Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Joy    04/01/2022    2 recensioni
“Vuoi che dorma nella stessa stanza del comandante?”
“Quando tolgo l'uniforme sono solo Erwin, il figlio del maestro.”
“Saresti il comandante del Corpo di Ricerca anche seduto sulla latrina.”
Un sorriso mesto e condiscendente: “Già. È così.”

[Eruri. Scritta per la Secret Santa, gruppo facebook Hurt/Comfort Italia]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Joy Inblue

Personaggi: Erwin/Levi

Tag: Angst, Slice of life, Pre canon, Emotional hurt/comfort, Estabilished relationship.

 

Scritta per il Secret Santa 2021, gruppo facebook Hurt/Comfort Italia

Prompt: Bagno.

 

Associata al prompt Jolly dell'Advent Calendar: Territori a nord

 

 

 

 

Under the uniform

 

 

 

 

 

È più una disfatta che una vittoria.

Levi non saprebbe definire con una sola parola l'esito di quella missione, ed è una fortuna che non sia lui a doverlo fare.

Certo, si sono spinti per la prima volta nei territori a nord, tracciando nuove linee su una mappa che al di fuori dell'ultima cerchia muraria, da anni continuava ad essere bianca, ma il gelo e gli incidenti hanno ucciso più dei giganti: quelli che non sono caduti per l'incepparsi dei dispositivi, lo hanno fatto a causa dei geloni alle mani che ne impedivano l'utilizzo.

Il comandante tace, seduto alla mensa improvvisata della povera gente che ha accettato di dargli riparo dalla pioggia in quelle lande desolate.

Loro e una manciata di uomini sopravvissuti.

E Levi non dubita che si stia addossando le colpe più dei meriti, immerso in quel silenzio assordante che s'infrange solo quando la quattrocchi, con un insolito tono greve, gli fa sapere che necessita di tutte le stanze disponibili per i feriti.

“Va bene, Hange, svolgi il tuo lavoro meglio che puoi” replica serio. “Predisponi soltanto due brandine nello studio, io e il capitano dormiremo lì.”

E lui non dormirà affatto.

Scruterà le sue carte privandosi del sonno, fino ad espiare ogni colpa per non essere riuscito a prevedere quali venti provenienti da nord, e non più schermati dalle mura, avrebbero congelato le chiappe a tutti loro.

Si alza dal tavolo e si dirige verso la stanza attigua, dove l'unica scrivania della casa, esercita su di lui un'attrattiva più significativa di quanto chiunque altro possa immaginare: qualcosa che Levi ha imparato a interpretare come la distanza tra un padre e suo figlio.

Non è sicuro, ma pensa che sia più o meno come il letto tra lui e sua madre: una divario mai colmato, perché lei su quel letto ci è morta, mentre lui è rimasto lì.

E anche Erwin è rimasto lì, dal lato opposto della cattedra.

Ha la calma placida dell'alunno modello e gli occhi a tratti assenti, quando si volta verso di lui e gli fa cenno di seguirlo, l'angolo sinistro della sua bocca tenta di sollevarsi e fallisce tornando a piegarsi verso il basso.

A Levi sarebbe bastato molto meno per scollare le spalle dal muro e seguirlo.

Lo ha fatto in passato, quando per la prima volta hanno condiviso gli alloggi.

E sempre da allora.

 

Vuoi che dorma nella stessa stanza del comandante?”

Quando tolgo l'uniforme sono solo Erwin, il figlio del maestro.”

Saresti il comandante del Corpo di Ricerca anche seduto sulla latrina.”

Un sorriso mesto e condiscendente: “Già. È così.”

 

Il suo comandante triste, che insegue un sogno e non sa di volergli sfuggire.

 

 

 

***

 

 

Erwin è seduto dalla parte giusta della scrivania quando Kora Berger accapa timidamente nella stanza dopo aver bussato.

“Comandante,” inizia dopo aver ricevuto il suo cenno d'assenso, “è arrivato un messo da Mitras con la comunicazione ufficiale di un taglio fondi per le missioni future e la richiesta” esita e arrossisce “d..di essere più accorto nel dispendio di uomini. Dice che il malcontento si è esteso a tutte le cerchie murarie”

“Va bene, Kora” risponde semplicemente. “Fallo passare.”

Rischiano la vita da sempre. Tutti loro.

Nessuno li ha costretti.

Eppure il profilo di Erwin mentre ascolta le rimostranze giunte in tempi sorprendentemente rapidi dalla capitale, è scuro come le nubi che si stagliano pregne di pioggia oltre il vetro della finestra.

“Soldato Berger” esordisce dopo aver ascoltato l'intera comunicazione dal messo, “la squadra comunicazioni è stata contattata dal Quartier Generale circa l'esito della spedizione?”

“No, signore. Nessuno della squadra è sopravvissuto” deglutisce a vuoto “Eccetto me. E l'ultima comunicazione ricevuta risale al giorno della partenza.”

Erwin annuisce, a conferma che la richiesta di dosare risorse umane e soprattutto -aggiungerebbe Levi- economiche, era nelle mani del messo ben prima dell'inizio della missione e indipendentemente dal risultato.

Congeda il portalettere prima che il guizzo della sua mascella serrata possa tradire il vortice che si agita sotto la superficie. È bravo con queste cose.

Kora segue a ruota il messo fuori dalla stanza, dimenticando il saluto militare, e quasi sbatte contro il capo meccanico Peters, mentre tenta di nascondere un turbamento che sul suo volto non stona come su quello del comandante.

“Signore,” gracchia il ragazzo, trattenendo una smorfia di dolore e trascinandosi appresso un ginocchio palesemente ferito, “quasi tutti i dispositivi per il movimento tridimensionale hanno subito danni ingenti a causa del gelo: non avremo ulteriori materiali di ricambio fino al nostro rientro in armeria.”

“Non serviranno” assicura Erwin. “Precederemo verso il Quartier Generale, appena il tempo migliorerà.”

“Sì, Comandante!”

Il saluto di Peters rischia di farlo franare definitivamente sul pavimento di pietra, Erwin lo esonera appena in tempo: “Lascia tutto in mano al tuo vice e vai a farti curare quel ginocchio” gli dice, seguendo il suo zoppicare con lo sguardo, prima di immergersi di nuovo nelle sue carte.

A porta chiusa, la piega tremula del sopracciglio smaschera una serenità solo apparente.

Levi l'ha vista altre volte, quella ruga.

È quella dei ricevimenti ufficiali. Delle mezze verità nascoste dietro un sorriso.

È quella che silenzia la lingua quando certe parole potrebbero designare potenziali bersagli, ed Erwin sa bene con quale facilità possano poi essere colpiti.

“Erwin...”

Gli sfugge.

C'è una nota di rimprovero che non voleva far uscire, ma Levi non è mai stato bravo a dissimulare e nell'istante in cui i loro sguardi s'incrociano, vorrebbe dirglielo, che lo ama, ma che certe volte è proprio un cretino.

Il sonoro bussare che echeggia sul pannello di legno della porta, ingoia le sue riflessioni inopportune e forse, pensa, è meglio così.

“Avanti” concede Erwin senza scomporsi.

Levi torna a posare la schiena contro la parete quando la porta si spalanca: doveva aspettarselo dalla mano leggiadra che sarebbe stato qualcuno della cricca della quattrocchi.

“Comandante,” vocia Abel “la caposquadra Hange chiede di poter inviare degli uomini al paese più vicino: ha bisogno di scorte mediche per i feriti.”

“Accordato” asserisce Erwin. “Che disponga di una lista del necessario; invierò due uomini non appena la riceverò.”

Abel unisce i talloni con impeto e si precipita fuori dalla stanza.

La porta sbatte senza chiudersi, i cardini cigolano e Levi non ha bisogno di occhiate d'intesa per segnalare la presenza silenziosa in prossimità dello stipite esterno.

“Mike, entra e chiudi la porta” lo precede infatti Erwin. “Che succede?”

Quello esita, siede di fronte alla scrivania su suo cenno e si passa una mano tra i capelli: “Il morale tra i soldati è a terra, Erwin” mormora. “Hanno bisogno di sapere per cosa si stanno sacrificando.”

Ed eccolo lì, il senso di colpa che gli agita il ginocchio, prima che la sua stessa forza di volontà riesca a fermarlo.

“Domani parlerò agli uomini, Mike” risponde, il tono appena più basso del solito. “Fai in modo che stasera riposino senza creare screzi inutili. Siamo tutti stremati.”

Lui lo nasconde bene, pensa Levi amaramente. Come certi bambini caparbi del sottosuolo, che proprio non ne volevano sapere di farsi vedere terrorizzati...

Mike annuisce in modo informale, poi si alza e abbandona la stanza senza aggiungere altro.

Lo sguardo di Erwin che inciampa nel suo mentre segue la schiena dell'amico, non era voluto: lo ritrae in fretta, Levi però, quegli occhi assenti, persi in memorie, li vede lo stesso.

Si scosta dalla parete solo per appoggiarsi alla porta chiusa, come a rimarcare la necessità di lasciarla così, quand'anche arrivasse il re in persona, poi incrocia le braccia al petto e gli rivolge uno sguardo eloquente.

“È giusto che il loro malumore mi venga esposto con chiarezza, Levi” argomenta Erwin paziente, in risposta ad una domanda che non ha nemmeno avuto il bisogno di udire.

Si concede solo due dita a sostegno della fronte e Levi riesce a vedere le vene gonfie e pulsanti sulle tempie, il respiro più lento del solito, la schiena curva.

“Sono il comandante...” alita, dopo un istante.

È anche il capro espiatorio.

Quello di cui tutti hanno bisogno.

Non lui, però: a lui non serve qualcuno da incolpare per il dolore che prova. Fa parte della vita, Kenny questo è riuscito a insegnarglielo.

E per quanto le spalle di Erwin siano ampie, a volte non bastano a sostenere quel peso.

Ma Erwin nasconde il dolore. Nasconde tutto, per la verità.

Anche il peso di quei gradi intrisi di sangue.

E... al diavolo.

“Togli la divisa, Erwin” gli dice.

Perché è stremato e Levi non riesce più a tacere di fronte a quel suo stoicismo del cazzo.

Lo sguardo che Erwin gli rivolge lo sfiora dentro e trascende persino l'intimità dello spogliarsi di fronte all'altro.

È un affetto mesto, una gratitudine triste.

Vuole farlo o forse no.

Erwin sa sempre ciò che deve fare.

È ciò che vuole per sé ad essere confuso.

 

Sei sicuro che sia il tuo sogno?”

 

Non gli ha risposto, quando glielo ha chiesto.

Esita anche adesso, sebbene la sua richiesta sia molto più semplice, ripone i dispacci sul lato della scrivania e adagia la schiena alla spalliera della sedia.

“Non cambierà niente, Levi” lo avvisa in un sospiro. “Quando le mie mani si sono tinte di sangue, l'unica divisa che indossavo era quella della scuola del distretto.”

“Un motivo in più per togliere tutto.”

Lo dice mentre afferra il paiolo fumante dal gancio del focolare e lo rovescia nella vasca in ottone, ed è consapevole di star solo alleviando i sintomi, senza risolvere il problema.

Aggiunge acqua fredda dal secchio, miscelando la temperatura e quando solleva di nuovo il viso, Erwin è in piedi al lato della scrivania e lo sta osservando in silenzio.

Lo guarda sempre in quel modo quando è in difficoltà, quando necessita di un tramite tra ciò che desidera e ciò che la sua testa gli impone.

Quando l'unico che può alleggerire il peso che porta sulle spalle è un capitano semianalfabeta, senza addestramento militare e con la propensione a fare economia di parole.

Eppure Levi capisce sempre quando ha la vittoria in pugno: vede le spalle rilassarsi, le sopracciglia stendersi, le palpebre abbassarsi per poi riaprirsi su di uno sguardo più limpido.

La resa definitiva sono le due dita che Erwin porta al primo bottone della divisa.

Si spoglia sempre con disinvoltura e sarebbe in grado di farlo anche di fronte all'intera legione, Levi invece realizza di star ancora mescolando con il braccio un'acqua già perfettamente miscelata.

Lo ritira e aspetta che Erwin entri nella vasca.

“In realtà, l'avevo fatta portare per te, Levi” confida quello in un sospiro, mentre si immerge e adagia la testa contro il bordo.

Levi s'inginocchia scavallando con le braccia la parete d'ottone e affonda un panno nell'acqua.

“Lo so” mormora dopo averlo strizzato tra le dita.

Erwin ha occhi che rubano porzioni di cielo.

Anche quando la tempesta li tinge di grigio, Levi può vederne l'azzurro dietro le nubi.

È per quello che istintivamente parte da lì.

“Guarda me, Erwin” gli dice, mentre ne traccia i contorni con la stoffa bagnata.

E lui lo fa.

Ha ciglia folte e chiare, capillari marcati dal freddo e muscoli rigidi sotto il palmo che gli ha posato sul collo.

Li massaggia piano, con poca pressione: non vuole fargli male premendo sui lividi violacei delle cinghie, ma Erwin sospira, abbassa le spalle e lo guarda con una tale profondità che Levi sente la propria mano esitare e perdersi.

Stringe il pugno sul panno per affermare di nuovo il controllo sulle proprie azioni e osserva il rivolo d'acqua scivolare sul suo petto, increspando la superficie trasparente alla fine della corsa.

C'è silenzio nella stanza, Levi lo vorrebbe anche nella sua testa, ma Erwin lo infrange con una confessione che ha già sentito molte volte.

“Ho commesso degli errori di valutazione imperdonabili, Levi.”

“Shhh” gli risponde, e davvero non vuole che vada oltre.

“Ero così stupidamente entusiasta di esplorare i territori a nord, di tracciare linee...”

“Erwin...”

“Mio padre amava disegnare mapp-”

S'interrompe, scuote la testa.

Levi attende e non sa neanche cosa.

Forse che si ricomponga, perché sa che Erwin non si concede mai di andare in pezzi.

“Non importa” mormora infatti dopo un istante, regalandogli l'ombra di un sorriso.

Levi lascia cadere il panno, gli posa entrambe le mani sul viso e lo bacia sulla bocca.

Quando si ritrae, ha sulle labbra un sapore salato, ma se una lacrima è sfuggita da quelle ciglia chiare, il volto bagnato di Erwin la camuffa bene.

China la fronte contro il suo petto e lascia scivolare le mani sul suo collo fino alle spalle: là, dove regge il peso di ciò che gli è toccato in sorte, e si chiede se nel profondo sia davvero felice di inseguire il suo sogno.

O se quel desiderio di conoscenza sia piuttosto la volontà di un bambino di riscattare il dolore involontariamente inflitto a suo padre.

Perché felice, non lo sembra mai, anche se Erwin probabilmente pensa la stessa cosa di lui.

Due orfani tristi che si aggrappano a qualunque cosa gli permetta di non naufragare.

Ha i gomiti immersi nell'acqua e la camicia bagnata, se ne rende conto quando sente le mani di Erwin sulle sue, seguite dalle labbra sulla sua testa china e dalla voce che gli sfiora morbida l'orecchio.

“Adesso vieni qui, Levi” dice.

E lui si spoglia senza soffermarsi a pensare; del resto è già bagnato per metà, si racconta, la stanza sta diventando calda, e poi ha sempre amato la carezza dell'acqua sulla pelle.

Ama anche quelle di Erwin, per la verità: la deferenza con cui lascia scivolare l'intero palmo sul suo corpo, ma preme solo con un dito.

Glielo lascia fare, mentre entra nella vasca e si siede di fronte a lui, e anzi, spera che continui, perché a volte è bello fingere che sulla loro pelle nuda non ci sia mai stata una divisa.

Le mani di Erwin arrivano sui suoi fianchi e lì si fermano, lo trascinano un po' più vicino a sé e l'acqua straborda ai lati, gocciolando sul pavimento in pietra.

A Levi non importa, non gl'importa mai del disordine quando è con Erwin: s'insapona le mani e gliele passa tra i capelli.

Quello chiude gli occhi ed esala un sospiro tremulo: “Mi dispiace...”

“Non hai bisogno di addossarti colpe che non hai, quando sei con me.”

Gli risponde così, mentre massaggia in punta di dita la pelle dietro le sue orecchie e le ciocche soffici ricoperte di sapone, ma Erwin si ritrae, lasciandogli tra le mani solo schiuma scivolosa.

E forse, impegnandosi, Levi riuscirebbe anche a convincerlo che nessun uomo può controllare gli agenti atmosferici, neanche il comandante del Corpo di Ricerca, ma qualcosa nel modo in cui le sue labbra si piegano verso il basso, mentre volge la testa al soffitto con gli occhi ancora chiusi, gli dice che non è per la missione che si sta scusando.

Forse non è nemmeno lui il destinatario di quelle scuse.

“Ho parlato troppo, ero un bambino saccente” mormora infatti.

E dopo quello non parla più.

 

 

***

 

Levi non sa se a svegliarlo sia stato il fragore della tempesta o Erwin che nel sonno geme più dei cardini vetusti della finestra sotto le raffiche del vento.

Si solleva su un gomito e gli passa una mano tra i capelli arruffati.

“Erwin” chiama piano.

Ma quello si limita a corrugare la fronte e strizzare gli occhi, mentre si rannicchia di fianco su di una branda che lo contiene a malapena, e chiudendo il pugno sulla federa del cuscino, gli mostra l'uomo sotto la divisa.

La stessa che asciuga lentamente davanti al camino, schermando gran parte della luce tremula proveniente dalle braci arrossate e lasciandoli entrambi immersi nel buio.

Levi è abituato: nel sottosuolo il sole non arriva e lui è sempre stato bravo a nascondersi tra le ombre.

Erwin invece, in quel buio rifulge come una fiaccola, attira a sé le falene e si addossa la colpa di averle bruciate.

È caldo, nota, quando le sue dita scendono lungo la nuca e le spalle, forse ha anche un po' di febbre.

I ciocchi consumati gli rivelano che ha dormito a lungo da quando è crollato, dopo aver spostato la branda accanto a quella di Erwin e posato la mano sul suo braccio.

Probabilmente è quasi l'alba.

Scosta le coperte e si siede.

Quelle di Erwin sono scivolate fino ai fianchi, le solleva per coprirlo di nuovo e indugia con le dita sul collo per cercare un battito che sa già essere accelerato.

Ha ancora la cicatrice della sua lama, proprio lì.

Un tempo pensava di ucciderlo.

Adesso desidera solo sposarne il sogno, quand'anche fosse un'ossessione.

E lui con esso.

Erwin schiocca le labbra, mugugna qualche parola sconnessa, ma con enfasi tale che sembra ne derivi la sopravvivenza del mondo stesso -e forse è così-, poi affonda il viso nel cuscino con un tremito e le sue nocche, sul lembo della coperta, diventano bianche.

Quello che non è riuscito a dire a lui, lo sta spiegando ai fantasmi.

Levi vorrebbe avere il potere di trasformare quell'incubo in un semplice sogno, come faceva sua madre con lui, ma Erwin insegue i sogni come ragione di vita e non si accorge quando diventano incubi.

Quello che più lo tormenta ha subito la mutazione nell'orfanotrofio del distretto, quando su una branda simile a quella, occupava la metà dello spazio.

Scorre la mano sulla sua schiena curva e lo chiama di nuovo.

Chino su di lui fin quasi a posare le labbra sulla sua spalla, Levi può sentire quelle immagini oniriche che abbandonano la sua mente, mentre torna alla realtà con un breve fluttuare di palpebre.

“Levi...” esala, mentre si solleva di scatto con il fiato corto.

“Piano” si affretta a rassicurarlo. “Stavi sognando.”

Erwin gli pianta addosso due occhi spalancati e si ricompone subito dopo.

“Come comandante del Corpo di Ricerca dovrei essere abituato agli incubi. Non è così, Levi?” sospira mesto, passandosi una mano sulla fronte sudata.

E Levi può vederlo, il figlio del maestro, quello che non riesce a staccarsi dal ricordo di suo padre e resta sepolto sotto la stoffa dell'uniforme.

Presente e potente più di quanto lui stesso voglia ammettere.

E lui di incubi non ne meritava di certo.

Si guarda attorno con sguardo distante, le occhiaie marcate quanto la sera precedente e gli occhi lucidi di febbre.

“È quasi l'alba” constata. “La mia divisa è asciutta?”

Levi non riesce a trattenersi: posa una mano sulla sua guancia e lo costringe a voltarsi verso di lui.

“Non ti serve per adesso” sussurra.

Poi lo spinge indietro sul cuscino, unisce la branda alla sua e si sdraia al suo fianco.

“Mi servirà tra poco” sospira Erwin, arreso ed esausto, ma comunque ligio al dovere.

Levi solleva la coperta fino a coprirli entrambi, poi avvolge le braccia attorno al suo torace e posa la fronte sul suo petto.

“Tra poco l'avrai” mormora.

Contro il suo corpo la pelle di Erwin è troppo calda: tra poche ore la coprirà con la stoffa dell'uniforme, incurante della sua stessa salute, e parlerà ai suoi uomini.

Probabilmente saprà già, dell'antifebbrile che progetta di fargli scivolare nel bicchiere, e gli permetterà di farlo, a patto che non gli imponga un riposo che non pensa di meritare.

Perché quella divisa è il sacrificio di un uomo che si impone di espiare le colpe di un bambino.

E più avanti procede sul sentiero, più difficile diventa toglierla.

 

 

 

Fine.

 

 

 

  
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