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Autore: smarsties    11/12/2021    3 recensioni
[Modern!AU - Duncan/Courtney - accenni Scott/Courtney e Duncan/Gwen]
Ciò che accomuna Duncan e Courtney è che entrambi devono essere a Toronto entro sabato. Bloccati in aeroporto a Filadelfia, a tre giorni da quello che potenzialmente potrebbe essere il weekend più importante delle loro vite, si ritrovano a condividere un folle viaggio in auto verso la metropoli canadese.
Sarebbe un vero peccato se la situazione, già tragicomica di suo, si rivelasse l'occasione perfetta per far venire a galla dubbi e incertezze. Ancora più esilarante sarebbe se, nel mentre, cominciassero a provare qualcosa l'uno per l'altra.
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«Ma guarda chi si rivede! Certo che il mondo è proprio piccolo!»
A tre passi di distanza, lo sconosciuto di poco fa la fissava, con la testa leggermente inclinata e gli angoli della bocca tesi verso l’alto. C’era qualcosa in quel mezzo sorriso che le faceva prudere le mani.
«Di nuovo tu, che gioia!» esclamò con quanto più sarcasmo possibile, mettendo via il telefono. «Comincio a pensare che tu sia uno stalker.»
«Non lo sono, però ammetto che ti stavo seguendo.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Scott | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Alcune veloci considerazioni prima di addentrarci nella narrazione:

  • buona parte della storia si svolge negli Stati Uniti, quindi citerò spesso le miglia (1 chilometro = 0,621 miglia). Tuttavia, in Canada si usano le nostre stesse unità di misura, quindi i personaggi per parlare fra di loro faranno riferimento a quelle

  • distanze e luoghi sono reali, il resto è frutto della mia fantasia

  • la storia segue il punto di vista dei soli protagonisti, ma ci saranno diversi camei – e, non me ne vogliate, potrei sfociare nell’ooc

  • siccome ho un problema con le playlist di Spotify, questa fic ne avrà una – ma ve la linkerò più avanti, quando ci sarà un certo numero di canzoni









Prologo





[ Mercoledì 21 aprile – Filadelfia, Pennsylvania ]



Lo scrosciare della pioggia contro i vetri dell’auto era talmente forte da coprire per buona parte la voce squillante dello speaker radiofonico, tutto preso a raccontare stupidi aneddoti su chissà che. Ulteriore toccasana per il suo mal di testa post-sbornia, che, nonostante l’aspirina, proprio non voleva saperne di diminuire, erano i clacson suonati ad intervalli irregolari – cos’avevano da suonare, poi? Il traffico non si sarebbe magicamente sbloccato.

Da dietro le lenti scure degli occhiali da sole, che teneva su per coprire il suo pessimo aspetto, Duncan osservava Bridgette per cercare di capire quando sarebbe partito l’interrogatorio. E, a giudicare da quanto avesse insistito per accompagnarlo, trascinandolo in strada prima ancora che potesse finire di consumare la sua porzione di cereali, sarebbe anche stato particolarmente lungo.

Di certo non avrebbe aperto la bocca per primo, perché l’ultima cosa che voleva era intrattenere una conversazione, che aveva come scopo far uscire fuori i suoi sentimenti più reconditi. Avrebbe atteso che l’amica prendesse l’iniziativa, per poi evitare alla meglio tutte le domande più scomode.

Bridgette gli lanciò uno sguardo attraverso lo specchietto retrovisore e, appena fu certa che fosse sveglio, gli sorrise candidamente. Il segnale che attendeva.

«Mi fa piacere che tu ti sia divertito ieri sera. Forse fin troppo, viste le condizioni in cui Geoff ti ha ritrovato a fine serata, nel bagno degli uomini.»

Aveva pochi, pochissimi ricordi lucidi della sera precedente. Ciò che era successo nel bagno di quel locale di periferia, che Geoff aveva scelto per festeggiare il suo trentesimo compleanno, era uno di quelli.

«Ti prego, dimmi che non è entrato mentre–»

«Mentre vomitavi l’anima.»

Duncan schiuse le labbra, probabilmente per tirare un sospiro di sollievo, e fu in quel momento che aggiunse: «Anche perché non c’era bisogno che entrasse durante l’altra cosa: con tutti i dettagli che ci hai fornito, mentre tornavamo a casa, non abbiamo faticato troppo a immaginare la scena.»

Il traffico cominciò a smuoversi proprio in quel momento. Quando anche l’ultima macchina era avanzata, Bridgette portò il cambio su drive e ripartì; subito dopo, riprese il discorso.

«Comunque, ho saputo che ti stai dando un gran da fare per elaborare la rottura. Sessioni di prove infinite, road trip notturni, ubriacature varie e adesso anche un ménage à trois. Hai avuto anche il tempo di dormire e prenderti cura di te?»

Confessarsi con Geoff era stata una mossa idiota. Avrebbe dovuto prevedere che, non appena finito di parlare con lui, sarebbe andato a spifferare tutto alla moglie. Tra di loro non c’erano segreti che tenessero – nemmeno quelli degli altri.

«Non ho dormito granché, ma non puoi dire che non mi sia preso cura di me» ridacchiò.

«Hai passato una notte in centrale!»

«Sono cose che capitano.»

L’ultima affermazione la lasciò sconvolta.

«Diciamo che mi sono preso cura di me per la maggior parte del tempo» puntualizzò Duncan, alzando le mani. «Però, tutto quello che hai elencato faceva parte di un piano ben preciso».

«Quale piano, quello di comportarti come l’adolescente che non sei più? Perché, in tal caso, ha funzionato alla grande.»

«Risparmiami la paternale, Brì» sbottò seccamente, alzando un po’ troppo il tono.

«Scusa se ci preoccupiamo per te

Calò il silenzio. L’attenzione di Bridgette era nuovamente tutta rivolta verso la strada davanti a sé; Duncan, intanto, s’era incantato a guardare le gocce d’acqua scivolare veloci sul finestrino.

Non era la prima volta che si comportava in maniera irresponsabile, e che qualche conoscente glielo faceva notare, urlandogli contro quelle precise parole. Non l’avevano mai toccato.

Purtroppo, sortivano un effetto completamente diverso quando venivano pronunciate da due specifiche persone: sua madre e Bridgette. Quelle due donne erano capaci di farlo sentire quasi in colpa. Quasi.

«Non ci ho pensato» mormorò a mo’ di scusa, massaggiandosi una tempia – il mal di testa non sarebbe mai passato. «Ero troppo impegnato a cercare il modo migliore per distrarmi, ed è evidente che ho superato i limiti. Però, prometto che non vi farò più preoccupare. È stata una settimana estrema e sono a pezzi, dubito che ci sarà presto un secondo round.»

L’ultima affermazione riuscì a strapparle un riso. Contemporaneamente, staccò una mano dal volante e gli carezzò la spalla sinistra.

«Quindi, la prossima volta ci chiamerai ed esternerai tutti i tuoi sentimenti?»

Duncan poggiò la mano sopra la sua.

«Un passo per volta.»

Era certo che la conversazione si fosse chiusa lì. La tensione s’era allentata, avevano preso a parlare di argomenti più leggeri e a cimentarsi nel karaoke di Semptember degli Earth, Wind & Fire, che lo speaker aveva introdotto con un velo di nostalgia.

L’arrivo della domanda che più temeva – quando ormai erano già davanti al terminal aeroportuale e stavano scaricando il bagagliaio – fu peggio di una doccia gelida.

«L’hai più sentita?» si fece scappare Bridgette, mentre lo aiutava a sistemare la custodia della chitarra elettrica sulle spalle.

S’incupì di colpo. Per lo meno, non aveva detto il suo nome.

«Perdonami!» squittì subito, portandosi una mano davanti alla bocca. «Non avrei dovuto chiedertelo.»

«Non fa niente, davvero» la tranquillizzò, facendo del suo meglio per non risultare freddo. «E comunque no, ma meglio così.»

Si tuffò su di lui per abbracciarlo.

«Fai buon viaggio» mormorò lei ad un soffio dal suo orecchio. «E spacca tutto sabato. Di nuovo, ci dispiace non poter essere presenti fisicamente.»

Le passò la mano libera dietro la schiena – con l’altra, reggeva il borsone rosso, in cui aveva infilato alla rinfusa due cambi ed altri effetti personali.

«Se sabato andrà tutto secondo i piani, avrete mille concerti per rifarvi.»



* * *



Nelle ultime ventiquattro ore, aveva abilmente vinto il processo più importante della sua carriera, si era guadagnata il rispetto di tutti i suoi colleghi più anziani, e il suo capo le aveva promesso una gratifica. Per giunta, fra quattro giorni sarebbe convolata a nozze.

Di certo non immaginava che, a darle la prima brutta notizia della settimana, sarebbe stato il tabellone delle partenze del Philadelphia International Airport.



Volo K45372 – ore 11:20 – Toronto: CANCELLATO



Courtney si concesse qualche secondo per dei respiri profondi. Dopotutto, non c’era nessuna ragione per dare di matto. Non appena ci sarebbero state le condizioni per decollare, l’avrebbero messa sul primo volo per Toronto.

Sì, si ripeté mentre camminava verso l’infopoint, non c’era assolutamente nessuna ragione per dare di matto.

Non vi era coda. Dietro al bancone, una ragazza dai capelli rossi, abilmente attorcigliati in uno chignon, riordinava alcune pratiche in una cartella. Richiamò la sua attenzione.

«Buongiorno!» la salutò lei cordiale, girando la sedia in sua direzione e sistemandosi gli occhiali da vista. «Come posso aiutarla?»

«Sì, buongiorno. Il mio volo per Toronto è stato cancellato e volevo sapere se c’è ancora posto per il prossimo».

«Devo controllare, ma la informo subito che è stata dichiarata allerta meteo e probabilmente saremo costretti a cancellare tutti i voli di oggi.»

Nemmeno quello era un problema. Tornare con un giorno di ritardo significava rimandare diverse commissioni, ma avrebbe potuto giostrarle a distanza, oppure chiedere a Scott di darle una mano – a tal proposito, doveva assolutamente chiamarlo.

Una voce maschile alle sue spalle interruppe i suoi ragionamenti.

«Davvero non c’è nessun volo per Toronto in giornata?»

Courtney si voltò di scatto, senza nascondere un velo di irritazione, e si ritrovò davanti un ragazzo che la superava in altezza di un paio di centimetri. Gran parte della faccia era coperta dagli occhiali da sole, ma il buzz cut verde, i piercing e l’aspetto trasandato non passavano di certo inosservati.

«Non le hanno mai insegnato che è maleducazione intromettersi nelle conversazioni degli altri?» sputò acida.

Scoppiò a riderle in faccia.

«Cos’è tutta questa formalità, dolcezza? Probabilmente abbiamo la stessa età.»

Aveva proferito una sola frase e già era bastata per farle saltare il sistema nervoso. Lo fissava come se volesse incenerirlo – l’altro però, a giudicare dal sorrisetto beffardo, era più divertito che spaventato – e, se la hostess non fosse intervenuta, avrebbe finito col cantargliene quattro.

«Se non ho compreso male, siete entrambi diretti a Toronto» commentò in maniera tale che entrambi la sentissero. «E, se avete l’urgenza di partire in giornata, forse ho una soluzione.»

I due smisero di squadrarsi.

«Stiamo dirottando diversi aerei negli aeroporti più vicini, dove le condizioni atmosferiche sono più favorevoli. Se volete, posso rimborsarvi i biglietti e potete provare a recarvi al JFK di New York, a due ore da qui. L’aeroporto è enorme e sicuramente riuscirete a trovare qualche volo last minute.»

Cinque minuti e duecento cinquanta dollari in più sulla carta dopo, Courtney sedeva su una panca all’ingresso e cercava sul suo iPhone il numero dell’agenzia di trasporti di Filadelfia. Batteva freneticamente il piede sinistro sul pavimento, nemmeno ci provava più a nascondere il crescente nervosismo. Non solo stava per spendere una cifra esorbitante per spostarsi da uno stato all’altro, ma avrebbe dovuto ripianificare il calendario dei successivi tre giorni – e lei odiava organizzarsi con così poco preavviso.

Cominciava ad intravedere diverse ragioni per dare di matto.

In cima allo schermo spuntò una notifica. Heather aveva letto il messaggio in cui le raccontava dettagliatamente della mattinata piuttosto movimentata, e aveva risposto con una sola sentenza: “Questo perché hai deciso di mettere avanti il lavoro e non festeggiare l’addio al nubilato”. Aveva proprio deciso di farglielo pesare fino alla fine.

«Ma guarda chi si rivede! Certo che il mondo è proprio piccolo!»

A tre passi di distanza, lo sconosciuto di poco fa la fissava, con la testa leggermente inclinata e gli angoli della bocca tesi verso l’alto. C’era qualcosa in quel mezzo sorriso che le faceva prudere le mani.

«Di nuovo tu, che gioia!» esclamò con quanto più sarcasmo possibile, mettendo via il telefono. «Comincio a pensare che tu sia uno stalker.»

«Non lo sono, però ammetto che ti stavo seguendo.»

Si accomodò di fianco a lei, accasciandosi sullo schienale e portando il piede destro sopra la coscia sinistra.

«So che non si dovrebbe fare, ma ho visto cosa stavi cercando e non conviene raggiungere New York coi mezzi» la informò, indicando la borsa dove aveva riposto il cellulare con un cenno del capo. «I prezzi sono esageratissimi.»

La sua voce era bassa, strascicata, come se fosse sveglio da poco. Un altro piccolo dettaglio che glielo faceva apparire fastidioso.

«E come dovrei arrivarci, a piedi?»

«In treno, ma dovremmo tornare in città e ci impiegheremmo un’eternità. Oppure, possiamo affittare una macchina qui in aeroporto».

Il modo in cui aveva marcato la prima persona plurale non le piaceva affatto.

«Possiamo?»

«Io vado a New York, tu vai a New York. Non vedo perché non andare assieme.»

«Piuttosto spendo duecento dollari di taxi.»

Fece per alzarsi, ma lui fu più veloce: si allungò per afferrarla per la spalla, costringendola a stare ferma.

«Ascolta, so che- ouch!», si bloccò per ritirare la mano che la ragazza le aveva schiaffeggiato con poca delicatezza, «So che non ci conosciamo e, a giudicare dai segnali che mi stai lanciando, non penso di starti troppo simpatico, ma ho tre buoni motivi che ti convinceranno a venire con me.»

Era vagamente interessata.

«Spara.»

«Numero uno, la convenienza economica: spartendo il prezzo della macchina e del carburante, spenderemo una miseria. Numero due, sono un ottimo compagno di viaggio e ti assicuro che con me il tempo volerà.»

Lei simulò un colpo di tosse per nascondere un “certo, come no” uscitole in maniera spontanea. Lui non ci fece caso.

«Numero tre, ti sto offrendo la possibilità di un’ultima avventura prima del grande giorno.»

Non poteva dirlo con certezza per via degli occhiali, ma avvertiva che il suo sguardo fosse puntato sull’anello che portava sull’anulare sinistro. Lo guardò anche lei. Era piccolo, sottile, con una pietruzza sbrilluccicante di forma circolare. Non doveva essere costato troppo, probabilmente non era nemmeno fatto di argento puro. E presto sarebbe stato sostituito da una fede dorata, con il nome del suo partner inciso nella parte interna.

Non era mai stata un tipo impulsivo, Courtney. Ogni sera, prima di chiudere gli occhi, pianificava mentalmente e in ogni minimo dettaglio la giornata successiva. In quel modo, avrebbe saputo esattamente cosa fare e non avrebbe sprecato preziosi secondi in dettagli futili, come, per esempio, scegliere cosa e dove mangiare durante la pausa pranzo.

Ed era proprio per questo che l’idea di intraprendere quella sottospecie di road trip con un estraneo le stuzzicava la mente.

«Chi mi dice che tu non sia un truffatore? O un predatore sessuale?» domandò dubbiosa, ma era ormai chiaro che stesse per cedere.

«E chi mi dice che non lo sia tu

Scosse la testa, esasperata. Aveva la dialettica di un lattante.

Eppure, si prese un po’ di tempo per analizzare lui e la sua proposta; poi, tornò a guardare l’anello per un’ultima volta. Emanava sicurezza, le prometteva tutto quello che aveva sempre desiderato. Ma avrebbe avuto tutta la vita per continuare a percorrere strade comode – e per soddisfare le aspettative che gli altri avevano di lei.

Si alzò, invitandolo a fare lo stesso.

«Andiamo, prima che cambi idea.»

Non se lo fece ripetere due volte.

«Sapevo che avresti detto di sì» esultò, scattando in piedi e recuperando i bagagli che aveva poggiato per terra. Allungò la mano destra in sua direzione e si presentò: «E comunque, io sono Duncan.»

Lei lasciò la maniglia del trolley per potergliela stringere.

«Io sono Courtney.»













Angolo dell’autrice

Ogni tanto torno a farmi viva su questo fandom.

Sto provando a scrivere una long da eoni, ma tutti gli incipit che partorivo non mi convincevano. Ho deciso di metterli assieme ed è venuta fuori questa roba qui – che non dovrebbe avere più di dieci capitoli, quindi la definirei più una mini-long.

Prima di pubblicare il prologo, mi sono portata avanti col lavoro per capire se questa idea fosse valida ho meno. Ho già pronti altri due capitoli e li pubblicherò nelle prossime due settimane – dopodiché, per via dell’università, gli aggiornamenti saranno più sporadici. L’intento è comunque quello di portarla a termine.

Scusate se la qualità è quella che è, non scrivevo da un po’ e sono ancora arrugginita. Ci sto riprendendo la mano giusto adesso.

A prescindere dalla gente che mi leggerà, farò del mio meglio per portarla a termine. Sarà la mia sfida personale.


(Però, se qualcuno mi legge e vuole darmi un feedback, è il benvenuto)

  
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