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Autore: carachiel    05/12/2021    0 recensioni
"Quella risposta celata nella bottiglia, sigillata e affidata alle onde – alla casualità del destino, che gliel'aveva riportata indietro, quasi come se avesse chiesto di essere letta..."
Il rapporto di Kite e suo padre attraverso domande non fatte, risposte non ascoltate e un messaggio in bottiglia.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dr Faker, Kaito Tenjo/Kite Tenjo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Necessaria precisazione: questa one shot è stata in pausa un anno, mezza finita. Se in alcuni punti è nebulosa è un effetto metà voluto, metà no. Specifico anche che non ho voluto citare Hart per non rischiare di mettere troppa carne al fuoco. In ogni caso, buona lettura!





I should have known this right from the start
Only hope can keep me together
Love can mend your life but love can break your heart*

The Police, Message in a bottle



Se Kite, dall'alto del suo giudizio di bambino di dieci anni e fin troppo precoce per la sua età, avesse dovuto descrivere suo padre solo un'immagine gli sarebbe balzata alla mente: la sua schiena.
Non il volto, né l'espressione, neppure i modi, solo la schiena: quando era seduto alla scrivania a lavorare in casa, quando usciva, sempre più di frequente, anche quando, senza voltarsi e a volte senza parlare, solo con un'occhiata imperiosa – gli diceva di tacere.
E Kite taceva, senza domandare.
Senza avere la grazia di una risposta alle mille domande che poneva – e che aveva imparato a non considerare, come pure i dubbi che si rincorrevano nella sua mente.

E sempre più di frequente, gli capitava di domandarsi cosa pensasse quell'uomo che gli appariva così enigmatico, quali pensieri gli albergassero nella testa realmente.
Se fossero i medesimi che pure lo attanagliavano, e se ogni tanto lo pensasse – almeno quanto lui lo pensava.
Era frustrante.
E Kite, ormai abituato – nonostante tutto – a tale impossibilità comunicativa, aveva persino imparato a fare a meno delle parole e, se necessario, a farne un uso selettivo e accurato.
Almeno con lui, dato che, nei pochi casi in cui scambiavano qualche parola, suo padre era spesso taciturno, il più delle volte che scaturiva un dialogo era per questioni domestiche. Non domandava mai a Kite nulla più dell'essenziale, e il ragazzino aveva imparato a fare lo stesso – nutrendo verso il padre quella stessa sorta di timore riverenziale che gli ispiravano gli uomini importanti.

Quel giorno, pareva non essere stato diverso, finché suo padre, dopo avergli controllato i compiti in silenzio come era solito fare, non aveva proferito piano: "Kite, vieni qui, voglio dirti qualcosa."
E Kite aveva obbedito, piantandogli addosso i grandi occhi grigi, sperando finalmente di poter capire.

"Sai cos'è questo?" replicò, prendendo da un cassetto una bottiglia di vetro e porgendogliela.
Kite se la rigirò tra le mani: dentro c'era un foglio arrotolato, e il tappo della bottiglia era sigillato con della cera.
Scosse la testa, senza capire realmente: che nesso avevano una bottiglia e un pezzo di carta?
"È un messaggio in bottiglia. Su questo foglio ho scritto i miei sogni per te."
"Un messaggio in bottiglia... come quelli che scrivevano i naufraghi nelle isole deserte per essere salvati?" domandò il ragazzino, ricordando le illustrazioni dei libri di avventura che gli leggeva sua madre, anni prima.
Ma questo cosa c'entrava con suo padre? Lui non era un naufrago e non abitavano certo in un'isola deserta...
"Esatto. Voglio che lo conservi, fino a quando non ti dirò cosa farne, d'accordo?"
"Va bene."
Sul viso dell'uomo passò l'ombra di un sorriso mentre serrava la mano intorno a quella molto più piccola di Kite, e il ragazzino si domandò perché non lo potessero fare subito
Tuttavia, seppe soltanto rispondersi che quell' attesa doveva esser parte di qualcosa di importante – qualcosa di affine a un'onore.

E fece esattamente come aveva promesso, tenendo la bottiglia chiusa in un cassetto fino al giorno in cui suo padre dopo aver finito di lavorare lo passò a prendere, raccomandandogli di prenderla, cosa che il ragazzino fece con evidente entusiasmo.
Era deciso a prendere sul serio quel compito, se era l'unica cosa che rianimava suo padre dallo stato atarassico** in cui ricadeva a casa.
E lui sapeva che sarebbe stato così.


Scesero con cautela tutta la scogliera, mentre suo padre lo aiutata a superare i tratti più difficili e, una volta discesi si trovarono in una piccola caletta di sabbia dorata, intrappolata tra due imponenti faraglioni di roccia, non dissimili ai suoi occhi da giganti addormentati.
Kite si guardò intorno ipnotizzato, per poi notare la forma della baia e voltarsi verso il padre.
"Non c'era modo di arrivare da mare, vero?"
"Hai visto bene, effettivamente è difficile arrivare via mare"
"Okay, ma... Perché proprio qui?" disse, alzando un sopracciglio. Non era una scelta casuale, con suo padre non era mai nulla lasciato al caso.
"Perché qui, tanti anni fa, mi ci portò tua madre."
Annuì, solo in parte sorpreso dalla spiegazione, per poi tirare fuori la famigerata bottiglia dallo zaino e mostrarla "Ora, papà?"
"Un attimo ancora. Godiamoci il panorama" disse carezzandogli piano i capelli, per poi fare una paura e mormorare "Tua madre amava questo posto."
Il bambino volse allora gli occhi al mare terso, di una sfumatura appena più scura del cielo, il sole che si rifrangeva sulle onde calme creando scintillii simili a migliaia di pagliuzze dorate sparse e capì perché quella bottiglia così importante necessitava di un luogo parimenti importante.

Non molto dopo, suo padre gli fece segno che era arrivato il momento, indicandogli un punto nell'orizzonte e gli disse di lanciare la bottiglia forte, con più forza che poteva, oltre quel punto.
E Kite lo fece.
La bottiglia volò e roteò, fino a piombare con un spruzzo molto oltre il punto indicatogli, abbastanza da non farla catturare dalla risacca.
Una volta finito alzò di nuovo gli occhi grigi, fissando attentamente l'uomo e domandandosi perché sembrava come se suo padre stesse lottando per trattenere qualcosa dentro di sé.
Un segreto, forse, qualcosa che non voleva dirgli.
Tuttavia, non domandò.
Ed entrambi rimasero a guardare la bottiglia che veniva trascinata lentamente via dalle onde.

__________________________________

Solo ora, a quasi dieci anni di distanza, inginocchiato nella sabbia fredda, poteva darsi e dare una risposta definita a quella domanda inespressa – smarrita come quella bottiglia, in balìa delle correnti.

Più definita che definitiva, tuttavia.

Quella risposta celata nella bottiglia, sigillata e affidata alle onde – alla casualità del destino, che gliel'aveva riportata indietro, quasi come se avesse chiesto di essere letta.

Eppure, ora che l'aveva tra le mani, non aveva la forza di conoscerla.
Di stappare la bottiglia e leggere, pur avendola agognata.
Era troppo tardi.
Perché suo padre aveva già messo troppi muri, troppi segreti taciuti sulla sua vita e rinchiusi, perché avesse la forza di affrontarne le conseguenze.
Preferiva quella tranquilla inconsapevolezza al confrontarsi con un lato dell'uomo che aveva chiamato padre, che gli era estraneo – esattamente come lo era stato per lui – e come si era comportato negli anni a seguire.
Sempre più distante, freddo, mai prodigo di un gesto di affetto – quasi più alla stregua di un lontano parente che alla figura che avrebbe dovuto essere.

Tutto ciò in cui era riuscito, con lui, era stato fargli custodire i propri segreti, i propri sogni e aspirazioni, al prezzo di non averne di personali.
E Kite aveva convissuto con tale peso per fin troppo tempo, obbligato a calzare scarpe troppo larghe per inseguire il sogno di un'ombra.

"Non ti volterai mai più" mormorò, i denti serrati fino allo stremo e le dita strette intorno al collo freddo della bottiglia.
Si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloni sporchi di sabbia, per poi sollevare la bottiglia per guardare ancora il sottile rotolo di carta ingiallita all'interno.
"Mi dispiace, papà..." sussurrò, premendo le labbra contro il vetro umido e freddo. Il suo respiro affannoso si condensava in piccoli aloni bianchi sulla superficie.
"Non posso continuare a vivere nei tuoi sogni" concluse, per poi scagliare con forza la bottiglia verso il cielo e poi di nuovo nel mare color cobalto, perdendola di vista tra le onde che si inseguivano pigramente.

Avrebbe voluto sapere cosa ci fosse scritto, eppure era certo di non poterlo reggere, di non poter realizzare quei sogni, di continuare a vegliare su essi. Di esserne guardiano e non protagonista, come gli sarebbe spettato di ragione.

Aveva cominciato a piovere, si rese conto alzando la testa, una pioggia calda e odorosa di spezie, fatta di piccole, pesanti gocce che si infrangevano sulla battigia.
Alzò il colletto della giacca assentemente, per poi tornare indietro, sul bordo della scogliera da cui era venuto.
Si voltò solo un'ultima volta, a fissare il cielo che, rapidamente annuvolatosi, era diventato quasi della medesima cromìa del mare.
La linea dell'orizzonte era ormai quasi invisibile, come cancellata dalla mano di un pittore distratto, mentre crescenti raffiche di vento spazzavano la superficie dell'acqua scura.

"Tuttavia, questo non significa che tu non vivrai per sempre nei miei."



*Avrei dovuto saperlo sin dall'inizio
Solo la speranza mi può tenere insieme
L'amore può aggiustare la tua vita ma l'amore può anche spezzarti il cuore

** indifferente, immune da emozioni




Angolo Autrice: Dopo un blocco dell'ispirazione durato più di sei mesi ritorno a infestare questa sezione con una valanga di Angst (sono pur sempre la regina di questo genere, diamine!) e spero che questa vecchia one shot sia comunque di vostro gradimento ^^ se vi è piaciuta lasciate una recensione~
   
 
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