Libri > Good Omens
Ricorda la storia  |      
Autore: Longriffiths    24/12/2021    2 recensioni
Non aveva mai coltivato quel sentimento e non se l’era mai sentito addosso da nessun altro. Nessuno gli aveva mai dimostrato qualcosa, nessuno gli aveva fatto comprendere quanto avesse lasciato impronte profonde nella vita di chi gli stava accanto. Crowley si. E la cosa lo terrorizzò.
[..]
Perché lo stava facendo era la vera domanda. Per capirlo? Per sentirsi a lui più vicino? Si, era per quello. Ma a quale scopo? Quale sarebbe stata la meta una volta completato quel piano agli occhi di chiunque una pazzia?
Forse lo avrebbe capito strada facendo, o forse non aveva abbastanza coraggio per ammetterlo a se stesso, fatto stava che ci provò, l’angelo.
Ciò non valeva a dire avvicinarsi al lato oscuro che tanto combatteva, quel lato sbagliato, ingannevole e nefasto. Crowley non era di certo così. Era soltanto un’anima buona, caduta in una sorte orribile.
Era però come tutti i demoni, vizioso, ed era da lì che avrebbe iniziato.
----
-’Tu hai proprio un bel faccino. Sembri.. un principe.’-
-’Beh.. grazie. Anche lei è deliziosamente incantevole.’-
-’Ce l’hai un nome, o uso la mia fantasia per invocarti mentre mi profani?’-
-’Aziraphale. Mi chiamo Aziraphale, e non farò niente del genere,
Genere: Angst, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Auguro un Buon Natale a tutti quanti voi, spero che questa festività, questo periodo, e magari il nuovo anno possa portarvi tutto ciò che il vostro cuore desidera.

________________________________________


Non era affatto questione di abilità, il conflitto morale che sentiva verso il demone quando si trovava in sua presenza, o si prendeva del tempo per pensare a lui e al loro rapporto, che lo portava a sentirsi sempre un passo indietro a lui.. Perché lui era bravo. E allora, perché gli appariva così tanto irraggiungibile, e soprattutto perché lo pensava come tale, perché non riusciva a capire dove fosse la falla? Che cosa gli mancava, proprio non lo capiva.
Era sì, forse ipersensibile, ma dopotutto quale angelo non lo era? Forse nessuno a parte lui, ma nessuno più di lui aveva imparato ad amare così da vicino quel luogo e i suoi abitanti, e le emozioni umane che sopraggiungevano in qualsiasi contesto. Le emozioni erano vaste sfumature di ogni sguardo, tono di voce, pausa, riflessione, evento, e ad ognuno di loro era correlato un sentimento. Dai suoi occhi, dalla sua pelle, la percezione era ampliata. Sentiva e si teneva accanto a ciò che sentivano gli altri, da brava creatura amante di tutto ciò che Dio gli aveva messo a disposizione in quella infinita distesa di meraviglie. Amava senza amarsi, tutto e tutti, a parte se stesso per troppi aspetti generici e specifici nella sua anima e nella sua vita che ancora non era capace di accettare.
Si lasciava trasportare da ciò che provava, ma aveva la forte e solida maturità di ponderare ogni azione e decisione, perfettamente cosciente di quanto in là potesse lasciarsi sopraffare. Non li sopprimeva, i sentimenti, mai.
Non aveva mai imparato a guidare dall’avvento dei veicoli a motore, ma se solo ci avesse provato, l’angelo si sarebbe sorpreso di quanto facile potesse risultargli quel gioco di attenzione. Lui, che viveva costantemente con un piede puntato sul freno e l’altro sull’acceleratore del suo bagaglio emotivo. Si spingeva, frenava, si spingeva, frenava, ogni giorno della sua vita.

Camminava lentamente, esplorava assiduo i meandri del suo più profondo io e di ciò che gli capitava intorno tale da fargli montare certe cose, con una pazienza inumana ed una devozione infinita al rispetto e al sapore dei sentimenti che incamerava. Li analizzava, li scopriva, come un bambino molto piccolo circondato da bolle di sapone nell’aria, che ne scorgeva i riflessi iridescenti. Le toccava, avvicinava pacatamente le manine, s’incantava della meraviglia della forma e dei colori, si sorprendeva nel vederle restare attaccate alle piccole dita, o a scoppiare nel nulla lasciandogli un vuoto di incomprensione e il fastidio negli occhi causato dalle particelle di sapone. Così Aziraphale si era da sempre avvicinato ai sentimenti umani, lasciava che gli entrassero dentro, che gli facessero male se necessario, li accettava e li accomodava, li leggeva, ne faceva affiorare gli effetti sulla sua psiche e le reazioni corporee, ed aveva quasi imparato a gestirli. A dargli un nome.
Era propenso alla commozione, al lato roseo della vita, alla bontà.
Era ingenuo. Ma non era di certo uno stupido. 

Crowley era schietto, e diretto. Parlava per ciò che intendeva, non lasciava al caso e alla comprensione soggettiva altrui quel che espletava, poiché nella sua mente aveva sostenuto sempre un discorso chiaro e tondo che solo una mente idiota non avrebbe capito. Nonostante non pronunciasse un nome, un luogo, qualsiasi cosa al quale si riferisse quando parlava. Certe frasi, non potevano essere più esplicite di com’erano. Non cercava l’ambiguità nelle frasi prima di pronunciarle, malgrado scegliesse accuratamente le parole da utilizzare, riflettendoci bene, perché tutto ciò che gli passava per la testa a modo suo era ambiguo. Per natura, s’intende, e questo l’angelo lo sapeva, ed era forse per quello che era di fatto l’unico al mondo che non si poneva troppe domande quando si trattava di interpretarlo.
Aziraphale d’altro canto lasciava passare tutto ciò che pensava in mille e più filtri. Nonostante sembrasse tra i due quello più trasparente, indole escludendo in questo caso, dato il fatto che il fatto che lo fosse -ovviamente-, era quello che più pensava prima di chiacchierare. Pensava e correggeva, per evitare di poter risultare criptico. Ma parlava in un modo così naturale, così calmo e tranquillo, da rassomigliare a una candida creatura umana ancora priva di peccati, un bambino, che non aveva bisogno di spiegare o di essere compreso. Quello, accadeva in normali circostanze.

Ciò non avveniva quando tutte quelle emozioni lo toccavano sotto la pelle del corpo che Dio gli aveva dato. Succedeva in quelle situazioni, quando non doveva empatizzare con lo stato d’animo altrui per sentirselo dentro ma in maniera diretta con il proprio, che il suo raziocinio dava forfait. I classici bollori o formicolii, che fossero di felicità o in quel caso di qualcosa che poche volte aveva sperimentato ed ogni volta si augurava fosse l’ultima, erano cocenti. Scottavano e gli mandavano su per tutte le terminazioni nervose, il cervello ed il cuore in panne. Bloccavano la sua automobile interiore, più precisamente, ne manomettevano i freni. Ed allora l’angelo non si fermava più, non era più in grado di controllare le sue amiche emozioni. Esse non erano più qualcosa che lui provava, Aziraphale diventava quell’emozione.

                                                                                                     ° ° °

1872

E lo era diventato, la rabbia, quel pomeriggio al parco. Aveva agito troppo d’impulso, tanto che a casa poi se ne era profondamente vergognato, ma era ormai troppo tardi. Non era il tipo di comportamento che un angelo avrebbe dovuto adottare. Ma non poté farci niente, era diventato più forte del suo stesso autocontrollo. Non seppe, o almeno lo avrebbe compreso soltanto settant’anni più avanti quando avrebbe trovato il tassello al puzzle che gli mancava allora, per quale assurdo motivo quel discorso surreale gli diede così tanto fastidio.
Anche se avesse voluto scavare dietro il significato delle ciance del caro collega, analizzando e parafrasando ogni virgola, non sarebbe potuto risultare diverso da ciò che era fin troppo evidente.
-‘Ho ben altre persone con cui fraternizzare, angelo.’-
Era ingenuo. Non era stupido.
E non fu per tutte le tentazioni in cui aveva indotto gli esseri umani per mezzo del loro antico accordo, che aveva capito che cosa volesse dire.
Fraternizzare, fare causa comune, fare amicizia, era quello che aveva inteso Aziraphale, affacciato al laghetto, quando gli aveva negato l’acqua Santa.
Non era stupido. Era ipersensibile.
Se solo avesse avuto quel giorno il tassello mancante, avrebbe compreso il perché di tutto quell’odioso sfarfallare. Per quello, per il tono della voce dura e canzonatoria del demone, per lo sguardo offeso e repellente che gli aveva rivolto, per la situazione, era infine esploso in quella sfuriata poco elegante e rozza persino per un essere umano. Aveva gettato nell’acqua tutta la frustrazione e le assurdità accumulate in quei pochi minuti. Il fuoco aveva iniziato a scottargli malamente la faccia, le mani ed il cuore intanto tremavano. Ma non era soltanto la collera quella che manovrava i fili della sua anima, c’era di più.
Fraternizzare, non aveva lo stesso significato per loro. O almeno, era quello che aveva pensato date le circostanze. Non concepì la facilità con cui gli aveva rivolto una tale arroganza, quella maschera gelida in viso dinanzi la sua pietà per un ipotetico suicidio. Non riusciva a capire come poteva chiedergli di consegnargli un’arma letale che di fatto apparteneva al Paradiso, proprio a lui che si era pensato da qualche era a quella parte il suo migliore amico. Quanto fosse difficile per lui accettare l’idea di aiutarlo a porre fine alla sua vita. Con la morte nel cuore aveva letto il contenuto di quel pezzo di carta senza credere al fatto che non volesse usarla su di sé, e a nulla valsero i suoi occhi umidi.

Proprio non accettava con quale coraggio, dopo che si era premurato di dargli a capire quanto potesse fargli male l’idea di non averlo più con sé, gli sbattesse in faccia gli esseri umani con cui si intratteneva quando lui non c’era, quanto fosse semplice rimpiazzare la sua amicizia. Perché forse, non aveva lo stesso valore per entrambi. Perché in fondo sapeva, anche se sperava potesse essere l’eccezione, che un demone non poteva affezionarsi a qualcuno. Lo distrusse comunque, quella orribile verità che si augurava da sempre non venisse mai a galla.
Non aveva colto fino in fondo quanto al demone fosse costato avanzare quella richiesta all’unico essere alla quale, sua insaputa, teneva al mondo. Quanto si sentiva balordo chiedendo di mettere a rischio e puntare la sua natura, donando l’emblema dell’essenza eterea a un essere delle fiamme immonde. Quanto lo avesse ferito sentirsi negare un aiuto a causa e non in nome della loro ormai fondata e innegabile amicizia, perché un po’, nel profondo, Crowley aveva sempre creduto di essere un pochino più importante per lui degli angeli da cui Aziraphale stesso si era allontanato. Digerire il fatto che così non fosse era stato troppo per lui, che credeva di aver finalmente trovato un alleato, un amico, in quel lago di traditori in cui non si riconosceva, circondato da umani di cui non si sentiva ancora veramente parte, e nel suo passato di creature di Dio con cui non aveva mai legato. Non stava bene in Paradiso, come non lo era negli Inferi, come cercava soltanto di essere sulla Terra, in Aziraphale aveva trovato l’altro lato di sé. Aveva scoperto in lui un luogo che non era niente  di tutto quello, e al contempo era tutto, tutto quello di cui aveva bisogno per stare bene, per essere nella pace che non aveva mai trovato prima.
Per tutto questo, aveva dato per scontato che l’angelo gli rendesse un favore, fregandosene per una buona volta della fazione.
Perché lui non era l’unico che da secoli stava sul filo del rasoio, a giocarsi la vita nascondendo un demone nella manica al tavolo da poker del Paradiso.

Non poteva sapere, l’angelo, quanto Crowley si era sentito pugnalato, e quanto si era rimproverato per avergli detto quelle cose. Ma non aveva evitato di sputargli addosso tutto il veleno che stavano producendo le sue ghiandole salivari, al sentire le sue patetiche scuse in merito. Gli aveva arrecato sofferenza, e di rimando gliel’aveva restituita. Non perché volesse mortificarlo, era semplicemente troppo franco, e di freni non ne aveva. Ne alla lingua, ne alle emozioni. Specialmente se il fulcro di essere era quella creatura dai crini argentei di cui da secoli ormai doveva sopportare l’odore, il calore e la vicinanza senza poterci fare quello che in realtà voleva.
Quel litigio non fu che uno dei tanti risultati di troppe parole non dette negli anni e nei millenni dal loro incontro, per paura di ritorsione.
Per paura delle conseguenze.
Per paura delle reazioni.
Per paura di qualcosa che nella realtà non c’era.


                                                                                                         ° ° °
1941.

Il problema non era correlato a ciò che riusciva, o non riusciva a fare. Perché lui era tanto capace quanto bravo, quando ci si metteva.
Ci era arrivato, le notti successive a quella movimentata ed inusuale sera, quando finalmente aveva scelto di divertirsi pur sfruttando il potere dell’essere un angelo di luce, e di lasciare che ogni cosa, anche la più losca, filasse liscia. Quando aveva tentato le spie naziste a rivolgersi a lui per esportare i testi profetici non solo aveva adempiuto al compito del proprio collega, ma si era preso la libertà di immischiarsi personalmente in quei traffici, e gestire l’altra parte del proprio dovere, bloccando la sua stessa tentazione lavorando in prima persona con i cattivi che avrebbe fermato.
Non poteva sapere, che Crowley era sceso all’inferno per controllare i fascicoli originali che in copia, quella che toccava a lui, aveva assegnato all’angelo dato il periodo di ‘vacanza’ che gli spettava. Non poteva sapere che Crowley aveva occhi e orecchie dappertutto, che il suo nome e la sua voce avevano già messo radici a Londra da un po’. Non poteva sapere, che aveva manipolato ed ingannato decine di demoni per risalire a quei compiti, che aveva smosso i mari, i monti, i giornali, le linee di propaganda occulta, l’intera comunità della capitale d’Inghilterra per riuscire ad arrivare in quella Chiesa, a quell’appuntamento in tempo, solo per salvargli la vita, perché non poteva rischiare che non gli assegnassero un nuovo corpo, che lo tenessero lontano dalla terra, lontano da lui.
L’unica cosa che notò Aziraphale, era che Crowley era di nuovo diverso.
E non solo nell’aspetto. Lui era sempre stato un trasformista.
Era diverso anche per il resto del mondo. Aveva una nuova identità.
E aveva ancora intenzione di appropriarsi dell’acqua benedetta.

                                                                                                      °°°
1978

Il problema, era un altro.
L’unico vero problema era che era intelligente.
Ci era arrivato una sera Aziraphale, mentre ritagliava dei fogli di giornale vecchio e scolorito, nel tentativo di creare un accurato mosaico che fungesse da cornice alla bacheca della libreria. Una bacheca in cui avrebbe riportato una pianta del negozio, e classificato per reparto e scaffale tutti i manoscritti, i tomi ed i testi che negli anni aveva collezionato, e che non aveva intenzione di dare via.
Allora, aveva riesaminato la propria coscienza mentre provava quella stessa e identica sensazione di quasi un centinaio di calendari addietro.
Dopo aver appurato che paragonare Crowley a un libro non solo era qualcosa di frivolo, ma completamente privo di una base sensata, si rimise all’opera. Eppure, non riusciva a comprendere perché quel che aveva dentro era l’esatto riflesso di quel che era stato quel pomeriggio. Senza rimuginarci troppo, prese a spalmare delicatamente la colla sul legno, e posò lo sguardo su una prima stampa originale di Adam di Eynsham, il proprio stomaco fu pervaso da un senso di smarrimento.
Non poteva venderli, ne regalarli, ne prestarli. Non poteva vederli nelle mani di un’altra persona, qualcosa che gli apparteneva. O almeno, che sentiva appartenergli. Se avesse visto quei libri nelle grazie altrui, glieli avrebbe invidiati. O meglio, si disse.
L’invidia, era qualcosa che sopraggiungeva quando si desidera una cosa che hanno gli altri, e che si vorrebbe per sé. E lui, non ne aveva di questi problemi. Non aveva mai invidiato niente, ed i libri erano giù suoi.
No, lui ne era estremamente geloso. E la gelosia arrivava lesta e meschina, quando qualcuno portava via qualcosa che già si possedeva, o che tentava di farlo.
Le forbici ed il barattolo di colla volarono al suolo, piccole macchie bianche sporcarono un ampio raggio di parquet. Niente che un miracolo non avrebbe aggiustato, se solo l’angelo fosse stato nel pieno delle proprie facoltà mentali.
Perché nel corso delle tentazioni di cui si era occupato, e delle benedizioni con cui aveva dovuto neutralizzare le prime, sapeva bene che la gelosia umana era un sentimento tanto forte quanto pericoloso. La gelosia portava a fare cose strane, cose prive di senso, sia nella mente che nel corpo. La gelosia era una macchina da scrivere impazzita ed automatica  nell’inconscio della gente, stampava a fuoco nel senno delle persone pensieri non veritieri, pensieri brutti, scene ipotetiche che si scavavano un tunnel a mani nude verso qualcosa di più oscuro, verso l’astio, il rancore, la rabbia. E allora, qualcuno impazziva. Decisioni inconsulte, comportamenti poco ortodossi. Erano tutto ci che era abituato a bloccare, nel senso negativo del termine. Dell’ossessione. Ma questa, non era l’unica forma alla quale era abituato.
La gelosia si manifestava anche per altre ragioni, alle volte era anche divertente. Quella correlata al sentimento più dolce e nobile che l’animo umano avesse mai conosciuto, derivante direttamente dal loro Creatore, quello di cui Lui stesso ed Aziraphale di rimando erano colmi.
L’amore.
La gelosia degli innamorati, quelli veri, quella che culmina in un lungo abbraccio, in un bacio, in un sorriso dopo giorni di delusione. Quella che portava a litigare per futili motivi, perché tanto più si era innamorati quanto più l’offesa allo spirito era forte. Quella non picchiava, semplicemente graffiava l’anima. Portava con sé la paura di perdere qualcuno, e la tristezza di una vita ed anche solo di un giorno senza quella persona. Quel tipo di gelosia non aveva bisogno di essere contrastata, aveva soltanto bisogno del centro di quella giostra.
Questo, era quello che aveva provato quando aveva pensato al demone nelle braccia altrui. Quando lo aveva pensato estinguersi. Mentre la colla asciugava su lucido pavimento, l’angelo comprese il motivo della sua scenata quel pomeriggio al parco, e le lacrime la notte e i giorni successivi. Si rispecchiò in tutto quell’infinito groviglio di sensazioni che per qualche tempo lo avevano destabilizzato, e si rese conto che malgrado lo avesse visto e rivisto negli anni successivi, quelle spiacevoli emozioni lo avevano lasciato andare soltanto qualche mese addietro, quando Crowley gli aveva scaldato il cuore tra le macerie di quella Chiesa, consegnandogli i suoi amatissimi testi.

Proprio come quando gli umani si abbracciavano, e tutto il dolore patito per un vecchio screzio veniva spazzato via, e cancellato, lasciando spazio solo alla sensazione che il cuore stesse crescendo talmente tanto da occupare tutta la gabbia toracica, senza sentire del male. Sentiva solo il viso infuocato di innocente piacere, la testa leggera, come se stesse volando pur avendo ben saldi i piedi al suolo. Sentiva benessere, commozione.. amore. Amore verso quel demone, e non per la carta in sé per sé quanto per il meraviglioso gesto rivoltogli, il pensiero che aveva avuto verso di lui e verso qualcosa di così significativo e prezioso, per lui. Verso ciò che lo avevano spinto a ritrovarsi le piante dei piedi martoriate da ustioni e vesciche strazianti, solo per salvargli la vita. E non era la prima, e sapeva non sarebbe stata l’ultima volta.
Si rese conto, a un certo punto, di provare amore verso qualsiasi cosa, ovviamente, ma per la prima volta in vita sua sentiva di non amare qualcosa o qualcuno perché gli era di spontanea indole farlo. Era un amore sviluppatosi col tempo, con i loro incontri talvolta divertenti talvolta seri. Nei momenti trascorsi insieme, nella condivisione di qualcosa, anche del proibito. Nelle gesta come quella, che ogni volta in più lo facevano di rimando, sentire amato. Perché Aziraphale amava tutto e tutti, ma si sentiva amato prima di Crowley soltanto da una sola entità. Dio.
Non aveva mai coltivato quel sentimento e non se l’era mai sentito addosso da nessun altro. Nessuno gli aveva mai dimostrato qualcosa, nessuno gli aveva fatto comprendere quanto avesse lasciato impronte profonde nella vita di chi gli stava accanto. Crowley si. E la cosa lo terrorizzò.
Non gli aveva negato quell’arma solo per il timore di essere scoperto dalle autorità superiori, e non era solo la pena che provava quando pensava di venire a sapere un giorno che quel demone avesse cessato di esistere, e questo perché.. era davvero così? Lo era davvero?

Poteva una creatura demoniaca provare quello.. che provava lui?
Aziraphale posò una mano sulla propria fronte, accarezzandosi le rughette su di essa.
Certo, forse era arrivato a conclusioni affrettate nei millenni precedenti.
Dopotutto, lui aveva indotto in tentazione tanti esseri umani, eppure non era mai caduto in nessuna di esse, ne aveva in qualche modo sentito cambiare la propria essenza, anzi. L’unica cosa che Aziraphale non aveva mai fatto, era cambiare qualcosa. Crowley invece non era mai lo stesso. Conservava certamente i tratti primari del suo essere caratteriale, anche se l’angelo aveva sempre pensato fosse un demone non troppo demone. Un demone diverso. Un demone meno cattivo. Doveva calarsi nei suoi panni.

Ogni fibra della ragione gli suggerì che quella era di certo l’idea più stupida che avesse mai avuto. Sarebbe stata una lunga e tormentata perdita di tempo, ma non per quel pensiero .che scacciò via immediatamente- volle tirarsi indietro.
Perché lo stava facendo era la vera domanda. Per capirlo? Per sentirsi a lui più vicino? Si, era per quello. Ma a quale scopo? Quale sarebbe stata la meta una volta completato quel piano agli occhi di chiunque una pazzia?
Forse lo avrebbe capito strada facendo, o forse non aveva abbastanza coraggio per ammetterlo a se stesso, fatto stava che ci provò, l’angelo.
Ciò non valeva a dire avvicinarsi al lato oscuro che tanto combatteva, quel lato sbagliato, ingannevole e nefasto. Crowley non era di certo così. Era soltanto un’anima buona, caduta in una sorte orribile.
Era però come tutti i demoni, vizioso, ed era da lì che avrebbe iniziato.

Stando sempre attento a non farsi mai scoprire, né da lui né da altri, iniziò quel circolo di cose a cui non aveva mai pensato di far fronte per nessun motivo al mondo. Ma d’altronde tutti i suoi piani erano pressoché sconvolti quando si trattava di una certa conoscenza segreta.
Oziare, quello non gli era dispiaciuto, dovette ammetterlo. Dormire un po’ meno, per cui aveva passato un’intera settimana a non fare nulla se non mangiare e leggere sul comodo divano della sua libreria. Dopo un certo lasso di tempo però, forse la propria coscienza aveva fatto tutto il lavoro o forse era un chiaro segnale del Paradiso che stava reclamando i suoi doveri, iniziò a sentire in casa un forte odore d’incenso, ed allora uscì e riprese tutte le sue attività.
Il vino, il vino gli piaceva.
Il fumo un po’ meno. No, anzi, lo disgustava altamente, senza contare le ore che aveva passato a tossire e vomitare dopo averne preso una sola boccata, e successivamente alle decine di volte in cui aveva posato il naso su ogni superficie della libreria -pur avendo tenuto un giorno intero le finestre spalancate-, per constatare se ancora quella puzza nauseante era presente.
Si era messo in svariate situazioni disdicevoli, come ad esempio il cercare di capire e fare gioco d’azzardo, appurando quanto non gli piacesse imbrogliare. Eppure, si disse, era ciò che da secoli stava facendo. Stava imbrogliando già tutti gli angeli, e non era poi così complicato. Quel pensiero, oltre alla vergogna, gli diede una marcia aggiuntiva nel fargli presente che poteva ancora cavarsela bene, che se imparava a fare certe cose, forse si sarebbe davvero avvicinato al mondo del suo amico.
Furono mesi duri, tra alti e bassi con i conti col proprio buon senso.
Non lo trovò traumatico, non così tanto.
Ma nel profondo, sapeva che quelle cose per Crowley erano sì piacevoli, ma sorvolabili. Il demone nel corso degli anni, così come i capelli, aveva cambiato mille  e più abitudini. Un giorno gli piaceva una cosa, un secolo dopo l’esatto opposto, come se niente gli piacesse tanto da renderlo emotivamente stabile. Lui aveva il bisogno di cambiare, di scovare piaceri e riscontri che gli davano nuovi brividi lungo la spina dorsale.

Il demone correva, andava avanti senza fermarsi mai.

Aziraphale non era il tipo di persona che faceva scuotere l’animo, secondo il proprio parere. Lui era da sempre stato perfettamente a suo agio con se stesso. Con la luce, con la quiete, con i colori chiari della terra, con i sapori, con i suoi capelli. Immutati come il proprio modo di ragionare.
Una persona tranquilla, routinaria.. noiosa, per un demone come Crowley.
E lui aveva paura, paura di essere o di diventare in futuro soltanto una delle tante cose che Crowley si sarebbe lasciato alle spalle, una volta trovato qualcosa di migliore di lui, qualcosa che lui non poteva dargli tale da tenerlo stretto a sé sopra ogni altra cosa e persona.
Forse, una cosa c’era che secondo il proprio parere, a Crowley non avrebbe mai smesso di piacere. Qualcosa che gli esseri umani facevano dall’inizio dei secoli, e che lui per primo non aveva mai smesso di fare. Lo sapeva, perché il suo odore era inconfondibile per lui, e per quello quando lo incontrava, e la sua pelle o i suoi vestiti o i suoi capelli emanavano fragranze differenti, capiva che non era stato solo. E la cosa si era protratta nel corso degli avvenimenti. Qualcosa di primitivo e primordiale, che nel tempo assumeva si altre sfumature, ma lasciava le stesse identiche soddisfazioni. Da quel che aveva sentito, almeno.
E lui non ne era affatto preparato, e forse era tempo di imparare. Perché un giorno, il demone si sarebbe stancato di lui, della vita piatta, calma e monotona che conduceva. Egoisticamente, senza alcun rispetto per se stesso, pensò che forse quella sarebbe stata una buona spiaggia per tenerlo accanto.
Lo stesso identico ragionamento, ma all’inverso, che Crowley aveva fatto chiedendogli l’acqua Santa.

Prese un bel respiro quella sera, mentre si preparava dinanzi lo specchio del secolo scorso sul retrobottega della libreria. Sistemò il cappotto scuro ben allacciato sul davanti, ed adagiò una graziosa bombetta sul capo. Avvolse il suo pallido collo in uno foulard, e quando il sole era da molto ormai calato ed il cielo era completamente nero come l’orizzonte, uscì chiudendosi la porta alle spalle senza guardarsi indietro. Fece il giro del vialetto, di modo da sembrare ai pedoni che stesse arrivando da tutt’altra direzione, quando imboccò il vicolo che dava la strada principale. Più camminava, più il foulard veniva sollevato sino a coprire le labbra, e la bombetta calata quasi su tutta la fronte.
Prendeva respiri nonostante l’utilità dei suoi polmoni era pari a zero, ma volle avvalersi della respirazione controllata per frenare l’ansia crescente.
Si disse svariate volte di darsi una calmata, che non stava certo andando a rubare. Che non c’era motivo di guardarsi costantemente intorno e alle spalle. E anche di fare dietrofront, quello era decisamente ciò a cui pensava di più nel tragitto.
Fu tardi, si disse, era comunque già arrivato a destinazione.
Per un attimo ebbe il riflesso istintivo di congiungere le mani e chiudere gli occhi, sperando al Dio di non incrociare nessuno che lo conoscesse, ma poi ficcò in fretta e furia  le mani nelle tasche convenendo che fosse meglio per tutti quanti se neanche Lei in persona lo vedesse, neanche con la coda dell’occhio.
Meglio non scomodarla affatto.
-’Beh, eccoci qua. Err- d’accordo, bene. Entro.’- strinse forte le labbra tra loro serrando per un attimo le palpebre, con la fronte corrucciata. Teso come una corda di violino e in balia delle goccioline di sudore che minacciavano di imperlargli la faccia, posò la mano sulla maniglia del locale di Streaptiase di Soho, e varcò la soglia come se fosse stato spinto da una fortissima corrente.

L’interno era accogliente, confortevole a modo proprio. Si era aspettato di trovare qualcosa di eclatante, gente che ballava dovunque dimenandosi senza ritegno, risa sguaiate e brillantini ovunque. Invece, l’aspetto del locale era pulito e disinvolto. Quantomeno la sala d’attesa, in cui due o tre uomini erano intenti a chiacchierare felicemente fumando le loro pipe. Il resto delle persone era probabilmente già seduta ai tavoli interni, sorseggiando qualcosa mentre aspettavano che il sipario si aprisse. Aziraphale gettò una veloce occhiata intorno a sé per essere sicuro di potersi smascherare dagli accessori che stava usando a mò di passamontagna, e non essere riconosciuto. Venne accolto da due uomini in giacca e cravatta, che gli offrirono un dolce vino bianco frizzante. Ringraziò pacatamente, e avvicinò il flute alla bocca.
‘Sarebbe perfetto su uno Scone..si disse, mentre le bollicine gli solleticavano piacevolmente l’interno della gola, e le gote gli si colorirono di un leggero rosa. Posò il cappotto, il foulard ed il cappello su un uomo morto in legno di noce scuro, e domandò cortesemente dove si svolgesse lo spettacolo. Gli indicarono la strada, e a passo svelto si diresse verso l’ingresso del fulcro di tutto, scostando le tende dall’entrata.
Adesso, era come se lo era immaginato. Luci basse, cariche, rosse come l’Inferno. Non che lui sapesse di che colore fosse l’Inferno, ma se lo immaginava. I capelli di un certo qualcuno venivano proprio da lì. L’odore acre del fumo e dell’alcol, un enorme palco a qualche metro di distanza e tanti piccoli palchetti in giro, in quella enorme sala, circondati da tavolini o sfarzose poltrone in pelle, affacciate su delle travi cilindriche d’acciaio che toccavano il soffitto. Iniziò a sudare.
Uomini molto meno vestiti di quelli che aveva incrociato prima gli si avvicinarono una volta che prese posto né vicino né lontano nessuno dei palchi, porgendogli quello che doveva essere il menù delle bevande. Per buona educazione, anche se dubitava che a qualcuno interessasse la sua indole più dei soldi che aveva da spendere lì, ordinò qualcosa di molto forte.
Dieci minuti dopo, il locale era stracolmo di gente. Uomini, donne. Alcuni forse anche dell’età sbagliata per essere lì, ma quella sera non era un angelo. Non doveva contrastare nessuna tentazione ed anzi, era lì per l’esatto contrario.
Lo speaker annunciò l’inizio delle danze augurando a tutti un buon divertimento, e l’angelo fu forse l’unico in sala a ringraziare quella voce. I ballerini fecero la loro comparsa, e nonostante il locale presagisse lo spogliarello, quei dipendenti erano saltati fuori già privi dei vestiti se non fosse stato per della misera lingerie, sottilissima, piena di frange e paillettes. Quando arrivò alla conclusione giusta, e cioè che fosse quella a dover essere tolta, portò una mano alla faccia nel tentativo di coprirsi gli occhi. Era più paonazzo della luce intorno a sé. Si schiacciò contro lo schienale della poltrona provando a farsi inghiottire da esso, ma dopo un po’ si sentì ridicolo, e cercò di assumere ugualmente una posizione dignitosa.
La musica era davvero troppo forte ora, le luci strobo rischiarono di accecarlo un paio di volte, ma tra quelle ed il riflesso sui vetri e cristalli vari della sala, mescolati coi versi animaleschi di approvazione della gente intorno a sé era impossibile capirci qualcosa. Forse era meglio, perché se avesse distinto per bene ogni singolo dettaglio delle sagome che adesso erano nel suo raggio visivo, quasi completamente nude, avrebbe potuto discorporarsi dall’imbarazzo. La testa gli girava, e non era a causa del liquore. Si sentiva tremendamente a disagio, come avrebbe potuto o dovuto fare, per godersi tutto quel trambusto?
Per non parlare della spiacevole circostanza che si era creata. Non poteva trovare niente di tutto quello erotico, se centinaia di occhi gli erano puntati addosso, e stava osservando una decina di persone diverse. Aveva affrontato la letteratura di quel genere in molti autori, alcuni dei quali stimava molto, e sapeva bene che cosa avrebbe desiderato in una situazione confidenziale emotiva e fisica di quel carico. Innanzitutto, malgrado Aziraphale fosse per l’amore libero in tutte le sue forme fino a che puro e consenziente, non accettava personalmente la condivisione. Non trovava per niente eccitante l’idea di essere tutti concentrati a provare certe.. cose, per la stessa persona. Preferiva qualcosa di intimo, possibilmente romantico. Non vedeva niente di romantico in tutto quello, ma poteva crearsi l’illusione. Decise quindi di abbandonare quel frangente, e passare allo step successivo anche senza quella che aveva sentito essere una notevole preparazione alla libido. In mezzo a quel delirio si era solo fatto venire un gran mal di testa.

Ritornò nella hall respirando un attimo di pace, con delle luci bianche che gli permettevano di pensare. Si girò. tremando nel rendersi conto che una lastra di legno separava lui dal demone, la sua casa e quella di Crowley. La linea per varcare gli Inferi era veramente sottile.
Cercò di smettere di formulare certe stupidaggini, e si avviò verso il bancone della reception. Si schiarì la voce un paio di volte, non troppo sicuro sul da farsi.
-’B-buonasera.’-
-’Salve a lei, sir. Posso aiutarla?’-
-’Veramente sì, ecco. Vorrei- vorrei accedere al privè.’-
-’Così presto? Ci vuole ancora del tempo perché lo spettacolo finisca, sir.’-
-’Ah. Beh, posso aspettare qui, non c’è problema.’-
-’Oh no, non mi fraintenda, era per informarla. Se desidera iniziare subito, siamo a sua completa disposizione. Preferisce un uomo o una donna?’-
-’Ehm..’-
Avrebbe fortemente voluto che la smettesse con tutte quelle domande, ma si premurò di tenere la bocca chiusa. Aveva dato tante volte l’impressione di essere omosessuale, a molte persone che nel corso degli anni aveva incontrato, quella volta gli sarebbe piaciuto dare un’impressione diversa, giusto per cambiare un po’ le carte in tavola.
-’Una donna, una donna andrà benissimo.’-
-’Le manderemo le nostre ragazze nella camera, una per volta. Successivamente un collaboratore passerà da lei, può comunicare a lui quale le aggrada di più. Può scegliere quella che più le piace, sostanzialmente.’-
aggiunse poi il dirigente, cercando di nascondere quanto la durezza di comprendonio evidente, dipinta sul volto di quello che ora era un potenziale cliente lo stesse esasperando.
-’Scegliere?’- Aziraphale d'istinto cercò il proprio papillon, per infilare un dito all’interno della stoffa e distanziarla dal proprio collo per allentare il nodo alla gola. Non lo trovò. Aveva scelto di non sentirsi se stesso, e quello era un segno fin troppo distintivo per il suo temperamento.
-’Beh certo. Per un uomo facoltoso come lei, che sta per esborsare un'ingente cifra di denaro, è giusto che riceva il servizio migliore che possiamo offrire.’-
-’Oh non serve, non serve davvero. Va bene uhm.. qualsi- o meglio, lasciate pure decidere a loro. Sono sicuro che ognuna di loro è.. brava- volevo dire in grado di.. cioè, competent.. lasciate decidere a loro.’-
-’Capisco, sir. Beh, questa è la chiave. Si accomodi pure di là, leggerà il numero sulla porta. Mi fornisca un documento che ritirerà all’uscita, gentilmente.’-

-’Grazie.’- la creatura eterea passeggiò a grandi falcate nel corridoio di fronte, leggendo il numero della stanza sulla chiave che gli era stata consegnata mordendosi più volte il labbro inferiore.
-’Oh, buon D.. NIENTE, non ho chiamato nessuno, no. Spero di non averla invocata..’- farfugliò l’angelo, aprendo la porta.
Quel luogo era decisamente migliore. Un carrello bar con un secchio colmo di ghiaccio ed una bottiglia di spumante era adagiato a un comodo divanetto nero, semicircolare. Non vi era esattamente più nulla, se non superfici comode su cui sedersi o stendersi. Lo spazio che lo divideva dal divano era ampio e delineato da una fantasia ciclica di piastrelle in marmo nero e bianco, il tutto racchiuso da una morbida tenda che poteva essere chiusa così da nascondere la visuale a chiunque entrasse in stanza.
L’angelo si accomodò al centro del divano, con le mani aperte sulle cosce. Picchiettava le dita su di essere canticchiando qualcosa di puramente casuale e spostando le iridi cerulee su tutto l’arredo, non che ce ne fosse tanto, finché la porta non si aprì. Volle alzarsi per accogliere la ragazza, ma era sovrappensiero e fu colto alla sprovvista. Lei entrò completamente quando il rumore del chiavistello venne registrato dal cervello, per cui se la ritrovò semplicemente davanti.
Una bella, bellissima donna. Non doveva avere più di venticinque anni, o giù di lì. Quello fu il primo segnale che probabilmente stava sbagliando qualcosa, in suo confronto era troppo giovane. Ma come poteva misurare quale età fosse giusta per lui, che sulla terra ne aveva seimila? Anche novant’anni sarebbero stati troppo pochi per lui, quindi smise di ragionare.
-’Buonasera, signorina.’-
-’Salve a te, mister.’-
La figliola cavalcò i tacchi opachi che indossava fino alla sua figura, fermandosi dinanzi a lui. Aveva le labbra piccole e sottili quanto il suo naso, ed i capelli leggeri e leggermente mossi di una nuance calda particolarissima le incorniciavano il viso tondeggiante, dalla pelle chiara e pulita. Il suo incarnato già fin troppo scoperto indosso era così delicato da farla sembrare porcellana, ed i suoi occhi erano grandi e profondi. La ragazza allora alzò una mano, passando il dito indice alla base del collo dell'angelo. Lo portò fino al mento, e gli avvicinò il volto all’addome. A quel punto si piegò lasciando dritte le ginocchia, e parandogli dinanzi la profonda scollatura del suo corpo perfettamente formoso. L’angelo arrossì ferocemente.
-’Tu hai proprio un bel faccino. Sembri.. un principe.’-
-’Beh.. grazie. Anche lei è deliziosamente incantevole.’-
-’Ce l’hai un nome, o uso la mia fantasia per invocarti mentre mi profani?’-
-’Aziraphale. Mi chiamo Aziraphale, e non farò niente del genere, stia tranquilla. E lei come si chiama?’-

La lingua era diventata troppo secca, ed il caldo si faceva asfissiante. Il che era un controsenso dato il periodo e i gradi del meteo.
-’Dammi del tu.’- la stripper dedicò un’occhiolino fugace al cliente mordendosi il labbro coperto di trucco rosso, e prese posto accanto -quasi sopra a dir la verità- all’angelo, incrociando un ginocchio sull’altro. Da sotto la minigonna in quella posizione, era visibile la biancheria. Prese ad accarezzarsi la coscia sensualmente, avvicinando il busto al corpo del Principato.
-’Chiamami.. Lory.’-
-’Lory, è suggestivo, le si addice.’- La fanciulla parve studiarlo un po’, poi prese parola corrucciando le sopracciglia.
-’Sei strano, sai? A questo punto di solito sono già venuti tutti.’-

-’Devo andare da qualche parte?’-
Lory ridacchiò. Si sporse verso il carrello per raccogliere la bottiglia e i calici dal secchio, quando Aziraphale le fermò la mano occupandosene personalmente.
-’La prego.’- Da bravo gentiluomo qual era, stappò lo champagne versando il contenuto ad entrambi. Dopo un paio di bicchieri, qualche risolino e qualche complimento, parve più rilassato.
-’Che cosa fa nella vita? OH, mi scusi, ha ragione.. ehm, non che ci sia niente di male, cioè se è stata una scelta.. esiste il libero arbitrio, no? I-io sono un libraio, a proposito.’-
-’Uh, allora immagino tu abbia letto il Kamasutra.’-
-’Diciamo che ho preferito evitare.’-
-’Beh posso insegnarti qualcosina..’-
Lory aveva posato le mani sui pettorali dell’angelo, e stava risalendo l’intera area stringendo ovunque incontrasse le carni. La tensione cominciò a crescere, anche se la ragazza appariva sempre più divertita dal suo bizzarro approccio. Aziraphale però non si stava divertendo affatto, adesso che aveva ricordato che cosa ci faceva lì.
Sesso.
Come se uno scorpione lo avesse morso, saltò sul posto spaventando la ragazza che gli si allontanò di scatto.
-’Oh, ma certo, il sesso!’-
-’Per caso sei vergine?’-
-’No, non intendevo.. mi darebbe qualche secondo?’-
Mortificato, l’angelo si alzò con la scusa di riporre i calici al loro posto, e nel farlo si era miracolato nel corpo il sesso biologico maschile -perché a suo avviso era ciò che si aspettava la donna-, cosa che aveva scordato di fare prima di uscire di casa. Quando ritornò a posto, si mise a sedere come un cane ai comandi del padrone, incapace di avanzare alcuna mossa. Il suo silenzio fu tradotto in un invito, per cui Lory poté avvicinarsi a lui e rimettere le mani su tutto quel ben di Dio. Aziraphale era molto rigido, cosa che non passò inosservato all’occhio attento di una che con gli uomini aveva a che fare ogni giorno. Sorrise dolcemente mutando il tono della voce in una suadente cantilena, e gli posò una mano tra i ricci accarezzandone la morbidezza, emettendo qualche verso compiaciuto ogni tanto. Portò entrambe le gambe sulle ginocchia del biondo, facendo combaciare i toraci.
-’Oh, ma sei teso bel faccino..-’
-’Io?’-
il viso era ormai velato da una patina lucida, e la vicinanza ed il fiato sul collo non gli erano per niente d’aiuto. Cercò di concentrarsi su tutto ciò che di piacevole c’era da raccattare. Un corpo sinuoso, un buon profumo, il tocco bollente. Perché non provava piacere? Aveva sentito tante volte ciò che accadeva ad un corpo umano maschile, in una situazione del genere. Perché a lui non avvenne?
-’Rilassati.. ti assicuro che andrai in Paradiso.’-
-’Vorrei poter dire la stessa cosa di lei, signorina..’-
la stripper sovrastò il suo corpo, mettendosi cavalcioni su di lui. Con un movimento velocissimo ella si liberò il busto dalla corta maglia che indossava, rivelando le sue grazie coperte soltanto da due scenografici copricapezzoli.
-’Oh sono sicura che sarai grandioso..'- Aziraphale tremò. Sapeva bene com’era fatto un corpo femminile, era ovvio. Quadri, illustrazioni, scene alla televisione dalla quale per la maggior parte distoglieva lo sguardo. Ma averlo così vicino, dal vivo, era del tutto nuovo. Non seppe davvero come comportarsi, come aveva fatto ad infilarsi in quel guaio. Fu allora che la mente vagò a Crowley, e l’illusione che avrebbe dovuto crearsi gli inebriò la mente. La reazione tipica del corpo maschile allora arrivò. Quando entrambi la sentirono, l’angelo sussultò iniziando ad avvertire il formicolio. Lory gli sbottonò il gilet, iniziando ad armeggiare con la sua camicia. Slacciò cinque bottoni.
-’Non vergognarti. Ne vedo tanti come te, sai? Decine al giorno.’-
-’Uhm, lei dice?’-
-’Oh si.. anzi per la maggior parte, se non tutti, sono così. Gentleman di giorno.. professori, medici, persone di riguardo, tutti sposati, padri di famiglia.’-
la stripper mise le mani su quelle dell’uomo, e senza esitazioni se le posò sul seno facendoci su presa. Se prima era rigido, adesso il biondo era un perfetto blocco di ghiaccio. Era più spaventato che eccitato.
-’Non sei il primo né l’ultimo. Ma a differenza degli altri sei così dolce, gentile, così carino. So cosa fare.’-  ad ogni aggettivo, gli lasciava un bacio sulla pelle nuda dal petto al collo.
-’Quindi lasciati andare..’- le labbra della ragazza si incollarono a quelle dell’angelo. Lo baciò, lasciandosi a versi di godimento mentre si strusciava col bassoventre a lui.
-’A te ci penso io.’- la mano destra di Lory a quel punto andò a stringere il cavallo dei pantaloni incontrando l’erezione, che strinse forte massaggiando.
Aveva commesso un grave errore quella sera, Aziraphale. Malgrado avesse pensato per un attimo a quel demone, quando apriva gli occhi, di fatto non c’era. E lui non riusciva a provare alcunché con qualcuno che non amava nel modo unico in cui si sentiva legato a Crowley. Si sentì violato, e impreparato. Ma la colpa non era certo di quella ragazza, era stato lui ad essersi messo sotto una pressione che non era pronto a reggere. Ed in più la sensazione di bruciore allo stomaco ed il tormento interiore che l’essere toccato in quel modo gli avevano causato, li aveva associati ormai a Crowley, perché nella sua mente c’era lui. Questo, lo aveva portato ad un’importante seppur sbagliata conclusione.
Non sarebbe mai e poi mai riuscito a farci l’amore, se farlo era così per lui.
Si era creato un trauma da sé, e per quello, allontanò dal suo corpo la ragazza, che non aveva ben capito che cosa stesse facendo lui.
-’Grazie. Ecco, questi sono per te.’- Come una maschera greca priva di emozioni, nonostante dentro stesse scoppiando, ebbe la fermezza di tirare fuori il portafogli dalla tasca, e adagiare duecento sterline sul divanetto. Prima di uscire dal privè, posò il palmo della mano aperta sul capo della giovane, benedicendola.
Nel corridoio si rese presentabile abbottonandosi gli indumenti, pagò in fretta l’uomo dietro il bancone, recuperò i suoi effetti e scomparve.

Trascorse due giorni di travaglio psicologico non indifferente, tanto che nei successivi mesi evitò accuratamente di propria iniziativa di incontrare il demone. Non aveva idea a come avrebbe reagito se lo avesse visto, se fosse rimasto solo con lui. Non voleva averci a che fare, almeno per un po’. Si era buttato in una piscina troppo profonda, aveva esagerato. Pensava di essere più forte di così ed invece, era stato in grado di rovinare tutto ancora prima che iniziasse.
Qualcuno ci tenne a fargli ricordare, che era una delle tante pedine in un Grande Piano, e che non poteva prendersi la comodità di certe scelte, perché voci correvano alla sua libreria.
Era il turno di Crowley quella volta buttarsi a capofitto da un aereo senza paracadute, stava organizzando qualcosa di più grande delle sue capacità.

Aveva finalmente compreso che non poteva decidere per lui. Non poteva lasciarlo mettersi in pericolo, se poteva fare qualcosa in merito. Perché era suo amico, perché lo amava gli voleva bene, e l’amore il bene che provava per lui andava oltre la paura, lo stupido egoismo, e per quello, scelse di dovergli almeno i tentativi del suo impegno, di essergli debitore di qualcosa.
Di una vera dimostrazione dell’affetto che provava nei suoi confronti. Non poteva lasciargli commettere un furto in una Chiesa, prima di tutto. Ed in secondo luogo, non gli avrebbe mai permesso di farsi carne da macello.
Erano diversi. Forse Crowley poteva provare ciò che provava lui, ma lui non era riuscito a farlo con le cose che concernono la sua controparte, e di questo se ne rimproverava tanto. Ma amare voleva dire accettare, e non si sentiva pronto a farlo, ed aveva ponderato che nonostante ciò che provava fosse puro e ormai innegabile, era impossibile farlo funzionare. Erano troppo diversi.
Alle volte, l’angelo dimenticava che l’amico un tempo era stato quel che era lui da sempre. Forse, l’ombra dell’amore era ancora insita in lui e in qualche modo, a intermittenza, forse meno potente di prima ma funzionava comunque.
Ma lui.. lui non era un demone. Non capiva niente di che cosa volesse dire combattere ogni giorno con le sue colpe, tentare di chiudere un passato che faceva troppo male. Crogiolarsi nei piaceri e nei peccati perché di più non aveva. Spingersi oltre l’etica, ignorare la logica, lasciarsi andare.
Non lo sapeva e non era sicuro di volerlo mai fare.
Pianse tantissimo a quella conclusione, piegato sulla boule d'argento ricolma d’acqua limpida. Acqua che ad ogni sua lacrima, assumeva una natura differente, una sostanza celestiale. Diveniva ad ogni tocco più benedetta. Non ve ne era di più Santa in circolazione.
Gli restava una cosa da fare. Aveva preso una decisione, per quanto male gli facesse, per quanto dura fosse.

                                                                                                  °°°

Non ricordava di essersi mai sentito più vuoto. Incapace di parlare, incapace di guardare in faccia il suo migliore amico. Lasciarlo fu la cosa più difficile mai fatta in vita sua. Gli costò molte lacrime quell’incontro, quella notte. Il cuore gli batteva forte, tanto da sentirsi il proprio battito nelle orecchie. Odiava quel corpo in quel momento, odiava che fossero un angelo e un demone. Voleva solo andarsene.
-E chissà forse un giorno potremmo.. che ne so..’-
Era difficile trovare qualcosa da poter effettivamente fare insieme quando non si trattava di lavoro, dopo che aveva preso la sua definitiva decisione. Essere due semplici conoscenti, due colleghi senza legami.
-’Fare un picnic. Cenare al Ritz.’-
Dovette fare uno sforzo immane per ricacciare indietro le lacrime, combattendo con l’uragano che gli stava spazzando via ogni gioia, mentre non solo gli consegnava ciò che lo avrebbe sottratto per sempre a lui, ma si allontanava volontariamente da lui e dal suo stato emotivo sollevando un muro, che per qualche altro tempo sarebbe stato insormontabile. Mentre stava troncando ogni speranza. Voleva scusarsi, sinceramente. Voleva dirgli che ci aveva provato, che aveva le migliori intenzioni, ma che non era pronto ad essere lasciato indietro, e non era ancora disposto a sorpassarlo. O meglio, a raggiungerlo. Sospirò, deluso da se stesso, rincresciuto ai confini delle umane possibilità. Scosse il capo sentendo le lacrime iniziare a bruciare.
-’Tu sei uno che corre troppo per me, Crowley.-’ .

Se solo avesse smesso un attimo in seimila anni di colpevolizzarsi, né la paura, né l’orgoglio, né la confusione, né l’amarezza gli avrebbero tarpato le meravigliose ali bianche, che non aveva mai più aperto dai tempi del primo immenso e rigoglioso giardino, e forse, avrebbe scoperto prima che anche Crowley l’amava. L’aveva sempre amato, e avrebbe continuato a farlo per tutta l’eternità. Ma si era accorto prima di lui, quanto fosse ipersensibile a quel genere di cose. E allora, lo aspettava.
Lo avrebbe sempre aspettato.

___________________

Salutate tutti quanti Lory, che quando ha saputo cosa volevo fare si è infilata a forza nella scena: ‘LA BALLERINA CHIAMALA LORY’, va bene angioletto bello, ecco, hai baciato Azi sei contenta? xD
Dedicata al mio angelo non tanto angelo dopotutto dopo oggi (TI HO SCOPERTA MIA CARA) e al nostro amatissimo DioBenni, che adesso può sul serio rendersi conto che la cattiva nella coppia non sono io, vero? So che un regalo dovrebbe essere bello, questa è angst, per me l’angst è bella, me la fate passare? xD
Vi voglio bene, e ringrazio tutti voi per essere arrivati alla fine di questa sciocchezzuola che mi ha fatto un immenso piacere personale scrivere. L’ho fatta finire qui, perché ovviamente nel terzo episodio questa era l’ultima scena prima dei giorni nostri, e non aveva senso continuare dopo che ho avuto il barbaro coraggio di aver spinto Azirphale a non voler avere legame affettivo con lui, per la miriade di motivi sopraelencati xD
Buon Natale e a presto!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Longriffiths