le sprofondò nel petto, quando si ritrovò faccia a faccia con lui.

Katsuki trasalì, gli occhi rossi sbarrati e il viso pallido. La guardò come se non potesse credere ai suoi occhi, le labbra schiuse per la sorpresa e l’orrore.

Lei sapeva su cosa il suo sguardo si stava concentrando e detestava quello che gli stava mostrando. Lo zigomo violaceo attraversato da un profondo taglio, richiuso con punti molto stretti e ravvicinati, così che forse non le sarebbe rimasta la cicatrice una volta guarita.

Sua madre si era raccomandata che fosse così. ≪ Cosa faremo se il suo bel visino venisse compromesso da un’orrida cicatrice? ≫ aveva detto ansiosa, rivolgendosi al marito, intento a ricucire Laila con mani abili e sicure. Lei aveva seguito con lo sguardo sua madre che percorreva quella stessa stanza a passo svelto, mordendosi le corte unghie. ≪ Nessuno la vorrebbe più! Sarebbe rovinata per sempre! ≫ C’era così tanta angoscia nella sua voce che per un attimo Laila ci aveva quasi sperato che le rimanesse la cicatrice.

 Avrebbe voluto vedere la faccia desolata dei suoi genitori a vedersi portare via lo strumento con cui volevano crearsi un avvenire prestigioso. L’avrebbero odiata, probabilmente, ritenuta colpevole senza appello del freno imposto alle loro ambizioni, ma sarebbe stata finalmente libera dal peso immane delle loro aspirazioni.   

≪ Se tu non sei in grado di educarla come si deve, lo devo fare io. ≫ aveva risposto suo padre, tagliente. Cuciva così abilmente che quasi non sentiva il pungere dell’ago sulla pelle. ≪ D’altronde, il suo comportamento meritava una lezione. Lo capisci, vero, Laila? Lo sai che è tutto per il tuo futuro, perché ti vogliamo bene. ≫

 Il labbro spaccato e gonfio le pulsava ancora, rendendo doloroso parlare e riempiendole la bocca del sapore metallico del sangue ogni volta che lo faceva.

Era ironico che se quelle ferite si fossero trovate su chiunque altro, a lei sarebbe bastato allungare una mano e toccarne la pelle per farle sparire. Una guarigione istantanea e totale, priva di dolore.

Ironico, perché su di lei non poteva farci nulla. Non poteva curare sé stessa con il proprio quirk, non funzionava così quel potere.

≪ Laila… ≫

Sulle sue labbra, il suo nome suonava lieve come un respiro. C’era qualcosa negli occhi cupi di lui che le fece sorgere dentro un brivido. Il rosso delle sue iridi bruciava con la stessa intensità di una fiamma chiusa nel vetro. Laila deglutì, lo stomaco le si contrasse togliendole il respiro.
Anche quella notte, lui l’aveva guardata così intensamente da farla tremare, mentre sedeva sui talloni davanti a lei. Le sue dita fredde le avevano scostato i capelli dalla fronte bruciante. ≪ Non dovevi bere quella porcheria, te l’avevo detto io. ≫ aveva borbottato, con una smorfia. ≪ Non mi ascolti mai, dannazione. ≫

Lei aveva sollevato la testa, la vista leggermente sfocata e i sensi intontiti dalla tequila ingerita, e lo aveva guardato.
Bello lo era sempre stato, ma in quel momento – con quel espressione accigliata e gli occhi appannati dall’alcool e dalla preoccupazione – lo era sembrato molto di più.

Era come vederla per la prima volta, quella sua bellezza mascolina, e si era mossa senza sapere davvero cosa stesse facendo.

Le sue mani avevano stretto il suo viso, gli occhi di lui si erano sbarrati per la sorpresa, quando lei si era chinata e aveva premuto le labbra sulle sue, scoprendole più morbide di quanto avesse pensato, con sopra il leggero sapore del sale e del limone che aveva mandato giù insieme alla tequila.
Si era aspettata che ritraendosi le urlasse in faccia una serie infinita di insulti e imprecazioni, che l’avrebbe spinta via dicendole che era ubriaca più di quanto lo fosse lui. Non si era aspettata che le sue mani l’agguantassero, trascinandola contro il suo corpo, fra le sue braccia. Erano caduti a terra insieme. Katsuki seduto sulle piastrelle e lei semi sdraiata sul suo petto. L’aveva baciata con così tanta solerzia da toglierle il fiato, tanto che aveva pensato che quella bocca voluttuosa l’avrebbe divorata.

Perfino ora, se ci pensava si sentiva arrossire.

La presa di lui sul suo braccio si allentò. Era sconvolto, glielo leggeva in faccia. Il respiro gli si ruppe sulle labbra tese. ≪ Andiamo alla polizia. ≫ La sua voce roca era più bassa del solito. ≪ Cambiati e andiamo, o vieni così. Non importa. Basta che ci andiamo. ≫

La luce del sole gli accendeva i capelli di un biondo pallido, metteva in luce quell’espressione vulnerabile sul suo volto che stava tentando di cancellare.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui l’avrebbe visto in quel modo, né che l’avrebbe guardata così.

Lentamente, sfilò il braccio dalla sua presa calda e mosse un passo indietro.

≪ Dovresti andare, Kacchan. ≫ gli disse, senza guardarlo. ≪ Ho molto da fare oggi e non posso stare ad ascoltarti. Se i miei tornassero e ti trovassero qui, sarebbe ≫

≪ Andiamo alla polizia, ho detto. Prima che tornino. ≫ ripeté lui con maggiore forza. Lo vide stringere i pugni lungo i fianchi. Un leggero rivolo di fumo filtrava dalle dita serrate e risaliva nell’aria. Lei scosse la testa, il petto stretto in una morsa d’angoscia crescente. ≪ Non posso farlo. ≫

≪ Si che puoi. Verrò con te. ≫ replicò lui, guardandola con occhi brucianti. ≪ Non è la prima volta che lo fanno, vero? ≫

Laila sussultò, mordendosi il labbro spaventata. Non poteva dirlo a nessuno. Se l’avesse fatto, cosa ne sarebbe stato dei suoi fratelli? Gli avrebbero portati via, gli avrebbero divisi da lei e portati chissà dove. A quel punto, non sarebbero stati mai più una famiglia, ma completi estranei.

Il solo pensiero la fece tremare e le mozzò il fiato, pur di proteggerli avrebbe fatto di tutto, anche sopportare più di quello che già sopportava.   

≪ Non puoi capire, Kacchan. ≫ Era poco più che un sussurro, ma lui le sentì comunque quelle parole tremanti. La sua mano scattò, afferrandole il braccio e facendola sussultare. Gemette, una fitta di dolore le attraversò la carne.

Katsuki sbarrò gli occhi e la mollò di scatto, accorgendosi della smorfia di dolore sul suo viso. ≪ Cazzo Laila, qualunque sia la ragione non fa alcuna differenza. Dobbiamo dirlo a qualcuno degli adulti…a mia madre, magari. ≫ L’espressione sul viso di lui si distese, come se avesse finalmente trovato una via di fuga all’inquietudine che l’aveva afferrato. ≪ Si, la vecchia saprà cosa fare. ≫

Quel pensiero le attraversò la mente per un istante. Ci aveva già pensato, qualche volta, di andare a dirlo a un adulto, ma poi tornava a pensare ai suoi fratelli e a quale futuro avrebbero avuto senza i loro genitori a spianare loro la strada. Se anche avesse denunciato la cosa in segreto, i suoi l’avrebbero scoperto e avrebbero impartito una nuova lezione sulla sua pelle.

No, avrebbero potuto fare di peggio. Avrebbero potuto decidere che infondo lei non era adatta a soddisfare le loro aspettative e i loro sguardi si sarebbero posati su i due figli più piccoli, su Arata e Hiroshi. Gli avrebbero rubato l’infanzia, impegnandosi a cambiarli e formarli nel modo che ritenevano più adatto, così da poter aprire loro le porte dell’alta società nipponica.

Mai. Non l’avrebbe permesso per nessuna ragione al mondo.

Le labbra si strinsero in una linea sottile e dura. ≪ Ammettiamo che io ti dia retta e che andassimo alla polizia o da tua madre, cosa pensi che accadrebbe? ≫

Lui corrugò la fronte, confuso. ≪ Faranno il loro dannatissimo lavoro. Non puoi continuare a subire in silenzio, Cristo Santo. Tu non sei così. ≫
Con te. Ma loro sono i miei genitori.

Lo guardò, sentendosi montare dentro qualcosa di diverso della paura. Rabbia. Bruciante e calda, che spazzò via le lacrime che le bagnavano il viso. ≪ Credi che non ci abbia già pensato? ≫ sbottò, facendolo sussultare. ≪ Kacchan, hai almeno una vaga idea di quanto sono stimati i miei genitori nella comunità medica? Hai idea di quanti agganci abbiano nella polizia o fra le famiglie dell’alta borghesia? Se anche andassi a denunciarli, nessuno muoverebbe un dito contro di loro. ≫

Il viso di lui si contorse in una smorfia di pura insofferenza e rifiuto. Glielo lesse negli occhi che non aveva intenzione di arrendersi e cedere. Era sempre stato così, Bakugou Katsuki, fin da quando erano bambini aveva sempre pensato di essere l’unico che poteva decidere come le cose dovessero andare.

Ma lui non poteva capire. Nessuno poteva capire, nemmeno Izuku, per questo aveva cercato di tenere quel segreto perfino con loro. I suoi migliori amici. Le persone che le erano più care, dopo i suoi fratelli.

≪ All Might non lascerebbe perdere. Farebbe qualcosa. ≫ disse deciso, sollevando i palmi in cui il sudore nitroglicemico brillava, pronto a detonare. Lei storse la bocca. ≪ All Might non è qui, Kacchan, e tu sei solo uno studente delle medie non un eroe. ≫

Lo vide irrigidirsi, ferito da quelle parole, da quella verità ineluttabile. I pugni le tremavano, stretti lungo i fianchi. ≪ La colpa di quello che è successa è mia. Non avrei dovuto bere, non sarei dovuta uscire senza permesso… ≫ il respiro le si ruppe in gola. Sentiva la rabbia bruciarle nelle vene. ≪ Me la sono cercata e nessuno ci può fare niente. ≫

Il viso di lui si contorse in un’espressione incredula e arrabbiata. Stava tremando, quasi quanto lei. Le faceva male il petto, tanta era l’angoscia e la paura, la rabbia che le ardeva dentro. ≪ Per favore, vai via, Kacchan. ≫

Lui non si mosse. Il respiro gli sfuggiva rapido dalle labbra, riusciva quasi a sentire i meccanismi del suo cervello lavorare a una velocità folle. ≪ Pensi davvero che quegli stronzi non muoveranno un dito se ≫

≪ Non denuncerò i miei stessi genitori, non mi importa cosa dici! ≫ sbottò, voltando il viso per non guardarlo. ≪ Sono pur sempre la mia famiglia. ≫
Lui reagì come se volesse afferrarla, ma all’ultimo esitò. Era per via dei lividi, capì Laila, aveva paura di farle male. Un verso di frustrazione gli sfuggì dalle labbra, mentre lasciava ricadere la mano, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. ≪ Laila… ≫ mormorò, storcendo la bocca e mordendosi il labbro. Lo guardò di sottecchi, attraverso il velo delle lacrime, rilasciare il fiato in un sospiro. ≪ Ero venuto a dirti un’altra cosa. ≫

≪ Ah davvero? ≫

≪ Diventerò un eroe. ≫ La sua voce era decisa e non lasciava spazio a incertezze. ≪ Un eroe più grande e potente di All Might, il numero uno in assoluto. L’eroe più forte. ≫

Laila espirò, cercando di mettere un freno alle emozioni che le ruggivano in petto e minacciavano di traboccare. Una lacrima scese a percorrere la guancia ≪ Buon per te. ≫ replicò, la voce leggermente aspra. Lo aveva sempre sognato fin da quando erano bambini, ma non capiva perché glielo stesse dicendo proprio in quel momento. ≪ Hai un quirk forte, ci riuscirai sicuram- ≫

≪ Diventerò un eroe tale che nemmeno i tuoi genitori, con tutto il loro dannato denaro e prestigio, potranno impedirmi di portarti via da qui e salvarti.  ≫
Il cuore le balzò in petto, incredulo.

 Lentamente, si voltò a guardarlo, il respiro impigliato in gola. Gli occhi rossi di lui erano fissi su di lei, scuri e inflessibili. Un brivido le sorse dentro a quelle parole.

≪ Se hai paura, puoi stringerla. ≫ le diceva da bambini, offrendoli la mano ogni volta che la vedeva spaventata. ≪ Ti proteggo io. ≫

Katsuki sollevò una mano e gli sfiorò la ferita sullo zigomo con tanta delicatezza da non sentire il suo tocco. Nemmeno immaginava che quelle mani potessero essere così delicate. ≪ Resisti solo un po’. Il tempo di diventare un eroe tale da poterti salvare. ≫ mormorò, la voce bassa e rauca.
Le lacrime presero a solcarle le guance. Si morse il labbro, cercando di cacciarle indietro, ma erano un fiume in piena che non si poteva contenere.

Dalle labbra le sfuggirono singhiozzi profondi che la scossero in tutto il corpo.

Detestava piangere, non lo faceva mai, ma cazzo, se faceva male il taglio sul labbro e sullo zigomo. Bruciavano e tiravano. Facevano male i lividi sulla pelle, un male che era più profondo e radicato di quello fisico.

E facevano male le parole che lui aveva pronunciato, perché sapeva che non sarebbe cambiato nulla per ancora molti anni. Avrebbe dovuto continuare a sforzarsi di essere all’altezza del volere dei suoi e al contempo, stringere i denti a ogni schiaffo e pugno. Tutto finché lui non sarebbe riuscito nel suo intento.

Katsuki trasalì, agitandosi.

 ≪ Cristo. ≫ imprecò, stringendo le labbra in una smorfia e accarezzandoli esitante la testa. ≪ Non piangere, maledizione. ≫

Ma lei non ci poteva fare nulla. La sua mano era calda e pesante sulla nuca, senza pensare allungò la propria per afferrarli la t-shirt fra le dita tremanti.
≪ Ka-Kacchan ≫ pigolò così piano che non era sicura l’avrebbe sentita. La mano che l’accarezzava, la spinse ad avvicinarsi fino a poggiare la fronte contro la spalla di lui e rannicchiarsi fra le sue braccia. La lasciò sfogare, buttare fuori tutte le lacrime che si era sforzata di trattenere e che non si era resa conto di aver accumulato.

Alla fine, non era sicura di quanto tempo fosse passato, quando finalmente le lacrime si fermarono e poté sollevare la testa. Doveva avere un aspetto orribile, con gli occhi arrossati per tutte le lacrime versate e il sapore metallico del sangue sulle labbra.  

La t-shirt di lui aveva una grossa macchia scura. Laila la guardò, sfregandosi un occhio e la voce le tremò nel sussurrare. ≪ M-mi dispiace, ti ho bagnato la maglia. ≫

Lui scrollò le spalle, osservandola attentamente. Sembrava distratto da qualcosa. Aveva un’espressione cupa in volto e lo sguardo impenetrabile.
 ≪ Q-qualcosa non va, Kacchan? ≫ gli chiese, incerta. Lui la guardò per un attimo, prima di distogliere lo sguardo.

≪ Uhm, quella notte… ≫ borbottò, passandosi una mano sul collo e facendole balzare il cuore in gola. Quella notte. La notte in cui era stata scoperta dai suoi, la stessa in cui l’aveva baciato. Le guance gli presero letteralmente fuoco. ≪ S-si? ≫ sussurrò speranzosa.

Lui strinse le labbra per un’istante prima di lasciarsi sfuggire un sospiro. ≪ Non mi ricordo bene che è successo. Non è che ho fatto l’idiota, vero? ≫
Laila si irrigidì. Le labbra le si schiusero e la voce le tremò incerta. ≪ N-non ti ricordi? ≫

≪ Cazzo, ero ubriaco. Non mi ricordo proprio niente. ≫ sbuffò lui, lanciandole un’occhiata. ≪ Non ho fatto nulla di strano, no? ≫
≪ No. ≫ sussurrò, sentendosi sprofondare il cuore in petto. ≪ Non hai fatto niente. ≫

Un anno e mezzo dopo, Bakugou Katsuki entrò allo Yuei, l’accademia per heroes più prestigiosa del Paese.
 

---- Angolino Lacie ----

 
Questa one shots stava ad ammuffire da tempo nel mio pc. Si incastra in un lasso di tempo ben preciso, fra Brave Children e Dark Dream, che fanno sempre parte della storia di Hate You e Love You. (che prima o poi riuscirò a pubblicare per intero.)
   
 
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