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Autore: BellaLuna    24/12/2021    2 recensioni
[Zuko & Azula Relantionship. Post Epilogo. Sequel di "My heart burns there, too." Ma può essere letta benissimo anche come una FanFiction del tutto indipendente.]
Zuko ha rincorso l'affetto di sua sorella per anni. E per anni tutto ciò che ha ottenuto è stato solo una porta sbattuta in faccia. La stessa porta in cui sin da bambina Azula ha imparato a trincerarsi per essere perfetta e tenere fuori ogni tipo di emozione.
Perché se l'amore non è altro che una singola goccia di pioggia in un oceano di fuoco, che senso ha sperare?
Azula proprio non lo sa, ma, per fortuna, suo fratello non è mai stato il tipo che si arrende facilmente.
Dal testo: "Dimmi, Zuzù, sei qui perché pensi ancora di potermi salvare?"
[Questa storia partecipa al "Secret Santa" indetto da Mari Lace e Sia sul Forum Writing Games - Ferisce più la penna. Ed è una storia dedicata a Dromeosauro394.]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Azula, Quasi tutti, Zuko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Love is a door you can’t keep closed
 
*
Is your world just a broken promise?
Is your love just a drop of rain?
Will we all just burn like fire?
Are you still there? Tell me now...
Can you stand the pain?
How long will you hide your face?
How long will you be afraid? Are you afraid?
Will you play this game?
Will you fight or will you walk away?
How long will you let it burn?
Let it burn.
Let.It.Burn.
[Red, Let it Burn]
*
 
 
 
 
Zuko sa bene che nessuno potrebbe accusarlo di niente, se solo un giorno decidesse di buttare via la chiave della stanza d'ospedale dove è stato costretto a rinchiudere sua sorella dopo l’Agni Kai in cui l’ha quasi ucciso.
Razionalmente – e mettendo da parte la vocina nella sua testa che continua a ricordargli di come non potrà mai essere un buon Signore del Fuoco per il suo popolo, se non è nemmeno riuscito a prendersi cura di un membro della sua famiglia –, sa che nessuno potrebbe mai fargliene una colpa.
Come gli ha ben ricordato Katara, Azula ha cercato di farlo fuori in innumerevoli occasioni.
Perciò, davvero, nessuno si aspetta da lui chissà quale miracolo, chissà quale grande atto di perdono.
Eppure, Zuko non riesce proprio a indossare la sua corona e andare avanti. Non riesce proprio a dimenticare il fatto che Azula sia una sua responsabilità, e che, in qualche modo che non sa e che forse mai riuscirà a comprendere, anche lui è causa del suo smarrimento, anche lui, come tutti gli altri, ha contribuito a spezzarla.
Forse – ed è questo il pensiero che lo divora, che lo brucia da dentro quando non riesce a dormire e la sua mano si posa inevitabilmente verso la cicatrice che lei gli ha lasciato come marchio per sempre , forse c’era stato un tempo in cui avrebbe potuto dire o fare qualcosa e invece non lo aveva fatto. Forse c’era stato un tempo in cui, entrambi, sarebbero potuti scappar via dall’odio velenoso che Ozai gli aveva sin da bambini iniettato nelle vene e diventare qualcos’altro, qualcun altro. Non un principe divorato dalla rabbia e dal dolore, e non una principessa che non sa sognare e desiderare altro se non fuoco e sangue.
Suo zio tenta ancora di dissuaderlo, gli dice non è colpa tua, Zuko, ma Zuko è figlio delle scelte sbagliate che tutti loro hanno commesso: è figlio dell’abbandono di Ursa, dell’ambizione di Iroh e della morte di Lu Ten, è figlio della follia di Ozai.
E anche Azula lo è, e se lui è riuscito a venir fuori da tutto quell’odio, perché lei no?
Quando lo chiede a suo zio, lui si limita a scuotere la testa e a ricordargli che, purtroppo, certa gente vuole solo vedere bruciare il mondo[1].
Ma Zuko rifiuta di accettarlo, rifiuta di credergli.
“Azula non è Ozai, zio.” è la verità di cui sta cercando a sua volta di convincersi, perché quella piccola parte di lui che ancora ama sua sorella e sta soffrendo è sempre lì che si ostina ancora a credere che suo padre non può davvero averla rovinata fino a tal punto, che doveva pur esserci qualcosa, che lei doveva pur guardarlo e provare ancora qualcosa.
Per tutte queste ragioni – giuste o sbagliate che siano, non ne ha davvero idea! –, lui non può semplicemente voltarle le spalle e cancellarla dalla sua memoria.
Se lo facesse, se accettasse anche con se stesso quel compromesso, allora in qualche modo Ozai avrebbe davvero vinto.
Gli avrebbe portato via un altro pezzo di sé, e Zuko non vuole, basta, non gli concederà di avere ancora tutto quel potere su di lui!
Per questo, quando la dottoressa Cheng[2] gli spiega la situazione clinica di sua sorella, Zuko dimentica le parole di suo zio e dei suoi amici – “Quel fulmine deve averti del tutto fuso il cervello!” “Grazie, Sokka!” – e compie la sua scelta.
Prende in mano la chiave che la specialista di sua sorella gli ha consegnato e invece di dare un altro giro di vite e chiudere i battenti, lui, quella porta, decide di aprirla.
 
*
 
“Com’è?” chiede alla dottoressa prima di entrare, e spera che lei non abbia notato il tremore delle sue mani che si stringono a pugno lungo i suoi fianchi. Spera che non abbia notato il suo Signore del Fuoco che esita e trema di fronte alla porta dietro la quale si nasconde sua sorella.
“Diversa.” gli risponde la Cheng, i lineamenti severi di sempre e nessun’ombra di amarezza a macchiarle la voce.
Del resto, solo una donna dai nervi d’acciaio avrebbe potuto sopportare una paziente come Azula.
“Diversa in che senso?” indaga ancora, da un lato perché non vuole trovarsi impreparato quando si scontrerà di nuovo con lei e d’altro per prendere tempo e prepararsi per l’inevitabile.
“Spero sappiate che non è perfettamente lucida, Mio Signore. A volte potrà sembrarvi l’Azula di sempre… ma… ci sono momenti in cui la sua mente si perde...”
“È violenta?”
“Alle volte. Ma non l’abbiamo sedata, proprio come volevate voi.”
“Bene.”
“Cercate di tenere bene in mente tutto quello che ci siamo precedentemente detti. Questo sarà il primo incontro, e parlare con voi potrebbe sconvolgerla...” quando incrocia il suo sguardo da sopra la spalla, persino Zuko è in grado di captare il messaggio sottointeso che lo sguardo austero della donna gli sta mandando.
E potrebbe sconvolgere anche voi..., sono le parole che i suoi occhi dorati gli comunicano, parole che non può dirgli a voce perché lui è il suo Signore del Fuoco, e certe cose non puoi dirle a chi indossa una corona e siede su un trono. Anche se, delle volte, Zuko preferirebbe che non fosse così.
“Capisco...” sospira, prima di prendere fiato e fare quel passo che lo porterà, ancora una volta, a scontrarsi contro sua sorella.
Chissà, forse, fra tutti, quello era il destino che da sempre aveva temuto di più.
 
*
 
“Ciao, Azula...”
La stanza dell’ospedale in cui l’hanno sistemata è grande e luminosa, niente colori scuri e claustrofobici, niente rosso o nero o solo una sfumatura che anche solo lontanamente possa ricordare il dominio del fuoco.
C’è un grande letto a baldacchino al centro di una stanza quadrata, e alla loro sinistra si intravede uno sprazzo di cielo azzurro e le fronde di un acero.
Azula si trova fra la finestra con le grate e il letto. L’hanno fatta sedere su una sedia a rotelle per il loro incontro, e l’hanno ingabbiata in una camicia di forza e messo intorno alla bocca una museruola metallica.
I capelli le ricadono scomposti lungo il viso, le stesse ciocche disordinate e ribelli con cui l’aveva vista l’ultima volta.
All’inizio, lei non lo guarda, con ostinazione fissa lo sguardo dorato sull’angolo della stanza il più lontano possibile da lui.
Perciò – perché di certo essere ignorato non basterà per farlo desistere e questo Azula lo sa! – Zuko le si avvicina, fino a sfiorare con la punta delle dita il marchingegno che la tiene in silenzio.
“MAESTA’!” saltano su le due guardie ai suoi lati, perché anche mezza fuori di testa e con il corpo costretto in una quasi imbalsamatura, Azula resta sempre la dominatrice del fuoco più potente della sua generazione.
E Zuko sa che non potrà mai essere alla sua altezza, Zuko sa che è Azula quella che con il suo talento potrebbe ancora piegare tutti al suo volere.
Ma la fiamma che un tempo l’animava è ormai svanita dai suoi occhi, prosciugata da un male che lui non riesce del tutto a comprendere e perciò non indietreggia e gli basta solo una mano alzata per far sì che anche le sue guardie tornino al loro posto.
Anche dopo averle tolto l’impiccio della museruola, Azula non emette verso ma almeno adesso il suo sguardo superbo e scocciato è tornato a posarsi su di lui.
In quel momento, sotto il suo scrutinio, Zuko è capace di sentire quanto pesi la corona che porta sopra il capo, e quanto quel semplice arnese d’oro abbia inciso sul loro legame.
Avrebbe dovuto togliersela, prima di venire a visitarla. Lasciarsela addosso, come un altro marchio, un altro peccato, era stata una mossa sciocca.
E un’Azula capace di vedere ogni sua piccola falla, ci avrebbe messo meno di un secondo a riconoscere la sua debolezza, la sua insicurezza.
Un’Azula diversa non gliela avrebbe mai fatta passare liscia.
“Ho parlato con la tua dottoressa,” esordisce, per spezzare il silenzio pregno di tensione scatenato dal loro scrutarsi e che non riesce più a sopportare, “ha acconsentito a delle visite, solo noi due, quattro volte al mese.”
Azula piega la testa di lato e sorride in quel suo modo perfido e intelligente che un tempo tanto lo aveva fatto sentire patetico.
“Che grande eroe che sei, Zuzù. Che tenero, tenero cuore che hai...” la voce di Azula è rauca a causa del fatto che per troppo tempo era stata costretta al silenzio, ma non per questo quel suo tono graffiante e sfottente non affonda lì dove lei vuole, lì dove il suo cuore brucia e fa male.
“Dimmi, dolce fratellino mio...” continua in tono divertito, sbattendo angelicamente le ciglia, “sei qui perché pensi ancora di potermi salvare?”
Fra tutte, quella era la domanda che temeva di più – e ovviamente Azula gliela aveva letta in faccia e gliela aveva girata contro senza farsi alcun problema! – perciò arretra, Zuko – ancora, perché il suo rapporto con Azula è sempre stato un muro dietro la quale o nascondersi o arretrare – e non ce la fa nemmeno a guardarla, quando ritorna a stringere i pugni lungo i fianchi e le dice: “Non lo so...” ma non esiste altra verità, e lui non ha idea di quanto il dolore e l’odio di sua sorella possano essere più forti della sua determinazione.
Azula piega le labbra in un sorriso che sembra quasi tristemente rassegnato, per poi scuotere lievemente il capo e dirgli: “Ho parlato molto con te, sai...?”
Come colpito ancora una volta dal suo fulmine, Zuko si ritrova spiazzato a guardarla.
Azula deve aver compreso la sua confusione, perché roteando lo sguardo al cielo aggiunge: “Nella mia testa, intendo, mica davvero, sciocchino. Tu di notte vieni a trovarmi e ti siedi sulla sponda del mio letto. Solo quando ci sei tu, lei tace.”
La dottoressa Cheng gli aveva già accennato a questi episodi, alle notti in cui, come se fosse sonnambula, Azula iniziava a parlare da sola, lo sguardo fisso nel vuoto, ogni specchio coperto perché, detto da lei, era da lì che lei poteva vederla, era da lì che lei poteva venire fuori.
“Lei chi, Azula?” le chiede, per avere conferma dei suoi sospetti, per riconoscere quella figura nella figura che la dottoressa Cheng gli ha già mostrato.
“Lei chi, cosa, Zuzù?”
È il gioco del vago, è il gioco del facciamo indispettire Zuko usando le sue parole contro di lui.
Ma è un gioco che solo un’Azula sana di mente riuscirebbe a portare avanti.
Perciò, Zuko sospira, si porta due dita sul ponte del naso e con voce ferma – come se il suo cuore non bruciasse, bruciasse, bruciasse e... pensi ancora di potermi salvare, Zuzù? – le chiede: “Lei chi, Azula?”
“La mamma.”
 
“Vostra sorella mi parla di lei molto spesso.” gli aveva spiegato la Cheng, durante uno di quegli incontri nei mesi passati in cui lui si informava sulla salute di sua sorella e discuteva con la specialista se fosse sì o no il caso di incontrare Azula.
“La descrive come se fosse una sorta di ombra sgusciata fuori dallo specchio. O una sorta di spettro del suo passato. Tuttavia, in base a ciò che ho potuto scoprire in questi primi mesi di incontri, credo che in realtà vostra sorella non abbia fatto altro che personificare in vostra madre la sua coscienza.”
“Che cosa significa?”
“Che Ursa è colei che le ricorda tutte le cose brutte che ha fatto. È la sua stessa coscienza che la sevizia, che la tiene prigioniera. In pratica, sono tutte le emozioni represse di vostra sorella che hanno come preso vita.”
Seduto al di là della scrivania del suo studio medico, Zuko si era attorcigliato le mani in grembo come il bambino che un tempo aveva ascoltato la storia della morte di sua madre. Come il bambino confuso, spaventato e senza risposte che sentiva ancora di essere.
(E che, a quanto pareva, era anche Azula).
Solo allora, la dottoressa Cheng aveva fatto cadere la maschera, aveva sospirato e si era tirata i capelli neri all’indietro, spiegandogli in tono meno professionale e più comprensivo.
Forse aveva visto il diciasettenne dietro la corona e aveva avuto pena di lui, aveva pensato Zuko, non sapendo bene come sentirsi di fronte a quella verità.
“Significa, Mio Signore, che ci sono delle brutte azioni che vostra sorella ha fatto e che pur di non venire a patti con esse ha relegato via, messo da parte… e ora tutte quelle azioni parlano sotto l’aspetto della donna che l’ha abbandonata.”
“E io che c’entro?” le aveva chiesto, schiacciato dal peso delle sue stesse spalle, perché non capiva davvero come in tutto ciò, il fatto che lui potesse vedere Azula avrebbe potuto aiutarla.
“C’entra, mio signore, perché voi siete l’unico ad aver vissuto il suo stesso dolore. Voi siete l’unico che può riportarla indietro.”
 
Un conto era stato sentirselo raccontare, ma adesso che Zuko può vedere l’immagine di Ursa riflessa nello sguardo sperduto e allucinato di sua sorella, è tutta un’altra questione.
E il suo cuore brucia e sanguina, perseguitato da quegli stessi fantasmi.
Voi siete l’unico che può riportarla indietro, aveva detto la Cheng, senza sapere che neanche Zuko, certi spettri, era mai riuscito ad affrontarli.
Eppure è lì, che avanza verso sua sorella e che con voce gentile prova a chiederle: “E che cosa ci diciamo noi quando parliamo?”
Azula scrolla le spalle, come se fosse perfettamente a suo agio seduta sulla sua poltrona preferita e non imbalsamata come un salame dentro una stanza d’ospedale.
“Tu non dici niente, Zuzù. Mi fissi, mi fissi con quei tuoi occhi da tonto e hai un buco proprio qui, al centro del petto, e sporchi di sangue tutte le mie lenzuola come il grande disastro umano che sei.”
“E perché io vengo a trovarti, Azula?”
Un’altra scrollata di spalle.
“Vuoi che ti chieda perdono, immagino. Ma io continuo a mandarti a quel paese!”
“Perdono per cosa?”
“Per... “Azula esita, il suo sguardo astuto si grana, perde concentrazione, naufraga dentro un mondo in cui, anche volendo, Zuko non potrebbe mai raggiungerla.
“Perché io ti ho ucciso, Zuzù.”
 
“C’è anche un’altra cosa che dovreste sapere...”.
Zuko aveva notato il nervosismo creare rughe profonde sulla fronte pallida della dottoressa, l’unghia che grattava via una macchia invisibile dalla sua scrivania.
“Qualcosa di peggio del fatto che mia sorella si sia convinta di essere perseguitata dallo spettro di nostra madre?”
“Sì...”
“Che cosa?”
L’esitazione della Cheng, quel suo aprire e chiudere la bocca come se non riuscisse nemmeno lei a trovare le parole giuste, era bastato per fargli sentire il cuore sprofondargli nel petto.
Poi, la donna aveva sbottato: “Per Agni! Non c’è un modo gentile per dirvelo, quindi ve lo dirò e basta: in pratica, Mio Signore, vostra sorella è convinta che voi siate morto!”
“Morto in che senso?”
“Nell’unico senso che esiste...”
 
“Non sono morto, Azula.” prova a dirle, incapace di comprendere perché la sua mente sperduta l’abbia convinta del contrario. “Io sono qui. Sono vivo.”
“Bugiardo!” gli urla contro, mostra i denti e scatta in avanti in maniera così repentina e violenta che sia lui che le guardie si ritrovano a sobbalzare preoccupate per la sorpresa.
E ora, a deturpare il bel viso di sua sorella, c’è un’espressione che se da un lato la fa assomigliare a una belva furiosa, dall’altro ricorda una di quelle maschere disperate esposte nei teatri dell’Isola Ember: “Il mio fulmine ti ha preso in pieno, io ti ho visto! Sei caduto e sei morto! L’ho visto! L’ho visto! L’ho visto!”
“Azula, calma...”
“Tu sei morto! Morto!”
“Tempo scaduto, Mio Signore, è meglio se ora la lasciate da sola...”
Mentre le guardie tentano di calmare sua sorella, Zuko sente solo la mano della dottoressa arpionarsi al suo braccio e condurlo fuori dalla stanza.
Lo sente ma non lo vede, perché, come lo sguardo di Azula, anche il suo è di nuovo lì: al centro della piazza del palazzo, sotto un cielo rosso come il sangue e come il fuoco che la sua famiglia ha sparso per il mondo per intere generazioni. E sotto quel cielo amaranto, il fulmine di Azula lo colpisce e lui cade.
Cade e, neanche sa come, si rialza.
 
*
 
“E’ stata davvero una pessima idea, Zuko!” la prima a dirgli te l’avevo detto è, ovviamente, Katara.
Mai si era limitata al supplizio del silenzio, Toph a fare un commento sgarbato sulla sua testa grossa e idiota, e Sokka a colpirlo alle natiche con la sua spada spaziale.
E se Suki non fosse partita per l’isola di Kyoshi solo la settimana prima, probabilmente gli avrebbe lanciato contro i suoi ventagli quasi fossero shuriken.
Zuko non si era aspettato il loro appoggio su questa sua decisione, perché ognuno di loro aveva dei motivi davvero molto validi per vedere Azula rinchiusa e divorata dai suoi demoni per sempre, però avere qualcuno con cui confrontarsi gli sarebbe stato d’aiuto.
In suo soccorso, anche se in ritardo come sempre, arriva Aang. Aang che più di tutti loro avrebbe un motivo per condannare Azula, Aang che aveva avuto l’opportunità di uccidere suo padre e non l’aveva fatto.
“Se senti che quello che stai facendo è giusto e che potrà portarti la pace, allora devi continuare su questa strada, amico mio.”
“E se fosse solo l’ennesimo fallimento?”
Seduto al suo fianco, vicino al laghetto delle anatretartaruga, Aang sorride, il sorriso di un essere vecchio di milioni di anni e al tempo stesso sempre bambino. “Non mi sembra che questo ti abbia mai fermato, o sbaglio?”
Zuko sorride, fra le mani la corona che il destino ha voluto che indossasse, perché trovare la strada verso la luce è ciò che ha fatto ed è ciò che il suo popolo spera che lui possa fare per loro.
Forse, nel profondo, chissà, persino Azula lo spera – pensi ancora di potermi salvare, Zuzù?
“Mi sa che hai ragione tu, Aang.”
“Non per niente sono l’Avatar!”
“Adesso non montarti troppo la testa, moccioso!”
 
*
 
Una settimana dopo, bussa di nuovo alla sua porta ed Azula è ancora lì, solo che stavolta sembra aspettarlo e c’è uno strano divertimento sadico che le brilla negli occhi e qualcos’altro, qualcosa di inedito che Zuko prova a decifrare.
Oh no... avrebbe pensato solo qualche mese fa, immaginandosi il peggio, chissà quale grande piano folle per distruggerlo e umiliarlo, mentre lo Zuko di oggi quasi spera, quasi sorride – quasi crede che ciò che ha visto per un attimo brillare negli occhi della sua sorellina possa essere sollievo.
Quando le va incontro e si siede sulla sponda del suo letto – proprio come lei gli ha raccontato – Azula sbuffa il suo disappunto e arriccia il naso scocciata, come quando da bambina sua madre la costringeva a fare qualcosa che proprio non voleva fare.
“Sei di nuovo qui, Zuzù? Non hai proprio nulla di meglio da fare che tormentare me?”
“Esatto, Azula.” le risponde, mostrandole lo stesso sorriso sibillino che un tempo apparteneva a lei.
“Sei insopportabile!”
“Sarà, ma non ho comunque intenzione di andare da nessuna parte!”
Gli avevano raccontato che quando era giunto il momento di andare verso la distruzione totale del Regno della Terra, Ozai aveva preferito lasciare Azula indietro.
Secondo la dottoressa Cheng, dopo il tradimento di Mai e Ty Lee, quello era stato il colpo finale che aveva del tutto minato la stabilità mentale di sua sorella portandola alla paranoia totale.
Ma Zuko non è Ozai, e non è nemmeno Ursa, e quindi, a differenza loro, non l’abbandonerà.
Se non altro, a differenza loro, è ancora disposto a fare un tentativo.
 
*
 
I mesi passano, le sue visite ad Azula sono sempre diverse e sempre più o meno difficili.
Ci sono giorni che Zuko è quasi disposto a considerare buoni.
Sono i giorni in cui lei si limita a rimanere ostinatamente zitta a fissare fuori dalla finestra, o quelli in cui si diverte a irritarlo con commenti cattivi, prendendo in giro i suoi vestiti, i suoi capelli, persino il modo in cui palesemente, e anche se è un morto, non abbia ancora imparato a camminare senza assomigliare a un macaco.
Sono i giorni in cui mentre parlano – o bisticciano più che altro – a un certo punto Azula si volta da un’altra parte, la fronte corrugata e un broncio da bambina a piegarle le labbra e grida: “STA ZITTA TU!” come se insieme a loro ci fosse qualcun altro nella stanza, quel qualcuno che Azula sia convinta essere lì solo per tormentarla.
Sono i giorni in cui gli racconta di Ursa.
“Finge di essere qui perché mi vuole bene, quella matta! Ma in realtà sappiamo bene che non è così, vero, Zuzù? È qui perché ci gode a vedermi ridotta in questo stato! È qui, perché, come te, vuole torturarmi!”
La Cheng gli ha spiegato che sulle visioni – eccetto per convincerla della sua non morte – non può contraddirla, che farlo avrebbe solo scatenato la sua furia come nei giorni precedenti, e quindi Zuko si limita a sospirare e a ricordarle che né lui né la mamma avevano mai avuto intenzione di torturarla – al massimo, era sempre stato il contrario e, almeno questo, Zuko glielo sputa dritto in faccia ed è contento quando il ghigno perfido di Azula è tutto lì che le fa nuovamente gonfiare il petto. Stronza.
“Allora perché pensi che mi spii dallo specchio, mmh?!” gli chiede, come se fosse uno scolaretto stupido che non riesce a capire le cose.
E Zuko solitamente non è mai in grado di guardarla negli occhi in quei momenti, non riesce mai a trovare le parole giuste. Ma stavolta stringe i pugni e si sforza di guardarla, quando trova finalmente il coraggio di dirle la verità: “È qui perché, nonostante tutto, lei ti manca, Azula. E perché tu… lo sai…le hai voluto bene.”
La reazione di sua sorella è inaspettatamente proprio quella che ha immaginato: lo fissa a occhi sbarrati, come se l’avesse appena schiaffeggiata o peggio, come se le avesse appena rivelato una verità sconcertante a cui lei aveva sempre preferito non credere.
La vede irrigidirsi dentro la camicia di forza in cui è costretta e non fa fatica a immaginarsi le sue unghie che affondano nella pelle morbida dei suoi palmi.
In certe cose, sono spaventosamente troppo simili.
“L’amore è per i deboli, Zuzù. Io non sono debole... non sono come te e i tuoi patetici amici che credete ancora che una singola goccia di pioggia possa impedire al mondo di bruciare!” gli ringhia contro, fremente, chissà se per la rabbia o per qualcosa di più simile alla disperazione.
Zuko abbasso lo sguardo e ricorda il tempo in cui Ozai aveva bandito l’amore anche dal suo cuore, estirpandolo come se fosse niente di più di un’edera velenosa che non faceva altro che renderlo ancora più incapace.
Ricorda il tempo in cui ha rincorso il suo affetto (e quello di Azula), e tutte le volte in cui si è ritrovato sbattuto per terra, con una porta sbarrata davanti.
Azula è ancora dietro quella porta, è ancora lì dove Ozai le ha insegnato a non credere a niente che non fosse la grandezza del suo potere.
E Zuko è ancora lì che non riesce a trovare un modo per entrare e farle capire che non sempre l’amore fa solo male.
“Su questo hai torto, Azula.” sospira alla fine, osservando la sua reazione di sottecchi con un mezzo sorriso che sa che la manderà in bestia.
“Illuminami allora, fratello!”
“Ho provato per tanto tempo a farmi voler bene da te e il Padre del Fuoco[3], e ogni volta che non ci sono riuscito è vero, era come se tutto il mio mondo bruciasse, e io non fossi altro che una singola goccia di pioggia che aveva ingenuamente pensato di poterlo spegnere. Ha fatto male per tanto tempo, e nostro padre ha anche fatto in modo che non potessi mai più dimenticare la mia debolezza.” Zuko non accenna direttamente alla sua cicatrice, ma è lì che gli occhi di Azula si posano, e poi più in basso, in direzione del suo petto, lì dove lei crede di averlo ucciso.
“Ma era una bugia, Azula. Solo un’altra bugia. C’è abbastanza amore in questo mondo per spegnere le fiamme. Ce n’è ancora per salvare te!”
“Forse io non voglio essere salvata, Zuzù. Forse voglio solo essere lasciata lì a bruciare.”
“Perché?”
“Perché me lo merito.”
 
*
 
Poi ci sono i giorni in cui il suo cuore ritorna a bruciare di dolore come una volta, giorni che nella sua mente Zuko ha iniziato a chiamare giorni oscuri.
Quelli sono i giorni in cui pensa di aver fatto passi avanti, di essere finalmente riuscito, con l’aiuto della dottoressa Cheng, a costruire un ponte solido nella mente di Azula per riportarla indietro, e poi entra nella sua stanza e lei ride come rideva la notte in cui aveva cercato di ucciderlo, e gli racconta con tono mellifluo, con tono freddo e calmo come le sia piaciuto rinchiudere tutti dentro il palazzo e bruciarli vivi[4].
“Li ho sentiti bruciare, Zuzù. Li ho sentiti morire, ho sentito la loro carne squagliarsi dalle ossa, le loro grida mentre le fiamme li divoravano. Mi è piaciuto, Zuzù. Volevo che durasse. Volevo che tutto potesse bruciare così!”
Quelli sono i giorni in cui sua sorella scivola via, e la ragazza che vede di fronte a sé è il mostro che Azula si è convinta di essere.
 
“La mia stessa madre credeva che io fossi un mostro. Aveva ragione, certo, ma faceva male comunque.”
 
Quelli sono i giorni in cui non sa come fare per riportarla indietro, quelli sono i giorni in cui dubita così tanto da trasformare il suo credo in promesse infrante, e lasciarla e chiudere la porta e pensare di non metterci più un piede dentro.
È proprio durante uno di quei giorni oscuri però, che i suoi amici mettono da parte il loro risentimento nei confronti di Azula e si siedono tutti intorno a lui di fronte al laghetto delle anatretartaruga.
Aang deve averli convinti a fare un tentativo, e Zuko gli sorride grato, mentre osserva tutti i suoi amici sedersi a semicerchio vicino a lui.
La prima a parlare è Toph – anche se prima decide che è giusto mostrargli il suo affetto con il solito potentissimo pugno al braccio, – “Lo sai, sparky, che nessuno potrà mai incolparti per non averla salvata, vero?”
“Io potrò incolparmi per non averla salvata, Toph.”
“È vero, è così...” asserisce Katara, scambiandosi uno sguardo d’intesa con tutti gli altri, prima di sorridergli, “scusaci se ci abbiamo messo tanto a capirlo. Alle volte dimentichiamo che sei il solito vecchio testardo che non molla mai...”
“Hai presente? Del tipo... trovare l’Avatar è il mio destino, e blablaba!” commenta in maniera spiritosa Sokka, strappando a tutti una risata, persino a lui.
“Non sei il tipo da abbandonare nessuno, Zuko. E, in fondo, questa è una cosa per cui ti ammiriamo.” aggiunge Suki, facendogli un occhiolino.
“E per cui ti vogliamo bene!” conclude Aang, richiamando poi un abbraccio di gruppo.
Sono solo parole, sorrisi e abbracci, ma bastano per far sì che il suo cuore smetta di bruciare, bastano per scacciar via il ricordo di quel fulmine che lo colpisce al petto e il pensiero sconcertante che a scagliarlo sia stata la mano della sua sorellina, la stessa mano che ha stretto da bambino molte volte, la stessa mano che un tempo l’ha cercato per conforto nel buio.
Per molto tempo, Zuko, in quello stesso buio senza speranza né perdono si era perduto. E per andare avanti si era aggrappato a false promesse: “Recupera l’Avatar e avrai indietro il tuo onore” diceva Ozai. E Zuko in verità non sperava mai, Zuko tentava e falliva e poi tentava ancora. Per illusioni di fuochi fatui.
Ma Azula non è un fuoco fatuo. Lei è come lui. Sola e disperata dentro un buio fatto di rabbia e di odio. Zuko aveva avuto Iroh al suo fianco per condurlo verso la luce, e poi, chissà come, aveva avuto i suoi amici.
Azula, al contrario, non aveva mai avuto nessuno. Forse, non aveva mai nemmeno imparato come voler avere qualcuno al suo fianco senza il timore che questi potessero abbandonarla.
La fiducia è per gli sciocchi, diceva sempre, la paura è l’unica via affidabile.
Ma la paura non si era rivelata abbastanza.
 
“Stavolta hai calcolato male, Azula. Il mio amore per Zuko, è più forte del timore che nutro nei tuoi confronti!”
 
E adesso Azula non ha più niente. Non ha nessuno. Solo i suoi demoni. Solo lui.
Per questo, una settimana dopo ritorna a bussare alla sua porta e Azula sbuffa scocciata, anche se i suoi occhi sono arrossati e gonfi come se avesse pianto.
Come se si aspettasse che lui non tornasse più.
“Tu non ti arrendi proprio mai, vero, Zuzù?” torna a chiedergli.
“Dovresti conoscermi bene, Azula.”
“Tsk, quanto sei patetico.”
E Zuko sorride, scrolla il capo e lascia che la corona scivoli via dal suo capo.
“Sono comunque meno patetico di te.”
 
*
 
L’autunno porta con sé un’Azula nuova. E Zuko non è mai stato abituato a scontarsi contro una sorella malinconica. Non per questo, e non perché la sua mente sia ancora instabile, le parole di Azula hanno perso la sagacia di sempre. La capacità di colpire il bersaglio con una precisione tale da lasciarti spiazzato e a corto di fiato.
Sono i giorni in cui Azula sembra essere solo l’ombra di se stessa.
È durante uno di quei giorni che dal nulla gli chiede: “Pensi che lei mi abbia mai amato?”
“Lei chi?”
“La mamma.”
Sono i giorni in cui Zuko vorrebbe essere tanto coraggioso da avvicinarsi a sua sorella e toccarla, abbracciarla, senza temere che lei gli strappi un orecchio a morsi o che poi rida di lui tradendolo alle spalle.
Sono i giorni in cui si dimentica di essere un Signore del Fuoco e anche lui ritorna il bambino che è.
“Certo che ti amava.”
“Allora perché ci ha abbandonati?”
“L’ha fatto per proteggerci.”
“Per proteggere te, non me.”
 
“Potrei lamentarmi del fatto che mia madre amasse Zuko più di quanto avesse mai amato me, ma in verità non mi importa.”
 
Sente ancora quella sua confessione nelle orecchie, le fiamme del falò dell’isola di Ember, un’Azula diversa che per una volta vacilla sulle sue insicurezze.
“E guarda che bel lavoro ha fatto, Zuzù.” continua poi, sardonica, puntando il mento verso di lui, “guarda che cosa ci ha fatto... guarda che cosa siamo. Tu sei morto, e io sono rinchiusa dentro un manicomio.”
“Non è così...”
“E allora com’è?”
I giorni in cui non riesce a trovare le parole per aiutarla a rialzarsi, sono sempre i giorni peggiori.
E la settimana dopo, si accorge dal primo istante in cui varca la soglia che i giorni malinconici di Azula non sono ancora finiti.
La trova infatti ad ammirare fuori dalla finestra le foglie rosse dell’acero che ondeggiano dolcemente al vento e di cui lei pare seguirne la danza; i suoi occhi sembrano lucidi, perfettamente ancorati alla realtà, mentre osservano le sfumature aranciate dell’imbrunire.
E così, senza averlo prima premeditato e nella speranza di scuoterla un po’, Zuko esclama: “Oggi facciamo due passi fuori!”
Azula si volta perplessa a fissarlo, imbronciata come sempre: “Fa freddo.” dice, ed è la cosa più strana che Zuko le abbia mai sentito dire. Se fosse meno gentile direbbe: è la scusa più patetica che le abbia mai sentito dire.
“Dirò alle guardie di portarti una coperta.”
“La dottoressa Cheng non ti permetterà di farmi uscire.”
“Io sono il Signore del Fuoco, Azula.”
Per una volta, Azula non gli ricorda di essere un Signore del Fuoco morto a causa del suo fulmine, si limita ad emettere il solito verso sdegnato e annuire.
È strano spingere la sedia a rotelle di sua sorella: lei è pedante e irritante (“Com’è che non sei in grado nemmeno di portare una stupida carrozzina, Zuzù?!”) e non fa che lamentarsi per tutto il tragitto, fino a quando non arrivano alla fontana artificiale con la scultura del drago al centro del parco dell’ospedale.
Azula l’ammira in silenzio e Zuko si porta al suo fianco, e per una volta si permette di prendere fiato in sua presenza.
Passano la maggior parte del tempo così, ad ammirare l’acqua che zampilla dalla fontana, la forma serpentina del drago, il rosso del cielo che si riflette tutto intorno a loro, fino a quando Zuko non nota la sua espressione persa nel vuoto.
“Dimmi, Zuzù, pensi che quando tutto il mondo smetterà di bruciare, allora farà meno male?”
Non ha idea a che cosa si riferisca, perciò si limita a fissarla senza sapere cosa dirle.
Azula piega solo un angolo delle labbra e continua: “Sei il solito ingenuo. Convinto che possa esserci perdono. Possa esserci pace. Ma devi stare attento, perché nessuno teme un bambino che non sa fare la guerra, Zuko.”
Zuko la osserva di sottecchi e pensa che un tempo, uno Zuko diverso, le avrebbe perfino creduto, che si sarebbe lasciato comprare dal suono mellifluo e suadente delle sue parole. Un tempo, uno Zuko diverso non avrebbe saputo vedere la paura di Azula dietro le sue stesse parole. La paura di perderlo. E non perché lei avesse deciso così, ma perché qualcun altro aveva deciso che fosse giusto portarglielo via. Ancora.
È uno di quei momenti in cui Zuko vorrebbe essere come suo zio e tirar fuori una bella metafora, invece si ritrova a passarsi semplicemente una mano sulla fronte e a sospirare ciò che sente, ciò che è: “La gente non vuole più fare la guerra, Azula. Sono stanchi. Siamo stanchi. Tu non lo sei?”
Per un attimo, Zuko è in grado di vedere l’indecisione indurire la mascella di sua sorella, farle danzare lo sguardo al di là di lui, i denti che poi affondano nel labbro inferiore e quel sorriso da serpe che prova a ridisegnare come se nulla fosse qualche secondo dopo.
“Una fiamma è mai stanca di bruciare, Zuzù?”
“Persino a una fiamma può mancare l’ossigeno, certe volte.”
E dal modo in cui sua sorella trattiene il fiato, Zuko pensa che sì, che è stanca anche lei, è stanca di temere tutti, odiare tutti, recitare la parte della principessa perfetta dietro la sua porta blindata, di scontrarsi con la sua coscienza e perdere sempre e non sapere perché.
È stanca anche Azula di combattere contro di lui. È stanca anche Azula di vedere quel fulmine danzare ancora fra loro.
Zuko vorrebbe sapere come estinguerlo, vorrebbe sapere come dimenticare e lasciare che Azula dimentichi.
Ma non è ancora in grado, perciò non le dice più niente, allo scadere della sua ora si limita a dirle: “Dobbiamo rientrare” e rinchiusa nel suo silenzio Azula annuisce e Zuko si chiede se anche lei stia davvero aspettando che lui le trovi una soluzione. O se invece, come credono tutti, cerchi ancora di distruggere entrambi.
 
“Dimmi, Zuzù, credi ancora di potermi salvare?”
 
*
 
Il bello di sua sorella è che non è mai stata prevedibile, perciò, a sorpresa, quando due settimane dopo torna a trovarla, improvvisamente sembra un’altra, e la trova seduta di fronte a una tela con in bocca un pennello per dipingere.
Quando lo vede, Azula lo saluta come fa sempre, ossia roteando gli occhi al cielo scocciata, per poi ritornare a concentrarsi sulla sua opera d'arte.
"Che fai?"
Non ha bisogno che Azula parli, il suo sguardo affilato dice a Zuko tutto quello che ha bisogno di sapere: Non lo vedi da solo, Zuzù? Sei stupido, per caso?
Ci casca tutte le volte...
"Volevo dire... che cosa dipingi?"
Senza troppe cerimonie, Azula gli sputa il pennello in faccia, sogghignando divertita di fronte alla sua espressione oltraggiata, per poi fargli cenno di guardare il suo disegno, – tutto questo, Zuko quasi ancora non ci crede, mentre sta seduta su una sedia rotelle e stretta in una camicia di forza.
Piano piano si avvicina di un paio di passi per ammirare la sua l'opera.
Ci sono tanti omini stilizzati nella sua tela, un'enorme fiammata rossa sullo sfondo e una figura che si erge su tutti sopra un palco con una testa e una corona decisamente sproporzionate. A suoi piedi, un omino più piccolo piange.
"Vedi? Questi siamo noi..." dice.
Zuko fa scattare il suo sguardo dal disegno al ghigno compiaciuto di sua sorella e, anche se dovrebbe restarci male, alla fine invece scoppia a ridere.
Tra sua sorella e Sokka non sa chi dei due sia il peggiore a fare i ritratti.
"Che cos’ha il mio capolavoro di tanto divertente, Zuzù?! Pensi che tu forse sapresti fare di meglio senza usare le mani?!" si indigna, mandandogli fuoco e fiamme contro con la sola potenza del suo sguardo.
"No, no,” cerca di salvare la situazione, portando le mani avanti, seppur incapace di smettere di ridacchiare. “Anzi, complimenti!” proprio quando Azula sembra aver ritrovata la sua espressione soddisfatta, aggiunge un “Tuttavia” perché in fondo è pur sempre suo fratello maggiore, “credo che la tua testa sia sul punto di esplodere."
Adesso è Azula a spalancare la bocca con fare oltraggiato e a urlargli contro che: "La mia testa va benissimo! È molto grande, perché io sono molto intelligente! Vedi la tua com'è piccola?! Secondo te perché?"
È una lite stupida, eppure, anche se non dovrebbe – Agni, è il fottuto Signore del Fuoco della Nazione del Fuoco, adesso! – Zuko sente ancora la stessa stizza di sempre salirgli su, e come quando aveva sette anni ritorna a battibeccare come un idiota con sua sorella.
"Non sei capace di creare la prospettiva è chiaro..." le chiarisce, mostrandole i punti in cui il suo disegno è tutto storto e incomprensibile.
"Ti sbagli!” gli grida addosso Azula sempre più indignata e indisciplinata, “Io sono la regina della prospettiva! Sono la regina di tutte le arti!"
"Ah sì? Ma se non hai mai imparato nemmeno a suonare un tamburello? Regina di tutte le arti questo cavolo!"
"Certo, perché tu sei un maestro con quel tuo stupido corno, non è vero?"
"Assolutamente!"
"Nei tuoi sogni!"
"No, nella realtà!"
A quel punto, succede qualcosa che Zuko non si aspetta. Azula gonfia le guance, come quando era piccola, e inizia a urlare senza alcun ritegno: "GUARDIE! Mio fratello mi sta disturbando! Guardie! Sta cercando di uccidermi di noia! Guardie! Portatelo via prima che inizi a suonare il suo stupido corno! Guardie!"
Zuko cerca di zittirla come può, fino a quando a entrare dalla porta è la dottoressa Cheng: “Dove credete di essere voi due?!” li rimprovera, con quel suo sguardo affilato e serio che sarebbe capace di tagliare in due una roccia. “Questo è un ospedale! Non un asilo nido! Chiudete il becco!”
“Sì, dottoressa, ci scusi.”
“Bene. Se vi sento di nuovo, giuro che vengo a sculacciarvi!”
“Non succederà.”
Quando si chiude la porta alle spalle, Azula le fa il verso, e Zuko si ritrova per la prima volta a toccarla, seppur solo per rifilarle un colpo di gomito sulla spalla.
“Che c’è?!” lo riprende Azula “Quella donna è una noia.”
Zuko sospira, poi riprende il pennello che Azula ha lasciato precipitare sul pavimento e inizia a tracciare nuove pennellate di colori sulla tela.
“Ecco, così va meglio!” afferma.
“Chi ti ha insenato a disegnare, Zuzù?”
“Ti ricordo che sono stato a bordo per tanto tempo. Se vuoi navigare bene in mare, devi saper disegnare delle buone mappe.”
“Questo spiega tutto.”
“Spiega cosa?”
“Per quale motivo non facevi altro che perderti.”
“Io non- non è questo che-!”
 
*
    
Quando arriva l’inverno, la dottoressa Cheng gli dice che è giunto il momento che Azula abbia anche qualche altro visitatore.
Dice a Zuko qualcosa come: “Voi siete l’ancora umana di vostra sorella, ma questo è un peso troppo grande per un solo ragazzino, anche se quel ragazzino è il Signore del Fuoco, anzi, soprattutto perché quel ragazzino è già il Signore del Fuoco. Perciò, scegliete voi. Trovate qualcuno.”
Iroh è ovviamente la prima persona a cui va a chiederlo, e perché suo zio non è mai stato capace di voltargli le spalle – e Zuko pensa di aver imparato quella lezione abbastanza bene, proprio grazie a lui – dice di sì.
Dopo molta insistenza e molte torte alla frutta, persino Mai decide di andare.
“Lo faccio per te” ribadisce, puntandogli minacciosa un dito contro in quella che sembra più una minaccia che non una dichiarazione d’affetto, “non certo per lei!”    
Anche Ty Lee alla fine accetta, e Zuko ha da subito l’impressione che sia lei, quella più nervosa fra i due, quando va a chiederglielo.
“C’ho pensato tanto sai...” gli confessa, addosso ancora il trucco delle Guerriere Kyoshi, un’altra interpretazione, un’altra Ty Lee.
“C’è stato un tempo in cui mi sentivo reale, mi sentivo me stessa, solo quando ero insieme ad Azula. Come se la sua sicurezza, la sua forza, facessero diventare sicura e forte anche me...”
Zuko sa bene di che cosa parla, Zuko sa bene quanto possa far male voler disperatamente appartenere a qualcosa e a qualcuno, anche quando tutto te stesso continua a gridarti che non è giusto.
“E poi c’erano dei giorni in cui mi guardavo allo specchio e mi chiedevo chi ero. Odiavo quei giorni, perché la mia aura assumeva delle tonalità davvero tristissime!”
“Immagino, Ty Lee.”
“Quello che voglio dirti, Zuko, è che prima non ero pronta. Ma ora sì, ora posso affrontare Azula.” conclude, con l’espressione più adulta che Zuko le abbia mai visto fare.
Le sorride e le risponde usando l’unica parola in grado di racchiudere tutto: “Grazie.”
 
Le sedute con gli altri vanno un po' bene e un po' male.
Tutta la Gaang ha deciso di godersi lo spettacolo nell’Hall dell’ospedale, sotto lo sguardo scocciato e fulminante della Cheng e il nervosismo palpabile di Zuko, che seduto fra Sokka e Toph (e mentre quei due idioti si stanno spazzolando un intero pacco di fiocchi di fuoco manco fossero a teatro!) sembra voler dar vita a un terremoto con il movimento frenetico del suo ginocchio.
Mai è la prima ad andare e quando esce dalla stanza sta palesemente fumando di rabbia, e ha i pugni stretti lunghi i fianchi e i denti digrignati.
“Oh oh” sente Sokka bisbigliare sghignazzando, prima di essere travolto dalla furia della ragazza.
“Non ha fatto altro che sfottermi per tutto il tempo!” gli dice. “Senti Mai...” prova poi ad imitare la voce di Azula, assottigliando la voce con fare suadente “Sei contenta di aver scelto Zuko e di ritrovarti con un cadavere come fidanzato invece di governare il mondo con me? Se non fosse che non ci sta con la testa, gliela avrei fatta saltare per aria io!”
Nonostante la situazione non sia affatto delle più leggere, l’intera Gaang seduta intorno a lui scoppia a ridere senza esitazione e, anche se non vorrebbe – davvero, si tratta di una questione seria! – Zuko si ritrova a imitarli, portandosi entrambe le mani in faccia per nascondersi da Mai.
“Perché ridi?! Mi ha fatto incavolare!”
“Scusa, Mai,” prova a giustificarsi, seppur le cose fossero andate in maniera decisamente migliore rispetto a quanto si era immaginato (il che comprendeva o Mai o Azula morte!), “ma che cosa ti aspettavi? Che Azula si scusasse con te?”
“Che noia!” gli sbuffa contro, ma c’è un sorriso che le danza sulle labbra e poco dopo è lì che ride di quella situazione folle insieme a tutti loro.
 
Ty Lee è la seconda. Ed è l’unica che entra dentro la stanza portando doni.
Zuko le ha spiegato che Azula è ancora legata, ma lei ha detto che per mangiare il cioccolato in fondo basta la bocca.
A quel punto, dopo il non completo disastro con Mai, Zuko si sente abbastanza rilassato da rubare di tanto in tanto qualche fiocco di fuoco a Toph.
“Guarda che ti vedo.”gli dice, rifilandogli una sorta di occhiata truce.
“Non puoi provare niente, Toph.”
Ty Lee esce venti minuti dopo completamente ricoperta di zucchero a velo e chiazzata di cioccolata da tutte le parti.
Di nuovo, tutti i suoi amici, (tranne Toph che inizia quindi a tirargli una manica e a chiedergli “Che succede? Che succede!?”) scoppiano a ridere a crepapelle, piegandosi in due sui divanetti in cui la dottoressa Cheng li aveva fatti accomodare e che Zuko è convinto che non vedranno mai più, dopo tutto il baccano che stanno facendo.
“Avete fatto una battaglia di cibo?” va incontro alla povera Ty Lee, porgendole un fazzoletto per pulirsi il viso.
“No...” gli risponde, al metà fra lo scocciato e il triste, “le ho detto che una maschera al the verde avrebbe fatto miracoli per la sua pelle disidrata e allora lei ha detto Ah, pensi che la mia pelle sia disidrata? e io le ho detto, sì è evidente, e allora ha iniziato a usare la bocca per prendere le cose e poi sputarmele in faccia e poi ha detto ecco, adesso la tua faccia è anche più ridicola della mia! Insomma, vi sembra una cosa normale?”
Sono tutti talmente dilaniati dalle risate che nessuno le risponde.
 
L’ultimo è Iroh.
Lui entra con un vassoio da the e l’espressione più serafica che Zuko gli abbia mai visto fare.
Dieci minuti dopo, sente Azula urlare: “GUARDIE! ZUKO! PORTATE QUESTO VECCHIO NOIOSO FUORI DALLA MIA STANZA, ADESSO! ZIO, NO! NON LO VOGLIO SAPERE QUANTE FOGLIE DI THE CI VOGLIONO PER FARNE UNO DECENTE! CHE CAVOLO! CHI MAI VORREBBE SAPERLO COMUNQUE?!”
Mentre gli altri stanno ancora cercando di riprendersi dall’attacco di ridarella, Zuko va in contro a suo zio alzando in maniera esasperata le braccia verso l’alto.
“Di tutti gli argomenti dovevi proprio parlarle del Jasmine Dragon?”
“Il the è sempre un ottimo argomento, nipote.”
“Con Azula?”
“La prossima volta, parleremo del gioco del Pai Sho.”
“A posto.”
 
Quando quella sera la dottoressa Cheng lo richiama nel suo studio, Zuko si aspetta il disastro ed è già pronto a dare la colpa ai suoi amici, quando la donna lo prende in contropiede e gli dice: “È andata meglio di quanto mi aspettassi.”
“Ah sì?”
“Decisamente, sia vostra sorella che voi altri siete tutti vivi, giusto? E a parte l’incidente con il cibo, pare non esserci stata nessun’altra battaglia in atto. La prendo come una vittoria personale.”
E Zuko è troppo impegnato a trattenere una risata liberatoria per poterla contraddire.
 
*
  
Fuori nevica, ed è passato ormai più di un anno dalla Cometa di Sozin, dal giorno in cui sua sorella aveva scagliato il suo fulmine su di lui per ucciderlo.
Sono invece passati solo nove mesi da quando Zuko ha iniziato le sue visite.
Non è molto tempo, ma nemmeno così poco.
Eppure, ancora, delle volte, quando varca la porta della sua stanza, Azula lo guarda come se non lo aspettasse, come se non riuscisse ancora bene a capire perché lui continui ancora a tornare.
In quei giorni cerca sempre di catturare il suo sguardo, ancorarlo al suo, al se stesso reale, per trascinarla via dalle nuvole di polvere, fumo e cenere in cui la sua mente è ancora immersa.
Certi giorni, Azula fa ancora di tutto per evitarlo, gli dice: “Lascia che io bruci, Zuzù.”
E lui continua a dirle che non lo farà.
“Perché?” Azula proprio non riesce a spiegarselo, perché lui continui a tornare, perché il fantasma della loro mamma continui a tornare.
Non riesce a spiegarselo perché non sa come spiegarsi il fatto che abbia ancora un cuore capace di amare.
Non riesce ancora a spiegarsi perché, nonostante tutto, il suo cuore bruci all’idea di averlo perduto.
E Zuko le si porta davanti con le mani sui fianchi e un sorriso sincero che ha imparato a sfoggiare solo di recente. Solo perché altri gli hanno ricordato com’è che si faccia ad amare e non avere paura di farsi male.
“Perché è questo che noi ragazzi non nati fortunati facciamo, Azula. Tentiamo, tentiamo ogni volta. E falliamo spesso. Però non ci arrendiamo mai.”
“Io ti ho visto morire.”
“Ci vuole ben altro che un fulmine per farmi fuori.”
Azula emette il suo classico verso mezzo sdegnato e mezzo soffocato, prima di commentare: “Che galletto spocchioso che sei, Zuzù. Alla mamma non piace quando fai così.”
E Zuko non dovrebbe, ma ride e dandole un buffetto sulla fronte le dice: “Dille di farsene una ragione, allora!”
Quella volta, anche Azula sorride, sorride come la bambina che era, e il fumo nei suoi occhi per un attimo si dissolve, la cenere si posa e l’oro torna a splendere.
Accade quando i suoi occhi si posano sul punto in cui lui l’ha sfiorata, come se quel dettaglio potesse finalmente renderlo reale.
È il giorno in cui – con il cuore che ancora brucia, ma non a causa del tradimento, ma della speranza – la libera dalle sue catene.
Azula si osserva le mani ora libere, osserva lui, e a bocca aperta respira quel piccolo gesto di fiducia che le ha appena concesso. Quel piccolo gesto che significa sì, Azula, penso ancora di poterti salvare.
Zuko la osserva sorridendo portasi le dita lì dove lui l’ha sfiorata, prima di agguantare la sua mano nella sua, aiutarla ad alzarsi e portala finalmente fuori da quella porta.
Non quella dell’ospedale, da quella Azula avrebbe imparato a uscire fuori con il tempo e con il giusto aiuto. No, Zuko le dice andiamo! e le mostra il mondo fuori la porta di Ozai, un mondo che lui è riuscito finalmente ad aprirle usando una chiave dal nome speciale.
Perdono.
 



 
FINE
 
 
 
 
 
 
N/A: Buongiorno a tutti, cari lettori! E se siete arrivati alla fine di questa lunghissima e confusissima storia, tanti complimenti a voi!
Questa fanfiction nasce come regalo di Natale per Dromeosauro394 per il Secret Santa indetto sul forum Writing Games – ferisce più la penna.
In questa storia, ho voluto narrare il possibile riavvicinamento fra Zuko e Azula dopo l’epilogo della Saga. Al suo interno, non potendo parlare specificatamente del Natale perché nell’universo di Atla non esiste, ho comunque cercato di inserirgli alcuni dei suoi temi centrali come la Speranza, i Doni e il Perdono.
La storia è ambientata nella Nazione del Fuoco in un momento non specificato dopo l'epilogo (ma prima che tutti si rechino nel Regno della Terra a Ba Sing Se) in cui tutta la Gaang è ancora riunita lì perchè nella Nazione del Fuoco ci sono molti problemi diplomatici da risolvere e il povero Zuko merita di certo un mano!
Non è una storia facile perché parla di tanti argomenti spinosi di cui io non mi reputo affatto una grande esperta (come i problemi mentali di Azula per esempio) e di cui ci sarebbe voluta tutta un’altra fanfiction a parte per poterne parlare meglio.
Ecco perché ho scelto il punto di vista di Zuko che poverino si ritrova ad avere a che fare con tutti i problemi di salute mentale di Azula e che, nonostante tutto, è ancora lì che prova a salvarla. Perché è questo che Zuko fa, lui non si arrende. Quindi non vedo perché dovesse farlo proprio con sua sorella.
Il titolo è ripreso dalla famosa canzone di Frozen “Love is an open door” che nel film però è una sorta di presa in giro perché a cantarla sono Anna e Hans e beh... penso che tutti sappiamo cosa sia infine successo fra loro! Quindi ho voluto modificarlo così, perché nella mia testa l’amore non è una porta aperta ma una porta chiusa e qualcuno che comunque cerca sempre di entrare, proprio come la dinamica iniziale delle due sorelle del film.
È un piccolo regalino aggiuntivo per Dromeosauro perché so che gli piacciono molto i Classici Disney e spero che sia riuscito a intravedere le similitudini che ho voluto inserire nella mia storia! XD
Ok, ci sarebbe tanto altro da dire, ma già la storia è kilometrica, oggi è la vigilia di Natale e quindi vi lascio andare a spargere gioia natalizia per il mondo!
Auguro a tutti voi delle feste serene e piene di gioia!
Alla prossima,
BellaLuna
 
[1] Citazione presa dal film di Nolan, “Il Cavaliere Oscuro”.
[2] Personaggio inventato da me. La nazione del fuoco è il Regno più tecnologicamente e militarmente avanti in tutto l’universo di ATLA. Ho pensato che potesse essere lo stesso in campo medico, e che quindi potesse già a quei tempi esistere un’ala ospedaliera dedicata ai “traumi” di guerra. E poi, così come ci sono donne soldato, ho pensato che fosse plausibile che ci potessero essere anche donne dottori. Del resto, la nazione del fuoco sfruttava tutte le forze necessarie al fine della guerra, e se la maggior parte degli uomini era al fronte, e plausibile che le donne si siano specializzate in altri importanti settori.
[3] Nel terzultimo episodio di Atla, Zuko chiama veramente così Ozai. In inglese è più divertente come gioco di parole, perché invece di FireLord, si trasforma in FatherLord.
[4] Questo è un mio piccolo Canon-divergence. Nella mia fanfcition chiamata “MY Heart burns there, too” a causa della sua paranoia che le fa vedere traditori ovunque, Azula richiude tutta la sua “servitù” compresi i Dai Lee dentro il palazzo reale e usando il dominio del fuoco li brucia tutti lì dentro vivi.
  
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