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Autore: Flofly    25/12/2021    6 recensioni
Vigilia di Natale- Mattina di Natale- Pranzo di Natale.
Lily, Narcissa e Molly.
Tre donne, tre madri, e l'ultima viglia di Natale prima che il loro mondo cambi per sempre
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Lily Evans, Molly Weasley, Narcissa Malfoy | Coppie: Arthur/Molly, James/Lily, Lucius/Narcissa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Potentia Par Vis'
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VIGILIA DI NATALE- GODRIC’S HOLLOW

Fuori dalla finestra il mondo sembrava immerso in una pace irreale con le strade semideserte coperte di un soffice manto di neve candida e i rumori attutiti che provenivano da dentro le case.
Sentiva le risate dei bambini e si chiese se lei e sua sorella avessero mai riso così. Da quando aveva sposato quello che lei definiva uno strambo come lei, vale a dire un mago, Petunia aveva deciso di cancellarla dalla sua vita: neanche si rendeva conto del pericolo mortale che tutti loro stavano vivendo. I seguaci di Voldemort erano ormai fuori controllo e neanche le fonti di informazioni controllate dai suoi sostenitori si facevano più scrupolo di nascondere gli eccidi, le torture e le stragi portate avanti nel nome della purezza del sangue.
Quella mattina aveva sentito l’irrefrenabile bisogno di rivedere Petunia, sapere che stesse bene, vederla anche solo una volta per illudersi per un attimo di essere tornata a quando da bambine ancora non la trattava come se fosse una pazza pericolosa che li avrebbe uccisi tutti nel sonno.
Si era sposata con quell’essere orribile del suo fidanzato ottuso e stupido e trasferita nel sobborgo di Little Wingingh, al numero 4 di Privet Drive per essere esatti, in una delle anonime villette a schiera del vicinato. Tutte uguali: utilitaria parcheggiata nel vialetto d’ingresso, giardino ben curato con piccoli fiori che crescevano ordinati in cespugli tutti della stessa altezza. Il paradiso per sua sorella, dove niente doveva mai deviare dalla norma per nessuna ragione. Un incubo.
Si avvicinò ben nascosta sotto il mantello dell’invisibilità che aveva preso in prestito a James. Comunione dei beni avrebbe detto qualcuno. Il rischio che uno dei Mangiamorte la seguisse e ne approfittasse per vendicarsi su una babbana in quel quartiere era davvero troppo alto. Lei era in guerra anche per loro, ma gli ignari abitanti di quel soporifero sobborgo non potevano né dovevano saperlo.
Si avvicinò cautamente, osservando il lungo collo della sorella chino su una pianta di fronte a lei, intenta a borbottare qualcosa di incomprensibile sugli stupidi fiori vanitosi che non la smettevano di crescere fuori stagione. Lily sorrise sfiorandole appena la nuca con le dita, un tocco leggerissimo che sarebbe potuto sembrare la carezza del vento di primavera, fuori contesto come quei fiori carnosi e profumati. Gigli. O meglio, semi di gigli magici che lei stessa le aveva lasciato in dono prima di sparire per sempre dalla sua vita, come Petunia stessa aveva chiesto. Non fuggiva dal suo passato, come l’accusava la sorella. Piuttosto, correva incontro al futuro.
Era ora di tornare a casa, da Harry e da James, e dal loro primo Natale 
Petunia si girò di scatto, gli occhi sgranati, colpendo l’aria con la paletta.
Non c’era nessuno, eppure era certo che lei fosse stata li. 
Lily.
Lily la stramba. Lily la strega. Lily che aveva preferito vivere in quel mondo di folli invece che nel rassicurante universo di quelli che lei chiamava babbani.
Lily che era sempre stata speciale.
Lily che ormai era solo una carezza nel vento.
Eppure aguzzò la vista, sperando di intravederla, i capelli rossi al vento, gli occhi verdi brillanti. Poterla intravedere anche solo di sfuggita, quasi per caso, fingendo di essere scocciata… era quello che davvero desiderava pur senza riuscire ad ammetterlo.
Con un’ultima occhiata a quei fiori che continuavano a farla impazzire, troppo strani, troppo precoci e profumati e che attiravano l’attenzione del vicinato, Petunia scacciò via quei pensieri e si affrettò a tornare in casa, chiudendo dietro di sé non non solo la gelida aria di dicembre ma tutto il suo passato. 
A diverse miglia di distanza, in un posto in cui sua sorella non sarebbe mai potuta vivere, Lily si rilassò nell’abbraccio caldo della sua cucina, respirando a fondo per calmarsi. Sebbene in fuga, in un mondo che cadeva rapidamente a pezzi, era a casa, dove la risata gorgogliante di suo figlio l’attendeva.
E se aveva ancora qualche dubbio, poco dopo il suo splendido bambino di tre mesi e mezzo le sfrecciò davanti., vestito con un completo da Quidditch rosso e oro e fluttuante in una culletta a forma di boccino d’oro magicamente ancorata a un grosso cane nero.
Sirius Black, era arrivato. E anche gli altri due regali non potevano che provenire dal vulcanico ed imprevedibile padrino di Harry.
“James, sei al corrente che il tuo migliore amico sta rischiando di far schiantare il nostro adorato bambino contro qualche muro prima che arrivi a compiere quattro mesi?” – chiese, in realtà per nulla preoccupata, chinandosi a dare un bacio a Remus seduto in terra insieme a James e intento a montare un gioco assolutamente inadatto all’età del piccolo Harry ma con il quale i due malandrini sembravano divertirsi moltissimo.
“Amore, ma figurati se Sirius può mai fare qualcosa che faccia del male ad Harry. Lo adora, lo sai. E poi qui intralciava, non ci stava facendo concludere niente” - rise suo marito rubandole un bacio a fior di labbra.
“Ah, usi tuo figlio per distrarre Il più inusuale dei Black. Ottima strategia Potter, i miei complimenti” - rispose accoccolandosi contro di lui e lanciando un’ultima occhiata verso le altre stanze. Nessun urlo, nessun tonfo, nessun pianto. Decisamente potevano esserci baby sitter peggiori di un Black Grifondoro Animagus.
“Dov’è Peter?” - chiese rilassandosi e accettando con un sorriso la tazza di tè dolce e profumato che Remus le aveva fatto apparire davanti.
“Ha detto che aveva un impegno, ma ci raggiungerà per la cena. Domani purtroppo sarebbe troppo rischioso vederci, ma non è Natale se non lo si passa in famiglia, giusto” - le rispose Lupin stringendole appena una mano ancora gelata dal tempo trascorso all’esterno n e sorridendole nel suo modo profondo e triste, senza aggiungere nient’altro.
Con un tonfo, Sirius, di nuovo umano, si materializzò accanto a lei passandole Harry che sorrideva felice, le manine paffute appoggiate sul suo seno.
Lily affondò il viso tra i capelli del piccolo respirandone a fondo l’odore, sentendosi grata per tutto ciò che la circondava e le faceva dimenticare quello che aveva perso.
Ogni giorno era una battaglia. Ogni giorno non sapevano se avrebbero potuto vedersi ancora.
E in quel momento, davvero, erano felici.
In quel momento, davvero, era Natale





 
Mattina di Natale- Malfoy Manor
 

Era ancora buio quando Narcissa si alzò dal letto, spalancando le grandi finestre della camera padronale e respirando a fondo l’aria gelida del primo mattino.
Aveva nevicato abbondantemente durante la notte e i giardini intorno al Maniero erano ricoperti di una spessa coltre di neve che riluceva nel pallido sole del mattino. Si girò verso il grande letto a baldacchino dalle lussuose lenzuola di seta candida e le coperte di broccato, guardando con disappunto il posto accanto al suo ancora intonso: Lucius non era tornato quella notte. Di nuovo.
Quando la sera prima aveva ricevuto un gufo da sua sorella che le diceva di non attendere suo marito, impegnato in un impegno speciale con Rodolphus e Rabastan, per la rabbia aveva frantumato tutti i candelabri di cristallo del corridoio del piano terra, quello che collegava lo studio di Lucius al salottino che usavano solitamente in famiglia.
Draco l’aveva guardata seduto sul soffice tappeto filato a mano, sgranando i grandi occhi grigi e battendo le mani ogni volta che qualcosa esplodeva contro il muro. Sarà stato anche la copia di Lucius come aspetto, ma il carattere decisamente era quello di un Black.
“Il padrone non è rientrato?” - chiese all’elfa che si era immediatamente materializzata accanto a lei appena varcata la soglia della nursery.
L’orrido essere scosse la testa sconsolata, tirandosi le lunghe orecchie, senza osare rispondere, temendo probabilmente un altro attacco di rabbia della padrona di casa. Al contempo però non aveva alcuna intenzione di lasciarla sola.
Appena lo sguardo di Narcissa si chinò sulla culla tutta la rabbia che provava nei confronti di suo marito, che ancora una volta aveva preferito Lord Voldemort alla sua famiglia, scomparve.
Draco era rannicchiato supino, il grosso drago di peluche argentato, senza il quale non riusciva a prendere sonno, stretto tra le braccia. Sembrava star sorridendo nel sonno, in quel modo completamente innocente e assolutamente misterioso che solo i neonati hanno.
Si chinò a sfiorargli i capelli, morbidi e chiarissimi: ormai aveva sei mesi e non accennavano a scurirsi, ancora una volta era chiaro che non aveva ripreso i suoi colori dorati ma quelli freddi e glaciali di suo padre.
E come faceva spesso suo padre, appena lo toccò gli occhi del bambino si aprirono a guardarla. Non sapeva se fosse la sua immaginazione o l’istinto naturale, ma sembrò sorriderle, felice di vederla come sempre. Narcissa sorrise a sua volta mentre lo prendeva in braccio e lo stringeva forte.
Il bambino gorgogliò, afferrandole con le dita minuscole una ciocca di lunghi capelli colore dell’oro che ricadevano sulle spalle candide e cercando di potersela alla bocca. Narcissa ridacchiò sfiorandogli la fronte con le labbra e sciogliendo delicatamente la presa, prendendo poi la manina e portandosela alle labbra.
“Non si tirano i capelli della mamma, tesoro. Puoi tirare quelli del papà quando si degnerà di tornare” - gli sussurrò, mettendosi sedere sulla grande sedia a dondolo in pelle bianca e finiture in oro che troneggiava in un angolo della stanza, tra il grande camino riccamente decorato e l’albero di Natale coperto di candele fluttuanti e palline verdi ed argento. Era stata la concessione che aveva fatto a suo marito, dopo avergli decisamente bocciato l’idea di fare un albero di Natale di soli boccini d’oro. In ogni caso, forse era stata la magia di Natale, forse la luce rassicurante delle candele, ma Draco sembrava aver iniziato finalmente a dormire qualche ora in più rispetto al solito. Quel bambino diventava più esigente ogni giorno che passava, sembrava che non riuscisse a stare più di un’ora senza che sua madre e suo padre gli dedicassero tutte le loro attenzioni. 
Alla fine non poteva stupirsi più di tanto.
Quando aveva sposato Lucius sapeva benissimo che aveva sposato anche il suo ego. E anche lei non era mai stata una donna che amava essere trascurata.
E in Lucius aveva creduto di trovare qualcuno che l’avrebbe sempre messa al primo posto, qualcuno con cui avere la famiglia che aveva sempre sognato. Quando finalmente era rimasta incinta di Draco la scommessa che aveva fatto sembrava finalmente vinta. E invece mese dopo mese le assenze di Lucius si facevano sempre più frequenti.
Aveva paura di perderlo come aveva già perso Bella tanti anni prima, persa dietro al vortice di violenza e potere di Lord Voldemort. L’aveva vista sparire a poco a poco, sempre più distaccata dalla realtà.
Draco tra le sue braccia iniziò a fremere, le dita che si aggrappavano alla seta morbida della camicia da notte.
“Hai fame tesoro mio?” - gli chiese aiutandolo ad attaccarsi al seno e perdendosi ancora una volta negli occhi sgranati sul mondo di suo figlio.  Quando aveva deciso di allattare sua sorella era inorridita. E non solo perché nessuna Black aveva mai fatto una cosa così popolana ma soprattutto perché la sola idea di avere un essere che dipendesse totalmente da lei e che la distogliesse dai suoi impegni verso l’Oscuro Signore era per Bellatrix Lestrange, nata Black, una delle poche cose che la terrorizzava. Sin da quando si erano fidanzati era stata cristallina con Rodolphus: se voleva sposarla doveva levarsi dalla testa l’idea di avere figli, primogenito o meno della casata dei Lestrange che fosse.
E Rodolphus pazzo d’amore sin da quando erano bambini, non ci aveva pensato due volte.
Per lei invece era stato difficile non riuscire subito a portare avanti una gravidanza. Erano stati anni terribili, sebbene Lucius non le avesse mai fatto mancare il suo sostegno e il suo amore.
Ma ora, con la sua meraviglia tra le braccia, tutto sembrava distante.
 
“Potrei starvi a guardare per ore, sai?”
Narcissa non alzò nemmeno la testa, continuando ad osservare suo figlio che poppava soddisfatto, le manine premute contro il suo seno.
Lucius si avvicinò sospirando. Narcissa era furiosa, era chiaro come il sole. E non aveva iniziato ad urlare e a lanciare oggetti solo perché aveva loro figlio tra le braccia.
Come faceva a non capire? Tutto quello che stava facendo, tutto quello che aveva sempre fatto, era sempre stato per lei, per loro. 
Un mondo in cui il loro bambino sarebbe stato al sicuro, in cui nessun sanguemarcio avrebbe mai potuto neanche sfiorarlo.
Un mondo in cui l’unica cosa che sarebbe contata era il sangue.
E dopo averlo tanto atteso e desiderato, il suo bambino, il più puro di tutti, avrebbe avuto la vita e il posto nel mondo magico che meritava.
Niente sangue marcio.
Niente traditori del sangue.
Niente a sporcare la sua esistenza.
Le mise sulle spalle una coperta soffice e candida come una nuvola. Gli ricordava un maglioncino che aveva quando avevano iniziato a frequentarsi. Sorrise pensando a quante volte si era trovato a far scivolare le mani sotto quel maglioncino, per accarezzare la sua pelle morbida, eccitato e tremante per il timore di rovinare tutto. Si chinò per sfiorarle la guancia come un bacio, come il primo che le aveva mai dato in una fredda sera di inizio autunno.
“Buon Natale, amori miei” - le mormorò in un orecchio accovacciandosi, in modo da poter stringere in un morbido abbraccio la moglie e il figlio che ora sembrava essersi fermato per riprendere fiato, guardando la madre da sotto le lunghe ciglia, in attesa.
“Un giorno quando tornerai troverai solo delle stanze vuote, Lucius” - rispose la donna senza guardarlo, continuando ad accarezzare la testa del bambino.
Draco si staccò dal seno, irrequieto, le manine che stringeva l’aria, cercando di girarsi verso suo padre, la piccola bocca che si apriva e chiudeva, cercando di emettere chissà che suono. 
E poi lo sentirono distintamente.
Bababababbaba, gorgogliò.
Lucius sgranò gli occhi, così simili a quelli suo figlio, mentre un gran sorriso gli si dipingeva sul volto, prendendo in braccio il bambino che continuava a borbottare.
“L’hai sentito? Ha detto papà. Non ci sono dubbi” - disse orgoglioso sollevando il piccolo in aria, come se avesse appena afferrato il boccino d’oro.
Narcissa sorrise dentro di sé. Di certo non poteva rovinargli quel momento dicendogli che in realtà si trattava di semplice lallazione di un bambino di sei mesi. E in fondo la sua punizione per non essere rientrato l’avrebbe avuta di lì a poco se avesse continuato a sballottare il bambino in quel modo dopo che aveva appena finito di mangiare.
“Buon Natale, amore.” - rispose guardando gli uomini della sua vita ridere felici.
E in quel momento, davvero, erano felici.
In quel momento, davvero, era Natale



 
PRANZO DI NATALE- LA TANA


Il tacchino era nel forno a rosolare, la salsa bolliva borbottando sui fornelli mentre i tortini appena sformati riempivano l’aria dell’odore della carne e della pastafrolla al burro. 
Molly si pulì le mani sul grembiule, sorridendo soddisfatta. Era stato complicato ma anche quell’anno era riuscita a preparare tutto per il pranzo di Natale: dopo aver messo a letto i bambini, la sera prima era rimasta sveglia tutta la notte per finire i maglioni. Ma alla fine, alle prime luci dell’alba tutto era pronto, impacchettato sotto l’albero, pronto ad essere strappato, tirato, lanciato da manine vivaci ed avide. Il momento migliore dell’anno.
Due piccole braccia le strinsero la vita. Si girò per accarezzare la testa rossa del suo secondogenito, stringendoselo al petto.
“Non essere triste mamma” - mormorò Charlie abbracciandola forte. 
Molly scosse la testa asciugandosi una lacrima e rimettendosi subito al lavoro. Aveva provato a non pensare che quello sarebbe stato il primo Natale senza Gideon e Fabian, uccisi a poca distanza l’uno dall’altro da attacchi dei Mangiamorte. I loro maglioni, pronti ormai, erano ancora nel suo armadio, nascosti in fondo ad una pila di coperte. 
“Va tutto bene tesoro, ora per favore vai a giocare con i tuoi fratelli, mamma deve finire di preparare” - rispose con un sorriso stanco allontanandosi per sistemare meglio la glassatura sulla torta di zucca. 
“Non preoccuparti, ora che Ron ha imparato a tenere le cose in mano Fred e George gli stanno insegnando a tirarle. Sulla testa di Percy” - si intromise serafico Bill con la schiena appoggiata sulla porta e una frittella di zucca appena sgraffignata in una mano,
“William Weasley, io ho fritto tutta la mattina, pensi di lasciare qualcosa anche agli altri?” - chiese cercando di mostrarsi arrabbiata ma reprimendo una risata. Tanto erano posati Charlie e Percy, tanto Bill e i gemelli erano scalmanati. Da un lato era curiosa di vedere come sarebbe cresciuto Ron, dall’altro l’idea che potesse assomigliare ai gemelli sembrava poter rappresentare una sfida esagerata anche per una strega formidabile come lei.
Amava ognuno dei suoi figli così tanto che a volte le mancava il fiato. Eppure a volte avrebbe voluto strangolarli. E, soprattutto, sentiva tanto il desiderio di una bambina dopo tutti quei maschi.
Bill alzò le spalle noncurante. - “Controllo qualità. Abbiamo ospiti, non vorrai mica servire qualcosa che possa essere stato avvelenato?”
“E chi dovrebbe averlo avvelenato, scusa? Charlie, per cortesia, vai a impedire a Ron di staccare le orecchie a Percy, non sarebbe carino passare il Natale a riattaccargliele. E tuo padre sta per arrivare” - chiese Molly girando il tacchino nel forno con un colpo di bacchetta e richiamando verso di sé la seconda frittella che Bill stava nascondendo in tasca.
“Mangiamorte, folletti, Krampus… fai tu.” - rispose il ragazzino senza scomporsi e lanciando un’occhiata dietro di sé: “Sei sicura per le orecchie di Percy? Credo che sarebbe un gran miglioramento per lui”.
Charlie ridacchiò prendendolo per un braccio e spingendolo verso il salone dove troneggiava un grosso albero di Natale. L’avevano preparato insieme agli zii qualche settimana prima. La madre aveva voluto addobbarlo a inizio dicembre, molto prima del solito. Un brutto presentimento aveva detto.
E poi era arrivata la lettera. Era venuto addirittura l’Auror capo a casa quando anche zio Gideon era morto. Una tragedia, perdere due Auror così giovani e talentuosi a pochi giorni di distanza.
Bill e Charlie avevano ascoltato la conversazione, attaccati alla ringhiera del soppalco, ben attenti a non farsi scoprire.
E avevano capito una cosa, guardando i genitori stringersi e diventare pallidi come cadaveri.
Quella non era stata una tragedia.
Lì fuori stava accadendo qualcosa di terribile.
Era per quello che il loro padre ogni sera rientrava sempre più tardi e sempre più scuro in volto, nonostante con loro cercasse di essere sempre sereno e affettuoso come sempre.  E per quello ogni sera, non importava quanto fosse tardi e quanto fosse distrutto, si fermava sempre a rimboccare loro le coperte e dare un bacio a ciascuno di loro. Anche se ormai loro due erano grandi. Anche se sapeva che facevano finta di dormire.
Eppure aspettavano con ansia il rumore del passo stanco del padre sulle scale, il bisbigliare concitato fuori dalla loro porta. E poi la presenza rassicurante di Arthur nella stanza, anticipata di poco dal profumo buono della sua colonia. Sapevano che Molly li guardava dalla porta, la roccia della loro famiglia, a volte con Ron in braccio che faceva fatica ad addormentarsi da solo, altre con ancora i ferri in mano o i calzini da rammendare. Sempre in movimento, capace di vedere ogni cosa in quello che era il suo regno. E di farli sentire amati.
Si chinava su di loro, come a voler controllare che anche per quella sera tutto fosse ancora a posto. Che tutti fossero al caldo, al sicuro nei loro letti,che anche per quel giorno avevano vinto la battaglia quotidiana nel tenere al sicuro la loro famiglia. 
Mentre Charlie versava dell'acqua sui capelli di Percy a cui i gemelli avevano deciso di dare fuoco con una delle candele incantante fluttuanti e Bill evitava che Ron continuasse il suo gattonare spedito verso il camino, la porta di casa si aprì lasciando entrare un refolo di aria gelata mentre Arthur Weasley faceva il suo rumoroso ingresso scrollandosi di dosso la neve che si era accumulata sul suo cappotto attraversando il vialetto.
I ragazzi gli corsero incontro urlando, finendo per sommergerlo in un groviglio di braccia lentigginose e teste rosse scarmigliate. Arthur rise dando un bacio a ciascuno dei figli e prendendo cautamente Ron in braccio in modo che non finisse soffocato dall’entusiasmo dei fratelli. 
“Ehi fatelo respirare!” - una vocetta femminile riecheggiò sicura alle loro spalle.
I giovani Weasley si staccarono appena, squadrando i nuovi arrivati insieme al padre. A parlare era stata una bambina dai capelli rosa e lo sguardo sornione. Era da tanto che non la vedevano ma Charlie e Bill sapevano benissimo chi fosse.
E ci sarebbe stato davvero da divertirsi. 
Povero Percy 
“Oh andiamo Nymphadora, non essere scortese” - rise la donna dietro di lei, scrollando i lunghi capelli castani. Aveva gli stessi occhi di sua figlia, scuri e brillanti.
“Non chiamarmi Nymphadora” - rimbeccò subito la bambina, sbattendo un piede in terra imbronciata.
“Si certo come vuoi, Nymphadora. E ora scusatemi ma vado a salutare Molly” - rispose la donna con un ghigno, lo strano rumore dei tacchi alti che risuonava per la prima volta nella Tana.
L’uomo e la bambina di scambiarono uno sguardo complice e terrorizzato 
“Mamma, ti prego. Non toccare niente in cucina. Niente “- chiese sua figlia improvvisamente seria, ricevendone solo un gesto noncurante con la mano.
Ovviamente Andromeda non aveva minimamente pensato di dare una mano a cucinare. Non aveva mai imparato a farlo e di certo non si poteva dire che avesse avuto voglia, tempo o energia dopo aver lasciato la sua famiglia di origine. Aveva portato il vino, però.
E poi, anche se la cucina di Molly era leggendaria, non era quello il motivo per cui aveva deciso di passare il Natale con i Weasley.
Era stata un anno difficile per tutti loro, in cui avevano perso persone care per via della guerra. Guerra in cui le sue sorelle erano sullo schieramento opposto. E se Narcissa si limitava come al solito a rinchiudersi nel suo Maniero, facendo finta che il mondo esterno non potesse penetrare nella sua vita perfetta, Bellatrix aveva reso fin troppo chiaro quanto fosse coinvolta.
Quando Molly la vide non poté fare a meno di stringerla forte, perdendo per un momento l’auto controllo che si era sempre imposta.
Andromeda l’abbracciò stretta senza dire nulla. Sapeva che non c’erano parole che potessero alleviare il dolore di vedere la propria famiglia dilaniata.
Ma non era tempo di arrendersi.
Dovevano alzarsi ogni giorno e lottare, fino a quando quell’incubo fosse finito.
Le arrivarono le risate dei bambini, e quella calda e rassicurante di Ted.
“Buon Natale, Molly” - le bisbigliò in un orecchio - “E niente alcol per te oggi”
Molly la guardò stranita, portandosi le mani al ventre.
E in quel momento, davvero, erano felici.
In quel momento, davvero, era Natale
 
 
   
 
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