Premetto che questa lettera la dedico davvero ad un mio
amico, perché per me è una persona importantissima. Spero di non annoiarvi
troppo per la serietà con cui l’ho scritta, ma davvero, vi giuro che quelle
parole mi sono venute dal cuore… lascio a voi il resto…
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Caro
Alberto,
rieccoci qui, ancora a litigare mentre le giornate
continuano a trascorrere monotone sotto i nostri occhi.
E poi magari durante la notte ci stringiamo il cuscino
forte forte al petto per fuggire dai rimpianti che ci
assillano da mesi. Alberto, sei stato importantissimo per me una volta, e lo
sei anche adesso dopo le ultime litigate che
hanno soppresso tutti quei momenti meravigliosi che abbiamo trascorso
insieme. Come due amici.
Conoscerti
e scoprire in te quell’identità di bambino capriccioso che continuava a infastidirmi è stato un inizio. Ricordi il primo giorno
della prima media? Quando ti guardai fui colpita da
qualcosa… ma certo…i miei occhi ti avevano già visto da qualche parte… nelle
recite di Natale che facevamo all’asilo…quella corona di cartoncino che portavi
in testa ti donava e la faccia da bimbo ti si addiceva così bene, vorrei che la
indossassi di nuovo per dirti grazie. Grazie per avermi
capita, qualche volta, grazie per avermi offesa e magari pure disprezzata.
Mi hai insegnato a diventare più grande. Non m’interessa ricordare quante
lacrime abbia versato per colpa tua, l’importante è
che tu mi abbia insegnato a difendermi e a diventare più forte, alle volte più
sensibile. Eri così indispettito che preferivi evitarmi e piuttosto cacciarmi addosso parole pesanti, invece di aiutarmi ad illudere su un
qualcosa di impossibile. Come ad esempio, è stato difficile per te, accettare
che mi ero presa una bella cotta per il tuo amico, esattamente… un anno e mezzo
fa.
Ricordo
che mi ero appena dichiarata a Giuseppe e la sera stessa mi beccai una brutta
influenza che mi costò una settimana di assenza a
scuola. Volevo non tornarci più in quella classe, perché sapevo che c’eri tu a
lanciarmi colpe addosso, perché sapevo che avresti reagito male, come in ogni
mio espediente.
Non
avevo calcolato che tu ti saresti messo fra me e Giuseppe, ti saresti impegnato
più a fondo nel piano “riduciamo a pezzi la dignità di Valeria”. Un po’
pesantoccio come programma, almeno queste furono le
parole che pensavo quando ero alla inizio della mia battaglia contro di te.
Tu
mi avevi dichiarato guerra ed non feci altro che
accettare senza neanche conoscere il motivo di tutto questo.
Non
feci apposta a lasciare che Giuseppe si influenzasse
alle tue idiozie, d’altronde era tuo amico e tu potevi conoscerlo meglio di me.
Io ricordo quando stava per finire la seconda media; la professoressa voleva
interrogare i migliori per sistemare i voti poiché essi non erano stati
interpellati durante l’anno. Ti sentisti malissimo perché il tuo nome non
comparì nella lista degli interrogati ed io venni a consolarti così
affettuosamente. Piangesti davanti a tutta la classe ed io non volevo che ti avessero mancato di rispetto, forse perché
potevo fidarmi solo di te per avvicinarmi a Giuseppe, anche se tu eri il primo
ad ostacolarci, anche se tu eri quello che mi insultava con maggior sentimento.
Ma a me non importava. In quel momento, così
istintivamente, ti dissi che tu avevi avuto già le tue buone interrogazioni con
buoni giudizi e ti calmasti un poco quando ti dissi che io non avevo studiato
manco mezza pagina e che quel week-end lo avrei trascorso china su sessantadue
pagine, ossia cinque capitoli del libro di storia. Ti porsi un fazzoletto e tu
asciugasti le tue lacrime mentre inclinavi la testa verso il banco quasi
sorpreso di quel mio comportamento. Ed in fondo
capisti che poi non ero così spregevole come sembravo e che forse avresti
potuto chiedermi scusa per tutto quello che mi avevi fatto. Quando
iniziò la terza media, ti vedevo più cambiato e sereno.
Iniziammo
a parlare come se fossimo amici e poi lo diventammo sul serio. Iniziammo a
parlare di quello che avevamo passato l’anno prima e
tra un sorriso e l’altro i miei giorni di scuola si facevano sempre più motivati.
Ogni
giorno ti portavo qualche chewing-gum e numerose goleador
alla coca perché a te mi ci ero affezionata.
Sembrava
quasi che mi fossi innamorata di te, ma non lo era
affatto, anzi eri l’unico a cui voler bene per davvero. Come due amici. E come
due amici passammo anche dei brutti momenti insieme.
Ricordo
che avevamo litigato per non so quale motivo, e a
scuola la prof ci stava raccontando un suo episodio vissuto da giovane. Ci
disse che quando era adolescente, in classe schiaffeggiò un cretinetto che
continuava a darle fastidio e ciò nonostante si beccò una bella punizione, ma ne era valsa la pena, perché si era tolta un grosso peso.
Ironizzai chiedendole se avevo la possibilità di
prendere a ceffoni “qualcuno” in classe ed evidentemente la tua coscienza ti
fece sentire in colpa perché ti sentisti chiamato.
Magari
era vero, volevo schiaffeggiare te, perché tu mi dicesti «Lo so che quello
schiaffo è riservato a me, puoi anche farlo adesso, io non mi oppongo», così
tristemente. Il senso di colpa ti faceva male, ti rodevi dentro ed io lo avevo
notato. Ti risposi così «No, guarda che ti sbagli, non sono così stupida come
credi». Non ci parlammo per tutto il giorno. Ma
avevamo litigato anche qualche sera prima e quell’episodio non era altro che
una conseguenza. La sera di quel novembre freddo e buio continuavo ad essere
triste finché non ti incontrai per strada quasi decisa
a chiederti scusa, anche se di colpe credo, di non averne mai avute.
Tu
eri in compagnia di qualche tuo amico che salutai educatamente, ma quando
arrivai a te mi sentii un nodo in gola… Ti abbracciai come non avevo mai fatto
con nessuno e quasi piansi sulle tue spalle... la mia testa era piena di
domande del tipo «Perché fai così?», tu ti scusasti
timidamente per la mattina passata a scuola, lo ricordo come se fosse ieri.
Rimanemmo abbracciati per un lungo istante, non volevo
lasciarti più. Rimanemmo abbracciati, come due amici.
Ma i mesi che seguirono quella serata furono duri e
laceranti. Non so come, né perché, ma cambiasti atteggiamento nei miei riguardi
e quei mattoni dell’amicizia che avevamo così ordinatamente disposto uno
sull’altro, crollarono davanti ad entrambi. Avevamo dimenticato di fissare il cemento, così come avevamo
dimenticato di dirci almeno un “ti
voglio bene”, o di scambiarci qualche sorriso durante le lezioni.
Mi
sentivo disgustata del fatto che tu mi avessi completamente “dimenticata”, mi
sentiva un’idiota e continuava a chiedermi… “Ma perché a me?” oppure “Cosa gli
prende?” e domande del genere senza ottenere alcuna risposta, forse per paura
di avere una rovente sentenza che mi avrebbe fatto soffrire, oppure per colpa
dell’orgoglio, maledetto orgoglio…
Iniziasti
di nuovo a prendermi in giorni con isoliti, inutili appellativi e certe sere scoppiavo in lacrime perché pensavo tu mi avessi usata come
uno straccio, pensavo anche alle belle cose che rendevano felici e ai litigi a
cui tenevo sempre testa. Mentre ora mi ritrovavo completamente impotente, stanca di ripetere
le stesse cose, perlopiù sconvolta di tutto questo.
Mi
ero ripromessa che mi sarei vendicata di quel tuo così radicale comportamento e
avevo chiesto a Lidia di appoggiarmi con tutta se stessa. Lei aveva accettato,
non solo perché ero sua amica, ma anche perché, come vedi, c’era qualcun altro
che oltre a me non ti sopportava più. Inoltre, avevo chiesto a lei perché lei
aveva quasi preso il mio posto, quando, ipoteticamente, potevo essere una
minuscola parte di te, forse quella più sincera e dolce che avessi nel tuo
essere. Ti sentivi male quando ai tuoi insulti rispondeva Lidia al mio posto,
ed ogni volta abbassavi la testa verso il pavimento senza risponderle. Come
avevo prefissato.
Poi
le chiedesti perché Lidia si comportava in quel modo e lei ti rispondeva che
assumevi comportamenti infantili e che tu eri uno stupido. Forse te ne rendevi
conto anche tu. O meglio, la tua coscienza.
Decisi
che avrei fatto la festa di compleanno e che avrei invitato alcuni miei amici , compreso Giuseppe, e tutta la mia classe... escluso te.
Amara
realtà, ma le cose dovevano andare proprio così. Ed ogni volta che in classe
qualcuno ti chiedeva se ci venivi alla mia festa, (perché giustamente loro non
sapevano se ti avevo invitato o meno) tu rispondevi
sgarbatamente di no, quasi a convincere quel qualcuno che la mia poteva essere
una festa da schifo.
Ieri
invece no. Abbiamo ripreso a parlare. Proprio come due amici. E una fitta mi ha
attraversato lo stomaco, come una spada che trafigge il cuore della Vergine
Maria. Ed ecco: mi ero ripromessa che non ti avrei
invitato, ma sull’ultimo proprio sull’ultimo l’ho fatto e non me ne pento.
Te
lo chiesto e tu avevi fatto una faccia sorpresa. Non
te lo aspettavi, eh? Sono contenta che tu ci venga anche perché mi sono tolta
un peso che avevo sull’anima. Alberto, ti voglio tanto bene. Per me sei
parecchio importante, ma tu non vuoi rendertene conto. E
non sai nemmeno come mi sono sentita quando ti sei fidanzato con quella Carla.
Mi sono sentita vuota. E invidiosa. Ma
per un certo aspetto felice, perché così almeno tu avresti provato sulla pelle
cosa vuol dire innamorarsi. Sono invidiosa di lei, perché non me lo
aspettavo. Tu mi piaci. Ma come amico. E io potrei piacere anche a te. Come amica.
Ti
ringrazio di aver ricominciato a parlare con me, perché sono davvero
felicissima.
Ed oggi pomeriggio mi hai persino dato un sostegno morale.
Hai convinto persino Giuseppe di venire alla mia festa, te ne sono grata; dopo
potrò anche dirtelo di persona, perché sono convinta che tu non leggerai mai
questa lettera… ma forse un po’ ti renderai conto che ti voglio bene. E questa volta per davvero.
Sono
già le otto e cinque e tra mezz’ora ci vedremo alla mia festa. L’occasione
migliore per abbracciarti ancora…
Affettuosamente…
….tu Valeria
Allora vi è piaciuta? O vi ha
fatto letteralmente schifo?
Fatemelo sapere…RECENSITE!! ^O^ Ringrazio di cuore a
tutti quelli che lo faranno!!
Ah… un’ ultima cosa…