Promesse
Nei lunghi giorni
d’inverno c’era ben poco da fare a Camelot, non si poteva neanche uscire per
prendere un po’ d’aria, perché la neve era troppo alta.
Quindi alcune attività di
solito ignorate da Morgana ora le erano impossibili da evitare.
Una di queste attività era
filare, Morgana aveva sempre odiato filare, preferiva di gran lunga cardare la
lana, o rammendare, filare la portava in uno stato quasi di trans, mentre la
ruota girava e girava e la sua mente si perdeva per sentieri contorti e pericolosi
da percorrere.
Lungo questi sentieri era
facile perdersi e farsi prendere da una visione, uno di quei sogni che ormai
sempre più spesso l’assalivano, ed avevano il brutto vizio di dimostrarsi
veritieri.
Per questo Morgana non
filava mai, soprattutto non in compagnia di altre donne, a meno che non fosse
Gwen, lei sapeva del suo dono, ma le era troppo legata per tradirla.
Ma quel preciso giorno la
lana da cardare era finita e non c’era più nulla da rammendare, senza contare
che nessuna delle dame era al castello.
Elaine era nella terra di
suo padre, dalla madre, poiché stava per mettere al mondo il suo primo figlio,
Cornelia era andata a far visita alla sorella badessa, e anche le altre, data
la vicinanza a Natale, avevano intrapreso il viaggio verso le loro dimore
familiari, per passare la festività insieme.
Solo due delle più anziane
dame di corte, che erano state dame di compagnia della regina Ygraine, erano
rimaste al castello, ma a quell’ora sarebbero certamente state nelle loro
camere a dormire, il sole era tramontato.
Per cui, con un gran
sospiro, si avvicinò alla macchina per filare, sedendosi e prendendo tra le
mani il filo, lasciato lì da una precedente sessione, e premette il pedale che
azionava la ruota.
Il filo cominciò a
scorrerle tra le mani speditamente, mentre lei cercava inutilmente di mantenere
la mente concentrata, lontano dai seducenti sogni che la chiamavano.
Ma a niente valse tutta la
sua volontà, il moto circolare e continuo della ruota e il calore del fuoco
scoppiettante accanto a lei la guidarono ben presto in una visione.
Era buio, lei era un uccello, o comunque un animale
in grado di volare, perché vedeva la scena dall’alto.
Stava sorvolando la foresta, quando,
all’improvviso, vide delle luci e sentì delle grida provenire dal basso.
In rapidi cerchi concentrici si abbassò sulla
piccola radura che le si aprì davanti.
All’interno del piccolo cerchio di territorio privo
di alberi e illuminato dalle torce c’era
uno sparuto gruppo di uomini armati, che si battevano con dei mostri che parevano
usciti dall’inferno tanto erano ributtanti e spaventosi.
Febbrilmente cercò Artù e Merlino, che sapeva
essere usciti a caccia proprio quel giorno.
Alla fine li trovò, spalla a spalla, con due mostri
che li impegnavano.
Artù era coperto di una schifezza scura, dall’odore
disgustoso, e lei vedeva del sangue scendergli da un taglio sul sopracciglio,
ma non le pareva che fosse ferito gravemente.
Più preoccupante era Merlino, che teneva il braccio
destro contro il petto, come se fosse ferito, o peggio, rotto.
Lanciò un urlo, muto per i combattenti, quando vide
uno dei mostri partire all’attacco, cercando di ferire Artù con i lunghi
artigli.
Il principe però era preparato, schivò gli artigli
e andò all’attacco, affondando la spada in uno degli occhi della bestia, che si
tirò indietro con un urlo agghiacciante.
Merlino non ebbe altrettanta fortuna, il mostro che
lo stava attaccando gli diede una spinta molto forte, mandandolo dietro la
cortina di cespugli e di alberi che copriva il confine della radura.
La bestia si avventò sul punto in cui era scomparso
Merlino, ma poco dopo una specie di saetta luminosa lo buttò a terra,
uccidendolo.
Altre saette fecero fuori le restanti bestie,
permettendo così ai soldati di riprendere fiato e di organizzarsi per tornare velocemente
al castello, perché non potevano fare altro a quel punto, con la neve alta e
per di più al buio.
Artù urlò un paio di ordini e si allontanò in cerca
di Merlino, trovandolo qualche minuto dopo, sdraiato nella neve, con una ferita
alla spalla e il braccio già rotto girato in un’angolazione innaturale.
Lo trascinò fino al centro della radura, dove i
soldati avevano preparato una specie di barella per trasportarlo.
In quel momento la visione cominciò a svanire
lentamente, mentre la sua vista si concentrava sulla neve insanguinata…
-M…ra…-
La voce le giungeva da
molto molto lontano, così come le mani che la scuotevano.
-La neve…-
Gemette Morgana,
dondolandosi avanti indietro, gli occhi spalancati che non avevano ancora messo
a fuoco dove si trovasse.
-La neve era piena di
sangue!-
Singhiozzò ancora la
ragazza nell’abbraccio di Gwen, che stava tentando di riportarla indietro.
-Shhhh, mia signora è
tutto passato, siete a casa, va tutto bene.-
Mormorò l’ancella
lasciando che i singhiozzi piano piano si calmassero, mentre Morgana tornava in
se.
-Grazie Gwen.-
Disse Morgana sciogliendo
lentamente l’abbraccio e asciugandosi gli occhi con una manica della veste.
-Vai nelle cucine, di che
preparino vino caldo e del brodo, i soldati stanno tornando e avranno bisogno
di mangiare e…bere per dimenticare. Io andrò ad avvertire Gaius, perché in
molti sono feriti.-
Gwen alzò un sopracciglio,
ma da tempo aveva imparato a non fare troppe domande, così si alzò e si avviò
speditamente verso le cucine.
Morgana si alzò a sua
volta, lanciando uno sguardo di odio alla macchina per filare, prima di
scendere lungo le scale fiocamente illuminate, in direzione di Gaius.
Non sapeva, però, che un
paio di freddi occhi azzurri avevano osservato tutto
Riconoscendo sin dall’inizio i segni della
visione, avendoli visti più volte sul viso della moglie, era rimasto
nell’ombra, dietro ad una porta, per osservare la figlia adottiva, legata a lui
da una promessa fatta ad un suo grande amico, praticare quella magia che lui
aveva vietato.
Uther si diresse come una furia nelle sue stanze,
completamente sconvolto.
Lui aveva VIETATO la magia,
e quella che era la padrona di casa, quella che avrebbe dovuto dare l’esempio a
tutte quelle donna del popolo che ancora seguivano l’antica dea e praticavano
le magie era quella che ne faceva uso.
Un membro della sua
famiglia!
Decisamente era proprio il
caso di dire che si era allevato una serpe in seno.
Era gravissimo!
Ancora più grave era il
fatto che l’ancella ne fosse al corrente e non glielo avesse detto, e che ne
fosse al corrente anche Gaius, visto che non provava nessuna difficoltà a
crederle sulla parola.
Anche se Gaius era sempre
stato un discorso a parte…
Lui apparteneva ad un
mondo precedente, un mondo diverso, nel quale per qualche tempo aveva vissuto
anche lui.
Prese a passeggiare per la
sua stanza nervosamente, come un animale chiuso in gabbia, mentre cercava di
trovare una soluzione a quel problema.
Uther non era un uomo
cattivo, né aveva odiato da sempre la magia, non avrebbe potuto farlo, sua
moglie la praticava, il suo sangue era quello del vecchio popolo, e la sua
gente apparteneva ai druidi e ai falò di Beltaine.
Ed era stato grazie alla
magia che l’aveva avuta, ed era merito della magia se Artù, il suo amato
figlio, era vivo ora.
Solo che non sempre la
magia funziona come si vuole, ha il suo corso, e nessuno ne può prevedere i
risultati.
Grazie a quell’incantesimo
Ygraine aveva concepito, certo, ma il suo corpo non era stato abbastanza forte
da sopportare il parto, e lei era morta.
Uther dava colpa di questo
alla magia, a quei druidi e a quelle sacerdotesse che, con tutta la loro magia,
non erano riusciti a salvarla.
Per questo ora lui dava
loro la caccia, e odiava qualsiasi cosa fosse anche lontanamente magica, per
vendetta, perché se l’amore della sua vita, la compagna della sua anima era
morta era solo colpa loro.
Avrebbe dovuto condannare
Morgana ad una punizione esemplare, per esempio la condanna a morte, o la
prigionia a vita, così da dare un esempio a tutti: lui non faceva favoritismi,
neanche per la sua stessa famiglia.
D’altro canto c’era la
promessa…
La promessa fatta in punto
di morte al padre della ragazza.
Aveva giurato di occuparsi
di lei, di proteggerla da ogni male, di trattarla come sua figlia e di farne
una donna rispettabile.
Come avrebbe potuto
adempiere alla promessa se l’avesse punita?
Era un dilemma difficile
da risolvere, ma Uther Pendragon, ancora prima di odiare la magia era un uomo
d’onore, mai e poi mai avrebbe mancato alla parola data, soprattutto se l’aveva
data al più caro dei suoi amici.
Ma forse…un modo c’era per
punirla e allo stesso tempo adempiere alla promessa…
Morgana si diresse nelle
stanze del re solo la mattina dopo, aveva passato quasi tutta la notte ad
assistere Gaius con i malati.
Mentre un’ancella le
allungava un panno umido e delle forcine per sistemarsi almeno un po’, Morgana
si chiese con apprensione per quale motivo Uther la volesse vedere, quasi mai
da quell’uomo tanto austero venivano buone notizie.
Quando ebbe assunto
un’aria almeno decente la ragazza fece il suo ingresso nelle camere del re,
dove Uther l’aspettava già perfettamente vestito, nonostante l’ora.
-Morgana, siediti,
dobbiamo parlare.-
Disse l’uomo indicandole
una sedia con delle pellicce appoggiate sopra a mo di cuscino.
Sempre cauta Morgana si
sedette, raccogliendo la gonna intorno alle gambe.
-Perché mi volevate
vedere?-
Domandò inclinando la
testa da un lato.
L’uomo invece di
rispondere alla sua domanda gliene pose un’altra.
-Quanti anni hai Morgana?-
Le domandò infatti, sedendosi
a sua volta.
-Quasi 19 Uther, ma perché
questa domanda? Non vi siete mai interessato alla mia età.-
Ribattè Morgana, sempre
più confusa.
-Bene, credo che per te
sia giunta l’ora di sposarti. Ho ricevuto molte proposte, e sono molto ben
disposto verso il duca Marco di Cornovaglia, sarà un ottimo marito per te.-
Annunciò Uther, con un
sorriso che sembrava sbagliato sul suo viso.
D’altro canto Morgana era
del tutto esterrefatta e confusa, non riusciva a comprendere il perché di tale
decisione e nemmeno perché l’avesse presa proprio ora.
-C-cosa?-
Fu l’unica cosa che riuscì
a mormorare.
-Ho detto che ti sposerai
con il duca Marco di Cornovaglia. Certo, non è più giovane, ma è un valoroso
cavaliere e sono sicuro che sarà un ottimo marito per te. Ovviamente prima di
andare in sposa a Marco passerai qualche tempo in convento lontano da…cattive
influenze.-
Concluse, con quel tono di
voce che impediva ogni minima opposizione.
Ma Morgana non poteva
farsi intimidire, era del suo futuro che si parlava.
-No, Uther! Voi non siete
mio padre, non potete ordinarmi di-
Fu interrotta dal re che
si girò di scatto e le afferrò la gola con una mano, negli occhi uno sguardo
gelido.
-Tu farai come ti ho detto
Morgana, e ringrazia che non ti abbia condannata a morte!-
Sibilò vicino al suo viso,
notando lo sguardo di confusione e i primi cenni di consapevolezza, mista a
paura che si nascondevano nei suoi occhi.
-Si Morgana, so. Se non
fosse per tuo padre e la promessa che mi fece fare in punto di morte, e se tu
fossi mia figlia ora non saresti qui.-
Le lacrime ora scorrevano
libere sul volto di Morgana, mentre la mano del re si allontanava, per tornare,
chiusa a pugno, lungo il fianco dell’uomo.
-Ho già ordinato alla
servitù di fare i bagagli, partirai domani per il convento in Cornovaglia, così
sarai vicina al tuo futuro sposo.-
La ragazza scosse
inutilmente la testa, aggrappandosi alla manica del vestito del re.
-Ma..-
Provò, ma prima che
potesse dire altro il re la interruppe.
-Non c’è nessun ma,
vattene ora, e non ti far vedere da me prima della tua partenza o potrei
cambiare idea.-
Morgana lo lasciò stare e
corse via, lontano da quell’uomo che tanto facilmente, per una colpa non sua,
la stava punendo tanto crudelmente.
Ovviamente questo dipende
dai punti di vista.
Dal canto suo Uther
pensava di essere stato troppo generoso a “proporle” quell’accordo, forse la
prigione a vita non era poi una cattiva idea.
Dannazione alle promesse e
al suo orgoglio!