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Autore: udeis    29/12/2021    2 recensioni
È solo una cosa che capita dopo i combattimenti, quando Rufy è esausto, Zoro rotto e dissanguato, Chopper murato in infermeria e Sanji affaccendato tra cucina e cambusa. Una, due, dieci. Hanno smesso di contarle, lasciano che accada.
Non è come se avesse conseguenze sulle loro vite, in effetti.
Nessuno dei due ci pensa molto a dire il vero e sarebbero sorpresi a scoprirlo.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Usop
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non è una cosa programmata.
È solo una cosa che capita dopo i combattimenti, quando Rufy è esausto, Zoro rotto e dissanguato, Chopper murato in infermeria e Sanji affaccendato tra cucina e cambusa.

Una, due, dieci. Hanno smesso di contarle e lasciano che accada in quel limbo di sogno e inesistenza.
Non è come se avesse conseguenze sulle loro vite, in effetti.
Nessuno dei due ci pensa molto a dire il vero.
Ne sarebbero sorpresi a saperlo.

Era iniziata che ancora erano sulla rotta maggiore, dopo uno dei primi scontri da cui erano usciti vivi a fatica. Loro si erano guardati, Usopp e Nami, i più fragili della ciurma, i più umani, e l’avevano saputo che era stato un miracolo essere sopravvissuti. Avevano pesato gli sguardi, contato le debolezze e si erano detti che sì, i loro compagni erano dei mostri e che loro erano stati fortunati- abili -, ma fortunati, a uscirne vivi.
Nessuno dei due l’aveva ammesso ad alta voce, però, perchè anche i deboli e i perdenti, anche i ladri e vigliacchi hanno un orgoglio da difendere.

Era stata la prima di mille volte identiche.

Nami aveva preso l’iniziativa, cancellando la distanza e baciando le labbra screpolate del compagno. Un tocco forte vorace insistente che aveva preso alla sprovvista entrambi. Era uno sfogo, una celebrazione o una sfida? Usop non l’aveva capito allora e non aveva mai chiesto in seguito: a pretendere chiarezza dai miraggi, li si faceva svanire.

Il cecchino aveva risposto a quel bacio, perchè, beh perchè Usopp non era mica di fatto di legno e Nami… Insomma qualcuno l’aveva guardata bene Nami? Non era di certo solo il cuoco che si era accorto della sua bellezza, era qualcosa di oggettivo, naturale, evidente a chiunque avesse gli occhi e non fosse Rufy.

In un primo momento, Usop aveva esitato a ricambiare le effusioni, su quello doveva essere onesto. Era pur sempre la sua migliore amica, più o meno, una compagna di ciurma, la sua complice preferita e quello che stavano facendo gli sembrava strano, sbagliato, imbarazzante.
“Fammi sentire viva” aveva sussurrato la navigatrice con una voce così piccola che Usopp… Che Usopp aveva preso il coraggio a due mani e ci aveva provato. Strano momento per diventare, finalmente, impavido.

Aveva sempre pensato che la sua prima volta l’avrebbe trascorsa con Kaya, su Shiropp, su un letto pieno di petali di rosa, dopo una cena romantica che avrebbe costretto Sanji a cucinare. Invece, c’erano state le labbra di Nami da baciare con sempre meno esitazione, le sue curve da stringere e lei a guardarlo venire per la prima volta in un corpo di donna.
 

Da allora la cosa si ripeteva ogni volta, o quasi.
Quando i lividi e le ossa rotte lo permettevano, quando tutti erano incoscienti, feriti, occupati.
Quando Bibi si isolava per lasciargli del tempo come ciurma, persa in chissà che elucubrazioni, quando Robin svaniva con grazia chissà dove.


Non c’era stato alcun calcolo, forse neppure una scelta cosciente, ma Nami tra sé e sé lo ammetteva: Usopp era stato proprio un investimento azzeccato. Era sempre stato bravo con le mani, il cecchino, e molto fantasioso, anche, ed erano una doti a cui la Gatta Ladra sapeva dare il giusto valore, dopo anni di rapporti occasionali fatti più per interesse che per desiderio.

“Non voglio morire” le aveva detto, una volta, piangendo: lei lo aveva stretto più forte a sé, aumentando il ritmo per sostituire il terrore della fine con il piacere dell’amplesso.

Non pretendeva mai nulla, Usop, e taceva in modo decisamente poco caratteristico su tutta la faccenda, ma in qualche modo questo bastava. In qualche modo andava bene così.

Non erano guerrieri straordinari loro, non erano nati per combattere. Entrambi, ognuno a modo suo, avevano avuto bisogno di tempo per imparare a raggranellare il coraggio e gettarsi nella mischia. Poco importava che, alla fine, facessero prevalere l’orgoglio e prendessero decisioni folli almeno quanto quelle di Rufy, poco importava che continuassero a combattere con astuzia anche quando sembrava tutto finito e la loro sorte segnata.
Non avrebbero mai avuto la ferocia di Zoro, l’audacia di Sanji, nè, tantomeno, avrebbero mai posseduto la spensieratezza di Rufy, che scommetteva alla cieca su sé stesso, vincendo tutte le volte.

Erano umani loro, erano normali. Così si riportavano alla vita in quel modo tutto loro: inappropriato grottesco goffo, ma autentico. Lavavano via, ogni volta, la vergogna di essere deboli e fallibili, esorcizzavano, con testardaggine, la paura della morte, dimenticavano, per un attimo appena, l’angoscia di assistere i compagni moribondi dopo ogni singolo scontro.
Accadeva quando Franky riparava la nave, quando Brook suonava quieto in un angolo per i compagni feriti, quando i samurai si riunivano a bisbigliare tra loro, complici come lo sono solo le famiglie.

La loro passione era un fuoco di paglia che durava appena lo sprazzo di qualche ora, fino a che le feste per la vittoria sciacquavano via baci e carezze, riportando tutto alla normalità.

Almeno fino alla battaglia successiva.

  
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