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Autore: amuhinamori    06/01/2022    1 recensioni
Durante un normale lunedì mattina, Kazuha sparisce misteriosamente. Il detective liceale di Osaka, Heiji Hattori, da sempre innamorato di lei, farà di tutto per scoprire cosa sia successo alla sua amica d'infanzia e riportarla dove deve stare: al suo fianco. E chissà che magari non riesca anche, finalmente, a rivelarle i suoi sentimenti.
Questa è una semplice fanfiction senza pretese nata dal fatto che Gosho non sembra intenzionato a dare una gioia a questi due poveri sventurati.
Dal testo:
"Quella mattina, uscendo da casa dopo aver salutato sua madre, Heiji Hattori era convinto che sarebbe stato un noioso lunedì come tutti gli altri. Uno di quelli in cui rimpiangi il dolce riposo della domenica appena passata e, mentre il professore della prima ora entra in aula, cominci il conto alla rovescia per il week-end successivo. Non avrebbe potuto fare un’assunzione più errata".
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina, uscendo da casa dopo aver salutato sua madre, Heiji Hattori era convinto che sarebbe stato un noioso lunedì come tutti gli altri. Uno di quelli in cui rimpiangi il dolce riposo della domenica appena passata e, mentre il professore della prima ora entra in aula, cominci il conto alla rovescia per il week-end successivo.
Non avrebbe potuto fare un’assunzione più errata.

Era appoggiato al muro di una palazzina, con le gambe accavallate all’altezza delle caviglie e le braccia incrociate sul petto per cercare di combattere il freddo pungente dell’inverno. Aspettava spazientito Kazuha, quell’idiota della sua amica d’infanzia e suo segretissimo (ma nemmeno poi tanto) amore storico, che quella mattina aveva evidentemente deciso di farlo arrivare in ritardo per le lezioni.

“Ma dove si sarà cacciata quell’imbranata? Se arriviamo in ritardo per colpa sua giuro che la costringo a offrire gli okonomiyaki del venerdì sera per almeno un mese” borbottò a bassa voce, mentre estraeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni per controllare l’ora e eventuali segni di vita dalla sua migliore amica.
L’orologio segnava le 8.20, se non fosse arrivato alla stazione della metropolitana entro 10 minuti avrebbe perso il treno.

Dopo aver provato a telefonarle senza aver ricevuto risposta, decise di inviarle una mail in cui si mostrava profondamente offeso, l’avvisava di essere in debito con lui di almeno 3 okonomiyaki e che sarebbe andato a scuola senza di lei, che sicuramente non aveva sentito la sveglia.
Heiji entrò in classe nell’esatto momento in cui suonava la campanella per l’inizio della prima ora. Provò a cercare il volto di Kazuha fra quello dei compagni di classe, nella speranza che fosse arrivata prima e si fosse solo dimenticata di avvertirlo, ma non lo trovò.

“Toyama-san non c’è? Hattori-kun, ne sai qualcosa?” chiese il professore.  Heiji era consapevole che tutta la scuola era a conoscenza del legame che li univa da sempre, professori compresi.

Vide le amiche di Kazuha guardarsi un po’ perplesse per poi rivolgersi a lui, in attesa di risposte. I ragazzi, armati invece di ghigni beffardi, iniziarono a bisbigliare frasi del tipo:  “Neh Heiji-kun, dov’è la tua mogliettina?”

“Già, come mai non siete venuti a scuola insieme?”

“Avete forse litigato di nuovo?”

Heiji sentiì la collera pulsargli nelle tempie, la tentazione di dare un pugno sul naso a tutti era fortissima. Maledisse di nuovo Kazuha e la sua dannata sveglia mentre accavallava le gambe sotto al banco e rispondeva al professore con fare stizzito: “Mi dispiace, Sensei. Non l’ho vista questa mattina e non mi ha risposto al cellulare quando ho provato a chiamarla. Quella dormigliona non avrà sentito la sveglia e starà ancora russando sotto alle coperte, non c’è di che preoccuparsi”.

La lezione, quindi, iniziò.

A discapito di quello che aveva appena detto al professore, però, Heiji era effettivamente un po’ in pensiero.
Tra i due era lui quello che solitamente faceva più fatica a svegliarsi la mattina. Kazuha aveva sempre avuto il sonno abbastanza leggero, era più usuale che fosse lei a chiamarlo senza sosta al telefono, pregando che lui lo sentisse e si svegliasse.

Qualche volta era addirittura piombata in camera sua come una furia, aprendo le imposte e tirandogli via le coperte di dosso, urlandogli che erano in ritardo, che aveva cinque minuti per rendersi presentabile al mondo e che la colazione poteva anche scordarsela.
Non potè fare a meno di sorridere ricordando la prima volta in cui era successo.

Erano ancora alle medie ed Heiji aveva l’abitudine di dormire solo con i boxer. La faccia color melanzana di Kazuha, la sua espressione di stupore e terrore misti ad imbarazzo e l’urlo che ne seguì lo facevano ancora morire dal ridere quando ci ripensava. Da quella volta, comunque, aveva iniziato a dormire con dei pantaloncini sportivi. Sarebbe stato troppo imbarazzante spiegarle perché i ragazzi dovessero convivere con le erezioni mattutine. Era convinto che fosse meglio farglielo scoprire in circostanze più piacevoli.
L’immagine di lui e Kazuha che dormivano abbracciati stretti stretti, le gambe intrecciate, lui con una mano tra i suoi capelli e lei con la testa nell’incavo del suo collo, si fece strada nella sua mente e immediatamente sentì le guance andare a fuoco.
Meglio concentrarsi sulla lezione, sicuramente era tutto a posto e le sue si sarebbero rivelate solo paranoie.

Arrivata l’ora di pranzo non aveva ancora ricevuto notizie da parte di Kazuha.
Non aveva risposto al suo messaggio e non aveva contattato nemmeno le compagne di classe. Si era premurato di chiederlo personalmente a ciascuna di loro ad ogni cambio d’ora. Quello non era un comportamento da Kazuha e di certo a quell’ora avrebbe dovuto essere sveglia, ormai. Heiji sentì lo stomaco contrarsi. Il panico latente, che fino a quel momento era rimasto a sonnecchiare come un gatto sgranchendosi giusto gli arti di tanto in tanto, si risvegliò all’improvviso colpendolo con tutta la sua forza e facendogli venire la nausea.
Un rivolo di sudore freddo prese a colargli lungo il collo e giù per la schiena, attraverso le scapole. Mise tutte le sue cose nella cartella, si alzò e con passo veloce e deciso si avviò verso l’uscita della scuola con l’intento di andare immediatamente a casa di Kazuha per controllare che stesse bene.

Durante tutto il tragitto il suo inconscio non aveva fatto altro che giocargli tiri mancini. Nella sua mente si alternavano immagini in cui Kazuha piangeva, urlava il suo nome e lo implorava di aiutarla ad altre in cui lei si girava verso di lui sorridendo, gli occhi verdi che brillavano, per indicargli qualcosa di carino nella vetrina di un negozio.
Si ricordò dell’espressione dolce e tenera di qualche settimana prima, quando si era addormentata con la testa sulla sua spalla mentre erano sul suo letto, con la schiena appoggiata ai cuscini e le gambe distese, a guardare un filmetto romantico che lei lo aveva obbligato a mettere. Quando si era accorto del peso sulla sua spalla e, voltandosi, l’aveva trovata profondamente addormentata, non aveva potuto fare altro che sorridere, cingerle le spalle con il braccio in modo da farla stare più comoda, ed evitare che l’indomani si svegliasse con un clamoroso torcicollo, appoggiare la guancia sulla sua testa e tornare a guardare il film da solo. Non le avrebbe mai rivelato che, sotto sotto, il film gli era piaciuto molto e che per poco non si era commosso quando la protagonista era morta tra le braccia del suo innamorato.

Il solo pensiero che potesse esserle successo qualcosa, di non vederla più, di non poter vivere più momenti simili e, soprattutto, senza essere mai riuscito a rivelarle quello che provava nei suoi confronti, era peggio di qualsiasi proiettile avesse mai lacerato la sua carne. Avvertiva un dolore al cuore che sembrava essere quasi fisico, reale. Lo stesso che aveva provato quando l’aveva vista precipitare dal precipizio sull’isola delle sirene, il giorno in cui aveva capito di amarla e si era ripromesso che l’avrebbe protetta per sempre, o quando lui e Kudou l’avevano trovata appesa tra i fili durante il caso della Villa dei ragni.
 
Fu solo mentre usciva dalla stazione della metropolitana vicino casa che il suo telefono iniziò a vibrare. Si affrettò a prenderlo e ancor più velocemente aprì l’e-mail che gli era appena arrivata. Il mittente era Kazuha, non aveva alcun oggetto e nessun testo ma solo una foto in allegato.  Avrebbe voluto urlare e piangere per la paura. L’immagine raffigurava Kazuha legata, bendata e imbavagliata sul pavimento di una stanza apparentemente spoglia, nera e mal ridotta. Il cuore di Heiji perse un battito, forse due o tre, difficile a dirsi, e la sua mente si annebbiò di colpo.

Sentì il respiro bloccarglisi in gola ed ebbe l’impressione che qualcuno gli stesse strizzando lo stomaco, il cervello o entrambi, impedendogli di svolgere le loro naturali funzioni. Mentre cercava di ritrovare un briciolo di lucidità, il telefono squillò. Nonostante il tremore delle sue mani rispose alla chiamata e si portò l’apparecchio ad un orecchio.

“Dov’è Kazuha?” Chiese con la voce più ferma di quanto si sarebbe mai aspettato.

“Questo dovrai scoprirlo da solo, Heiji Hattori. Sei un detective, scoprire le cose non è forse il tuo lavoro?” Gli rispose la voce profonda di un uomo.

“Ascoltami, bastardo. E apri bene le orecchie perché non mi ripeterò. Non so chi tu sia o cosa voglia, ma falle del male, torcile anche solo un capello e ti giuro che il mio obiettivo di vita sarà quello di annientare la tua esistenza. Mi sono spiegato?”

Dall’altra parte di sentì una sonora risata. Parte della paura di Heiji stava iniziando, piano piano, a diventare furia cieca.

“Sicuramente un discorso molto cavalleresco, Heiji-kun. La bella Kazuha-chan, qui, sarebbe così emozionata nel sentirti parlare con così tanto ardore. Ma credo che tu non sia nella posizione di dettare regole o di fare minacce. Dovresti ringraziarmi già solo per il fatto che la ragazza sia ancora viva!”

Quel maledetto sghignazzava. La rabbia che provava era così grande che, per la prima volta in vita sua, Heiji pensò di iniziare a capire cosa potesse spingere una persona ad ucciderne un’altra. Considerando il numero di casi che aveva risolto c’era addirittura la possibilità che riuscisse a nascondere ogni traccia e ad uscirne anche pulito.

“Fammi parlare con lei, voglio sentire la sua voce. Dopo ascolterò le tue condizioni”

Dall’altra parte del telefono senti uno sbuffo, una serie di fruscii e poi, finalmente, Kazuha.

“HEIJI!”

La sua voce ebbe quasi l’effetto di un balsamo su di lui. Era terrorizzato, ma almeno lei era viva. Gli parve di iniziare a respirare un po’ meglio.

“Kazuha! Stai bene? Ti ha fatto del male? Sei ferita?” 

“No. Ma ho paura Heiji, voglio andare a casa!”

Alla parola “casa”, la voce di Kazuha si spezzò insieme al cuore di Heiji.

“Non avere paura. Ti prometto che ti troverò e che saremo di nuovo insieme prima di quanto immagini, ma per adesso ho bisogno che tu sia forte e che non ti faccia prendere dal panico. Puoi farlo per me, Kazuha?”

“Sì, credo…Heiji, io-”

Dal ricevitore arrivarono una serie di rumori e mugolii seguiti dalla voce del rapitore

“Ok, basta con le smancerie. Adesso ti dirò quello che voglio che tu faccia. Ti darò un indizio e un’ora di tempo per trovare questo posto. Hai la mia parola che, se ce la farai, la lascerò andare incolume. Sappi però che a 5 minuti dall’ora X potrei tranciare accidentalmente il tubo del gas di questo grazioso appartamento e che ho acquistato una bella scatola di fiammiferi, ieri. Trai le tue conclusioni da solo, non dovrebbe essere difficile, giusto?”

Maledetto….

“Perché stai facendo tutto questo? Immagino tu ce l’abbia con me per qualche ragione, ma cosa c’entra Kazuha? Perché non prendertela direttamente con me?”

“Vieni qui e avrai tutte le risposte che cerchi. Inutile dirti che contattare il tuo paparino o i tuoi amici poliziotti sarebbe controproducente. Il tuo indizio è 25 aprile 2019. Hai un’ora.”

La comunicazione si interruppe e Heiji non riuscì a trattenersi dall’imprecare ad alta voce. Ignorò lo sguardo di disapprovazione di un’anziana signora che passava lì a fianco, girò il suo berretto da baseball, fece un bel respiro e provò a concentrarsi. Quello era probabilmente il caso più importante della sua vita e non poteva permettersi di sbagliare.

Cominciò dall’indizio. 25 aprile 2019, avrebbe forse dovuto dirgli qualcosa?

Provò a cercare su internet, la pagina di ricerca gli mostrava alcuni link legati ad una qualche festività italiana che ricorreva in quella data. Se la memoria non lo ingannava avrebbe dovuto trattarsi della festa nazionale della liberazione del paese dal fascismo e dal nazismo. Ma cosa poteva c’entrare? No, si trattava di qualcos’altro. Che senso avrebbe avuto dargli anche l’anno 2019 nell’indizio, altrimenti?

Scorse ancora l’elenco dei risultati mostratigli da Yahoo. C’era un link sulla vittoria dei Big Osaka contro i Tokyo Spirits, uno su un concerto di Yoko Okino, altri legati a qualche testata giornalistica… Niente che gli sembrasse utile.

Preso com’era dall’indagine, non si era nemmeno reso conto di aver camminato fino al parco vicino alla stazione. Quello in cui lui e Kazuha si trovavano sempre quando dovevano uscire in moto. Si sedette su una panchina. Erano già passati venti minuti.

Cercando di non dare peso alle ondate di panico che continuavano a colpirlo ad intervalli regolari, continuò a pensare.

Riaprì la foto che gli era stata inviata dal rapitore. Provava del dolore quasi fisico nel vedere la sua Kazuha, la sua piccola guerriera, in quelle condizioni, ma doveva assolutamente ottenere qualche indizio. Sperava che nell’immagine potesse esserci qualcosa di familiare. Se il malvivente gli aveva dato solo quella data da cui partire era possibile che lui, Heiji, conoscesse il posto in cui era tenuta Kazuha, doveva tentare. 

Le pareti della camera sembravano annerite in alcuni punti, forse per colpa di un incendio o di un’esplosione. C’erano delle crepe nella parte alta del soffitto. Probabilmente si trattava di una palazzina che doveva essere demolita o ristrutturata. Sopra la testa di Kazuha, spostata di poco sulla destra, c’era una finestra. La foto era stata scattata dall’alto, fortunatamente per Heiji e sfortunatamente per il rapitore.

Heiji notò che nell’angolo destro della foto, si riusciva ad intravedere il marciapiede della strada sottostante e l’insegna di un negozio. Il fatto che si vedesse il marciapiede poteva voler dire solo che non si trattava di un condominio o di un palazzo alto, ma di una casa di massimo due piani. Magari una villetta abbandonata.

L’insegna, però, fu quella che attirò davvero la sua attenzione. Era di legno chiaro con dei semplici caratteri neri che recitavano “Gli Okonomiyaki di Shinichi Nobutaro”.  Aveva l’impressione di averla già vista da qualche parte, ma dove? Alzando distrattamente gli occhi, l’orologio all’ingresso del parco gli ricordò che erano trascorsi altri 10 minuti, ne restavano solo più trenta… dannazione!

Riguardò la foto e si concentrò sull’insegna. Poggiò il telefono sulla panchina e prese a strofinarsi le mani sul viso. Passò qualche altro minuto quando, all’improvviso, gli venne in mente la voce di Kazuha.

“Neh, Heiji! Hai visto? In quel negozio vendono Okonomiyaki e il proprietario pare chiamarsi come quel detective di Tokyo di cui si parla tanto! Che cosa buffa, una cosa che ami così tanto associata a qualcuno che ti dà così fastidio! Che dici, vogliamo provarli? Magari così smetterai di pensare a questo caso. So che è difficile accettare di non averla salvata, ma purtroppo in questo mestiere non potrai vincere sempre, lo sai anche tu. Me lo fai un sorriso?”

Heiji sbarrò gli occhi, sconvolto. Possibile che…

Prese il telefono con tanta foga da farlo quasi cadere e compose il numero di Otaki.

Ci mise un po’ a rispondere ma, appena lo fece, Heiji saltò tutti i convenevoli.

“Otaki-san, mi serve il tuo aiuto. Ho bisogno che controlli una cosa per me. Hai presente il caso di qualche anno fa, in cui una donna è rimasta coinvolta in un incidente perché un malvivente voleva vendicarsi di papà che aveva fermato suo figlio? Mi pare che lei si chiamasse Midori Harada. Ho bisogno che trovi la data di quel caso, in fretta!”

“Ciao anche a te! Dammi un momento, controllo l’archivio. Meno male che adesso abbiamo questo nuovo sistema di archiviazione digitale, altrimenti ci vorrebbe un sacco di tempo. Ma dimmi, Heiji-kun, stai bene? È tutto a posto? Non dovresti essere a scuola?”

Heiji alzò gli occhi al cielo spazientito, la scuola era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri.

“Fai in fretta, Otaki-san. Per favore.”

Mentre Otaki borbottava qualcosa del tipo “Un giorno o l’altro mi farai licenziare, piccolo ingrato”, Heiji chiuse gli occhi e si prese un attimo per provare ad allentare la tensione che provava alla bocca dello stomaco. Ogni minuto che passava era tempo sottratto alla vita di Kazuha, doveva sbrigarsi.

“Eccolo qui! Incredibile cosa possa fare la tecnologia al giorno d’oggi. Comunque, qui dice che il caso in cui è stata coinvolta Midori Harada, e in cui ha poi perso la vita per mano di Fukada Rei, risale al 25 aprile 2019. Era questo che t-“

Heiji riagganciò senza nemmeno aspettare che Otaki finisse la frase. Si alzò e iniziò a correre alla massima velocità a cui le sue gambe gli consentirono di andare. Si sarebbe scusato più tardi con lui.

Corse a perdifiato fino a casa sua, non ricordava di aver mai fatto quella strada tanto velocemente. Prese le chiavi della moto dalla tasca davanti della borsa della scuola, che lanciò a caso nel garage, salì e partì, dando gas.

Gli rimanevano si e no 15 minuti, avrebbe fatto prima andando in moto.
Infrangendo ogni regola del codice stradale esistente, si fece strada nel traffico cittadino e arrivò in un quartiere periferico della città. Ricordava di essere stato da quelle parti in precedenza, adesso. Incredibile come, anche senza essere fisicamente lì con lui, fosse stata proprio Kazuha a dargli la tessera mancante del puzzle. Ma, infondo, lei era sempre con lui.

Svoltando in una stradina, vide in lontananza la stessa insegna della foto. Erano passati alcuni anni ma era rimasta esattamente uguale. Parcheggiò la moto un po’ distante, per non dare nell’occhio e si mise a correre.

All’altezza del negozio di Okonomiyaki si guardò intorno. Davanti a lui si palesò un quartiere residenziale, vecchio stile, una serie di casette modeste ma abbastanza ben tenute, alcuni negozi di alimentari. Un quartiere dall’ aspetto apparentemente tranquillo. Possibile che nessuno di fosse accorto di un uomo che trasportava una ragazza legata?

Non tutte le abitazioni erano in buono stato, però. A circa un paio di villette da lui, Heiji ne vide una che, sicuramente  era stata abbandonata, crollata in alcuni punti del piano superiore e completamente annerita. Non che avesse bisogno di ulteriori conferme. Ricordava perfettamente quella strada, quella casa e quel posto perché ci era già stato.

Aveva risolto il caso, capito l’identità del colpevole, il movente e cosa avesse intenzione di fare. Non poteva pensare di risolvere la situazione senza rinforzi, così mandò un messaggio ad Otaki  in cui gli spiegava brevemente la situazione, gli mandava la sua posizione e gli chiedeva di far arrivare anche un’ambulanza e i vigili del fuoco. Aveva ancora 3 minuti prima dello scadere del tempo. Mise una mano in tasca per stringere il sacchettino portafortuna attaccato al suo cellulare ed entrò.

L’abitazione era vuota, polverosa e piena di calcinacci. I pochi mobili riconoscibili come tali sembravano inutilizzati da tempo. L’odore del gas era pungente, il bastardo era stato di parola. Heiji si appuntò mentalmente di ricambiare il favore, non vedeva l’ora di sentire il setto nasale di quello stronzo rompersi sotto le nocche dei suoi pugni. Con questo pensiero e con il sorriso di Kazuha in testa a dargli forza, si affrettò a salire la scala che conducevano al piano superiore. In base alla foto e alle sue deduzioni, Kazuha doveva essere in una delle stanze di sopra.

Controllò le prime camere vuote per scrupolo, finchè, entrando in quella al fondo del corridoio a cui puntava, vide Kazuha che si agitava nella stessa posizione che aveva nella foto. Gli sembrò quasi di ricominciare a respirare a pieni polmoni, non che fosse una grande idea data la fuga di gas al piano di sotto.

“Kazuha! Sono qui, aspetta che adesso ti libero”

Tolse per prima la benda che le copriva gli occhi, incrociando il suo sguardo. Era visibilmente spaventata, probabilmente stanca e dolorante per aver tenuto quella posizione così a lungo, la divisa scolastica sporca, sembrava anche leggermente annebbiata a causa del gas inalato, ma nel vederlo finalmente davanti a lei Heiji lesse sollievo, gioia e mille altre cose. Era certo che fosse così perché lui sentiva lo stesso. O almeno credeva, stava provando così tante emozioni tutte insieme che era impossibile riuscire a identificarle tutte. Mentre si affrettava a liberarla, notò due segni di bruciature all’altezza del collo. Evidentemente il rapitore aveva usato una pistola stordente per portarla via. Heiji accodò un altro paio di cazzotti a quello che era il suo piano per la resa dei conti con il colpevole. Le sorrise mentre le toglieva il bavaglio dalla bocca.

“Heiji dietro di te, è laggiù”

“Non preoccuparti Kazuha, sono sicuro che il signor Saburo Harada possa aspettare che io ti liberi prima di fare la sua prossima mossa. Vieni qui che ti slego le mani”

Saburo Harada sorrise. Era in piedi nell’angolo opposto della stanza, e li osservava apparentemente tranquillo. Heiji lo stava guardando con la coda dell’occhio. Sembrava una persona normale, non aveva l’aria di essere un pazzo malato. Ma infondo, quanti criminali si celavano dietro a delle apparenti brave persone? Fosse per un dolore insopportabile o per semplice follia, il lavoro di un detective non era forse quello di scovarle e neutralizzarle?

“Molto bravo, Heiji-kun. Sapevo di non averti sopravvalutato, hai superato ogni mia più rosea aspettativa. E dimmi, hai trovato le risposte che cercavi?”

“Penso proprio di sì” affermò Heiji, che aveva finito di slegare anche le gambe di Kazuha e la stava aiutando a rimettersi in piedi mentre controllava che non avesse ferite nascoste. Sembrava stare bene per davvero, almeno fisicamente.

Sussurrò una breve rassicurazione all’orecchio di Kazuha, qualcosa del tipo “Dammi solo qualche altro minuto per sistemarlo e ti porto via di qui”, e si voltò per fronteggiare finalmente Saburo. Kazuha, dietro di lui, strinse forte il tessuto del retro della giacca della sua divisa e, per un momento, appoggiò la fronte alla sua schiena. Che fosse per cercare conforto o per aiutarsi a stare in piedi, non era importante per Heiji. Sentire il calore del suo corpo e saperla di nuovo al suo fianco, dove voleva che fosse, era tutto ciò di cui aveva bisogno per avvertire l’adrenalina entrargli in circolo. Nulla avrebbe potuto fermarlo in quel momento e decise che, se fossero usciti da lì, non si sarebbe mai più privato di quel calore. Al diavolo la paura e Kudou con le sue dichiarazioni londinesi in grande stile.

“Sei Saburo Harada, tua moglie si chiamava Midori ed è morta in questa stanza il 25 aprile del 2019. Quel giorno stava tornando a casa dopo essere andata a fare la spesa. Voi vivevate qui. Eravate felici. Io e Kazuha eravamo nei paraggi perchè si era bucata una ruota della moto, stavamo aspettando il soccorso stradale e abbiamo visto tua moglie camminare in lontananza, carica di borse. Ci sembrava in difficoltà, erano quasi le 13.00, faceva parecchio caldo e avevamo paura che potesse sentirsi male così ho lasciato Kazuha vicino alla moto e mi sono avvicinato per chiederle se avesse bisogno di aiuto. Mi rispose di sì, ringraziandomi, e la accompagnai a casa portando parte della spesa. Per quel poco che l’ho conosciuta mi è parsa una brava persona, aveva degli occhi molto dolci.

Purtroppo, però, non sapevo di essere seguito: avevo ricevuto una richiesta per un caso da parte di un uomo che mi aveva convocato in un posto qui vicino. Quella persona era Fukada Rei, un uomo all’apparenza comunissimo, che però si era firmato con uno pseudonimo per evitare che io riconoscessi il cognome. Il figlio di Fukada era stato coinvolto in un caso qualche anno prima, aveva rapinato una banca e preso un bambino in ostaggio per riuscire a scappare. Lui e l’ostaggio hanno avuto un incidente durante l’inseguimento con la polizia e purtroppo nessuno dei due sopravvisse all’impatto. Nonostante le azioni del figlio, Fukada Rei diede la colpa a mio padre che era a capo di quell’operazione e decise di vendicarsi portandogli via quello che aveva perso lui: me.

Il fatto che la gomma della mia moto si fosse bucata aveva rappresentato un intoppo per Fukada, era stato preso alla sprovvista. Non si aspettava nemmeno che avrei portato Kazuha con me, ma avevamo dei piani per quella sera quindi avremmo fatto prima se fossimo già stati insieme. Non che la cosa mi dispiacesse, comunque” un accenno di sorriso gli spuntò sulle labbra e sentì Kazuha mormorare il suo nome da dietro alla sua schiena.

“Fukada si fece prendere dal panico, non sapeva cosa fare ma era consapevole del fatto che cercare di creare un’altra occasione per farmi fuori sarebbe stato troppo pericoloso, se voleva davvero uscirne vivo per vedere mio padre piangere la mia perdita; quindi, decise di dare fuoco alla casa mentre io e tua moglie eravamo dentro. Già in principio il suo piano era di farmi arrivare ad un capanno e appiccare un incendio con me dentro, che ci fosse anche Kazuha, tua moglie o che il posto fosse diverso non era importante.

Ho provato a salvare Midori-san, ma purtroppo un’asse del sottotetto ha ceduto colpendomi alla testa e ho perso i sensi. Lei è morta per colpa delle inalazioni di fumo e del fuoco. Ancora oggi non ho idea di come io abbia fatto a salvarmi. I soccorsi e la polizia li ha chiamati Kazuha vedendo le fiamme e probabilmente questo è il solo motivo per cui sono ancora qui, nemmeno la botta in testa aveva causato particolari danni, sono stato fortunato.”

Istintivamente la sua mano andò nella tasca dei pantaloni a sfiorare nuovamente il suo portafortuna. In un modo o nell’altro era sempre Kazuha la ragione per cui andava avanti. Voleva che continuasse ad essere così.

“Mi ricordo di te. Ricordo che mentre i paramedici mi medicavano, seduto sul retro dell’ambulanza, sei arrivato correndo, tutto trafelato. Quando hai visto la casa in fiamme e hai saputo di tua moglie hai iniziato ad urlare come un matto e sei scoppiato in lacrime. Non ti biasimo, al tuo posto sarei impazzito sapendo che la donna che amo e con cui voglio trascorrere il resto della mia vita se n’è andata senza che io potessi fare niente. Deve essere un dolore straziante. Ho provato molta pena per te e mi sono sentito terribilmente in colpa, in fondo dovevo essere io il bersaglio.

Qualcuno però mi ha poi fatto capire che la colpa non era mia, ma unicamente di Fukada e che, per quanto io lo desideri e mi sforzi, non ho il potere di risolvere ogni situazione. Sono solo un ragazzo, d’altronde. Posso solo cercare di diventare una persona migliore mentre cresco. “

Kazuha ormai tratteneva il fiato, Heiji l’aveva sentita inspirare forte un paio di volte, mentre lui parlava. Era certo che quella stupida stesse pensando che fosse impazzito, che non sembrava lui o che avesse battuto la testa molto forte. Sapeva anche di essersi sbilanciato troppo e che avrebbe dovuto darle delle spiegazioni serie. Scuse come “Hai sentito male” non avrebbero più retto. Non che avesse intenzione di cercarne, questa volta.

“Tu Saburo-san, stai facendo lo stesso errore di Fukada. Immagino tu mi abbia spiato per un po’, hai incolpato me della morte di tua moglie e volevi farmela pagare togliendomi quello che hai perso tu. Per questo hai rapito Kazuha, questa mattina. Hai aspettato che uscisse di casa per andare a scuola, l’hai aggredita con un taser e l’hai portata qui.  Sapevi che io la stavo aspettando al solito posto, avevi imparato i nostri orari e i nostri impegni; eri certo che se non avessi avuto notizie di lei per tutta la mattina mi sarei insospettito e avrei indagato sulla faccenda. Tu volevi che vi trovassi e soffrissi come hai sofferto tu.  Non hai intenzione di farla uscire viva da questa casa. Dimmi, ho fatto qualche errore?”

Durante tutto il suo discorso, Harada era rimasto immobile, appoggiato a quella parete con gli occhi chiusi. Sembrava quasi che dormisse ma, nelle parti salienti del suo monologo, Heiji era sicuro di aver intravisto qualche guizzo nei suoi muscoli facciali. Aprì gli occhi solo quando Heiji ebbe finito di parlare e posò lo sguardo su di loro. Li osservò per qualche istante. Kazuha si strinse a lui, la tensione era palpabile. Harada si mosse, si spostò per la stanza accarezzando delicatamente le pareti come se fossero soffici o pronte a sgretolarsi sotto al suo tocco.

“Ricostruzione eccellente, Heiji-kun. Meriti davvero tutta la fama che hai. Sarai un grande detective, ne sono certo.
Devo farti un appunto, però. Il mio non è un errore. Sono perfettamente consapevole che, da un punto di vista razionale, tu non abbia nessuna colpa. Lo so, ma il fatto è che non mi interessa. Non ho più voglia di essere razionale.

Ho passato tutta la vita ad essere una brava persona. Facevo volontariato, beneficenza, cercavo di aiutare il mio prossimo e di essere un cittadino onesto. Ho conosciuto mia moglie facendo volontariato in ospedale, nel reparto di oncologia. Una domenica al mese andavo a tenere compagnia ai malati terminali ricoverati in ospedale che, oltre ad essere destinati alla morte per colpa di un male maledetto, non avevano famiglia. Midori era una di loro. Era ricoverata per leucemia, sperava in un donatore di midollo compatibile che non era mai arrivato ed era orfana di entrambi i genitori da sempre; era cresciuta passando da una famiglia affidataria all’altra. Eppure, nonostante tutto quello che aveva passato, era la persona migliore che avessi mai incontrato. Quando andavo in ospedale mi accoglieva sempre con un sorriso radioso, io non sono certo che al suo posto avrei avuto la forza per sorridere in quel modo. Ci siamo innamorati. Ed era un problema, perché sapevamo che aveva i giorni contati. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarla.

Ho provato a fare i test per la compatibilità del midollo, pregando tutte le divinità conosciute che fossero positivi e ci fosse anche solo una piccola speranza di salvarla, di poter costruire un futuro insieme. Sentivo che era la mia metà, non poteva esserci nessun’altra dopo quello che avevo provato per lei e il cielo doveva avermi ascoltato perché i test risultarono positivi. Il trapianto andò bene, il midollo attecchì correttamente e, dopo qualche mese, Midori fu dimessa dall’ospedale perfettamente guarita, finalmente libera e non più sola. Ci siamo sposati dopo un paio d’anni e il tempo che ho trascorso con lei è stato il periodo più felice di tutta la mia vita.

Non posso esprimerti la gioia che ho provato quando, un mese prima che morisse, mi rivelò di essere incinta. Mi sentivo l’uomo più fortunato sulla terra. Quel giorno ho perso tutto. Lei, nostro figlio e anche me stesso. Quindi perdonami, ma non ho nessuna intenzione di essere razionale, oggi.”

Heiji sentì i pori della sua pelle fremere dal dispiacere mentre Harada raccontava la sua storia. Non poteva perdonarlo per aver fatto del male a Kazuha e averla messa in pericolo, ma non riusciva a non provare una profonda compassione per lui. Era un uomo che si era visto portare via tutto per colpa di un pazzo che a sua volta stava soffrendo. Una reazione a catena portata avanti da un profondo dolore. Heiji sentì Kazuha tirare su col naso, dietro di lui, anche lei scossa dal racconto di Harada che, nel frattempo, si era avvicinato a loro.

“Ora, Heiji, voglio che tu viva il mio dolore sulla tua pelle e che provi ad andare avanti con la tua vita come ho tentato di fare io. Se ami questa ragazza anche solo la metà di quanto io amavo Midori non ce la farai mai!”

Harada fece un passo verso di lui tendendo una mano per afferrare Heiji e stordirlo con il taser che ora teneva nell’altra, doveva averlo nascosto fino a quel momento senza che il detective se ne accorgesse, preso da Kazuha e dalle chiacchiere.

Heiji però, era dotato di ottimi riflessi grazie ai suoi allenamenti di kendo e riuscì a bloccare la mano che tentava di afferrarlo, mentre, con l’avambraccio opposto, colpiva il polso di Harada armato di taser. L’oggetto cadde a terra e Heiji sentì Kazuha prendere in mano la pistola stordente, pronta ad attaccare in caso di necessità. Heiji sorrise di fronte al coraggio della sua piccola guerriera.

Quel momento di distrazione, però, gli costò caro. Harada, adesso libero del taser, aveva chiuso la mano a pugno e lo aveva colpito in volto facendolo capitombolare all’indietro. Sentì in bocca il sapore ferroso del sangue.

“Heiji! No!“

Vedendolo cadere, Kazuha era partita all’attacco. Lo sguardo fermo sul suo avversario, i muscoli in tensione e i sensi all’erta. In quel momento Heiji seppe che avevano vinto.

Usando una delle sue mosse di aikido, Kazuha aveva atterrato e fermato Harada bloccandolo a terra con il suo peso e adesso gli stava puntando il taser al collo.

“Muoviti di un millimetro e ti restituisco il favore di questa mattina. Ti avverto però, fa male”.

In quel momento, Otaki e una squadra di poliziotti fecero irruzione della stanza con le pistole cariche e puntate su Harada.

Kazuha si spostò subito, correndo da Heiji che le scompigliò i capelli e si complimentò con lei.

“Sei stata bravissima, gli hai assestato proprio un bel colpo. Degno di te!”

“Sei proprio uno stupido, ti sei fatto fregare come un fesso! Come fai a non prestare attenzione mentre vieni assalito da un uomo armato?”

“È tutta colpa tua, ovviamente. Mi hai distratto. Ma ne parliamo dopo, adesso dobbiamo uscire di qui. Hai respirato troppo gas, quel matto ha tagliato il tubo di sotto”.

Nonostante le proteste di Kazuha, che non era per niente propensa ad interrompere quella conversazione senza prima aver fatto valere le sue ragioni, uscirono dalla casa con l’assistenza dei vigili del fuoco, respirando finalmente un po’ di aria pulita. I paramedici gli diedero dell’ossigeno e controllarono che stessero bene. Si accertarono che Kazuha non avesse ripercussioni dovute alle costrizioni delle corde e al gas inalato e li lasciarono liberi.

Gli agenti stavano scortando Harada alla macchina, ormai ammanettato, per portarlo in commissariato; Heiji li fermò.
Si avvicinò e, senza preavviso, diede un pugno in faccia a Saburo Harada. Dritto dritto sul naso. Si era ripromesso di farlo ed era solito a mantenere le sue promesse. Tutti urlarono il suo nome e Otaki fece per rimproverarlo ma Heiji lo interruppe con uno sguardo.

“Comprendo il tuo dolore, Harada-san. Dopo aver sentito la tua storia non posso che compatirti e dirti che capisco il tuo punto di vista. Io al posto tuo non so come avrei reagito. Ma so che non me la sarei mai rifatta su delle persone innocenti e, soprattutto, non posso perdonarti per aver messo in pericolo Kazuha. Spero che tu possa riprenderti dal lutto che hai subito e che tu possa ritrovare la pace di cui hai bisogno”.

Si rivolse poi ad Otaki: “Ti ringrazio per l’aiuto di oggi Otaki-san, sono in debito con te. Più tardi io e Kazuha verremo in commissariato per le deposizioni e i verbali, promesso. Ma prima ho bisogno di fare una cosa”.

Ignorando le proteste di Otaki, che continuava a lamentarsi del suo posto di lavoro a rischio, che Heizo lo avrebbe ucciso e che doveva imparare ad essere meno accondiscendente con i ragazzini, Heiji prese per mano Kazuha e la portò via, verso la sua moto.

Non rispose alle mille domande che lei gli fece e ai rimproveri per aver colpito Harada, rischiando di mettersi nei guai.

“Vieni con me e basta. Ho bisogno di parlarti e di farlo in un posto tranquillo quindi smettila di agitarti tanto e fammi contento, una volta tanto”

Le mise il casco di scorta mentre Kazuha sbuffava sonoramente, stizzita per essere stata zittita per la seconda volta e, quando entrambi furono in sella, partì.
 Questa volta se la prese con calma, godendosi il contatto delle mani di Kazuha sulla sua vita e l’aria fresca che li circondava. L’adrenalina e la paura di quella mattina stavano piano piano scemando, era rimasto dentro a quella casa per soli 10/15 minuti, ma gli erano sembrate ore. Si sentiva stanco, ma finalmente era in pace con sé stesso.

Nemmeno il pensiero di quello che stava per fare lo terrorizzava più. Aveva compreso quanto fossero profondi i suoi sentimenti per Kazuha. Erano mesi ormai che era diventato consapevole di essere innamorato di lei da sempre, ma gli avvenimenti di quella giornata gli avevano fatto capire fino a che punto la vita potesse essere imprevedibile. Un attimo prima pensi di avere tutto e quello dopo ti ritrovi con un pugno di mosche in mano. Dai per scontato che le persone che ami saranno con te fino alla fine dei tuoi giorni e invece la vita può ricordarti, molto crudelmente, che tutto può finire con un battito di ciglia. Quei pensieri erano fin troppo profondi e filosofici per lui, che viveva di prove, verità e razionalità ma non era più disposto a dare per scontata Kazuha. Lui, che a differenza di Kudou avrebbe potuto vivere il suo amore senza troppe preoccupazioni, rischiava di buttare tutto all’aria per cosa? Una dichiarazione d’amore sdolcinata circondata da un panorama mozzafiato?
Non era mai stato un tipo romantico, era una persona molto pragmatica e, doveva ammetterlo, spesso dotata di pochissimo tatto. L’importante era parlare con il cuore in mano ed essere sincero, dove lo avesse fatto non sarebbe stato rilevante.

Forte di questi pensieri, Heiji parcheggiò la moto vicino alla sponda di un fiume. A separarli dall’acqua che scorreva calma nel suo letto c’era solo una discesa fatta di erba e terriccio.  Fece cenno a Kazuha di seguirlo, scesero un po’ per allontanarsi dalla strada e si sedettero sull’erba verde. Lei abbracciandosi le gambe con le braccia, raccogliendole al petto e appoggiandoci sopra il mento; lui allungando le braccia all’indietro e puntellando i palmi delle mani aperti sul terreno per sostenere il suo peso. Guardava davanti a sé, verso l’acqua limpida.

“Come ti senti, Kazuha? Stai davvero bene? Sei sicura di non avere male da nessuna parte?”

“Ti ho già detto di sì, Heiji. Sto bene per davvero, non ti devi preoccupare così tanto” si girò con il viso verso di lui per guardarlo meglio, rimanendo appoggiata alle sue ginocchia. Sembrava spazientita, ma stava sorridendo.

“Certo che mi preoccuppo, stupida” le rispose senza essere però davvero arrabbiato “Immagino che avrai avuto paura, vero? Mi dispiace che tu sia finita nei guai per colpa mia”.

Adesso anche lui la guardava, ma era serio
.
“Sì, ne ho avuta. Ma solo fino a che non ho sentito la tua voce al telefono. Ero più spaventata del fatto di non poterti contattare per farti sapere dov’ero e che cosa era successo, ma ero sicura che presto o tardi ti saresti accorto che c’era qualcosa che non andava. Quando poi mi hai detto di non preoccuparmi e mi hai promesso che mi avresti riportata a casa mi sono tranquillizzata. Sapevo che non avresti mai infranto una promessa del genere e che mi avresti trovata”.

Kazuha non aveva mai smesso di sorridere.
Istintivamente la mano di Heiji si spostò, andando a raggiungere il viso di Kazuha e portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sentì le guance bruciare per l’imbarazzo e anche le gote di Kazuha si colorarono un po’.

“Eppure quando sono arrivato mi sei sembrata parecchio spaventata, sicura che non stai solo cercando di fare la dura?” non riusciva proprio a non stuzzicarla, era più forte di lui.

“Avevo paura per te, razza di idiota! Sei entrato come una furia nella stanza senza nemmeno controllare di avere campo libero! Quell’uomo era nascosto lì dentro, se fosse stato davvero un matto e non un povero disperato avrebbe potuto farti fuori senza che tu te ne accorgessi”

“No, sapevo che non mi avrebbe fatto nulla finché non avessimo parlato. Lui voleva un confronto con me e moriva dalla voglia di raccontarmi la sua storia. Il suo obiettivo era che io vivessi soffrendo per tutta la vita come aveva fatto lui in questi anni, non voleva uccidermi”

“Beh, credo che Harada-san abbia preso un granchio bello grosso, allora”

Heiji non potè fare altro che aggrottare le sopracciglia. Lei dovette comprendere la sua perplessità perché continuò a parlare.

“Lui voleva che tu soffrissi come aveva sofferto lui, che aveva perso l’amore della sua vita. Io so che tu tieni a me, Heiji, non ho dubbi a riguardo. Non vorresti mai che io morissi, ovviamente, ma non sono di certo il tuo grande amore. Quindi per questo dico che ha preso un granchio. Anche le cose che hai detto prima, quando parlavi del fatto che impazziresti se quello che è capitato a quella donna succedesse all’amore della tua vita. Non era riferito a nessuno in particolare, giusto?”

Non potè fare a meno di notare che Kazuha aveva abbassato lo sguardo, spostandolo verso l’acqua, e che sembrava quasi triste.
Heiji realizzò che quello era il momento della verità. Si trovava davanti ad un punto di non ritorno. Non poteva più tacere quello che provava e non credeva di essere in grado di fingere ancora che gli andasse bene il loro rapporto così com’era, non dopo gli avvenimenti di quella giornata. Voleva di più.

“Sei davvero un’idiota, Kazuha. La più grande tonta del mondo, davvero. Mi hai sentito, no? Ero lì per salvare te. Sarei morto in quella dannata stanza pur di saperti al sicuro. Morirei in questo preciso istante se servisse a salvarti e vuoi sapere perché? Perché ti amo, razza di zuccona. E credo che non sarò mai in grado di amare nessun’altra come amo te. Anzi, non voglio amare nessun’altra perché nessuna sarà mai te. Possibile che tu non lo capisca nemmeno dopo quello che è successo oggi?”

Aveva alzato la voce, facendosi trasportare dalle emozioni. Voleva dichiararsi in modo dolce, romantico ma era più forte di lui. La amava, sì, ma sapeva anche come farlo uscire dai gangheri.

“E allora non farlo.”

Kazuha aveva parlato talmente piano che Heiji, per un attimo, credette di esserselo immaginato. Capì di aver sentito bene solo perché lei si era girata a guardarlo, tutta rossa in volto, ma rinvigorita.

“Non fare… cosa?”

“Non amare nessun’altra. Ama me e basta. Mi sta bene perché...”

Heiji, che era sì stupido e ottuso riguardo alle questioni di cuore, ma pur sempre un detective, finalmente comprese. Tutti i pezzi si collegarono nella sua testa e capì che erano stati entrambi molto stupidi perché la sua tanto amata verità era sempre stata alla luce del sole. Avevano sempre provato le stesse cose, erano solo tutti e due troppo ottusi e spaventati per capirlo.  Ma adesso voleva smetterla di essere cieco. Non gli serviva che lei lo dicesse a parole, non in quel momento. Si sporse in avanti e, facendosi strada con una mano tra suoi capelli raccolti e setosi, la baciò.

Per qualche istante fu un semplice e delicato contatto, ma dopo poco, senza essere in grado di capire chi dei due avesse iniziato, divenne una danza di labbra, lingue e respiri affannati. L’aria sembrava impregnata di elettricità statica e Heiji giurò di aver sentito una scossa o due partire dal centro del suo petto e scendere sempre più in basso.

Mai in tutta la sua vita si era sentito in pace con sé stesso come in quel momento, ma allo stesso tempo aveva l’impressione che tutto, dentro di lui, stesse andando a fuoco e che l’unico rimedio fossero le labbra di Kazuha. Non si accorse nemmeno di averla spinta verso il terreno e di essere salito su di lei finchè non sentì le mani fredde di Kazuha toccare la pelle nuda della sua schiena, subito sotto il collo passando attraverso l’apertura della sua maglietta, riportandolo per un attimo alla realtà.

Rimasero lì per un po’, sdraiati sull’erba a prendersi in giro, baciarsi e scambiarsi carezze innocenti finché il telefono di Heiji squillò. Dal ricevitore sentì la voce di suo padre che gli ordinava di andare immediatamente in commissariato per la deposizione e di portare anche Kazuha con lui perché i suoi genitori erano molto preoccupati.
A malincuore, si alzarono da quel piccolo angolo di paradiso per tornare alla moto, tenendosi per mano, ma Heiji si sentiva felice come non lo era mai stato. Sapeva che quella notte nulla lo avrebbe fermato dal dormire con Kazuha e chissà, forse l’indomani la sua innocente fidanzata avrebbe scoperto l’esistenza delle erezioni mattutine.
  
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