Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    14/12/2021    0 recensioni
Aveva una bella voce la mamma e gli cantava sempre quella ninna nanna per accompagnarlo nel mondo dei sogni: parole di libertà, che raccontavano di un mondo sconosciuto, di uccelli che dispiegavano le loro ali su distese di acqua salata, di orizzonti senza mura, oltre i quali la vista si smarriva, di paesaggi misteriosi, fatti di montagne che sputavano fuoco e cieli variopinti al di sopra di cattedrali di ghiaccio.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per l’Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanart and Fanfiction
 
Autrice: Perseo e Andromeda, Heather-chan
Fandom: Attack on titan
Titolo: Ninna nanna
Prompt: 125. Ninna nanna
Personaggi: Armin ed Eren
Rating: verde
Note: Nel canon non viene specificato se, ad un certo punto, Armin viene a sapere come sono morti i suoi genitori. Ho immaginato che lo abbia scoperto a un certo punto, anche se non ho collocato cronologicamente in modo chiaro questo missing moment
 
 
NINNA NANNA
 
 
“Si sta così bene… non voglio svegliarmi più”.
Era tornato a casa, c’era caldo e la mamma era lì vicino a lui e cantava.
Aveva una bella voce la mamma e gli cantava sempre quella ninna nanna per accompagnarlo nel mondo dei sogni: parole di libertà, che raccontavano di un mondo sconosciuto, di uccelli che dispiegavano le loro ali su distese di acqua salata, di orizzonti senza mura, oltre i quali la vista si smarriva, di paesaggi misteriosi, fatti di montagne che sputavano fuoco e cieli variopinti al di sopra di cattedrali di ghiaccio.
Poi la canzone si interruppe, il volto della mamma si riempì di lacrime, afferrò le mani del papà ed entrambi gli sorrisero, con una tenerezza colma di dolore.
“Perdonaci… perdonaci, nostro piccolo Armin, per averti lasciato”.
Si fecero sempre più soffusi, distanti, le loro fisionomie, avvolte dalla nebbia, da essa venivano soffocate.
O forse era il pianto, che offuscava gli occhi di Armin mentre li guardava e quel pianto gli opprimeva la gola, impedendogli di formulare, a voce, la preghiera che gli esplodeva dentro:
“Portatemi con voi… anche io voglio vedere il mondo oltre le mura… anche io voglio essere libero…”.
E voleva rimanere con loro.
Cosa avrebbe fatto, senza di loro, in quel mondo orribile e triste fatto di prepotenze, soprusi, in cui il più forte calpestava il più debole e le libere idee erano considerate eresia?
Mosse un passo, ma un’assordante esplosione e un bagliore di fiamma lo spinsero a portarsi un braccio davanti agli occhi e a balzare indietro, con un grido di spavento.
Quando riaprì gli occhi e il fumo lasciato dallo scoppio cominciò a dissolversi, vide solo tanto sangue e soldati che ridevano, intorno ai corpi immobili dei suoi genitori.
“Mamma!”.
Nel momento in cui il nodo nella gola si sciolse in quel grido straziante, gli sembrò di andare in pezzi.
Cercò di divincolarsi quando si sentì afferrare, singhiozzò, chiamò ancora i genitori, uno per uno, le orecchie invase solo dalle risate di scherno dei loro assassini.
Poi, al di sopra delle risate, si fece sempre più distinta una voce molto diversa, piena di calore, piena di tutto quel che per il ragazzo era importante:
“Armin… Armin, ti prego, guardami!”.
Quella voce era in grado di cancellare ogni paura, di lenire ogni dolore, di fargli sentire che i sogni, nonostante tutto, non morivano.
Il respiro lentamente si calmò, la nebbia cominciò a svanire dagli occhi. Con le mani tremanti si aggrappò a quella sicure che si chiusero sulle sue e, finalmente, lo vide.
Si concentrò sugli occhi verdi, in quel momento pieni di paura.
Paura per lui…
Perché Eren era così, lo faceva sentire amato, gli ricordava, con la sua sola presenza, che insieme avrebbero potuto affrontare ogni cosa.
Smise di divincolarsi, ma le membra erano ancora scosse da tremiti convulsi.
Quando cercò di pronunciare il nome dell’amico, gli uscì solo un gemito spezzato da un nuovo singhiozzo.
Le mani di Eren salirono fino al suo viso.
“Armin… sono qui. Capito? Mi vedi, adesso? Io sono sempre qui, non ti lascio, non ti lascerò mai”.
Era sottinteso il messaggio:
“Non ti lascerò come hanno fatto loro, io il nostro sogno lo poterò avanti insieme a te, non ti lascerò indietro”.
Non ebbe bisogno di aggiungere nulla, perché Armin comprese ogni cosa.
Non ritentò di rispondere a voce, non ce l’avrebbe fatta, si limitò ad annuire.
Ad Eren bastò per sentirsi rassicurato, sospirò e fece scivolare le mani lungo le braccia del compagno, poi le loro dita tornarono ad intrecciarsi.
“Hai le mani gelate” mormorò. “Hai freddo, vero?”.
“Un… un po’…” riuscì finalmente a balbettare Armin.
Allora Eren si fece più vicino, fece aderire i loro corpi, lo avvolse in un abbraccio e lo strinse a sé: in quella stretta vi era un misto di delicatezza e forza.
I brividi di Armin si calmarono un poco, la sua fronte si abbassò e si posò sulla spalla di Eren.
“Ho di nuovo la febbre… che razza di impiastro”.
Eren fu scosso da una risatina.
“Adorabile impiastro” mormorò.
Armin si sentì avvampare e non era solo per la febbre, ne era certo.
Rimasero così qualche istante, poi Eren sciolse l’abbraccio e lo spinse giù:
“Devi riposare per farti passare la febbre. Hanji mi ha ordinato di tenerti sotto controllo”.
Il più piccolo si lasciò guidare da lui, si abbandonò alle sue mani e alle sue attenzioni, ma quando appoggiò la testa sul cuscino, lo fissò con un broncio:
“Ah, allora sei qui con me solo perché te lo ha ordinato Hanji”.
L’altro arrossì, il sorriso scomparve dalle sue labbra.
“Ma… ma no… non è vero… lo sai che…”.
Armin si mordicchiò il labbro inferiore per soffocare la risatina che stava per esplodere:
“Io sarò un impiastro, ma tu sei proprio scemo”.
Allora fu Eren ad imbronciarsi. Guardò altrove, l’espressione piccata e i pugni stretti sulle ginocchia.
Ma quando il risolino di Armin si spezzò in un accesso di tosse, si gettò su di lui e lo aiutò a sollevarsi un poco, per permettergli di respirare meglio.
Poi gli massaggiò il braccio per qualche istante e cercò di farlo di nuovo sdraiare, ma questa volta Armin oppose resistenza, lo afferrò poco sotto il gomito, aggrappandosi alla manica della divisa.
Eren lo osservò, notò la sua improvvisa tristezza, gli occhi già febbricitanti che si fecero ancora più lucidi e guardavano nel vuoto.
“Li hanno uccisi loro… non i giganti… sono stati uccisi… da altri uomini…”.
Eren sussultò, ma comprese: Armin era venuto da poco a conoscenza di cosa fosse realmente accaduto ai suoi genitori e, anche se i suoi amici avevano cercato di farlo sfogare, lui si era tenuto tutto dentro.
Ma era Armin…
Quanto poteva resistere senza scoppiare?
Era Armin e lui era Eren: tra loro potevano intercorrere silenzi che non avevano bisogno di venire riempiti di parole.
Bastavano gli sguardi.
A volte non c’era bisogno neanche di quelli: senza che i loro occhi si incontrassero i pensieri parlavano, si intrecciavano, si connettevano.
Anime gemelle…
Cuori connessi attraverso i sogni.
Il viso di Armin si abbassò, i capelli gli scivolarono lungo le guance, nascondendo ad Eren il profilo del suo viso e lui rimase come ipnotizzato a contemplare l’oscillare delle ciocche dorate. La mano si mosse, attratta come un magnete e due dita raccolsero un ciuffo, lo accarezzarono, ne assaporarono la morbidezza.
Armin ebbe un brivido, poi si lasciò andare e la sua testa si posò sulla spalla di Eren, i loro corpi furono a stretto contatto. Eren si immobilizzò per un istante, ma si riprese subito e gli circondò il busto in un abbraccio.
“Dovevano portarmi con loro… anche io volevo vedere il mondo”.
Eren lottò contro il magone che gli morse la gola:
“E saresti morto anche tu… non avresti visto il mondo… saresti morto insieme a loro…”.
Il viso di Armin si mosse un po’ contro la sua spalla.
“Sì… ma…”.
“E io come avrei fatto?”.
Gli rispose il silenzio.
Armin rimase immobile, ma quando Eren cercò la sua mano e la prese, lui ricambiò la stretta, con trasporto.
“Armin, io…” continuò Eren. “Io mi sono svegliato, grazie a te”.
La mano dell’amico tremò nella sua. Eren la strinse più forte.
“Se tu non mi avessi parlato del mondo esterno, se io non avessi cominciato a sognare insieme a te, dove sarei adesso? Che mentalità avrei?”.
Tacque per qualche istante, guardò davanti a sé, o meglio dentro di sé, come ad osservarsi, con disincanto e una sorta di paura.
“Forse… sarei solo un mostro senza nulla cui aggrapparmi”.
Parve quasi assente nel momento in cui pronunciò le ultime parole e il viso di Armin scattò verso l’alto: Eren si trovò davanti i suoi occhi enormi, lacrimosi e sconvolti.
“Che stai dicendo, Eren?!”.
Sussultò, ricambiò lo sguardo, improvvisamente intimidito, quasi solo in quel momento si fosse svegliato da un sogno ad occhi aperti.
Scosse il capo, posò le mani sulle guance di Armin:
“Il mondo esterno è nostro, ha tutto un senso!”.
L’espressione di Armin si fece curiosa e piena di stupore e quello sguardo, che aveva abbandonato un po’ della propria tristezza, incoraggiò Eren:
“I tuoi genitori te ne hanno parlato, hanno aperto la strada! È vero, non ce l’hanno fatta, ma tu… tu sei rimasto vivo e loro sapevano che tu dovevi restare vivo perché…”.
“Eren…”.
“Perché devi vedere il mondo fuori dalle mura insieme a me… tu dovevi condividere il sogno con me!”.
Armin strinse le labbra, stava di nuovo per piangere. Allora Eren prese le sue mani tra le proprie, con una tale foga che l’amico venne sbilanciato in avanti e cadde contro di lui. Ma i loro occhi rimasero fissi gli uni in quelli dell’altro.
“Lo faremo insieme. Il nostro sogno ci aspetta!”.
Le braccia del più piccolo, lentamente, indebolite dalla febbre, lo avvolsero e il corpicino tremante e più magro che mai si raccolse contro di lui, fin quasi a scomparire.
Dalle sue labbra si levò un esile sussurro:
“Il nostro sogno… insieme…”.
 
 
   
 
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