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Autore: Giulss_    14/01/2022    0 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
"Ogni volta che chiudeva gli occhi incrociava due pozze azzurre che la guardavano come se non ci fosse niente di più bello al mondo, che la desideravano. E si chiedeva invece cosa si vedesse da fuori nei suoi occhi."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1.

 

 

Just please don't say you love me,
cause I might not say it back,
doesn't mean my heart stops skipping
when you look at me like that.
There's no need to worry when
you see just where we're at,
just please don't say you love me
cause I might not say it back.

 

Terminato l’interrogatorio di Calenzano, Calogiuri lo accompagnò fuori dall’ufficio per procedere all’arresto. Diana, vedendo Imma ancora turbata per quanto avevano appena appreso, tentennò nell’annunciarle che la maestra Strammiello e Nicolas la stavano aspettando per parlarle. Imma, invece, si alzò subito dalla sedia e li raggiunse nel corridoio. Sicuramente avevano qualcosa da riferirle riguardo la morte di Stacchiuccio. 

“Dottoressa, mi scusi ma Nicolas le voleva dire una cosa.”
“E vieni, Nicolas” gli disse, allungando una mano per accompagnarlo dentro al suo ufficio. Il bambino, però, le afferrò e la tirò a sedere su una delle sedie in corridoio.
“Allora, che c’è?” chiese, e lui iniziò a raccontare del giorno in cui avevano seguito Stacchiuccio fino alla grotta dei pipistrelli.
“Lui a un certo punto è scappato via ed è caduto in un buco. Piangeva… e poi… e poi ha smesso di piangere. Io ho pensato che s’era addormentato e sono andato via” disse infine, prendendosi la testa tra le mani e iniziando a piangere. La maestra lo abbracciò e lo accompagnò a prendere un bicchiere d’acqua.

Imma li salutò e appoggiò la testa al muro, distrutta. Quelle giornate sembravano interminabili e l’avevano molto provata emotivamente. Con la morte di Stella Pisicchio, i ricordi del liceo erano tornati a galla, e con loro anche quella sgradevole sensazione di essere sempre quella diversa, quella sbagliata, quella sola. E poi c’era stata la morte di Eustachio Corradino. Vedere il corpo di quel bambino tra le rocce della caverna l’aveva sconvolta già senza sapere che i responsabili erano proprio i suoi amichetti. Erano bambini, non l’avevano spinto, non volevano che morisse, non avevano colpe. Era stato un incidente. Era straziante. 

Calogiuri, dal canto suo, era tornato in tempo per sentire quanto Nicolas aveva raccontato e ne era rimasto turbato quanto Imma. Soprattutto, era dispiaciuto per come la dottoressa stesse soffrendo. Vederla piangere gli provocava sempre una fitta al cuore. Era una donna forte, dal carattere molto particolare, ligia sicuramente più alle regole che alle questioni di cuore, e non era facile che si lasciasse andare ai sentimenti. Così, senza dire nulla per non disturbarla, si sedette accanto a lei nel corridoio e, come lei, appoggiò la testa al muro. 

Imma chiuse gli occhi e voltò la testa verso di lui. Il volto era bagnato di lacrime. Riaprì gli occhi e abbozzò un sorriso. Era contenta di averlo lì in quel momento e Calogiuri lo sapeva, soprattutto dopo il distacco degli ultimi tempi. Erano tante le cose che avrebbe voluto dirle ma non era il momento. C’erano gli occhi a parlare per loro. Così, si limitò a ricambiare il sorriso. 

Quando Imma tornò a guardare dritto davanti a sé, una mano sulla gamba, Calogiuri vi posò sopra la sua, inizialmente incerto, ma poi con presa sicura. Aveva paura di spezzare quell'incantesimo ma allo stesso tempo voleva dimostrarle che c’era. E soprattutto non voleva lasciar passare quel momento senza aver fatto nulla. Poteva dirsi quanto voleva di essere arrabbiato con lei, di non provare nulla se non stima dal punto di vista personale e professionale, ma erano tutte balle. Aveva bisogno di lei, di toccarla, di accarezzarla, di baciarla, di spogliarla. 

Il petto di Imma ora si alzava ed abbassava più velocemente - e no, non era per via del pianto. Non solo. Non si aspettava quel contatto, anche se in quel momento non avrebbe saputo desiderare altro. Poi la mano di Calogiuri si staccò dalla sua. Lo osservava con la coda dell’occhio, e quando lo vide spostarle i capelli dietro le orecchi si sentì mancare il fiato. Sapeva -o sperava- di non essergli indifferente, ma nessuno dei due aveva mai osato un contatto di troppo. 

Calogiuri le posò la mano sulla guancia e con il pollice le sfiorò le labbra. A quel punto tornò a guardarlo. Nella testa non c’erano più casi, morti, ricordi che tenessero. I suoi occhi castani incrociarono quegli azzurri di lui in cerca di risposte, forse sperando di non trovarle. Eppure erano lì, c’erano sempre state. Era lei a non volerle vedere perché era terrorizzata anche solo all’idea di potersi porgere determinate domande, figurarsi darvi una risposta. Ma gli occhi di Calogiuri, spesso timidi ed evasivi, in quel momento non lasciavano spazio a dubbi. E neanche la sua mano, che faticava a terminare quella carezza, con l’indice fermo sul mento, come a non voler rompere quel contatto. 

“Grazie” gli disse, sfiorandogli la gamba con una mano mentre si alzava. “Dovremmo andare a casa, ora.”
“Certo dottoressa” rispose alzandosi a sua volta, “volete che vi accompagno?”
“Non ti preoccupare, Calogiuri.”
Non voleva calcare la mano. Era scossa per la giornata avuta e sentiva ancora il corpo fremere al contatto con la mano del ragazzo, quindi non era del tutto in controllo delle sue facoltà mentali. Avrebbe chiesto a qualche appuntato di farsi accompagnare, anche se non sarebbe stata la stessa cosa. Non lo sarebbe stato mai.


 

Arrivata a casa, salutò Valentina e si buttò sotto la doccia. Lasciò che il getto d’acqua lavasse via i pensieri, le ansie e le frustrazioni della giornata. Cercò di accantonare quegli ultimi momenti in questura, di lasciarli riposare in un cassetto, senza farsi troppo domande. Poi, si mise a cucinare, finché non venne interrotta da un messaggio.
Era Pietro: non sarebbe rientrato a casa. “Valentì” sbuffò, “è pronto!”
“E papà?” chiese la figlia dal salotto.
“E papà non torna a casa” le rispose, mettendo il cibo in tavola.

Aveva appena posato tutto, quando il telefono suonò di nuovo. Era Ernesto Morra, il gioielliere.
“Ho visto il braccialetto che ha lasciato in gioielleria” le disse, “ricordo benissimo chi l’ha comprato, anche perché era un nostro affezionatissimo cliente: il cavalier Latronico.”
Sentì per l’ennesima volta in quella infinita giornata il suolo mancarle da sotto i piedi. Si appoggiò alla parete. “Cenzino Latronico?”
“Sì certo, proprio lui. Spero di esserle stato utile, Dottoressa.”
“Utilissimo, grazie” rispose, chiudendo la telefonata. Le girava la testa, i pensieri si rincorrevano, si mescolavano, le toglievano il fiato. Cadde a terra.

Valentina si voltò. “Mamma?!”
“Sto bene, Valentì” rispose, qualche secondo dopo. Avrebbe preferito essere inghiottita dal pavimento, ma stava bene.
Valentina le tese una mano e l’aiutò a rialzarsi. “Ma che hai?”
“Niente, Valentì, solo una giornata pesante, e adesso che ci penso non ho mangiato, sarà un calo di zuccheri” rispose, sedendosi a tavola e buttando giù una forchettata di insalata.
Valentina la guardava sconvolta. Un minuto prima cadeva a terra, pareva svenuta, e il momento dopo si metteva a tavola a mangiare. Sua madre era strana forte. Comunque, non disse niente e finì la cena.
“Mamma ma sei sicura di stare bene?”
“Sto bene, Valentì, sto bene, uno neanche un calo di zuccheri può avere mo’?”
La figlia sbuffò. “Quindi ti posso lasciare sola? Pensavo di andare a dormire da Bea se non è un problema…”


 

Pietro fuori a cena, Valentina fuori a dormire, lei da sola in casa.
O meglio, in compagnia di un numero indefinito di pensieri che spaziavano tra un centinaio di argomenti che avrebbe volentieri evitato.
Ma, nonostante tutto, uno tornava più forte degli altri.
Prese in mano il telefono ed inviò un messaggio: “Sei impegnato? Non era la sera giusta perché mi lasciassero a casa da sola.”
La risposta non tardò ad arrivare: “Tempo di sistemarmi e passo a prendervi.”

Cosa stava facendo? Ah, non ne aveva idea. Probabilmente stava comprando un biglietto per salire sul Titanic quando già era affondato, ma non le importava. Stava male, si sentiva sola, e c’era una voce nella testa che non la lasciava in pace. Ogni volta che chiudeva gli occhi incrociava due pozze azzurre che la guardavano come se non ci fosse niente di più bello al mondo, che la desideravano. E si chiedeva invece cosa si vedesse da fuori nei suoi occhi.

I sentimenti di Calogiuri le erano chiari - non li capiva, non se li riusciva a spiegare, però erano quello che erano. Ma i suoi? 


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Ebbene sì, dopo SECOLI sono tornata a scrivere più di due righe. In realtà perché devo esercitarmi sulla scrittura creativa (e non sono in grado), ma almeno ne approfitto per riempire il vuoto che 'sti due disgraziati stanno lasciando nella mia vita. Non so minimamente dove andrò a parare, perché ho due idee completamente opposte per questa ff, quindi probabile che ci rivedremo la settimana prossima se non direttamente tra dieci giorni, anche perché sarò un po' presa con le bombe. Anyways, a presto, e se lasciate un commento mi fa solo che piacere!
Giulia

 

  
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