Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    14/12/2021    1 recensioni
Deve solo attendere, dentro di sé lo sa che quel momento non è troppo lontano.
Li rivedrà tutti molto presto…
Tutte le persone che, in qualche modo, hanno segnato la sua vita, quelle che ha amato, di tanti amori diversi.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per la challenge “Dammi tre parole” del gruppo Facebook Parole tra le dita
 
Autrice: PerseoeAndromeda, Heather-chan
Fandom: Attack on titan
Prompt: Tempo, rimpianto, occasione
Titolo: L’ultimo rimpianto
Personaggi: Levi e Armin
Generi: Angst, drammatico, introspettivo
Rating: Giallo
Note: Spoiler per chi non ha letto il finale del manga

 
 
L’ULTIMO RIMPIANTO
 
Il tempo scorre lento su quella sedia a rotelle che scandisce le sue giornate.
Lui, il soldato più forte dell’umanità, a qualsiasi fine per se stesso avrebbe pensato, qualunque cosa sarebbe stato in grado di immaginare, ma non quella.
Eppure, riesce a sorridere, come per anni non è riuscito a fare.
È un sorriso amaro, rivolto a quel cielo azzurro fuori dalla finestra, ma lui sa perché sorride: in quell'azzurro ne rivede un altro, pensa che da qualche parte, in qualche dimensione al di là di tempo e spazio, un paio di occhi riflettano ancora quel cielo limpido.
Li rivedrà quegli occhi, se c’è una cosa che lo scorrere degli anni gli ha insegnato, è la pazienza.
Proprio lui…
“Lo direste mai, Erwin, Hanji, che adesso so essere paziente?”.
Deve solo attendere, dentro di sé lo sa che quel momento non è troppo lontano.
Li rivedrà tutti molto presto…
Tutte le persone che, in qualche modo, hanno segnato la sua vita, quelle che ha amato, di tanti amori diversi.
Chiude gli occhi, reclina la testa all’indietro, sullo schienale della carrozzina e sospira, una parola si affaccia alla sua mente, la stessa che ha accompagnato la sua esistenza:
“Rimpianto… alla fine me lo chiedo da sempre. Ho rimpianti? Avrei fatto meglio, quel giorno, a non salire in superficie, avrei potuto salvare Farlan e Isabel se non l’avessi fatto?”.
Il primo dubbio.
Seguito da tanti altri.
Culminati nel momento della scelta più atroce che gli si sarebbe potuta chiedere.
Armin… Erwin…
Due vite nelle sue mani…
Due vite a lui affidate dallo stesso Erwin, dal momento in cui gli aveva conferito il pieno controllo sul siero.
Ha rimpianti?
Se potesse tornare indietro, la sua scelta sarebbe diversa?
Si è già risposto, più volte, quando i suoi occhi e quelli di Armin si sono incontrati, in battaglia o in pace, quando Armin li ha distolti, ogni volta, colto da quel senso di colpa dato dall’essere rimasto vivo.
“E pensare che è mia la colpa” l’eterno pensiero di Levi di fronte a quello sguardo mesto e sfuggente. “Colpa mia perché lui si sente così”.
No… nessun rimpianto, perché in quegli occhi, in un certo senso, Erwin non è mai morto davvero, quel giorno, sui tetti di Shiganshina, Erwin gli ha affidato Armin… e ad Armin ha affidato se stesso.
Attraverso la finestra aperta entra un refolo di vento che gli agita i capelli sulla fronte e lo spinge a schiudere le palpebre.
Il soffitto è così bianco che il sole vi si riflette e lo acceca.
Un rimpianto c’è in realtà: aver lasciato che Arlert si struggesse per anni, senza avergli mai detto una parola a riguardo.
Avergli lasciato credere che lui gli fosse ostile...
Avergli lasciato credere di non essere degno.
Continua a ripetersi che non ha mai avuto una vera occasione, ma a chi vuole darla a bere?
Di occasioni per parlare ne hanno avute tante.
Ma quel particolare argomento, nel corso degli anni non è mai stato sfiorato, da nessuno dei due.
Paura di quello che sarebbe potuto uscire?
O semplicemente delle emozioni?
Perché le emozioni le temono entrambi, seppur quel timore venga affrontato, da ciascuno di loro, in maniera diversa.
Per Levi è impossibile esternarle persino quando si trova solo con se stesso. Il timore è troppo.
Di cosa non lo sa…
Di perdersi del tutto…
Come se non fosse ormai accaduto, come se non avesse perso tutto, persino se stesso, ormai abbandonato nell’apparente serenità di quell’attesa.
Ormai assuefatto a quella pazienza finalmente acquisita.
Riporta lo sguardo al cielo e lassù li rivede tutti, coloro che lo stanno attendendo.
“Sento di avere ancora qualcosa da fare” mormora.
Non ha bisogno di parlare a voce alta, lo sentono lo stesso, lo sa.
Una delle promesse fatte ad Erwin l’ha mantenuta, ma sa che un’altra è intercorsa, tacita, tra loro, Erwin l’ha sussurrata al suo cuore, per tutti questi anni in cui solo in esso è sopravvissuto.
Da lì non se ne è mai davvero andato ed è per questo che, a volte, quasi senza rendersene conto, Levi solleva una mano a sfiorarsi il petto. Quando sente il bisogno di farlo, sa che Erwin gli sta parlando.
Ha visto Armin fare lo stesso, a volte.
E forse solo Levi sa cosa significa, per entrambi, quel gesto, quella carezza che donano a chi riposa nel loro cuore.
Lo compie e guarda in basso, verso la mano posata sul petto.
Sono gli unici momenti in cui si concede di ritrovare quel sorriso smarrito anni prima… solo in quei momenti, in cui unicamente coloro che vivono nel suo cuore possono percepirlo.
E nessun altro, perché non è un sorriso rivolto alla vita fuori da quella stanza, fuori dal suo cuore.
Il sorriso si spegne nel momento in cui alcuni colpi leggeri alla porta lo spingono a sollevare il viso.
“Avanti”.
Un balenare di capelli biondi è sufficiente perché il suo cuore perda un colpo.
“Er…”.
Si ferma a quella prima sillaba, la mente torna lucida, abbastanza perché lui si renda conto dell’illusione.
La somiglianza c’è, perché il giovane ora davanti a lui, forse inconsciamente, negli anni ha acquisito uno spirito di emulazione nei confronti del predecessore, uno dei tanti mezzi messi in gioco per combattere un senso di inferiorità del quale non si è mai liberato.
Ha fatto di tutto per assomigliare ad Erwin, anche fisicamente, il taglio dei capelli in primo luogo.
Ma non avrà mai la possanza di Erwin, quella maestosità che portava chiunque a prostrarsi al primo sguardo, quell’espressione virile e severa.
Armin è piccolo…
È sempre stato piccolo.
Non quanto lo stesso Levi, ma quelle dimensioni ridotte si uniscono a una delicatezza nei lineamenti e nel fisico che non lo hanno mai abbandonato e che hanno portato la gente ad apostrofarlo come “il comandante bambino”.
Non è mai cresciuto più di tanto il piccolo Armin nel fisico.
Ma la levatura morale, la forza interiore, quelli sì sono possenti…
Quelli sì che ricordano Erwin.
Quello che gli manca è la sua sicurezza, la fiducia in se stesso, la capacità di smettere di odiarsi.
E, in parte, Levi si sente responsabile per questo.
Non ha mai contribuito a fargli acquisire la consapevolezza di essere degno di esistere, al di là di Erwin, al di là di quel che la gente si aspetta da lui, da sempre.
“Solo degno di essere te stesso” pensa e, forse, le sue labbra mormorano quelle parole senza che lui se ne renda conto, perché Armin, appena entrato, si ferma, lo sguardo azzurro un po’ perso, in esso una domanda inespressa.
Levi lo fissa, con quella serietà che gli è propria da sempre, ma che da anni Armin non teme più. Forse non l’ha mai temuta davvero perché, anche se non lo sa, il piccolo Arlert è coraggioso.
Sono in molti a non saperlo.
Ma Levi lo sa, lo ha sempre saputo, consapevolezza condivisa con Erwin e con Hanji, fin dal primo istante.
 Con l’umiltà verso i superiori che non ha mai perso, Armin china il capo.
“Capitano...”.
Ancora lo dimentica che colui che gli sta davanti non è più un suo superiore.
“Solo Levi, comandante Arlert”.
C’è un po’ di gentile ironia nel tono di Levi, ma forse il giovane non la coglie, perché arrossisce, al colmo dell’imbarazzo, un disagio che non ha mai superato, la totale incapacità di riconoscersi in un ruolo che gli spetta di diritto.
“Pe... per favore... non...”.
Levi lo fissa per qualche istante, l’espressione in apparenza immutata, ma dentro sorride, è difficile farlo con le labbra, eppure è tenerezza quella che sente, complicità e tanta comprensione.
“Va bene... io ti chiamerò solo Armin e tu mi chiamerai solo Levi. D’accordo?”.
Ancora rossore, l’evidente tentazione di distogliere lo sguardo e gli occhi che si socchiudono e si abbassano. È cresciuto il piccolo Arlert, ma quell’espressione gentile di ragazzino timido e insicuro, probabilmente non la perderà mai.
Però Levi è sollevato di vedere l’ombra di un sorriso attraversare le sue labbra. Ormai sono rari quei sorrisi che un tempo illuminavano il volto del cadetto pieno di sogni, rari quasi quanto quelli del soldato più forte dell’umanità.
“Ormai ne abbiamo di cose in comune, Armin”.
Lo dice, con una spontaneità che stupisce egli stesso e il volto del giovane si solleva di colpo, lo guarda come se avesse esternato la più assurda delle idee.
“Lei ed io capitano? Mai, per niente al mondo!”.
Questa volta Levi sorride davvero, sente le cicatrici sul suo viso che tirano, ma non gli importa, c’è abituato ormai. Sorridere ad Armin è più importante del fastidio che quei segni ancora gli fanno sentire, seppur sia passato parecchio tempo ormai.
Sorride perché sa che ci dovrà rinunciare: Armin non riesce a mettere da parte quelle sfumature di rispetto, quell’appellativo che conferisce più importanza alla carica che alla persona.
Sorride, ma lo rattrista anche un po’, perché desidererebbe che quel velo di distanza tra loro crollasse definitivamente.
E, forse, è davvero l’ora di farlo crollare, una volta per tutte.
Tende una mano, indica la sedia vuota accanto a sé.
“Vieni qui vicino a me, Armin. Dobbiamo parlare. Ho tantissime cose da dirti”.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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