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Autore: Heresiae    03/09/2009    0 recensioni
[Star Trek Voyager] L'ammiraglio Janeway aveva disubbidito alla prima direttiva temporale tornando indietro nel tempo per cambiare il futuro. Lo aveva fatto per amore del suo equipaggio e dei suoi amici. Ma la prima direttiva temporale esiste per un motivo preciso: non si sa mai a cosa può portare lo stravolgere degli eventi. La Voyager è riuscita a tornare a casa in sette anni invece che ventitre, la missione dell'ammiraglio è riuscita. Ma forse non era ancora la sua ora.
A partire dall'ultimo episodio della serie, EndGame. Spoiler su tutta la serie.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sotto Attacco



Non vide assolutamente dove lo stavano portando.
Subito dopo essere stato infilato in sulla navetta, gli era stato servito un trattamento degno dei romulani. Quello che sembrava il capo, aveva sogghignato nel vederlo immobilizzato, ordinando ai suoi uomini di fargli “vedere come trattano gli sporchi ribelli come lui.”
I suoi uomini lo avevano preso molto sul serio.
Così, mentre veniva trascinato lungo qualche corridoio freddo e asettico, lui aveva il naso rotto ed entrambi gli occhi pesti.
Si fermarono, una porta si aprì con un fruscio.
- Sei arrivato maquis. –
Venne scaraventato in malo modo sul pavimento davanti a loro, la porta si richiuse.
- Tutto bene Chakotay? –
Chell e Tom si erano avvicinati a lui e lo stavano aiutando a mettersi seduto.
- Ti hanno maltrattano un po’ vedo. –
Lentamente, Chakotay aprì completamente gli occhi.
- Non ti preoccupare, è meno di quello che credono loro. –
Guardò meglio Tom, mentre si massaggiava una spalla.
- Anche con te non ci sono andati leggeri. –
Paris fece una smorfia e si tastò dove il calcio del phaser di uno dei soldati lo aveva convinto più volte a non cercare di raggiungere moglie e figlia.
- Dove sono B’Elanna e Miral? – Tom accennò un'alzata di spalla.
- Da qualche parte… qui in giro. –
Chakotay mise una mano sulla spalla di Tom.
- Le libereremo. –
- E come? Siamo qui da ore e non siamo riusciti ancora a trovare un passaggio. –
Chell indicò il resto dei suoi ex-maquis, che stavano perlustrando centimetro per centimetro la cella.
Erano un piccolo magazzino, completamente spoglio e privo di qualsiasi apertura, se non per le condotte di aerazione poste in alto, a quasi quattro metri da terra. Era molto freddo e umido.
Ayala li raggiunse.
- Abbiamo perlustrato questo posto tre volte, non c’è un’apertura, non c’è un pannello. Quella porta si apre solo da fuori e i condotti sono troppo piccoli anche solo per tentare di arrampicarci. –
Chakotay si guardò in giro e vide Gerron, uno dei maquis più giovani, piccolo di corporatura. Era sdraiato e teneva gli occhi chiusi.
- Anche per lui? –
- Ha ricevuto troppi colpi in testa, quando è arrivato non riusciva a starei in piedi. –
- Grandioso. –
Improvvisamente le luci si spensero, lasciandoli al buio. Tom saltò subito in piedi, agitato.
- Che diavolo succede?! –
- Siediti Tom. –
- Che succede?! –
Tutti cominciarono ad agitarsi e chiamarsi tra di loro, Chakotay dovette urlare per ristabilire l’ordine.
- Silenzio. Silenzio! State tutti zitti, ora! È un ordine! –
Quando ci fu di nuovo silenzio, Chakotay cercò di parlare con più calma e sicurezza possibile.
- È solo una tattica psicologica per stremarci. Altereranno il nostro ciclo sonno-veglia per disorientarci e renderci più vulnerabili. State calmi mantenete i nervi rilassati. Intesi? –
Qualcuno mormorò un assenso poco convinto. Chakotay diede alla sua voce un tono più intimidatorio.
- Non vi ho sentito bene? –
Questa volta risposero tutti - Sissignore! –
- Molto bene, ora trovatevi un punto di appoggio e riposate. Potrebbe servirvi. –
Fruscii sommessi gli fecero capire che stavano eseguendo l’ordine, cercando di non rompersi il naso a vicenda. Qualche esclamazione sommessa indicò che qualcuno c’era andato vicino. Chakotay cominciò a scivolare verso un ipotetico muro. Tom lo aiutò.
- Gran bel discorso comandante. Posso chiederle come mai è così esperto in tortura psicologica? –
- Assolutamente no, tenente. –

Kathryn Janeway faticava a stare ferma.
Il neo comandante di una classe di cadetti piloti, guardava il monotono paesaggio spaziale in direzione di Venere e sbuffava. Dentro di sé naturalmente.
Fino all’ultimo era stata tentata di rimandare indietro il guardiamarina o di dirottare la navetta verso la Voyager o a uno degli indirizzi dei membri del suo ex-equipaggio irreperibile. L’esperienza (e la paranoia) accumulata in anni di vicissitudine nell’ostile quadrante Delta però, le avevano insegnato a distinguere a colpo d’occhio le finte ombre e le finte navette private.
Avrebbero se non altro potuto lasciarle l’illusione di poter scegliere.
Così, ora era di fianco a una giovane guardiamarina, messa in agitazione da una nervosissima comandante della Flotta Stellare, che per qualche motivo a lei ignoto, detestava l’idea di un incarico all’Accademia per piloti della Flotta.
Ricordava ancora quando era un’ufficiale uscita da poco dall’Accademia: per lei e i suoi compagni, essere un giorno chiamati a dover tramandare le proprie gesta a dei cadetti, era il segno di essere entrati a far parte nella storia della Flotta Stellare.
Ora si chiedeva se fosse davvero così, o se anche i suoi insegnanti erano stati allontanati con gentile fermezza dai loro incarichi.
“E uomini.”
- Ah… mi perdoni signora, posso farle una domanda? –
A quanto pare, la ragazza non difettava in coraggio, sebbene fosse visibilmente terrorizzata.
- Solo se mi chiami comandante e non signora, guardiamarina. –
Sorpresa dal tono cordiale, l’ufficiale si rilassò e cominciò a fare domande.
- Ah… beh, com’è stato stare così tanto tempo a bordo di una nave, dispersi nello spazio? –
Sorrise.
- Difficile, ma non impossibile. –
- E com’è riuscita a mantenere l’ordine? Dovevate essere molto spaventati. –
- Sì, ma se ci si affida agli ideali della Flotta si riesce sempre a trovare una via di uscita e una soluzione per mantenere un equipaggio della Flotta Stellare, tale. –
- Ma, insomma, dev’essere stato un po’ più complicato. A bordo avevate dei—
- Dei maquis? –
Janeway finì per lei la frase. Ora aveva un tono gelido e non sorrideva più della curiosità della ragazza che, accortasene, si irrigidì.
- Sì comandante. –
- Come ti chiami guardiamarina? –
- Elwood, Janet Elwood. –
- Dimmi Janet Elwood, pensi che sia stato difficile perché a bordo avevamo dei maquis? –
Il guardiamarina deglutì.
- Sì comandante. –
- E perché lo pensi? –
- Perché sono… ribelli. Ribelli violenti, terroristi. –
Janeway la guardò. Probabilmente la ragazza era uscita dall’accademia solo qualche mese fa, se non meno. Subito la mente le andò ad Harry Kim e a come aveva fatto subito amicizia con Tom Paris e anche il resto del nuovo equipaggio maquis.
Si chiese cosa poteva essere successo in quegli anni, per formare dei giovani così prevenuti al punto di non accettare l’idea di poter collaborare con persone diverse o addirittura nemici, in caso di bisogno.
- Eravamo dispersi dall’altra parte della galassia, guardiamarina. La nave maquis era andata completamente distrutta nel tentativo (riuscito) del comandante Chakotay di sventare un attacco da parte di una razza aliena. Per inciso, il comandante Chakotay rischiò seriamente la sua vita per metterci in salvo. Ho integrato i maquis nell’equipaggio della Voyager perché ci sarebbero voluti molti, molti anni per tornare a casa, più di quelli che abbiamo impiegato. Molti di più. Crede che avrei fatto meglio a tenerli sotto custodia per anni invece di instaurare una sana e fruttuosa convivenza? –
Il guardiamarina guardava fissa davanti a se, pallida. Quando si accorse che il comandante voleva che le rispondesse si agitò e cominciò a guardare prima lei e poi i comandi, a scatti.
- Ah… io beh, non saprei… io, non lo so. Mi sono sempre parsi… pericolosi ecco. Ma io… non sono un ufficiale al comando. Non saprei proprio, no. –
- Ma un giorno potrebbe esserlo guardiamarina e quel giorno, sarà chiamata a prendere decisioni che cambiano la vita delle persone e dovrò prenderle con tutte la cognizioni di causa. Ha capito bene? –
- Sissignora. –
Stettero in silenzio qualche secondo, poi la ragazza parlò di nuovo.
- Comandante, io, mi scusi, posso parlare? –
- Certo guardiamarina. –
- Ecco io, non volevo sembrare intollerante, è che mi hanno raccontato cose davvero pessime all’Accademia sui maquis. Cose terrificanti. –
Janeway si accigliò.
- Quali cose? –
- Beh, - la ragazza sembrava imbarazzata, - torture, principalmente e rapimenti, di bambini. Di persone giustiziate senza pietà, di notte davanti alla famiglia. Di tutti i tentativi fatti per sovvertire l’ordine della Flotta, in segreto—
- Chi vi ha raccontato queste cose? –
- Il… colonnello Wellington, quando è venuto a farci lezione di guerriglia, all’Accademia. –
Kathryn era basita, e non riusciva a nasconderlo.
- Si sente bene comandante? –
- Non è assolutamente vero! Nessun maquis farebbe una cosa del genere! –
- Comandante? –
- I maquis non hanno mai compiuto simili gesti, sono pure illazioni. Bugie che—
Il comunicatore cominciò a segnalare un messaggio in arrivo.
- Richiedono una comunicazione. È per lei comandante. Dalla… Voyager! –
Janeway la guardò sorpresa un attimo, poi attivò il comunicatore dalla sua postazione. Il dottore apparve nel piccolo schermo ovale tra i comandi. Aveva la divisa da capitano.
- Dottore. Che succede? –
- Salve capitano. Io… sono nei guai ecco. Oh! Vedo che l’hanno promossa, congratulazioni!
- Sì grazie. Ma che succede?! –
- Ecco siamo, sono, sotto attacco. –
Un potente scossone della nave sottolineò le sue parole.
- Vede? –
- Ma perché? Che cos’ha fatto?! –
- Beh ecco, io mi sono rifiutato di consegnarmi assieme alla Voyager per… l’analisi completa. Ecco tutto. –
Janeway rimase interdetta un attimo.
- E con ciò? –
- E con ciò… non hanno gradito. –
- Chi? –
- I soldati venuti a prendermi. –
- I soldati? –
- Sì, ha presente? Fucili phaser, divise da combattimento? Pessime battute e atteggiamenti sbruffoni? Soldati!
Janeway non riusciva a capire.
- E perché mai hanno mandato dei soldati a prendere in consegna una nave vuota? –
- Non lo so. So soltanto che quando sono arrivati i comandi della nave erano bloccati e loro sono saliti a bordo con l’autorizzazione, che io non avevo. E che mi hanno ordinato di spegnermi per essere trasportato e analizzato in uno dei loro laboratori, dove sarei stato smontato algoritmo per algoritmo. E con diversi epiteti offensivi devo dire. Ah! Mi hanno anche detto, che se facevo il bravo, avrei avuto il privilegio di aiutarli a esaminare i borg. Così hanno detto, parola per parola. –
Kathryn sbiancò.
Il suo cervello fece immediatamente tutti i collegamenti necessari, come se li avesse sempre saputi. Non perse tempo a chiedersi se fosse effettivamente così.
- Hanno Icheb e Sette. Dottore! Vogliono sezionare Icheb e Sette! –
- Tra poco lo faranno anche con me se non mi aiuta! –
Altri scossoni alla nave, la voce del computer della Voyager annunciò impassibile: Scudi scesi al settantotto per cento.
- È un bel po’ che si balla qui.
Kathryn non perse tempo.
- Guardiamarina. Inversione di rotta, ora. –
- Ma, comandante! –
- È un ordine guardiamarina! –
- Sissignora. –
- Stia tranquillo Dottore, sto arrivando. Lei cerchi di non lasciargli danneggiare troppo la mia nave nel frattempo. –
- E come faccio scusi? –
- Spari, Dottore. –
- Ah! Giusto. –
La comunicazione si chiuse.
- C-comandante? –
- Si guardiamarina. –
- Lei, è sicura che disobbedire agli ordini sia una buona idea? –
Kathryn fisso lo spazio, le stelle e Venere, proprio di fronte a lei.
- Spinga sull’acceleratore guardiamarina. Ho una nave da salvare. –

B’Elanna era furiosa.
B’Elanna era furiosa e affamata.
B’Elanna era furiosa, affamata e preoccupata da morire per sua figlia.
Una concentrazione di furia assassina e istinto di conservazione klingon, stava attualmente tenendo alla larga le sue compagne di cella, che cercavano di tranquillizzarla.
- B’Elanna, per favore, siediti. Non risolvi niente camminando per tutta la cella come una belva in gabbia. –
- È quello che sono Mariah. –
Diede un calcio alla porta. L’ennesimo a giudicare dalle impronte sul metallo, assolutamente integro.
- Da quanto ci tengono qua?! Mi sembrano già giorni! –
La luce si era spenta e riaccesa già due volte. Loro sapevano bene che potevano essere passati solo pochi minuti, ma non avendo riferimenti temporali, il tempo soggettivo li aveva dilatati in ore. Sempre che non lo fossero davvero.
- Calmanti e siediti, ti prego. –
Erano in poche. Quando erano partiti per le Badlands, erano di più, ma il quadrante Delta le aveva un po’ decimate. Erano solo in quattro ora.
- Milla non c’è. –
- Lei è tornata alla sua colonia subito dopo il rientro della Voyager. Forse non sono riusciti a prenderla. –
- Già. Lei aveva più possibilità di fuga stando a casa sua. –
Diede un altro calcio alla porta, maledendosi per la sua idiozia. Perché Miral si era accorta del pericolo e lei no?
La luce si spense di nuovo.
B’Elanna trattenne l’urlo di sconforto che le era salito in gola. Se le stavano ascoltando, non avrebbe dato loro la sensazione di essere riusciti a piegarla.

Harry era euforico. Il suo nuovo incarico era lo stesso del precedente, ma era su una nuovissima nave da combattimento, con una postazione completamente rinnovata, più mansioni e decisamente più considerazione da parte dell’equipaggio femminile.
Turkinton lo aveva accolto con calore, mostrandogli lui stesso la postazione. Erano in attesa di ordini di missione e l’atmosfera era rilassata. Tutte le procedure di routine erano state eseguite, i motori erano in standby. L’equipaggio di Turkinton non solo era composto interamente da persone molto giovani, ma era così efficiente, che dovevano inventarsi degli incarichi per tenersi occupati. L’addetto alla sicurezza, stava giocando con il pilota a indovinare quale spia del suo pannello si sarebbe accesa per prima.
- Non farci caso. Loro sono i più scarsi a inventasi dei passatempi. Gli altri sono più originali. –
- Non gli piace il ponte ologrammi? –
- Ho fatto smantellare il ponte ologrammi. Distraeva troppo e creava fastidiose dipendenze. A lei non piace, vero? – Harry si sentì arrossire.
- Chi? Io? No di certo. –
- Bene. Buon lavoro allora. –
Kim osservò il suo nuovo capitano sparire nel turbo ascensore, mentre due ufficiali fissavano ostinatamente il pannello di comandi muto.
Se Tom fosse stato lì con lui, probabilmente avrebbe già dato le dimissioni.

Shala si alzò di scatto.
Il cane della famiglia di Tuvok, era stata tranquilla per tutta la colazione ai piedi del nuovo padrone che non conosceva, ma a cui aveva deciso di obbedire incondizionatamente. Però ora era in piedi e fissava ostinatamente lo studio.
- Shala, cos’hai? –
La figlia di Tuvok si alzò da tavola per raggiungerla.
- Torna a tavola Asil. Non abbiamo finito di mangiare. –
Tuvok non aveva apprezzato l’ingresso dell’animale nella famiglia. Sebbene fosse un cane molto ubbidiente e docile, a volte indisciplinava i ragazzi. Ma non se l’era sentita, dopo tutti quei anni in cui non li vedeva, di togliergli il cane come prima azione da padre.
- Papà, credo che ci sia qualcuno nello studio. Shala è agitata. –
- Non c’è nessuno nello studio, ho chiuso la porta. –
Suo figlio si alzò per andare dalla sorella.
- Shala è un cane molto intelligente papà. Non ha mai sbagliato fin’ora. –
Tuvok si alzò preoccupato e anche la moglie, che guardò.
- Che significa? Ci sono stati degli estranei qui? –
- Due volte, alieni. Erano ladri. –
- Strano. –
Tuvok fece segno ai figli di stare indietro mentre avanzava verso lo studio, afferrando il pasher. Fortunatamente, non aveva perso l’abitudine di portarlo con se.
T’Pal, si mise tra lui e i figli.
Deciso e silenzioso, aprì la porta di scatto e puntò l’arma.
Un uomo completamente vestito di nero, con passamontagna e visore esterno, era chino sul comunicatore della sa scrivania. A prima vista, sembrava indossare una spessa corazza da combattimento su tutto il corpo.
- Allontanati subito da lì. –
L’uomo lo guardò sorpreso, poi si chinò di nuovo sul comunicatore.
Tuvok lo colpì con il pasher in una piega tra il mento e il torace.
Settato solo per stordire, l’uomo cadde a terra
Tuvok lo raggiunse e lo esaminò, levandogli il cappuccio. Era un terrestre. Addosso aveva una chiave per trasferimento dati.
- T’Pal, chiama la sicurezza. C’è un intruso e non sembra un semplice ladro. -
I suoi figli lo raggiunsero sulla porta mentre lui andava al comunicatore.
Era aperto su una comunicazione che aveva ricevuto poco fa, ma non aveva sentito arrivare. Lo schermo chiedeva conferma per la cancellazione del dato. Tuvok annullò.
Quella che aveva davanti, era l’analisi che Icheb aveva condotto sui sistemi ausiliari poco prima di essere trasferito all’accademia della Flotta. C’era anche un suo messaggio. Per la prima volta da tempo, Tuvok sentì chiaramente dentro di sé, le avvisaglie di quelle che una volta chiamava “agitazione”.
Pessimo segno.
- Tutto bene papà? –
Shala puntava il muso contro l’intruso, facendo da scudo ai ragazzi, ringhiando leggermente a ogni suo respiro.
Decisamente, si era guadagnata il diritto di restare.

Luce.
Senza una ragione precisa, pensò di aver sempre tenuto gli occhi aperti.
Provò a sbattere le palpebre ma le risultò impossibile. Qualsiasi movimento corporale le risultava impossibile.
Cercò ugualmente di mettere a fuoco quello che vedeva: pannelli, travi illuminati da luce bianca molto sparata, era un soffitto.
Almeno aveva una coordinata spaziale: era sdraiata.
Continuò a mandare impulsi elettrici ai suoi muscoli, senza ottenere successo: era completamente paralizzata.
Subito, la sua fredda lucidità borg si ritrovò a combattere contro l’attacco di panico dell’essere umano. Impossibilitata ad aumentare la propria capacità polmonare, si ritrovò quasi subito in deficit di ossigeno. Mentre il panico la soffocava lentamente, continuò a pensare a un modo per riavere il controllo delle proprie funzioni vitali. Stava sfocando tutto, lentamente. I polmoni le facevano male.
Da lontano, le giunse un suono intermittente molto acuto.
La luce cominciò a sparire. Sentì chiaramente le lacrime scivolarle lungo la tempia.
Proprio mentre il dolore al torace si faceva insopportabile al punto da farle perdere completamente conoscenza, sentì il proprio petto gonfiarsi e la gola incanalare velocemente aria, più volte.
Istintivamente, scattò in avanti portandosi una mano alla gola, occhi chiusi, inspirando furiosamente.
- Iniettalo anche all’altro e poi legalo. Non voglio rischiare. –
Non appena fu in grado di farlo, aprì lentamente gli occhi, continuando a incanalare aria in più, come a volerne fare scorta.
Non vedeva ancora bene dove si trovava, ma aveva tre uomini intorno, che la osservavano. Era sdraiata su un lettino da diagnosi, ma sembrava diverso, modificato. Un quarto uomo stava iniettando qualcosa con l’ipospray a Icheb.
Erano tutti armati.
- Chi siete… ? – non aveva mia sentito la sua voce risuonare così roca.
L’uomo di fronte a lei sorrise.
Sette cercò di calmarsi e sollevò abbastanza il viso da riuscire a metterlo a fuoco.
Capelli scuri, rasati, portamento militare, sguardo arcigno.
- Dove sono? –
Anche gli altri avevano le medesime caratteristiche, cambiavano solo i lineamenti.
Icheb era ancora sul suo lettino, addormentato. Non si doveva essere accorto di niente.
- L’altro è a posto. –
- Meno male. Se me li aveste danneggiati avrei potuto arrabbiarmi e molto. –
I quattro si girarono verso la voce sconosciuta.
Un uomo basso, mal rasato, con i capelli arruffati e un paio di occhiali spessi, la guardava intensamente. La sua incuranza personale contrastava incredibilmente con l’accuratezza del suo vestiario, perfettamente in piega, senza una grinza.
L’uomo le si avvicinò e la squadrò da vicino.
- Io sono il dottor Menhelive cara e mi prenderò cura di te per un po’. –
Sette lo guardò sconcertata.
- Mi dispiace cara, ma il tempo delle domande non è previsto. –
Afferrò un ipospray e le iniettò qualcosa nel collo. Subito Sette si accasciò sul lettino, addormentata.
- Controllate l’altro, dategli una nuova dose di sonnifero, non voglio che si svegli prima del dovuto. –
Uno degli uomini annuì. Quello che stava di fronte a Sette di Nove, la guardava disgustato.
- Non faccia quell’espressione colonnello. Sarà per merito di questa creatura se riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo. –
- Sarà, ma non mi piace dover dipendere da… quest’essere. –
- Si ricordi che quest’essere era un essere umano prima di cadere nelle mani dei borg. E ora mi scusi colonnello, ma avrei da fare. –
L’uomo si voltò e se ne andò senza salutare, non prima di aver lanciato la stessa occhiata disgustata a Icheb.
Se fosse stato per lui, li avrebbe eliminati appena presi in custodia. Ma gli ordini erano altri e gli ordini non si discutevano.

Reginald Barclay aprì gli occhi.
Neelix il suo gatto, stava facendo le fusa proprio a un centimetro dal suo naso, evidentemente desideroso che si svegliasse.
- Buongiorno Neelix. –
E si girò dall’altra parte.
Senza smettere di fare le fusa, Neelix lo scavalcò per raggiungere il suo viso dal lato opposto, aumentando l’intensità delle fusa.
Barclay si girò di nuovo.
Il gatto cominciò a leccarlo dietro l’orecchio.
Reginald si infilò sotto le coperte.
Neelix andò a sedersi sulla sua faccia.
- Neelix!! –
Barclay scostò gatto e coperte, con l’unico risultato che Neelix lo raggiunse per aiutarlo a velocizzare le operazioni di risveglio, nel dettaglio, gli stava leccando la faccia.
- Va bene. Va… va bene! –
Reginald rotolò fuori dal letto, seguito dal gatto baldanzoso.
- Potresti essere più fastidioso solo con un pasher e una divisa da capo camerata. –
Andò in cucina e versò al suo gatto la razione mattutina di latte e croccantini, poi si diresse verso il bagno, non prima di aver disoscurato i vetri ammirando la vista dal suo appartamento.
Ci si era trasferito da poco, grazie alla promozione avuta in seguito al successo del progetto Pathfinder e ne era entusiasta. Era al ventitreesimo piano di un grattacielo residenziale con vista sull’accademia. Si vedeva anche l’hangar in cui era stata riposta temporaneamente la Voyager.
Era uno spettacolo svegliarsi al mattino con quella nave sotto gli occhi. Gli dava un profondo senso di soddisfazione e autostima.
I vetri lasciarono trapelare lentamente la luce, rivelando il panorama, mentre si stirava alla luce del mattino.
Raginald Barclay spalancò occhi e bocca, bloccandosi a metà movimento.
La Voyager, la nave che aveva faticato anni a ritrovare, con cui aveva instaurato un rapporto affettivo a distanza e ravvicinato poi, era sotto attacco.
Diverse navette nere e strane la circondavano, bersagliandola coi pasher. Vide la nave rispondere al fuoco e l’arrivo di un incrociatore del tutto deciso a impedire alla Voyager qualsiasi manovra. Davanti a un esterrefatto Barclay, la Voyager si sollevò, speronò alcune navette facendole precipitare e fuggì nello spazio, inseguita da tutte le altre.
Reginald era completamente incapace di muoversi.
- Computer? –
Il computer confermò la sua presenza.
- Attivare comunicatore. Chiamare l’ammiraglio Paris sulla linea privata. Classificazione urgente. –
Il computer confermò.
Tre secondi dopo, l’ammiraglio Paris vestito solo per metà, osservava la schiena di Reginald Barclay ancora inchiodato davanti alla vetrata.
- Allora Barclay, cos’è tutta questa urgenza?
Barclay si voltò lentamente, pallidissimo.
Non aveva la più pallida idea di come comunicarglielo.

Jenaway aveva raggiunto la Voyager.
Intorno a lei, si stavano dispiegando diverse navi da combattimento tutte con le armi attivate.
- Comandante, non credo che possiamo andare oltre. –
- Apra un canale verso tutte le navi. –
Aspettò la conferma del guardiamarina, poi parlò.
- Sono il tenente comandante Kathryn Jenaway. Qualsiasi cosa sia successa con il mio medico di bordo posso risolverla pacificamente. Lasciatemi salire a bordo. –
I pochi istanti che separarono la fine delle sue parole alla ricezione di una nuova comunicazione, sembrarono infiniti alle due donne.
- Comandante, una comunicazione da parte della Torpedo. –
- Sullo schermo. –
- Qui il capitano Jansten. Si ritiri immediatamente comandante. Questo non è affar suo.
- Con tutto il rispetto parlando capitano, è affar mio. Quella nave è stata mia per sette anni e il medico olografico mi ha ubbidita fedelmente per tutto quel tempo. Sono sicuramente la persona più indicata per trattare. –
- Noi non vogliamo trattare comandante.
- Come? –
- Ha sentito bene. Ora si ritiri. La sua autorità sulla Voyager le è stata revocata. Raggiunga il suo nuovo incarico immediatamente o sarò costretto a considerarla ostile.
Janeway guardò il guardiamarina, incredula per quel che aveva appena sentito, ma la ragazza era sconcertata quanto lei.
- Capitano, non ho intenzioni ostili. Sono qui solo per—
- Ha due minuti comandante.
La comunicazione si chiuse.
- Stanno puntando le armi contro di noi comandante! –
Janeway guardò le navi che circondavano la sua nave, poi la Voyager.
Se fosse stata nel Quadrante Delta, avrebbe saputo subito che cosa fare.
- Comunicazione in arrivo comandante. Da vulcano. –
- Sullo schermo! –
- Comandante. –
- Ha un minuto e mezzo Tuvok. –
- Ho ricevuto le analisi di Icheb. Qualcuno ha tentato di trafugarle dal mio comunicatore. Le notizie non sono delle migliori. –
- In fretta Tuvok. –
- Qualcuno ha modificato le subroutine della nave per invadere il sistema di controllo centrale e modificare le autorizzazioni di accesso. Secondo questi dati, la nave era inaccessibile a ogni membro dell’equipaggio.
- E chi aveva l’autorizzazione? –
- Non lo so. Ma ci sono dati di ingressi non autorizzati registrati la sera stessa del nostro ritorno sulla Terra. Erano preparati.
- Trenta secondi comandante. –
- Tuvok, mi raggiunga il più presto possibile sulla Terra. Io vado a salvare il Dottore. –
- Come? –
- Ora Tuvok! –
- Comandante? –
- Guardiamarina, faccia inversione di rotta e raggiunga Venere. Poco prima di attivare il motore ad impulso, mi teletrasporterà sulla Voyager. Ha capito? –
- Comandante! –
- Ora guardiamarina. –
La ragazza, attivò i motori ad impulso e si allontanò dall’assembramento.
Pochi istanti più tardi viaggiava a velocità di curvatura in direzione dell’Accademia dei piloti su Venere, sola.
- È stato un onore conoscerla comandante. –

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Lo spazio dell'autora

Devo essere una delle autrici più incostanti... purtroppo trovo il tempo di seguire questa storia solo in concomitanta di eventi favorevoli (a lei, non a me), che sono un lavoro noioso e al pc. Devo ringraziare Lord Martiya e Cassiana per le precisazioni, che mi sembra di aver corretto già all'epoca, e che prego di continuare a correggermi! =)
Fortunatamente il seguito della storia mi è rimasto in testa, si spera che un giorno finirà (ma non quando avrò raggiunto l'età attuale del capitano...). Il problema che è ora, dopo anni di elucubrazioni, non so più se avere una solo FF o due... si vedrà.
Buona lettura ^^

H.

  
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