La dedica di
questa storia
è divisa in
tre modi.
A Legar,
la mia
compagna di Casa.
La tua banalità
“Non era stupido, era semplicemente
senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono
essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati
nell'uomo.”
(Hannah Arendt,
La banalità del male)
***
Insignificante
(La tua paura)
Un processo assomiglia a un dramma in quanto che dal principio alla
fine si occupa del protagonista, non della vittima.
L’atmosfera nella sala sotterranea era soffocante.
L’illuminazione fornita dalle torce disposte lungo le pareti non bastava a
schiarire l’ambiente e il chiacchiericcio accusatorio che correva tra le file
del Winzegamot alimentava l’espressione terrorizzata
dell’imputato incatenato alla sedia al centro della stanza.
Hermione osservava il volto deformato dalla
paura di Draco Malfoy, il
ragazzo con cui aveva condiviso sei anni di scuola. Accanto a lei, Harry era in
piedi e lo stava difendendo, raccontando di come Draco
avesse finto di non riconoscerlo quando erano stati catturati e portati a casa
sua. Lei non avrebbe saputo dire quanto ci fosse di intenzionale nel modo in
cui aveva agito, ma era d’accordo con Harry nel sostenere che non meritasse una
condanna a vita ad Azkaban per delle scelte che, invero, erano state compiute
da altri per lui.
Non stava ascoltando le parole dell’amico, perché non aveva
alcun desiderio di riportare alla mente il ricordo di quei momenti trascorsi a
Villa Malfoy. Hermione si
limitava a guardare Draco, cercando in lui traccia di
qualsiasi emozione che non fosse paura.
Non ne trovò. Teneva i pugni serrati, quasi fosse incapace di
trattenere la ribellione suscitata dalle catene che gli inchiodavano le braccia
alla sedia. Perfino l’istinto irrazionale di provare a liberarsi sembrava
dettato dal panico. Non sarebbe servito a molto, alla presenza di duecento
persone la cui attenzione era tutta rivolta verso di lui.
Dall’inizio del processo, Draco non
aveva ancora incrociato il suo sguardo. Ascoltava Harry parlare, mentre gli
occhi grigi saettavano continuamente tra lui e punti indistinti della stanza,
senza mai fermarsi su di lei.
C’era qualcosa di inaspettatamente banale in quel ragazzo che
era cresciuto con ideali a cui, in quel momento, sembrava pronto a rinunciare con
facilità. Aveva portato avanti con orgoglio il credo della famiglia senza mai
preoccuparsi della labilità delle sue fondamenta, e ora era lì, sconfitto e in
attesa di giudizio, incapace di aggrapparsi a quelle stesse ragioni perfino
nella riservatezza dei propri pensieri. Era soltanto un guscio, una persona che
era riuscita a svuotarsi degli insegnamenti di una vita, forse per timore o
forse, come credeva lei, perché non c’era niente, nei principi che aveva
ereditato, che lo rendesse diverso da un fantoccio nelle mani di qualcun altro.
Era come se Draco Malfoy non fosse mai esistito, sbiadito com’era nell’ombra
di ciò che avevano plasmato altri per lui. Tutto ciò che restava era il terrore
privo di significato che lei gli vedeva in volto. Non che non avesse ragione ad
essere spaventato, ma a cosa serviva, ormai? Per quale vita temeva, adesso che
doveva aver realizzato che non c’era nessuna esistenza da difendere, in quella
personalità che non gli era mai appartenuta?
Harry finì di parlare; qualcuno le domandò se lei avesse
qualcosa da aggiungere.
Per la prima volta quel giorno, Draco
Malfoy incrociò il suo sguardo e la vide scuotere il
capo.
La paura nei suoi occhi parve aumentare.
Ne comprese la ragione qualche ora più tardi, quando lo
incrociò dopo il processo. Era legato da un Incarceramus e scortato da due Auror, che lo stavano conducendo lungo un corridoio. Hermione si figurò quella stessa scena come sarebbe apparsa
fino a un anno prima: i suoi carcerieri sarebbero stati i Dissennatori
e il terrore sul suo viso sarebbe stato ancora più evidente – e giustificato.
Draco la vide e inspirò di colpo. In quel
momento, Hermione realizzò per la prima volta che
sembrava avere paura di lei.
Non aveva parlato in suo favore di fronte al Winzegamot, ma soltanto perché lo aveva fatto Harry, e lei
era troppo stanca per rievocare dettagli orribili senza che fosse realmente
necessario. Eppure, si disse, lui doveva aver creduto che lei non desiderasse
la sua assoluzione.
«Ciao», lo salutò, cercando di mostrarsi meno fredda di come
gli era probabilmente apparsa.
Gli Auror, riconoscendola, si
fermarono, costringendo Draco a fare altrettanto. Lui
le rivolse un esitante cenno del capo.
Hermione gli lesse in viso la convinzione di
essere odiato – e non avrebbe avuto
ragione, lei, a provare disprezzo per uno come lui? – ma cosa lo
spaventasse, di preciso, non le era chiaro. Aveva forse il timore che il
risentimento di lei lo avrebbe portato a una condanna più severa? O gli
importava davvero dell’opinione di quella ragazza che lui aveva schernito e
tormentato per anni sulla base del nulla? Decise che non aveva realmente
bisogno di una risposta. Era troppo facile ripagare l’odio con l’odio, e lei
non voleva essere quel genere di persona. Con sua sorpresa, si rese conto di
desiderare che anche Draco lo sapesse.
«Spero che ti perdonino», gli disse con sincerità.
Lui sussultò. Hermione mantenne lo
sguardo fermo, cercando di trasmettergli l’intensità con cui credeva nelle
parole che aveva appena pronunciato. «Lo spero davvero.»
L’espressione di Draco si distese
appena, lasciando intravedere un velo di confusione.
Lei annuì, più a se stessa che a
lui. «Io l’ho fatto.»
La paura nei suoi occhi si affievolì.
Note: La citazione in apertura e quelle che introducono i
singoli capitoli sono di Hannah Arendt. Il titolo
della storia mi è stato proposto da Legar in occasione di un contest, “Titoli a
catena”, indetto da Freya sul forum di EFP, a cui non
riuscii a partecipare per mancanza di ispirazione. Mi piaceva l’idea di
regalare a Legar una storia che era nata proprio da un suo prompt. Buon Natale,
amica! ♥
E buone feste a
tutti voi!
Futeki