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Autore: Piper_Keiko    05/01/2022    1 recensioni
Dalla one shot: Lentamente camminai, strusciai il piede contro il terreno e mi sorpresi a sussultare nel sentire il rumore delle pietre che venivano spostate dal mio stesso movimento. Quella guerra aveva rovinato tutto, ogni singola persona che ne aveva preso parte era piena di problemi, era probabilmente traumatizzata.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luna Lovegood, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Sfidandomi'
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Quella guerra malata ci aveva tolto tutto
 

Le mie labbra si socchiusero lentamente, un sospiro pesante si trascinò fra i miei denti stretti. Feci guizzare il mio sguardo, da una parte all'altra, senza realmente un vero punto sul quale potermi fermare. Le mani mi tremavano, il cuore pompava furiosamente nel mio petto, i battiti erano così forte che avrei potuto giurare di essere capace di sentirli direttamente nelle mie orecchie.
Portai sul mio petto quella mano rovinata e fredda, le nocche tagliate, le dita sporche; le mie labbra tremavano, respiravo con lentezza, cercavo di calmarmi, di darmi un tempo più lento, non doveva essere più una canzone così frenetica, in fondo la guerra era finita.
Lentamente camminai, strusciai il piede contro il terreno e mi sorpresi a sussultare nel sentire il rumore delle pietre che venivano spostate dal mio stesso movimento. Quella guerra aveva rovinato tutto, ogni singola persona che ne aveva preso parte era piena di problemi, era probabilmente traumatizzata. Era lì, viva o morta. Ed io ero qui ed ero vivo, ma nel profondo del mio cuore lo sapevo, c'era qualcosa nell'aria, qualcosa nel modo in cui mi sentivo, qualcosa nel modo in cui i brividi sfioravano le mie mani: avrei preferito essere morto. Era solo una sensazione, la mia, ma seppure la guerra fosse finita, seppure Colui che non deve essere nominato... seppure Voldemort fosse morto, non potevo fare a meno di sentirmi strano, come se un pezzo della mia anima si fosse allontanato da me, come se qualcosa fosse svanito. E no, non era solo una folle sensazione, non era un chissà quale inizio di malattia mentale che mi avrebbe portato a sentire la mancanza della guerra e di tutto ciò che c'era dietro di essa, no, era qualcosa di difficile da spiegare.

I miei occhi si puntarono sui miei piedi, poco prima di entrare nell'entrata di quella scuola che, ormai, andava a pezzi. Qualcuno mi aveva rintracciato, qualcuno mi aveva chiamato? Non avevo visto nessuno, nessuno mi si era avvicinato, nessuno mi aveva guardato. Ero io, solo io, tutto il resto passava in secondo piano, persino Hermione, la quale non aveva mai lasciato il mio fianco, sembrava essere svanita dalla mia mente, dai miei occhi; il vento freddo sfiorava il mio volto, una carezza, spostò una ciocca dei miei capelli rossi, portandoli di fronte ai miei occhi, quasi come se volesse impedirmi di vedere, come se fosse una mano gelida che copriva la mia visuale, cercando di rimandare ciò che, prima o poi, sarebbe successo.
Harry fu il primo ad accorgersene, lo sentii irrigidirsi al mio fianco, la sua mano sfiorò debolmente il mio braccio, la sua voce fu un sibilo, il mio nome uscì tremolante dalla sua bocca.
«Ron, non farlo» sussurrò lieve, in una preghiera, la speranza che io lo stessi ad ascoltare, ma non potevo farlo, io non avrei potuto ascoltare nessuno, in quel momento. Le mie dita sfiorarono i miei capelli, spostandoli dai miei occhi.
«Ron» la voce di Hermione mi sfiorò, la sua mano afferrò la mia, nel momento esatto in cui il mio sguardo si liberò da quell'intoppo. Uno sbuffo di vento gelido sfiorò la mia nuca, il mio corpo si irrigidì totalmente. La stanza era quasi allestita ad infermeria, era piena di ragazzi, di professori, chi con un braccio ingessato, chi senza un dito, chi senza fiato, chi senza vita. Il mio sguardo, tremante, spaventato, raggiunse la figura di quella donna chinata in avanti, le spalle che si muovevano, violente.
«Mamma» soffiai, mi sentii come se tutta l'aria dai miei polmoni fosse stata aspirata via. Non esisteva nessuno, in quel momento. Non c'era Harry che mi chiamava, non c'era Hermione che mi teneva la mano. Le mie dita scivolarono, abbandonando quella presa, i miei piedi si strusciarono contro il suolo, mi muovevo come una marionetta, mosse più complicate di quelle non sarei stato in grado di compierne. Nel momento in cui la mia mano sfiorò la spalla di mia madre, sentii una stretta allo stomaco.
«No» un sibilo, un soffio, una preghiera. I miei occhi si riempirono di lacrime, di parole mai dette, di liti mai risolte, mentre lì, di fronte a me, giaceva il corpo esanime di mio fratello. «Fred» fu un ansimo, il mio, un verso disperato, un inutile tentativo di contenere il dolore in quella gabbia, di non farlo uscire. Mai. Non ero mai stato in grado di dirgli quanto lui fosse importante per me, non ero mai stato capace di passare del tempo con lui come fratelli. Non ero mai stato in grado di riconoscerlo, se non in quel momento.
Le mie mani tremarono, violente, le ginocchia sembrarono piegarsi sotto una forza estranea ed io caddi. Caddi inerme, impotente, ai piedi di mia madre, la quale, con il volto stanco e rigato dal dolore, mi guardava. Socchiuse le labbra, singhiozzando, inginocchiandosi di fronte a me. «No» soffiò, le sue mani calde presero il mio volto.
Urlai. Ogni singola briciola della forza che mi era rimasta uscì dal mio corpo, mi abbandonò con quell'urlo, mentre mia madre mi teneva stretto fra le sue braccia. Quella guerra aveva tolto molto. Mi aveva tolto un fratello, un pezzo del mio cuore, un frammento della mia anima, ma, nella disgrazia, io non ero solo. C'era chi, in quella stessa stanza, in quello stesso momento, affrontava la cruda realtà dei fatti: quella guerra malata le aveva tolto tutto.
Io? Io non lo sapevo, non potevo saperlo. Non notai quella ragazza entrare nella stanza, non notai il suo sorriso abbandonare il suo volto, non notai quella maschera rompersi in mille pezzi. In quel momento, non notai affatto quella ragazza andare in frantumi.

Ci erano voluti due giorni. Due giorni per contare i morti, per dividerli dagli scomparsi, per assicurarci che nessuno fosse stato abbandonato al suo destino. Ci erano voluti due giorni, per finire la lista di ciò che era successo, per comprendere cosa avremmo dovuto fare, da dove iniziare.
Non ci erano voluti due giorni, però, per comprendere che Luna Lovegood non c'era. Avevamo parlato con chiunque, nessuno sapeva che fine avesse fatto, sino a quando non chiedemmo a Neville. Il suo sguardo, ormai ben lontano da essere lo sguardo spaventato di quando era un bambino, si puntò su di noi e la sua voce soffiò quelle parole. Non ebbi bisogno di sentire altro, per capire cosa stesse accadendo.
Non eravamo nessuno. Io e Luna, non eravamo nessuno. Forse non eravamo neanche poi così amici, ammetto di averla spesso presa in giro, di aver dubitato del cappello parlante per averla smistata in Corvonero, così come ammetto di aver pensato che fosse una pazza senza speranze. In quel momento, però, chi poteva comprendere ciò che quella ragazza stesse provando?
Camminai, lentamente, le mani nelle tasche bucate dei miei pantaloni, quando, finalmente, la vidi. Seduta su quel precipizio, con i lunghi capelli biondi immobili, a discapito del vento che sfiorava le foglie attorno a sé, con gli occhi puntati verso l'orizzonte, come un prevedibile vecchio film, c'era lei. Mi avvicinai, con lentezza, e strusciai i piedi contro il terreno, sedendomi con un tonfo non calcolato, le gambe goffamente aperte, la mano stretta al suolo per evitare di scivolare maggiormente. Bene, ero un idiota, ero riuscito a spaventarla. Almeno, così credevo.
«Perdonami, non ho voglia di fingere di non capire gli insulti» la sua voce scivolò flebile, roca, dalle labbra spaccate della ragazza. I miei occhi, sorpresi, si puntarono su di lei e la guardai, con attenzione: i suoi occhi erano rossi, gonfi per un pianto che sembrava non volesse finire, le guance rosee erano evidentemente rigate da lacrime salate che continuavano a scendere, una di quelle aveva rotolato sino a raggiungere la punta del suo naso. Luna abbassò il capo, i capelli biondi finalmente si mossero, quasi come se la volessero coprire, come se la volessero nascondere, proteggere.
Mi sporsi verso di lei, le mie dita fasciate spostarono quella tenda bionda, osservai la lacrima cadere sul suo ginocchio; le sue dita si strinsero convulsamente attorno alla sua stessa gamba, iniziò a tremare. Non parlò, non ce n'era bisogno.
Quando Neville mi aveva detto che lì assieme agli altri si trovava il corpo di Xenophilius Lovegood, non avevo avuto bisogno di sentire altro. Luna aveva perso tutto. Sua madre era morta, anni prima, e tutta la sua vita era stata costruita attorno a suo padre, quell'uomo così buono che, per quanto avesse cercato di venderci, per quanto avesse contribuito ai nostri problemi, aveva fatto tutto quello solo per salvare la figlia. Io avevo perso mio fratello, ma ero circondato da persone che mi amavano, che mi avrebbero aiutato, persone come mia madre, mia sorella, il mio migliore amico... la mia Hermione. Ma lei?
La mia mano si mosse, lenta, ma allo stesso tempo fulminea. Le mie dita si strinsero attorno a quelle deboli e fredde della ragazza, la quale si girò verso di me.
«Te l'ho detto, non voglio fare finta che» iniziò, la voce debole, stanca, ma io scossi il capo. La mia mano si strinse alla sua ed io accennai un sorriso, debole, stanco, ferito, ma pur sempre un sorriso.
«Piacere, Ronald Weasley» dissi con lentezza, la ragazza sembrò trattenere il fiato. Cosa stavo facendo? Le dimostravo che non era da sola. Lei strinse la mia mano ed io ampliai il mio sorriso, quel vento gelido sembrava abbracciarci. «Ma gli amici mi chiamano Ron».


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Ciao a tutti. Ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia fino a questo momento, mi farebbe piacere se decideste di scrivere una piccola recensione, bella o brutta che sia, in modo che io possa comprendere come migliorarmi e, soprattutto, sapere ciò che pensate voi. Parlando della storia, quando ho sorteggiato i nomi di Ron e Luna mi sono preoccupata molto, non volevo trattare quei due come una coppia, volevo fare qualcosa di diverso e quando il genere "triste" è venuto fuori, ho cercato di creare un piccolo momento... diverso. 
Spero davvero che questa piccola storia vi sia piaciuta.
Un saluto,
Piper_Keiko
   
 
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