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Autore: ScarlettRose    03/09/2009    7 recensioni
"Comunque sia, Charles, la nostra storia era già complicata prima che io partissi, immagina ora che c’è Abbie.” Mi voltai a guardare il panorama e decisa a chiudere lì quella conversazione, “è tutto diverso” aggiunsi e capì che per quella sera non avrei più parlato di Eric. - Questo è un pezzo tratto dalla mia one shot (la prima che pubblico!!) spero vi piaccia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapore di limoni.

Hollywood.
La grande scritta si estendeva con tutta la sua luminosità e con tutte le sue promesse a pochi chilometri dalla mia casa e ogni sera mi piaceva rilassarmi sul mio terrazzo e ammirarla. Era una sensazione incredibile sentirsi arrivati, sapere che i miei sogni erano lì a due passi da casa mia e che ogni giorno potevo viverli. Certo sentirsi arrivati a diciannove anni per molti era una cosa strana e molte riviste all’inizio della mia carriera negli Stati Uniti mi avevano definito una  solo “meteora”- la ragazzina talentuosa  che arrivava dall’estero pronta a sorprendere nei suoi due, massimo tre film, per poi scomparire del tutto. Le loro aspettative ma non le mie. Quando avevo accettato di trasferirmi in America per il mio primo film avevo ben stampato in mente cosa ne sarebbe stato della mia vita, avevo intenzione di sfondare, di essere una vera stella come lo ero stata nel mio paese e di diventare una grande attrice internazionale.
Il mio primo debutto sul grande schermo americano si era trasformato prestissimo in un grande successo e i due o tre film a cui secondo alcuni ero destinata ne divennero ben presto cinque e poi nove e poi venne un grande contratto per una famosissima serie televisiva, senza contare le mie apparizioni strapagate in video musicali. Ben sette premi in cinque anni. Mi aspettavano ancora altri due film, oltre la mia serie e un contratto da ultimare per un nuovo personaggio. Non potevo desiderare nient’altro. A volte si sentiva ancora parlare del mio burrascoso primo anno tra le celebrità, ma ormai non mi dava più fastidio. Avevo fatto degli errori e avevo imparato ad accettarne le conseguenze e, come diceva il mio manager, a volte la cattiva pubblicità è quella migliore. Era vero. La mia “cattiva pubblicità” mi aveva consentito di fare molti stop pubblicitari per poi rilanciarmi nel mondo dello spettacolo. Nonostante tutto non riuscivo a pentirmi. La mia vita era perfetta così com’era. Certo, spesso mi capitava di chiedermi cosa sarebbe successo se non avessi accettato di girare quel film. Sarei rimasta a casa, con mia madre, avrei continuato la mia carriera limitatamente al mio paese e mi sarei chiesta per sempre cosa avrei potuto diventare. Non era adatta a me una vita di rimorsi, avevo bisogno di volare via. Come un flashback mi tornò in mente l’unica ragione per cui avrei rinunciato, l’unica persona. Se solo me lo avesse chiesto, avrei rinunciato a tutti i miei sogni per lui, per i suoi occhi; li ricordo ancora, così lucidi, nel giorno dell’addio...
Mi accesi una sigaretta e aspirai lentamente concentrandomi sul panorama. Non aveva senso rimuginare sul passato. Dovevo concentrarmi sul mio presente e futuro, erano molto più importanti.
“Sana”, la voce del mio manager giunse dietro di me, “tra un’ora abbiamo un’intervista e subito dopo hai un party in piscina a casa di Diana.”
“Mi ero completamente dimenticata del party. Devo proprio andarci?” chiesi spegnendo la sigaretta.
“Abbiamo già confermato la tua presenza.”
“Già. Va bene, allora devo trovare un vestito.”
“Ci ho pensato io, troverai tutto nella tua stanza. Ora sbrigati, tra mezz’ora dobbiamo essere allo studio per il trucco e i capelli.”
“Robbie, non so proprio cosa farei senza di te.” Corsi a dargli un bacio sulla guancia e come ogni volta che gli mostravo il mio affetto, si sciolse in un sorriso soddisfatto.
“Forse non ti pago abbastanza.”
“Forse è vero.” Disse ridendo.
Tornai in casa seguita da lui. “Abbie?” chiesi mentre mi dirigevo nella mia camera.
“Passiamo a prenderla al ritorno, sta ancora girando.”
“Perfetto. Faccio in un attimo.” Facendogli l’occhiolino chiusi la porta e poi mi girai ad ammirare il bellissimo vestito verde acqua che c’era sul mio letto. Robbie sapeva bene i miei gusti. Soddisfatta della sua scelta andai in bagno per gettarmi sotto la doccia. Un’altra serata fantastica stava per cominciare.
***
“Papà hai preso tutto?” gridò mia sorella in fondo alle scale.
“Quasi. Non riesco a trovare i passaporti.” La voce di mio padre giunse lontana.
“Li ha già presi Eric.” La sentì arrivare nel soggiorno dove mi trovò sdraiato sul divano a sfogliare una rivista.
“Li hai presi tu, vero?”
Le mugolai di averli messi nella sua borsa e continuai a leggere la rivista. Mio padre scese di tutta fretta le scale. “Muoviamoci, l’aereo parte tra mezz’ora.”
“Eric, invece di startene lì a non far niente perché non carichi le tue valige in macchina?”
“Mh.” Posai la rivista sul divano e mi alzai.
“No, quella dammela. Così in aereo avrò qualcosa da fare.”
Le lanciai la rivista e andai ad aiutare mio padre a caricare le ultime cose. Questo viaggio a Los Angeles era arrivato all’improvviso. Papà aveva comprato il biglietto giusto della lotteria per caso, non era stato mai un appassionato di queste cose. Mentre andava a prendere il suo quotidiano, però, un giorno senza motivo aveva deciso di tentare la fortuna. Certo non era il primo premio in contanti, ma eravamo stati felicissimi di quel secondo premio, anche perché non capita di andare tutti i giorni a Los Angeles gratis. Io ero quello che mostrava di meno la sua felicità ma di sicuro ero il più emozionato di tutta la famiglia. Los Angeles, Hollywood, le celebrità e ovviamente lei. Erano passati cinque anni, ma non l’avevo mai dimenticata, tenevo il suo ricordo segretamente custodito nel mio cuore. Non lo avevo detto mai a nessuno perché mi sembrava stupido che un ragazzo di diciannove anni fosse legato ancora alla sua cotta dei quattordici anni, ma lei era stata l’unica in grado ad aprire il mio cuore. Molte cose erano cambiate da allora. Dal giorno della sua partenza l’avevo sentita solo una volta, mi aveva chiamato per dirmi che il viaggio era andato bene e dopo quella breve telefonata tra due estranei non l’avevo sentita mai più. Né tanto meno avevo tentato di ritracciarla. Volevo solo cancellarla. Avevo provato a dimenticarla dopo la sua partenza con non poche ragazze, all’inizio mi informavo su ogni sua mossa in seguito avevo cominciato ad evitare tutto ciò che parlasse di lei e avevo pregato anche i miei familiari e i miei amici di non fare più il suo nome in mia presenza. Avevano accettato con qualche dubbio, ma a me andava bene così. Avevo bisogno di non sentire più il suo nome per dimenticarla, non volevo saperne più nulla. Non compravo più riviste, non guardavo più la tv e mi allontanavo subito appena un estraneo pronunciava il suo nome o perfino quando vedevo una sua foto su un manifesto. E quando pensavo di essermi liberato del suo spettro un giorno come tutte le cose inaspettate giunse la sua immagine, come un fulmine a ciel sereno. Quel giorno forse è stato il peggiore di tutta la mia vita e ricordavo perfettamente ogni dettaglio di quella giornata.
Mia sorella ed io eravamo usciti a fare spesa e aveva insistito tanto per fermarsi in un’edicola per comprare l’ultimo numero di “Dolci e dolcetti”, aveva intenzione di preparare a papà una torta con i fiocchi per il suo compleanno. La vidi uscire dal negozio con più di un giornale, avevo subito riconosciuto una foto di Rossana, ma cercai di fingere indifferenza. Erano ormai due anni che non sapevo più chi fosse. Ma quella sola foto mi fece scattare qualcosa dentro. Rimasi in silenzio per tutto il percorso fino a casa. Una volta arrivati aiutai mia sorella a svuotare le buste e sistemare tutto, dopodiché fuggii in soggiorno a guardare un film. Mia sorella mi raggiunse dopo un po’ in silenzio con la sua rivista. Incapace di resistere mi voltai, volevo guardarla, sapere com’era diventata, se era accaduto qualcosa di straordinario nella sua già straordinaria vita da star. In copertina c’era lei in tutto il suo splendore, con i capelli più corti, truccata e curata, sorrideva mentre abbracciava una bambina.
Nelly si accorse subito del mio sguardo ma non disse nulla, memore della sua promessa. Fui io a farle la fatidica domanda.
“Stai leggendo di Sana?”
“Sì.” Disse senza dar cenno di voler continuare la conversazione.
“Sta girando un nuovo film?” chiesi cercando di mantenere calma la mia curiosità.
“Due nuovi film, sembra che le cose le vadano benone.” Si nascose dietro la rivista.
“È bellissima.” Dissi con un sorriso malinconico e notai il suo goffo tentativo di coprire la copertina.
“Non fa niente, Nelly. Ormai l’ho vista.”
“Già…” biascicò.
“Chi è la bambina con lei?” chiesi cercando di cambiare argomento.
Abbassò la rivista, decisa. “Eric, credo che sia giusto che tu lo sappia. Ormai sono passati due anni e ci hai sempre pregati di non dirti nulla e sono davvero sbalordita dalla tua ferma decisione di non voler sapere nulla di lei. Mi sembra davvero incredibile che tu l’abbia tenuta così lontana, ma ci sei riuscito. L’hai cancellata. Sappi però che per lei la vita è cambiata molto, ci sono stati avvenimenti che non ti saresti mai aspettato e che forse potrebbero ferirti. Quindi dimmi se davvero vuoi sapere cosa sta succedendo ora nella vita di Sana.”
Un tuffo al cuore. Proprio per questo non avevo mai voluto sapere i pettegolezzi sulla sua vita privata. Un nuovo amore, lei che si lascia fotografare con il suo nuovo ragazzo. Mi avrebbe fatto male vedere com’era bella, felice e soprattutto come si era dimenticata di me mentre per me lei era stata sempre in cima ai miei pensieri. Ma doveva succedere prima o poi. Annuii pronto a ricevere quel colpo.
“La bambina in foto con Rossana è Abbie, sua figlia.”
A questo non ero pronto. Sprofondai. Non era possibile. Non poteva avere un figlia, aveva solo sedici anni. Forse non avevo sentito bene.
“C-cosa?”
“Ha un anno è mezzo. Sana ha avuto una burrascosa storia d’amore con un ragazzo un po’ più grande, qualche mese dopo essere arrivata negli Stati Uniti quando tu hai deciso di non volerne sapere più niente. Era su tutti i giornali, poi è arrivata la notizia che si erano lasciati e dopo che lei era... beh...”
“Come può avere una figlia? Ha sedici anni!” ero incredulo e sconvolto.
“Sì, è una storia che ha fatto scalpore. Ne parlavano tutti... è stato davvero incredibile che tu non ne abbia sentito parlare prima.”
Rimasi a fissarla a bocca aperta e con il cuore in mille pezzi. Le strappai la rivista di mano e guardai la foto del mio unico amore mentre abbracciava sua figlia.
“La star internazionale Rossana Smith ci racconta com’è essere mamma a soli sedici anni”, diceva la didascalia. Guardai la bambina. Abbie aveva i suoi stessi lineamenti, i capelli di un castano scuro e gli occhi azzurri, forse come il padre. Guardando quell’immagine ebbi la piena consapevolezza che ormai l’avevo persa del tutto.
Da quell’avvenimento erano passati altri tre anni. Anche se sapevo che non avrei mai potuto riaverla speravo perlomeno di poterla rivedere in carne e ossa. Non l’avevo mai dimenticata nonostante tutto.
***
“Mamma, dove andiamo?” chiese Abbie affianco a me nel seggiolone mentre giocava con la sua Barbie.
“Andiamo a prendere zio Charles all’aeroporto.” Dissi mentre guardavo fuori dal finestrino le macchine scorrere via.
“È stata una pessima idea. Saremo assediati dai giornalisti.” Intervenne Robbie mentre guidava tra il traffico di Los Angeles.
“Dai, non darmi il tormento. Charles è stato via per un sacco di tempo.”
“Mi ha portato un regalo?” Abbie mi guardò con i suoi enormi occhi azzurri mentre Robbie continuava a borbottare tra sé e sé.
“Certo. Un gran bel regalo.” Le risposi sorridendole. Quant’era bella la mia Abbie, la parte buona del mio errore. Un errore che guardandola non riuscivo a rimpiangere. Aveva gli stessi occhi di suo padre, James. A volte in alcune sue smorfie riusciva a ricordarmelo. Lo conobbi alla mia prima festa da celebrità, il figlio diciottenne di un ricco produttore; io avevo solo quattordici e pensavo ancora all’amore che avevo lasciato a casa. Ci presentò Charles e fu passione al primo sguardo. James mi affascinava, era ricco, bello ed intelligente. Nessuna ragazza avrebbe potuto resistergli e io infondo non ero poi tanto diversa da tutte le altre. Mi baciò quella stessa sera e poi non riuscii più a farne a meno. Per lui forse non ero altro che una ragazzina, per me era diventato un pensiero fisso. Presto divenni il suo trofeo da esibire nelle feste mondane. Mia madre e Robbie mi avevano messa in guardia dai tipi come lui, ma non volevo ascoltarli. Poi una sera ad una festa, troppi cocktail per una ragazzina, troppi baci, troppa voglia e mi spinse in una camera da letto. Due mesi dopo un test positivo.
“Sei pensierosa?” mi chiese Robbie guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Gli sorrisi. “Un po’. Ma non pensavo a niente di importante.” La macchina si fermò e mi resi conto che eravamo arrivati all’aeroporto. Una folla di fotografi e ragazzine impazzite aspettava l’uscita di Charles e molti prevedevano anche il mio arrivo.
Presi in braccio Abbie e scesi della macchina, la mia presenza come previsto non rimase inosservata. Scattavano flash e urlavano per un autografo. Circondata da quattro bodyguard appena scesa riuscì a raggiungere facilmente l’entrata. Robbie mi raggiunse poco dopo. Guardai il tabellone.
“L’aereo è in ritardo.”
“Non ci resta che aspettare.”
***
La guardavo sorseggiare la sua aranciata, stranamente silenziosa. Capivo che c’era qualcosa che voleva dirmi e quindi le lasciai il tempo di trovare le parole più adatte. Continuammo a camminare senza parlare. All’improvviso si fermò e buttò la sua lattina. “Devo partire” disse tornando al mio fianco e tenendo gli occhi bassi.
Rimasi a guardarla. “Dove te ne vai questa volta?” Non poteva essere solo questo, c’era qualcos’altro. Era partita già tantissime volte e non aveva mai reagito così.
“Torno in America, per un film.” Alzò lo sguardo per controllare la mia espressione.
“Un film. Vuol dire che starai via per molto. Quando tornerai?”
Sospirò e prese coraggio. “Non torno più.”
Sgranai gli occhi incredulo. “Come non torni più?”
I suoi occhi si riempirono di lacrime. “Robbie dice che questo è un buon affare, che se va bene questo film si apriranno moltissime possibilità per me in America, quindi non ha senso ritornare.”
“Ha senso per me.”
“Lo so, ma anche se volessi non ce ne sarebbe il tempo.”
Rimasi immobile. Avevo paura di chiederglielo, ma dovevo saperlo; cosa ne sarebbe stato di noi? Di ciò che avevamo? Io l’amavo e avevo bisogno di lei. Come avrei mai potuto pensare di doverla lasciare?
“Quindi?” chiesi in tono duro trattenendo le lacrime.
“Cosa?” mi rispose come se per lei non fosse un problema il doversi separare, la sua reazione mi fece salire la rabbia. Possibile che per lei non fossi così importante?
“Quindi che ne sarà di noi? Cosa succederà?”
Mi guardò e le lacrime cominciarono a scorrerle dagli occhi, calde e copiose.
“Succederà che decideremo che esiste l’amore a distanza e così ci saluteremo con la speranza vana di rivederci un giorno. Ci chiameremo per tutto il primo mese, parlando di cose futili senza dirci di quanto stiamo male in realtà, poi pian piano ci sembrerà inutile chiamarci per dire soltanto cosa abbiamo mangiato a pranzo, i giorni diventeranno settimane e le settimane mesi senza sentirci, finché non decideremo che in effetti non può andare avanti perché siamo troppo lontani.”
Sapevo che diceva la verità. Non sapevo cosa dire. Annuii senza rispondere o cercare di rassicurarla giurandole che il nostro amore sarebbe stato eterno. Tutto inutile.
“Quindi ho pensato che sia meglio… finirla qui. Sai è il mio lavoro, il mio sogno, non posso rinunciarci.”
“Non voglio che tu lo faccia.”
“Magari un giorno ci rincontreremo. Tra qualche anno.”
“Già.”
“Ho bisogno che tu mi dica che anche per te questa è la soluzione più giusta. Non voglio soffrire né che tu soffra ulteriormente.”
“Hai ragione.”
“Io ti amo.” E mi baciò. La strinsi forte, non volevo lasciare che le sue labbra andassero via. Sentivo che i suoi occhi avevano ricominciato a lacrimare bagnandomi il viso. Avrei voluto tenerla per sempre così, ma dopo un po’ si allontanò.
“Devo andare ora.” Si girò per andare via.
“Addio amore mio.”
E dopo quelle mie parole cominciò a correre via, lontano da me...
Mi svegliai di soprassalto. Nelly mi chiamava. Eravamo arrivati. Mi strofinai gli occhi cercando di riprendere il contatto con la realtà e allontanare il ricordo di quell’addio.
“Los Angeles eccoci.” Mia sorella era eccitatissima. “Dai scendiamo.”
Ci volle un’infinità di tempo per scendere dal aereo e per recuperare le nostre valige. Papà aveva cominciato una lunghissima lista di posti che avremmo potuto visitare e Nancy invece di tutte le celebrità che avremmo potuto incontrare evitando il nome dell’unica che avrei voluto incontrare realmente.
Presi il mio borsone e il trolley di mia sorella.
“Mangiamo qualcosa prima di uscire?” proposi.
“Guardate che trambusto. Deve esserci qualcuno famoso.” Disse mio padre osservando la folla che si accalcava all’uscita.
“Dai, corriamo a vedere.”
“Io mi fermo prima al bar. Tu cerca pure le tue celebrità.” Dissi dandole la maniglia del trolley.
“Ci vediamo all’uscita. Fai presto.”
Mi girai con noncuranza diretto verso un caffè.
***
Abbracciai Charles stringendolo forte. “Che bello rivederti, mi sei mancato.”
“Anche tu, Sana.” Si allontanò per prendere in braccio Abbie.
“Ehi, ciao principessa.”
“Zio mi hai portato un bel regalo?”
Charles rise. “Certo. Scommetto che ti piacerà molto.”
“Com’è andato il viaggio?”
“Bene.” Disse cercando di non far caso ai flash.
“C’è una baraonda lì fuori.”
“Ho visto.”
“Senti ti accompagno in albergo ma non ce la faccio a fermarmi per il pranzo, prendo qualcosa al bar e andiamo, ok?”
“Certo, ti aspetto qui con Abbie.”
Diedi un bacio alla mia bambina. “Torno subito tesoro.”
Mi avviai verso il bar guardando l’ora. Tra meno di venti minuti avrei dovuto essere allo studio e subito dopo sul set del film. Arrivata al bar presi due sandwich e firmai un autografo alla commessa. Mentre tornavo all’uscita due occhi mi folgorarono. Un tuffo al cuore. Eric. Non poteva essere lui il ragazzo che stava ordinando un caffè alla cassa. Lo guardai bene rimanendo immobile dove mi ero fermata. I suoi tratti, il suo sguardo. Era lui non c’erano dubbi. Era il ragazzo che non avevo mai dimenticato. Chissà se sapeva... ma certo che lo sapeva, lo sapevano tutti.
Addio amore mio.
Non ero pronta ad affrontarlo. Lui non si era accorto di me e sconvolta ritornai veloce da Charles.
“Fatto?” Charles mi rivolse un sorriso che si spense appena notò la mia espressione. “è successo qualcosa?”
“Ho appena rivisto Eric.”
“Oh. È da tanto che non lo vedo. Cos’ha detto?” disse fingendosi tranquillo, ma sapevo che anche lui era turbato. Solo lui sapeva quanto avevo sofferto per la nostra separazione ed era anche l’unico a sapere che non avevo mai smesso di pensarlo.
“Niente. Sono scappata via. Era al bar, non mi ha vista.”
“Vogliamo andare via?”
“Si, ti prego.”
E per la seconda volta nella mia vita scappai lontano da Eric con le lacrime agli occhi.
***
Tornavo dalla palestra, ammirando la mia bella cintura nera. Dopo essere stato bocciato per ben due volte era una grande soddisfazione averla finalmente conquistata. Sorridevo soddisfatto mentre me ne tornavo a casa. Sapevo già chi sarebbe stata la persona con cui avrei condiviso la mia gioia. L’avrei chiamata appena arrivato a casa e l’avrei dato appuntamento al parco. Dovevamo parlare, avevamo rimandato troppo a lungo quel discorso, prima per il mio esame e poi per i suoi impegni. Sapevo che era ritornata da poco e che si era presa una pausa dalle telecamere. Da tempo avevamo deciso di dover chiarire la nostra situazione, entrambi sapevamo di provare gli stessi sentimenti, dovevamo solo parlarne. Il momento che aspettavo era arrivato. Non intendevo aspettare un secondo in più. Cominciai a correre preso da una strana euforia. Non c’era niente di più perfetto. L’estate, avevo finalmente la mia cintura nera e la ragazza che amavo tra non molto sarebbe stata al mio fianco. Mi precipitai dentro casa come un fulmine.
“Ci sono riuscito!” urlai salendo di corsa le scale, “Faccio una doccia ed esco”.
“Eric, torna indietro. C’è una persona per te”, la voce di mia sorella proveniva dal soggiorno e l’accompagnava una risata che conoscevo molto bene. Ritornai indietro con la stessa velocità con cui ero salito. Buttai il mio borsone a terra rimanendo imbambolato sulla soglia della porta. Era lì, seduta sul divano e sorrideva. Come faceva a sapere che avrei passato l’esame e che non sarei stato bocciato per l’ennesima volta? Era davvero una ragazza straordinaria. Appena mi vide mi lanciò uno sguardo orgoglioso e venne ad abbracciarmi.
“Ce l’hai fatta! Ne ero sicura.”
“Come facevi a saperlo?”
“Non potevi non passarlo, era troppo importante” , disse guardandomi negli occhi, “per tutti e due” aggiunse dopo una pausa.
Sorrisi. “Ora dobbiamo parlare.”
“Si ma prima vai a farti una bella doccia”. Tornando la mia solita rompiscatole preferita si tappò il naso.
Sbuffai. “Sei sempre la solita schizzinosa”.
“Almeno io ho un buon odore”, ribatté guardandomi male.
“Va bene, aspettami qui.”
“Lavati bene!” mi gridò mentre salivo per le scale e non potei far a meno di ridere. Dopo venti minuti ero di nuovo giù pulito e profumato e pronto ad uscire con la mia quasi-ragazza. Che non c’era più.
“Nelly, dov’è Sana?”, mia sorella stava già preparando la cena in cucina.
“L’ha chiamata il suo angente. Un impegno improvviso. Ha detto che vi sareste incontrati stasera al parco, dopo cena.”
“Ah” sospirai deluso. A quanto pareva avrei dovuto aspettare molto più di qualche istante. Sconsolato andai a guardare un po’ di tv cercando di far scorrere il tempo il più velocemente possibile.
“Stasera c’è un pranzo speciale per il campione di casa. Sushi.” Disse Nelly tutta contenta dalla cucina.
Sushi. Ecco una parola che riusciva a tirarmi sempre su, in tutte le occasioni. Il sorriso ritornò sulle mie labbra. Avrei prima mangiato il mio piatto preferito e poi avrei incontrato Sana. Sarebbe stata una delle giornate migliori della mia vita. E ancora non era finita. Dovevo solo aspettare.
Alle nove, dopo aver visto ben quattro puntate della sitcom preferita di mia sorella, dopo aver cenato con la mia famiglia e fatto il bis di sushi, dopo aver ricevuto i complimenti da mio padre tutto orgoglioso e dopo aver aiutato a ripulire tutto, ero pronto ad uscire. Salutai promettendo di non fare tardi e mi precipitai al  parco. Mi girai intorno cercandola. Ma ancora non c’era. Mi sporsi a vedere se era seduta sulle panchine in fondo. Sospirai guardando l’orologio e sperando che non avesse avuto qualche altro impegno. Ma in quel caso mi avrebbe chiamato. Controllai il cellulare ma non trovai nessuna traccia di chiamate o messaggi non letti. Dov’era finita? Forse mia sorella non aveva capito bene, forse non dovevamo incontrarci al parco. Mentre mi perdevo tra le mille possibilità che impedivano a Rossana di essere lì con me sentii dei passi alle mie spalle. Mi girai di scatto e il mio cuore fece i salti di gioia nel vederla. Finalmente era arrivata. Finalmente era con me.
“Sei scappata oggi pomeriggio”. L’imbarazzo mi bloccò, avevo aspettato tanto quel momento ed in quel momento non sapevo che dire.
“Ora sono qui”.
“Già...”
“E non potrei desiderare niente di meglio”. Disse guardandomi con quegli occhi che senza parlare mi dissero tutto ciò che volevo sentire. Mi bastò un attimo e capii che non servivano parole, sapevo bene cosa fare. Mi avvicinai piano e prendendole le mani baciai la mia ragazza.
***
Dopo un lungo sorso al mio the alla menta accesi la mia quinta sigaretta. Charles mi guardava senza dire niente, di solito il fumo lo infastidiva ma era una circostanza straordinaria e aveva deciso di non lamentarsi per quella sera. Ero agitata, quella giornata era stata pessima e sapevo anche il perché ma era più facile negarlo che affrontare la realtà. Charles aveva messo Abbie a letto e dopo mi aveva raggiunto sul terrazzo e stavo aspettando da un momento all’altro le sue perle di saggezza e verità che di solito prima mi facevano arrabbiare, poi piangere e infine confessare tutto. Quella sera però le parole che aspettavo tardavano ad arrivare. Decisi di rompere io il ghiaccio per prima.
“Lo so cosa pensi”, dissi con un tono troppo acido.
“Davvero? E cosa penso?” il suo tono invece era sarcastico.
“Pensi che io sia nervosa per colpa sua”.
“Non è così?”
“No, ho avuto solo una giornata pesante.” Il mio tono deciso lo lasciò dubbioso e senza parole si girò a guardare il panorama.
“Smettila” aggiunsi aspirando.
“Di fare cosa?” tornò a guardarmi annoiato.
“Questo!” esclamai. “Ti comporti con noncuranza credendo di avere tutte le ragioni per farlo. Ma io ho ragione questa volta.”
“Possiamo saltare la parte in cui cerchi di litigare con me e passare subito a quella in cui piangi e finalmente ammetti che ho ragione?”
“No”, e la lacrime già cominciavano a salirmi, “non voglio piangere”.
Charles sorrise e venne ad abbracciarmi e basto quel suo gesto affettuoso a farmi cominciare una crisi di pianto.
“Avevi detto che non volevi piangere”.
Mugolai tenendomi stretta a lui. “Perché è qui?”
“Non lo so”.
“Cosa dovrei fare ora?”
“C’è poco da pensare. Se stai così solo per averlo visto devi parlargli e chiarire la situazione con lui.”
“Cosa c’è da chiarire? Ci siamo lasciati cinque anni fa... cioè io l’ho lasciato per seguire il mio sogno e poi non ci siamo più risentiti”.
“Forse dovresti parlargli del fatto che non hai mai smesso di pensarlo”.
“Non lo farò mai. Non sarò altro che un vecchio ricordo per lui, ora”.
“Certo, per questo è venuto a Los Angeles, proprio perché ti ha dimenticata” il suo tono ironico mi fece ridere.
“E se stava ripartendo? Forse è venuto qui e oggi stava per riprendere l’aereo per tornare a casa.”
“Già...” annuì dubbioso.
“Se è davvero così, devo prenderlo come un segno del destino. Non siamo fatti per stare insieme.”
“Se il destino avesse avuto davvero queste intenzioni, non lo avresti visto affatto... e poi tu non credi nel destino!”
“Comunque sia, Charles, la nostra storia era già complicata prima che io partissi, immagina ora che c’è Abbie.” Mi voltai a guardare il panorama e decisa a chiudere lì quella conversazione, “è tutto diverso” aggiunsi e capì che per quella sera non avrei più parlato di Eric. Dopo tanto tempo come avrebbe reagito alla visione di Abbie?
Pensai alla mia bambina di là a dormire. Il suo arrivo improvviso aveva stravolto le cose, aveva cambiato la mia vita. Per lei avevo dovuto rinunciare a molto ma avevo guadagnato di più. Una diciannovenne con una figlia di quattro anni, se un amico come Charles non mi fosse stato vicino non avrei avuto la forza di reagire così come avevo fatto. Non avrei avuto il coraggio di affrontare la gravidanza e non avrei avuto la mia bellissima Abbie.

Mi buttai sul letto di Charles mentre lui sceglieva la camicia da mettere per la sua intervista in diretta.
“Secondo te dovrei mettere la giacca?” chiese guardandosi allo specchio e provando la sua figura da diverse angolazioni.
“Non saprei”.
“Meglio di no. Non voglio essere troppo elegante. O potrei mettere la giacca con una t-shirt.” Si girò aspettando una mia conferma.
“Mmm... si, può andare.” Sussurrai mentre fissavo il soffitto.
“Non mi sei d’aiuto. È un’intervista. Devo fare bella figura”.
“Stai bene con tutto, non preoccuparti”.
“Ma cos’hai?” venne a sedersi sul letto accanto a me.
“Nulla, sono solo stanca...”
“Davvero? A me sembra che tu sia stanca da un po’ troppo tempo. Sono giorni che sei così strana”.
“È un brutto periodo” sussurrai e sapevo di dire la verità, una serie di eventi disastrosi si erano susseguiti nella mia vita nell’ultimo periodo e il più disastroso di tutti si era abbattuto su di me proprio il giorno prima. Mi sfiorai la pancia e le lacrime mi salirono agli occhi. Charles se ne accorse. Sentivo davvero il bisogno di dirlo a qualcuno.
“Ehi, perché piangi?”
Mi misi a sedere e cercai il suo abbraccio che non tardò ad arrivare.
“È per James? L’hai rivisto?”
“No... cioè riguarda anche lui...”
“Sai che puoi dirmi tutto. Io sono qui. Ti prego dimmi che cos’è che ti fa stare così male, non ce la faccio a vederti così.”
Mi allontanai da lui asciugandomi gli occhi, finalmente pronta a condividere con il mio migliore amico il mio più grande segreto. Respirai a fondo e cercai di tranquillizzarmi, non volevo parlare con la voce rotta dal pianto. Lo guardai negli occhi.
“Prima, però, ho bisogno che tu mi prometta che non mi giudicherai per ciò che sto per dirti”, dovevo avere quella certezza. Annuì serio.
“Charles... i-io sono incinta.”
Rivelarlo a Charles e dirlo a voce alta rese la cosa molto più reale e la sua faccia la rese ancora più terribile. Le lacrime scendevano veloci dai miei occhi ormai ero pienamente consapevole della mia situazione.
“Tua madre lo sa?”, fu l’unica cosa che riuscì a chiedermi mentre mi guardava con gli occhi sgranati.
Scossi la testa. “Sei il primo a cui lo dico. Solo ieri ho fatto il test.”
“Ma può esserci un errore, non è raro che quegli aggeggi sbaglino.”
Lo bloccai. “No, no. Charles, ne sono sicura.”
Rimase a riflettere per un po’.
“Ho bisogno che tu mi sia vicino, ti prego.”
Sorrise e mi abbracciò. “Ti sarò accanto fino alla fine del mondo”.
Quella sera Charles rimandò la sua intervista.
***

Erano passati quattro giorni. Ero a Los Angeles da quattro giorni, ma ancora non mi ero arreso. In realtà ero molto scoraggiato, ma bastava solo quella piccola scintilla a tenere viva, anche se poco, la mia speranza. Vagavo per la città con il desiderio di vederla per caso mentre passeggiavo. Pensandoci razionalmente era una cosa impensabile che una star come lei camminasse tranquilla per strada. Eppure la parte meno razionale di me, la mia parte istintiva quella che mi aveva sempre dominato mi diceva che prima o poi camminando mi sarei imbattuto in Rossana. Mi fidavo di quella parte di me, mi aveva permesso di baciare Sana la prima volta e di far scattare in lei quel meccanismo che poi pian piano l’aveva portata a me. Sorrisi all’idea del nostro primo bacio, improvviso e incredibile. Aveva il sapore di una limonata. E ogni bacio tra di noi aveva un sapore diverso ma sempre buono. Avrei voluto baciarla ancora. Che sapore potevano avere i suoi baci dopo così tanto tempo? Li avrei assaggiati di nuovo?
Sospirai. Una voce negativa suggeriva alla mia testa che forse non l’avrei mai più incontrata. Forse non era destino. Insomma, essere nello stesso aeroporto senza incrociarsi non poteva essere una semplice coincidenze, era un segno. Negativo.
Quando mia sorella mi aveva detto che l’aveva vista fuggire via dai fotografi con Charles non riuscivo a crederci.
Eravamo così vicini e non ci ero riuscito...
Cercai di scacciare quel pensiero e mi fermai davanti ad una vetrina, guardando con poco interesse gli abiti eleganti che sfoggiavano anonimi manichini.
Mi soffermai su un vestito giallo con una stampa di un limone al lato.
Il sapore di limoni.
Il sapore di quel primo bacio.
Volevo riassaporarlo.
Mi girai intorno in cerca di un bar. Lo trovai quasi subito.
Madison Café.
Con i tavolini bianchi ed eleganti che occupavano la parte del marciapiede sulla quale si affacciava, sembrava quasi invitarmi ad andare. E non avevo intenzione di rifiutare quell’invito.
Una volta entrato ordinai a una cameriera con la divisa bianca e rossa un gelato al limone. La mia coppa arrivò quasi subito seduto fuori ad osservare il traffico di quella città. I miei pensieri, a differenza delle macchine inchiodate nello stesso posto da più di dieci minuti, partirono verso giorni ormai lontani. Quel sapore mi riportava a quel giorno, a quel momento.
“Eric”, la sua voce squillava piena di rabbia, “cosa ti è saltato in mente?”
Sorrisi. Anche quando era arrabbiata mi era sempre piaciuto che la sua voce pronunciasse il mio nome. Quante volte lo aveva fatto.
“Ti amo, Eric.”
L’avrei riconosciuta tra mille voci. La sua. La voce che più amavo al mondo.
Eric.
Riuscivo a sentirla nella mia mente perfettamente come se l’avessi davanti a me, piena di amore, piena di rabbia, piena di felicità...
“Eric!”
Alzai il mio sguardo di scatto. Quella voce non era stata frutto della mia mente. L’avevo sentita davvero. Mi chiamava. Cercavo di ritrovare la figura a cui quella voce apparteneva.
“Eric.”
E la trovai.
***
Imbucata nel traffico di Los Angeles.
La mia giornata non poteva cominciare peggio.
Robbie canticchiava un motivetto snervante, ma anche se mi dava fastidio non avevo voglia di parlare per farlo smettere. L’avrei fatto di sicuro con un tono acido. Lui ci sarebbe rimasto male e avremmo cominciato a litigare. Non avevo voglia di litigare.
Seduta sul sedile posteriore appoggiai la testa al finestrino guardando annoiata il paesaggio che non cambiava.
Ero in ritardo di più di un’ora, questo equivaleva a dire che il mio appuntamento era saltato. “Rimandato”, aveva tenuto a precisare Robbie.
La fila di macchine proseguì per un tratto brevissimo prima di fermarsi di nuovo. Quel piccolo movimento aveva portato la nostra macchina proprio di fronte al Madison Cafè. Adoravo quel locale e ci andavo spesso con Abbie quando avevo un po’ di tempo libero, per prendere il gelato alla fragola e al cioccolato che le piaceva tanto. Se il traffico avesse continuato ad andare così lento mi sarei fermata a prendere qualcosa.
Lanciai un’occhiata ai tavolini sul marciapiede prima di distogliere lo sguardo. Ma subito mi resi conto che qualcosa aveva attirato la mia attenzione. Mi voltai di nuovo verso il Madison con il cuore che mi batteva a mille. I miei occhi ritrovarono la figura che mi aveva colpita. Un ragazzo biondo al tavolo che mangiava una coppa di gelato al limone.
Il sapore di limoni.
Il sapore del primo bacio.
Il primo bacio con lui. Eric.
“Eric”, sussurrai tra me stupita. Non credevo che lo avrei rivisto. Pensavo che il destino fosse contro di noi, che non ci volesse insieme. E invece era lì a pochi passi da me. Di nuovo. Ma questa volta non l’avrei lasciato scappando via.
“Cosa hai detto?” chiese Robbie guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Presa da una strana agitazione aprii il tettuccio della macchina mentre il mio agente stupito cercava di tirarmi giù blaterando qualcosa su fotografi e fan e persone che mi avrebbero visto. Ma non mi importava. Tutto ciò che volevo era davanti a me. Tutto ciò che volevo era lui, Eric.
Mi sporsi fuori dal tettuccio e urlai il suo nome.
“Eric!”
Si riprese dai suoi pensieri e cominciò a cercarmi con lo sguardo.
“Eric”.
Questa volta i suoi occhi mi trovarono. Mi guardò come se di fronte a lui ci fosse un fantasma. Io mi sciolsi in un sorriso. Ritornai in macchina e aprii di fretta lo sportello precipitandomi fuori. Sentii la voce di Robbie che mi urlava dietro.
“Cosa diavolo stai facendo? Ritorna in macchina!”
Ma la sua voce era come un lontano suono e non mi fu difficile ignorarlo mentre raggiungevo la persona che negli ultimi cinque anni aveva popolato costantemente i miei pensieri.
Mi fermai davanti al tavolo a cui era seduto. Sospirai agitata come non mi capitava da tanto, troppo tempo.
“Ciao.”
Eric sorrise stupito. “Ti stavo aspettando.”
Annuii e nel sentirmi dire quelle parole che da tempo volevo sentirmi dire gli occhi cominciarono a pizzicarmi.
“Vuoi una buona coppa di gelato al limone?”
Mi misi a sedere accanto a lui. “Adoro i limoni.”
“Anch’io, da quando una ragazza mi ha rovesciato una limonata in testa.” Disse con il suo tono ironico e dolce allo stesso tempo che mi era mancato tanto.
“Che imbranata.” E scoppiai a ridere ripensando a quel momento di tanto tempo fa.
Stare con lui in quel momento, mi aveva riportata indietro a quando eravamo insieme, a quando tutto era perfetto. Rivederlo dopo così tanto e parlargli come facevamo sempre prima cominciò a far scivolare via quelle lacrime che pizzicavano.
“Che imbranata...” ripetei, questa volta riferendomi a quel preciso momento.
“Perché piangi?”
“Perché mi sei mancato tanto.” Le parole mi uscirono spontanee e sincere e poi lo abbracciai, finalmente sentendolo accanto a me. Con me.
“Non mi hai più chiamato. Speravo di poterti risentire dopo la tua partenza. Invece sei sparita.”
I suoi occhi rivelavano la sua sofferenza, la tristezza e la solitudine che aveva provato in quegli anni. Le stesse identiche emozioni che avevo provato anche io.
“Ho provato a dimenticarti per i primi mesi... e poi si è complicato tutto.” Dissi asciugandomi le lacrime.
“Sì, lo so.” Il suo tono era tranquillo e pacato come quello di chi ormai ha accettato qualcosa di impensabile.
Avevo immaginato che lo sapesse già. Questo in un certo senso mi rendeva le cose più facili, non avrei dovuto spiegargli come era successo, né con chi.
“L’ho vista. È davvero bellissima. Ti assomiglia molto.”
“È vero.”
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, niente imbarazzo, niente paura. Eravamo noi, come lo eravamo stati e, ora ne avevo la certezza, come saremmo stati sempre.
“Ora sei famosa, Sana. Hai tutto ciò che si possa desiderare. Hai una bambina.” Mi guardò con l’intensità tipica del suo sguardo. “Ho aspettato tanto. Ho aspettato che i tuoi sogni prendessero vita. Non ci speravo più, ormai. Eppure siamo qui, ora. E non posso fare a meno di non chiedermi se tutto questo non sia stato scritto. Averti accanto a me come se non fosse passato un solo secondo... Ho bisogno di sapere se ora sei pronta a tornare da me, perché aspettarti ancora mi ucciderebbe.” Parlò con la voce rotta dall’emozione, gli occhi scuri lucidi e in quel preciso momento capii che in realtà ero stata sempre pronta. Mi sporsi verso di lui e lo baciai.
Sapore di limoni.
Il sapore dell’inizio.
Lo stesso sapore che aveva quel nuovo inizio.
Un inizio con la persona che avevo sempre desiderato.
Sì, era scritto. Eravamo destinati a stare insieme, eravamo fatti l’uno per l’altra.
Quel bacio me ne diede la conferma, come qualche anno prima.
E ebbi anche la conferma che quello al limone era il mio gusto preferito.
Fine.



Angolo dell’autrice ^^
ryanforever – grazie mille!!! non mi sono accorta degli errori, scusami^^ è la prima ff che pubblico, non sapevo bene come fare e come ricontrollare.

Deb – grazie mille per il commento! Non ho usato i nomi originali perché ho voluto renderlo un po’ più “americano” visto che l’ho ambientata ad Hollywood, ma sono felice che abbia sorvolato su questa mia piccola “libertà” 

92titti92 – grazie!!! Il tuo è stato il primo commento che ho ricevuto e sono felicissima che ti sia piaciuto!!!
  
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