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Autore: futacookies    20/01/2022    0 recensioni
{spoiler! dalla light novel Beast}
Ango Sakaguchi, beast!Dazai e cose che (forse) non si dovrebbero mai sapere.
«Quali sono le tue intenzioni?»
C’è qualcosa, nella sua voce, che non riesce ad essere minaccioso. Per lui non è Dazai, certo, eppure ne presenta l’aspetto e quindi non ha il coraggio di fargli del male, non di fronte al ricordo dolente di Odasaku, nemmeno se si tratta di proteggere la sua città. Eppure, per una volta, Dazai non vuole fare del male a nessuno.
«Voglio piangere un amico che è ancora vivo nel luogo da cui sono venuto.» [...]
«Deve essere bello, il luogo da cui vieni.»
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ango Sakaguchi, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: scritta dopo la straziante lettura di Beast per la maritombola #12 indetta da Lande di Fandom con il prompt 64: realtà alternative che collidono. Non so fino a che punto sia accettabile l'interpretazione che ho dato, ma molto semplicemente, il Dazai dell’universo alternativo prima di scomparire per sempre ha abbastanza tempo per farsi un’ultima volta del male - e per farne a sua volta. Un giorno smetterò di scegliere titoli lunghi da scrivere tra parentesi? Forse, but once again non è questo il giorno. In ogni caso, buona lettura!
 


 


Le scelte che compiamo

(non smettono mai di seguirci)



 

Da qualche parte, nell’universo che Dazai ha cercato di proteggere, Akutagawa sta pensando che lui sia svanito nel tramonto.

 

Quando apre gli occhi, dopo la caduta che ha atteso per tutta la vita, Dazai rimane sorpreso nello scoprire che non si è spappolato al suolo come ha previsto. Ne è anche abbastanza contrariato, perché lui ha previsto tutto, ha dato ordini a Gin per il suo funerale e adesso- come faranno a recuperare il suo corpo se si trova da un’altra parte?

Sbatte un paio di volte le palpebre e si strofina la faccia – sta piovendo. Non c’era una sola nuvola in cielo, quando si è lanciato dal tetto, c’era un tramonto mozzafiato, un sole calante che tingeva di scarlatto il cielo di Yokohama. Non è stato un brutto momento per morire. Gli sarebbe potuta andare peggio. Avrebbe potuto piovere. 

Si asciuga gli occhi inumiditi dalla pioggia battente con il vecchio sciarpone di Mori e la prima cosa che vede gli instilla un tale terrore che chiude le palpebre e ci mette un po’ a trovare il coraggio di riaprirle. Quando però ci riesce, dopo che ogni nervo del suo corpo ha vivacemente protestato, vede che quella cosa è ancora lì. 

Terribile e inevitabile monito della realtà, quella dell’universo in cui deve essere finito per una punizione divina che non si spiega, c’è la tomba di Odasaku, con il suo nome scolpito nella pietra, che sembra osservarlo con severità mentre a fatica si tira in piedi – lui è morto, è morto e preferirebbe continuare ad esserlo piuttosto che essere costretto a guardare il risultato di azioni su cui lui non ha potuto niente.

Il dolore atroce che ha provato, spulciando tra le memorie della sua controparte, gli è bastato per capire che avrebbe fatto qualunque cosa, distrutto vite, sogni, speranze soltanto per salvarlo- avrebbe distrutto se stesso, e l’ha fatto davvero, pur di proteggerlo.E quindi questo scherzo cosmico, questa vendetta karmica, lui non se la merita. E se potesse morire a comando, in questo preciso istante, lo farebbe. Se solo potesse, lui-

«Tu non sei Dazai.»

La voce austera che gli parla appartiene ad uomo che è a pochi passi da lui, con una mano sulla pistola nascosta dalla giacca e il capo chino. 

«Io non so chi-», Dazai inizia, poi capisce. Lui sa perfettamente chi sia l’uomo mesto alle sue spalle. «Io non ti conosco.», continua.

Sta dicendo la verità. Non l’ha mai incontrato prima – se non nei ricordi dell’altro Dazai, intrisi di odio e risentimento e vendetta a tal punto che quando gli è toccato crearlo, quel mondo, ha posto due condizioni: la prima, che Oda Sakunosuke viva e scriva il suo romanzo; la seconda, che Ango Sakaguchi non sia mai esistito. L’ha cancellato con un colpo di penna e poi si è dimenticato di lui. Mai avrebbe pensato che gli sarebbe toccato conoscerlo.

«Quali sono le tue intenzioni?»

C’è qualcosa, nella sua voce, che non riesce ad essere minaccioso. Per lui non è Dazai, certo, eppure ne presenta l’aspetto e quindi non ha il coraggio di fargli del male, non di fronte al ricordo dolente di Odasaku, nemmeno se si tratta di proteggere la sua città. Eppure, per una volta, Dazai non vuole fare del male a nessuno.

«Voglio piangere un amico che è ancora vivo nel luogo da cui sono venuto.»

Per un attimo la sua espressione cupa sembra rompersi per lasciare spazio alla sorpresa. Abbandona la pistola e avanza verso di lui, quanto basta per affiancarlo, in un silenzio luttuoso che si trascina per qualche minuto.

«Deve essere bello, il luogo da cui vieni.»

«Non lo puoi sapere, suppongo. Tu lì non ci sei. Ti ho odiato così tanto che quando ho ricevuto il dono straordinario di un universo in cui lui vive, mi sono assicurato che tu non vedessi mai la luce.»

C’è un piccolo ghigno divertito che si forma all’angolo della bocca di Ango. Si piega sulle ginocchia e sembra tenersi lo stomaco come se gli fosse appena venuta la nausea. 

«Ovviamente-», dice, e sebbene la sua voce contenga ancora il fantasma del ghigno che gli ha attraversato il volto un attimo prima, c’è traccia di un dolore così straziante che per un attimo lo stesso Dazai barcolla su ginocchia incerte. «Ovviamente non ci sono, non se lui vive.»

«Gli hai fatto del male.», gli spiega, secco. Non sa cos’altro dirgli. 

«E ora tu ne stai facendo a me. Mi sembra giusto.», è l’asciutta risposta che riceve. «Tu non sei un allucinazione.», afferma.

In ogni caso, Dazai sceglie di confermare. 

«No.»

«E non sei la coscienza che mi tormenta.»

Dazai scuote la testa.

«Cosa sei?»

La domanda nasconde un tono esasperato, come se avesse già provato, fallendo, a scegliere una risposta che era perennemente insoddisfacente.

«Sono morto. Sono morto e non dovrei essere qui, a fronteggiare mostri e paure che pensavo di essermi lasciato alle spalle. Eppure, guardami: sono di fronte alla tomba di Odasaku anche se l’ho salvato. Sono con te e avevo fatto in modo di non doverti mai incontrare. A che cosa sono servite, tutte le scelte che ho fatto, se mi hanno portato qui?»

Ango si prende un paio di secondi per raccogliere le idee, secondi che sembrano eterni, in cui Dazai fa in tempo a chiedersi se esista davvero, una risposta alla sua domanda. 

«Tutte le scelte che ho fatto mi hanno portato qui.», commenta Ango. «Quello che ho perso e quello che ho guadagnato, quello che sto ancora rimpiangendo- mi hanno portato qui, a parlare con il fantasma di un uomo morto che mi dice che da qualche parte, in mondi che non vedrò mai, Odasaku è ancora vivo. Scrive?»

«Nel tempo libero.», gli risponde automaticamente, prima di lasciarsi scappare un’imprecazione. 

«Davvero un luogo bellissimo.», commenta Ango, con un cenno del capo.

Da quel momento nessuno dice più niente, restano in un silenzio confortato soltanto dalla pioggia battente, da lacrime che neanche loro sanno se siano di gioia o dolore, intrappolati tra sogni e rimpianti da cui sanno che non riusciranno mai a scappare.

Non era così, che Dazai sperava di andarsene – un tempo ha sperato in un’uscita di scena grandiosa, terribile, inevitabile e adesso si sente piccolo e triste e ancorato ad un’esistenza che gli scivola sempre più rapidamente tra le dita bagnate, pronto a portare via con sé il fardello di uomo che non sarebbe mai dovuto esistere – un uomo che deve convivere ogni giorno con quella lapide silenziosa che non può asciugare la sue lacrime.

Ancora in piedi accanto ad Ango, mentre lascia lentamente svanire, mangiato da una realtà a cui non appartiene, Dazai non può fare a meno di pensare gli sarebbe potuta andare peggio – avrebbe potuto vivere con la consapevolezza di non essere riuscito a salvare Odasaku. In fondo, rifarebbe tutto.

  
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